È l’amore la bestia più calda
di Francesca Genti
I.
Sono a Milano. In via Farini. In bicicletta.
Davanti a me un cielo soprannaturale:
gommoso, grigio, gioiarespingente.
La Settanta che cerca di bucarlo,
che arranca verso un sole inesistente.
Sale il cavalcavia, sprofonda,
svolta in direzione Porta Volta,
porta le persone a lavorare.
È una visione molto futurista.
Sono in bicicletta e, come loro,
sto dirigendomi sul posto di lavoro.
II.
Da qualche mese lavoro in un call center,
faccio la cartomante telefonica,
sono una Grande Veggente d’Italia.
Bislacca attività semi-illegale,
naturalmente pagata molto male.
Con lo pseudonimo di maga Fernanda
mi occupo di problemi di famiglia,
di tradimenti, di saldi non pagati,
distribuisco terni a destra e a manca,
dò consigli sugli amori tormentati.
III.
È qui, seduta davanti al mio telefono,
che un’intuizione dell’adolescenza
diventa dolorosa conoscenza,
illuminazione dura, salda.
Verità da cui non puoi scappare:
“è l’amore la bestia più calda”.
Me lo dice al telefono un signore,
precisamente Rino da Treviso.
È del ’39 e ne ha viste tante.
E comunque è un assioma condiviso,
una verità transgenerazionale,
una certezza per tutto lo Stivale.
IV.
Va avanti così per tutta la serata:
passano i minuti, scorrono parole,
le storie sempre uguali si accavallano
fatica, umanità, noia, dolore
e un’imperterrita consapevolezza:
“l’amore più lo insegui, più ti spezza
l’equilibrio, i sogni, il sonno, il cuore”.
Uomini e donne in un perpetuo moto
lo cercano, lo perdono, si affannano.
V.
Verso la fine del mio turno di lavoro
(sono le tre di notte, sto quasi per smontare)
mi capita un fatto che ha dell’inquietante,
una chiamata semi-paranormale:
mi telefona Francesca da Torino,
erre moscia, classe Settantacinque
e come in un racconto di E.T.A. Hoffman
vengo a contatto con il mio doppelgänger.
Il mio doppio non fa eccezione,
mi racconta la sua storia disperata,
finita con una potente litigata,
in cui lei gli ha sfasciato la sua Punto.
“C’è ancora qualcosa da sperare?”
mi chiede con tono fiducioso
e sentendo un leggero disappunto,
un mio tergiversare nella voce,
mi sbatte la cornetta sulla faccia,
non prima però di sentenziare:
“è l’amore la bestia più feroce”.
VI.
Sono le cinque meno venti di mattino,
è gennaio tagliente e io ho finito.
Riprendo la mia bici per tornare
al mio rifugio, il mio bunker personale.
Guardo il cielo nerissimo di stelle,
guardo fissa la stella del mattino,
chiedo a Venere: “c’è qualche novità?”
lei mi guarda, mi strizza l’occhiolino:
“è l’amore, la bestia che ci salverà”
Immagine: Francesca Genti, Disco-Solitude
Non essendoci la bacheca relativa a questo mese (la bacheca è ferma al mese di maggio 2008):
http://img403.imageshack.us/img403/1941/monacitibetaniassassinazc8.jpg
Sono io OT e lo so. Ma non posso farne a meno.
Iannozzi
[…] È l’amore la bestia più calda […]
Interessante, soprattutto per la metrica. Non ho controllato con attenzione, ma mi pare che l’accento cada spesso sulla dodicesima sillaba, e qualche volta anche sulla decima come in un normale endecasillabo.
Queste poetesse neometriche mi affascinano…
Adoro Francesca Genti. Aveva postato poesia l’anno scorso. Trovo che le parole sonno giuste, dedicate a tutti nell’ultra moderne solitude; dove l’amore si alza nello spazio e la distanza.
Un sentimento di amore che divora, occupa la mente.
Complimenti Francesca.
Amore bestia calda, bestia perché c’entra grido del corpo e calda per allontanare la solitudine, due corpi che cercano il calore.
OT anche messaggio di IRIS (mia nipotine): buongiorno a tutti! Ha scritto il messaggio.
Giuseppe, è importante mostrare, ma ahimé non basta.
E’ la Genti la poetessa più brava.
“è l’amore, la bestia che ci salverà”
non sono d’accordo.
ovviamente.
Il ritorno della ragazza Carla, però finalmente in hot pants e pochettina tarocca di Prada. Grandiosa Francesca, che non è la meglio perché alle graduatorie, come insegna il vècio Garanzini, si fan preferire le compilation. Quindi Genti, Biagini, Cavalli, Tini Brunozzi, Anedda, Dupont ecc
La poesia di Francesca Genti è una religione pitagorica; o davvero credete che la metrica sia innocente?
Non lo è per niente. La metrica – e per questo i greci sovrapponevano la musica alla matematica e alla poesia – è ciò che mette in crisi chi, dotato di un povero cervello binario, ancora crede che sia possibile separare la forma del suo contenuto.
La metrica è quella forza che, spingendo il limitato verso l’illimitato, sortisce lo stesso effetto inseguito nel rinascimento dagli alchimisti di Ermete Trimegisto: rende l’uomo uguale a Dio.
Resta inteso, comunque, che con la poesie di Francesca Genti le chiacchiere stanno a zero. La sua bellezza parla con il polemos di Eraclito: “e dai contrasti, bellissima armonia”.
a giovanni: infatti pensavo esattamente a “La ragazza Carla” e per la prima immagine anche al quadro “la strada entra nella casa” di umberto boccioni.
… guarda che mai metterei hot pants e pochettina di prada (manco se fosse originale, bleah!)
ciao cristoforo, veronique, sergio e tash :-)
io non so di metrica nè di accenti nè di rime, però a me queste parole mi fanno vedere anche delle cose e non sentire solo dei suoni.
mi fanno vedere venere, mi fanno vedere un’ipotetica Francesca Genti al call center con gli occhi sgranati e le orecchie che recepiscono storie o mentre torna al suo bunker in bicicletta nella “non più notte quasi alba”.
a me le poesie della Genti mi fanno pensare a poesie che, per essere lette, non richiedano l’uso di piantane con fleboclisi al seguito.
(tash come al solito è sempre ipercritico verso tutto ciò che riguarda l’ammmmore et sentimento: mi fa venire in mente, tra le altre cose, un lupo con il pelo a chiazze che sta dentro ad una nera caverna in Transilvania anche se a lui piacciono mare et pesci).
Difatti la signorina Carla del 2008 va in giro vestita Stella Mc Cartney e le pochette le snobba proprio. Piuttosto, borsoni da H&M o, colmo del leggermente out, borsoni pervinca Agatha Ruiz de la Prada (lanciata su Milano dalla Daniela Rossi, chicchissima moglie dell’Armando Besio non che scrittrice di talento puro non che artista visuale da non trascurarsi – e infatti come tale trascurata, nella fu capitale morale, vero)
la poesia, questa poesia , di francesca genti mi fa sentire come non mai di far parte della razza umana, che qualsiasi esperienza si faccia, l’amore in particolare e tutto ciò che esso comporta (non vivitur in amore sine dolore, dicevano i latini) non si è mai soli, ma altri e altri hanno provato, provano e proveranno quello che stai provando tu, quindi tutto, anche la lotta, il dolore, diventa esperienza, vita. Ecco, mi fa sentire di essere profondamente immersa nel fiume della vita, dove tutto passa e tutto si ripete.
>>> Giuseppe, è importante mostrare, ma ahimé non basta.
Non ho mostrato e morta lì. Ma non è questo luogo adatto di discussione. Ho già abusato dell’ospitalità, per cui chiedo venia. Chiedo scusa se non leggo il post, ma in questo momento le mie attenzioni sono rivolte a tutt’altro. Spero possiate comprendere.
Mi fa piacere sapere che stai bene, Veronique. Avevo perso le tue tracce.
Buone cose
P.S.: Chiaramente se questi OT arrecano fastidio, cancellateli pure. E’ giusto.
iannox
L’ottimismo è magico :-)
Personalmente questi testi non riescono a convincermi per niente: sono d’accordo che occorra alla poesia italiana la forza di immergersi nel presente, nella contemporaneità per uscire da quella stretta immunitaria che il codice e la tradizione ci hanno cucito addosso, ma qui non sento abbastanza forza: la metrica mi pare un trucco per farci capire che stiamo nella “poesia”, mentre le immagini e le tematiche “abbordabili” ci portano dentro quel falso mimetismo tanto in voga che non smuove di una virgola lo stato delle cose. Poesie che sfiorano la banalità, il che non sarebbe certo un male: qualcuno ci riesce in maniera grandiosa, penso a John Ashbery, ad esempio ma qui proprio non ci siamo. Poesie che tutti possono leggere e capire? che hanno il coraggio di parlare la lingua di tutti e lontane dalle fleboclisi della poesia “alta” e “oscura”, “intellettualistica”? a me sembra proprio il contrario: è singolare che i poeti che si provano a parlare la lingua di tutti i giorni e ad immergersi nello slang contemporaneo risultino poi i più ideologici e intellettualistici… naturalmente è solo un mio parere, e mi scuso: non intendo offendere proprio nessuno, anzi, magari riuscire ad aprire un fronte di discussione su tali problematiche davvero fondamentali e che comunque questo tipo di scrittura ha il coraggio di rendere evidenti,
andrea ponso
Poemetto vita verità, la Genti è la più brava, zero di convenzionale, tutto occhio-anima, oggi più che oggi. E per quanto riguarda la metrica, penso lei sia metrica fin dall’asilo, altro che neometrica. Uno ci ha l’orecchio, e ciao. No etichette alla mia più grande amica, please! Brava Franci, bellissimo veramente. Anche se io all’amore non ci credo più, però credo alla notte. Ciao bravura!
… ah giusto: allora chiedo scusa: “niente etichette alla mia amica”… forse ho sbagliato tutto, sono entrato in casa di qualcuno senza essere invitato, e poi ho fatto delle osservazioni… mi rendo conto, è proprio maleducato, disdicevole… teniamoci pure i nostri amici. Una poesia talmente grande da fare esplodere le “etichette”, non me n’ero accorto… (non me ne voglia Francesca Genti che, anche se non la conosco e non è mia amica, mi sono permesso di leggerla…)
andrea ponso
Non penso che Francesca Genti provi a parlare la lingua di tutti i giorni o una lingua qualsiasi: credo proprio che parli la sua, senza nessun intellettualismo ideologico a monte. Se ben interpreto le parole di Anna, non è etichettabile non perché non è permesso esprimere un parere discordante, ma perché quando una voce poetica è autentica bisogna prima di tutto fare i conti con ciò che dice, più che con la tradizione/i o i residuati bellici da cui potrebbe provenire. Ecco ad esempio quando ho letto questo poemetto ho pensato a come è paradossale il fatto che tanto più ci avviciniamo all’amore, tanto più siamo in contatto con la solitudine. Cosa che specialmente nella quinta e nell’ultima sezione emerge benissimo.
Detto questo – si mettono le poesie online proprio per discuterne…
Francescaggenti for president!
Bene: allora proviamo a discuterne, anche con visioni discordanti, mi pare l’unico modo sensato di discutere di un testo. Gli elogi vanno bene, ma a volte mi pare che servano di più le critiche, purchè non siano gratuite e, naturalmente, se ne possa discutere con tranquillità. Si dice che parla la “sua” lingua: naturalmente ogni poeta lo fa o cerca di farlo… ma mi pare che sostenere che la tradizione sia solo un ammasso di “residuati bellici” sia un poco semplicistico (del resto, allora, lo sarebbe anche la metrica che la Genti usa in questi testi). Non esiste una lingua “propria”, non siamo mai del tutto proprietari della nostra lingua, per mille motivi che mi pare superfluo ricordare e, tra questi, anche la tradizione; sia che ci si opponga ad essa sia che la si segua, comunque i conti vanno fatti… e forse proprio chi cerca di accantonarla sente con più forza la sua influenza e, giustamente, dovrebbe lottarci contro per trovare una sua articolazione, una sua pratica singolare (ma che è sempre singolare-plurale, secondo me). Il problema, sempre a mio modesto parere, è quando la si evita come un qualcosa di già dato per scontato e superato… proprio allora, nell’apparente totale libertà, si ricade in essa, vi si inciampa inesorabilmente. Se poi andiamo ai contenuti (cosa che, mi pare ovvio, non andrebbe mai divisa dalle forme e dallo stile, altrimenti si presuppone un significato dato su cui preparare una rappresentazione più o meno riuscita) non mi pare che ci siano questi grandi affondi… scoprire che con l’amore ci si sente soli? insomma, se la mettiamo in questo modo, mi pare che si scopra l’acqua calda; e usare una metrica chiusa per inserire materiali e contenuti che di solito non vengono “accettati” da quella metrica non è certo una novità… succede dalle origini della letteratura italiana. Quindi, se vogliamo trovare punti interessanti bisogna cercare di dire qualcosa di più, che tenga insieme il tutto e che non lo sezioni in maniera impressionistica… ed io, sinceramente, non vi trovo un gran che…
andrea ponso
@Andre Ponso, personalmente non ho nulla contro nessuna tradizione poetica di per sé, italiana o atlantica che sia, per rapportarci a quelle con cui più facilmente ci confrontiamo e che assorbiamo. “Residuati bellici” non si riferisce certo al valore di tanta poesia più o meno passata, ma, se non si era capito, con tono non serioso ad una certa attitudine che trovo piuttosto stancante a non leggere le cose per quello che sono, per quello che ci dicono, ma unendo i puntini come in un vecchio gioco enigmistico, per identificare maestri e somiglianze. Della serie (a caso): leggendo questa poesia ho totalizzato tre Caproni, un Gatto e un terzo di Berryman, sintesi indubbiamente interessante, ma che lascia il tempo che trova. Non sto dicendo che è quello che fai tu, non ho elementi per dirlo. Solo una constatazione generale. Riguardo alla lingua: è chiaro che non esiste una lingua solo dell’autore, nemmeno il Sindarin, la lingua elfica era tutta farina del sacco di Tolkien. Ma ci sono testi scritti in poetese e altri in cui l’autore ha digerito i suoi maestri, è cresciuto in una lingua fino ad essere riconoscibile di per sé. Penso che sia abbastanza palese che quando si inizia a scrivere poesia o prosa, oltre alla propria urgenza ci sia il bisogno dell’imitazione dei modelli. Ecco c’è chi resta a quello… Non mi pare il caso di Francesca. Riguardo ad amore e solitudine – non so secondo me non c’è niente di nuovo da dire in generale. Diciamo sempre le stesse cose. Che amare rende soli lo diceva già Rezia ne La signora Dalloway, lo dice l’Anedda in una poesia del suo ultimo libro (lo amerò da sola), lo suggerisce Janet Frame in ogni sua pagina autobiografica o la Arendt nei diari, per citare le prime che mi vengono in mente. E allora non lo diciamo più? La novità è nella scoperta che ne fa l’individuo, nella strada che sceglie, anche – soprattutto -nel linguaggio per arrivare fino a lì. Su quello che accetta o non accetta la “tradizione” sinceramente passo… Mi sembra invece legittimo che una poesia, un’opera, un’esperienza non parli a tutti nello stesso modo, ci mancherebbe.
D’accordo con Matteoni. Scrivendo “niente etichette” comunque mi riferivo al “poetesse neometriche” del secondo commento. Poi il fatto che la Genti sia mia amica non c’entra niente coi commenti alle poesie, caro Ponso. Probabilmente è successo che al mio orecchio un’etichetta suona come una banalizzazione, allora mi sono ribellata.
Mentre digito, compare il nuovo commento di Matteoni, che anch’esso mi trova in consonanza. Buona giornata a tutti.
“leggere una poesia per quello che è”: una poesia è singolarità e pluralità, è innovazione e canone, che lo si voglia oppure no… non si tratta di unire i puntini per vedere quanti autori o meno ci entrano, cosa che mi interessa relativamente. Sono d’accordo che gli apparati critici possono distruggere la poesia, ma solo se sono nudi apparati critici fini a se stessi. Mi pare che la critica sia proprio divisa tra chi non riesce a fare altro che questo, cioè una computazione da ragioniere su influenze, ricorrenze, filologie, ecc. e chi invece si accontenta di snocciolare pareri impressionistici privi (non per ignoranza, intendiamoci, ma per deliberata scelta) di qualsiasi retroterra di confronto. Io credo che una critica degna di tale nome debba immergersi, anche a rischio di rimanerne sepolta (io questo lo sento come un qualcosa di tragico) negli apparati, ma deve avere la forza, per farlo, di bruciarli, di attraversarli senza rimanerne impigliata, “usandoli” senza ridursi ad essi. Un Contini o un Mengaldo, oppure Fortini o, in termini diversi ma non meno alti, un Zanzotto io li vedo ancora come possibili vie per una critica e per una poesia che possa essere ancora qualcosa di più di un cartone animato o di tutto il baillame pop che, con apparente libertà, ci sta soffocando non meno che gli apparati della critica paludata. E penso che valga non solo per il lavoro del critico ma anche per quello del poeta che è, se così si può dire, un critico in atto ad ogni parola, ad ogni verso, poichè ogni verso sceglie ed esclude, dà valutazioni implicite di grande portata… insomma, si muove pur sempre in una comunità, stretto da un munus che è sempre rapporto, non solo con il pubblico dei lettori ma anche con i morti, con chi ha scritto e vissuto prima di lui, insomma con la tradizione, letteraria, personale, famigliare, politica, ecc.
andrea ponso
@ andrea ponso: quando ho scritto questo piccolo poemetto tutto quello che volevo fare era narrare in versi un’esperienza, ma non è stata da parte mia l’operazione algida, combinatoria e studiata che mi contesti.
mi spiego: la metrica non l’ho scelta in un’ottica politica, mi viene abbastanza semplice versificare così e lo faccio senza pensarci troppo.
i contenuti: sono d’accordo con te, non ho certo scoperto l’america dicendo che l’amore è una chimera. ho solo registrato quello che ho esperito lavorando in un call center, le voci delle persone, il loro continuo roteare come criceti in una gabbia.
mi parli di slang: puoi dirmi precisamente in che versi? proprio non lo vedo, ci sono alcune sentenze, cioè una modulata in tante versioni, ma non credo sia slang.
mirare a una poesia che sia capita da tutti? non mi sono mai posta il problema, ma certo i “miei” poeti usano una lingua concreta e vanno verso la luce e la limpidezza: sandro penna, aldo palazzeschi, patrizia cavalli, guido gozzano, giorgio caproni… ti cito i primi che mi passano per la mente…
un caro saluto!
a tutti gli altri: grazie di cuore per in commenti.
è chiaro che non “ci si pone certi problemi” nel momento in cui si scrive, ed è giustissimo e vitale: ma i problemi “si impongono” da sè, è la pratica stessa della scrittura, anche se non ne abbiamo piena consapevolezza (e sarebbe giusto averla, “dopo”, perchè comunque è attiva nel momento in cui scriviamo, come cercavo di dire al commento precedente). Sullo “slang”, mi scuso, forse non è il termine appropriato… volevo solo dire che la tua lingua ha il coraggio e la pretesa di essere in qualche modo, dimmi se mi sbaglio, mimetica nei confronti della realtà di tutti i giorni, e, quindi, anche dei suoi codici e linguaggi… e questo per me è buono, soprattutto all’interno di una tradizione come la nostra, chiusa, immunitaria, eccessivamente letteraria, che ha pochi contatti con il vivente e con tutte le sue declinazioni (incluse quelle post-umane, ecc.). Il fatto è che io penso che questa sia la strada giusta, ma che non basti: mi dici che hai solo voluto registrare una situazione, comune a te e a tanti. Allora io ti chiedo: basta questo? cosa mi dice più di quello che già sento/conosco? la poesia deve essere qualcosa, almeno per me, che ci sorprende, che rompe lo schermo della rappresentazione e del mondo di tutti i giorni, non per rifugiarsi in un iperuranio – qualcosa che supera i fenomeni salvandoli. Facevo più o meno le stesse critiche al libro di Matteo Fantuzzi: e lui mi diceva “vedi, è proprio quello che voglio: che ci si accorga che è tutto qui, che è una disfatta, che non basta”… questo è il risultato, pure apprezzabilissimo, di un documentario, di un documento, niente di più. Non dico che la tua poesia sia la stessa cosa, ma io sento che manca di una spinta che in qualche modo spacchi in due il reale, ce lo mostri in maniera diversa. Sulla chiarezza, il discorso sarebbe molto lungo: i poeti che citi, da Gozzano a Penna fino alla Cavalli, li amo anch’io, ma non scrivono in modo “chiaro e semplice”, non a caso Penna è uno dei poeti più difficili da raggiungere criticamente, mentre tanta scrittura mimetica (passami il termine semplicistico) può essere tranquillamente “messa a tacere”, cioè aperta e sezionata… se è un grande testo, dopo la dissezione, continua a pulsare e a vivere, a dire infinitamente di più di quello che diceva prima, altrimenti è un cadavere, uno dei tanti… su Gozzano, poi, ancora moltissimo si potrebbe dire: non è il poeta del quotidiano e delle piccole cose, è un poeta di una grandezza sconfinata e che, appunto, non sta dentro all’etichetta del “crepuscolare”: “ed io non voglio più essere io”, altro che piccole cose… se conosci le interpolazioni beniane da Gozzano per l’Amleto, capisci di cosa sto parlando.
Per finire, ribadisco che non intendo denigrare il tuo lavoro, ma solo confrontarmi con una esperienza lontana dalla mia, che va verso una giusta direzione ma che ancora, a mio parere, non riesce fino in fondo…
andrea ponso
Andrea, ciao: stai cercando di dire che questa poesia (come quelle affini) non ti convince perche’ non ha alcunche’ di trascendente, ma e’ semplice registrazione del dato? Non e’ un modo nuovo e nemmeno di lunga vita, in poesia: viene meno quando si estingue la comunita’ di riferimento; ma ha generalmente un buon seguito nel momento coevo. E’ probabilmente qualcosa di piu’ vicino alla prosa che alla poesia, seppure prosa messa in versi.
Incipit. Sono una semplice internauta, curiosa.
Svliluppo. Ho letto le poesie della Genti e i post a seguire. Concordo in toto con Andrea Ponso. La sua critica è puntuale, chiara, non solo non è offensiva.
La difesa da parte degli “amici” invece mi è parsa parziale e settaria: lei fa parte del gruppo e non si tocca.
Chiusa. Credevo questo fosse un blog, acuto anzichenò, non un santuario.
A simona solare: tu sei offensiva. non andrea ponso. quale gruppo? quale non toccare? insopportabili deliri. se vuoi dire che non ti piacciono le poesie e argomentare come ha fatto andrea, sei la benevenuta, se no, risparmia le paranoia.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
non voglio creare bagarre, per carità. Nell’ambientino mi chiamavano il monaco, e quindi sono abituato al silenzio e al confronto (anche duro) che avviene tra le pareti dei chiostri monastici!!! di solito non partecipo molto alle discussioni dei blog, proprio per evitare fraintendimenti che, faccia a faccia o comunque attraverso un saggio ben ponderato, molto spesso si evitano. Ma devo riconoscere, e si vede, che non sono bravo con i linguaggi e le modalità dei blog… li ritengo utili se in qualche modo, come la critica che si diceva prima, trascendono se stessi pur senza cancellarsi o rendersi inutili: non è una utopia, credo.
Giuseppe, si, hai abbastanza centrato quello che volevo dire: in un momento in cui la poesia perde la sua specificità (che non vuol dire specialismo e settarismo) penso che una poesia come questa non solo non crei comunità, ma nemmeno “aiuti”, se non chi la scrive. E visto che altrimenti passo per un tropo paludato di chiavica letteraria posso anche spingermi a dire che trovo più forza in un testo dei Baustelle o degli Afterhours (pure loro, pienamente e genialmente pop) che non in un tipo di poesia come questo. Ma è solo un mio parere, non una sentenza…
andrea ponso
@Simona Solare, se si sentisse il bisogno di difendere un testo perché si è amici dell’autore si sarebbe davvero alla frutta o già al dessert e alla tisana digestiva. Mi sembra invece più normale, dato i limiti del mezzo che usiamo, scontrarsi, provocarsi più o meno volontariamente, non capirsi fin da subito, senza nessun desiderio di erigere roccaforti, di offendere o denigrare. Riguardo ad esempio quello che dice Andrea Ponso sulla critica io sono d’accordo. Resto dell’idea della necessità di confrontarsi primariamente da lettori con il testo “nudo”, sentirne l’urgenza e da lì procedere utilizzando gli strumenti a disposizione. Non sono d’accordo invece sul parere riguardo all’efficacia di questo poemetto, e nel dissentire da Ponso o da te o da altri non mi sento di difendere nessun gruppo o men che meno un santuario, la divisa da templare non mi dona.
vedo ora il commento di Andrea: Baustelle: Dark Room, indovina chi l’ha scritta…!!
Voglio dire meglio. Ricollegandomi ad Andrea, approfittando cordialmente della presenza sua, della poetessa e di chi l’ha qui presentata.
Se la lingua si e’ svuotata di forma (e la lingua informe e’ uno dei connotati di questo sito stesso, negli ultimi mesi, a parte tashtego e qualcosa di effeeffe), non e’ “colpa” o “demerito” dei parlanti; e’ che il peso specifico del segno e’ di molto diminuito, assieme alla responsabilita’ -anche sociale- che il segno comportava. A me pare soprattutto che si sia impoverito il vocabolario, quello che una volta si chiamava “lessico”. Il pop e’ l’ estensione formale dello scarno lessico condiviso dalla moltitudine dei comunicanti.
In altri post su questo sito, viene chiamata a correo di questo impoverimento la scuola, piu’ o meno assieme ad un generico sfascio etico/morale/sociale che minerebbe le fondamenta di qualsiasi discorso che non sia un palinsesto. Uno sfascio politico, per tornare a temi noti e riveriti.
Non so… non direi che Genti e Fantuzzi sono i figli versoparlanti di questi tempi impoveriti; cosi’ come non direi che tutto e’ cominciato ad andare a ramengo negli anni 80, mano mano disgregando tradizioni e storia condivisa; in poesia, come detto da altri altrove, il padre volontario e consapevole di questo sfascio sarebbe il tardo Montale. Direi invece che l’impoverimento nel lessico degli scriventi odierni e’ figlio di un impoverimento identitario individuale, o meglio: e’ figlio di una omologazione culturale, di una diminuzione di vitalita’.
Allora, per tornare ai testi di Genti e al discorso critico di Ponso, dovremmo forse capire quanto sia plausibile e auspicabile lo “scarto” significante oggi in letteratura e prima ancora in vita (qualcuno disse: non mi interessa la poesia scritta dagli impiegati); e quanto invece sarebbe auspicabile l’identificazione -restituzione del dato- nel proprio gruppo socioculturale di riferimento, che per la larga maggioranza dei circa trentenni odierni e’ quello di un precariato sociale piu’ o meno arricchito di venature aurifere strettamente individuali e private: chi le amicizie, chi la carriera, chi l’amore.
Preciso a scanso di equivoci, e qui chiudo, che la mia preferenza va a “segni” di scarto molto marcato, sia in vita che in scrittura. E che nell’insieme delle scritture che mi e’ comunque capitato di leggere negli ultimi quindici anni, quella che piu’ mi convince in questo genere rappresentazionale al quale qui leghiamo Genti e’: “cani al guinzaglio nel ventre della balena”, di Simone Molinaroli, librino autostampato nel 1997 per la sua propria Ass Cult Press di Pistoia.
andrea: perfavore, spiega se ne hai voglia, cosa significa una poesia che “crea comunità”, sono contenta comunque che i miei versi creino almeno una discussione :-)
contenta che ti piacciano i baustelle, nell’ultimo disco (amen), ho scritto le parole della canzone “dark room”.
giusco: scegliere un lessico medio, per parlare degli avvenimenti che accadono in una giornata di lavoro in un call center, mi è sembrato naturale, è una scelta, non pensare che non possa scegliere altro, in altri contesti.
non identificare il personaggio del poemetto francesca con la poetessa francesca, c’è uno scarto!
a giusco: “semplice registrazione del dato”.
no.
c’è un lavoro duro e faticoso, puoi criticare la poca felicità della riuscita del testo, certo… ma le sbobinature son un’altra cosa.
io non conosco Francesca Genti, non ne ho mai sentito parlare prima di……due o tre mesi fa, l’ho incrociata per caso sul web, una persona mi ha omaggiato di una ma anche due poesie di Francesca. io non credo ai santi ma credo alle cose che l’uomo conosce sulla propria pelle, attraverso i proprio occhi, il tocco delle mani.
Io non conosco la metrica, non conosco come si costruisce una poesia, non conosco nessuno qua dentro fatto salvo una persona. Io non posso dire di Francesca “poetessa intoccabile” però sono contento se nelle poesie che scrive ci trovo anche un po’ di cose mie ed è per questo che mi piacciono le cose che dice.
io non sono letterato né mi intendo di queste cose e di queste storie e non mi importa molto se questo si vede.
e ciao.
caro Bevitore,
a quando un Sangiovese Superiore?
:-)
Oh Francesca, cara, quale onore……..per me va bene sempre, qualsiasi ora, di giorno e di notte, anche metà pomeriggio all’ombra di un gazebo ma in mezzo a un po’ di verde, sempre.
Ma anche, che ne so, sotto un pioppo, sopra un salice, dentro ad una cava sequoia gigante……….basta che te stai lì a declamare (declamare?????) uno qualsiasi dei tuoi versi.
NB: ricordarsi di portare l’autan.
ecincin
:D
“La poesia deve essere qualcosa, almeno per me, che ci sorprende, che rompe lo schermo della rappresentazione e del mondo di tutti i giorni, non per rifugiarsi in un iperuranio – qualcosa che supera i fenomeni salvandoli”. Andrea Ponso dice, fra l’altro questo: e come non dargli ragione. Ma, sarà forse lecito domandare, può la poesia far questo? Facoltà siffatte sono concesse alla parola, scritta o detta, in questa terra dei viventi?
E’ una domanda, all’ombra di alcune croci (cit., ovvia ma cit.)
a bevitore: possiamo fare nel bosco di Precotto, sono quattro alberi di gelso, qualche panchina, davanti c’è la ferrovia e l’estate regala tramonti psichedelici.
Francesca: ha scritto tu quel pezzo dei Baustelle? Complimenti, davvero! Forse questa è una indicazione importante anche per il nostro discorso: li quella scrittura funziona, secondo me, ma c’è anche una musica, che fa molto, e bene e che il testo incrocia in modo ottimo. In poesia si è più “soli”, è più difficile, è un’altra cosa, ecco…
Sulla “poesia che fa comunità” ci ho scritto una tesi di dottorato (confrontandola con la tradizione italiana che, essenzialmente, è invece immunitaria e omeopatica…), potrei dilungarmi anche troppo… ma più tardi, magari: ora sono stanco… anch’io ho le mie frequentazioni musicali: vengo da una giornata di prove con un ottimo contrabbassista per uno spettacolo che farò con lui domani sera a LugoContemporanea invitato dall’amico John De Leo (se qualcuno abita da quelle parti e non ha niente di meglio da fare può venire a sentire quello che succede…). A dopo, un abbraccio a tutti (comunitario, naturalmente),
andrea ponso
il bosco di Precotto mi dà l’idea di un presepio fatto col prosciutto (cotto).
buonanotte.
A scanso di equivoci, nemmeno io conosco Francesca Genti ma mi sembra che queste poesie funzionino. Piuttosto, qualche volta si tende a fare critica obliqua, ovvero facendo passare, impacchettati nel lessico, dei concetti apparentemente innocui occultando ai doganieri il reale contenuto. Per esempio, se invece di dire “rappresentazione” dico “registrazione del dato” ho fatto una pessima operazione critica, perché ho accorciato il discorso al punto tale che ho occultato il vero oggetto su cui è necessario discutere, scrivendo già un giudizio. Il famoso “giudizio di partenza”.
Se Dio vuole (che ci sia o che, a maggior ragione, non ci sia), la poesia si fa in molti modi e ognuno è libero di scegliere cosa leggere e cosa scrivere (un po’ meno libero di svegliere cosa scrivere).
Io, quando trovo in giro delle poesie della Genti, le leggo più volentieri di tanta altra gente. Quantomeno hanno sempre un buon motivo per incuriosirmi. Forse staranno alla Poesia come la intendono alcuni come il fumetto sta al Romanzo, ma… che male c’è a scrivere poesie-fumetto? E che male c’è a leggerle? A me una volta han detto che una mia poesia era al livello di una canzonetta…. detto fatto: gli ho cambiato il titolo e l’ho intitolata “Canzonetta”. C’è qualcosa di male nelle canzonette? Dobbiamo ancora continuare a far finta che esistano delle graduatorie tra i generi e che questi siano incompatibili gli uni con gli altri?
Domanda a Martino: come mai le poesie della Genti ti sembrano poesie-fumetto?
Martino, non ci sono “graduatorie” e nessuno vuole insegnare agli altri come scrivere oppure no… uno parte e cerca di dire qualcosa di critico, naturalmente dal suo angolo visuale, che è per forza di cose limitato: è una cosa abbastanza dimenticata, soprattutto quando si danno dei giudizi di valore: si chiama(va) critica. La poesia non si riduce alle sue determinazioni, ma in ogni caso vive in esse, pur riconoscendosi nell’altro da sè… per questo uno legge, critica, cerca di dare giudizi. Tutto sta diventando una melassa indigesta, dove tutto dialoga con tutto senza un briciolo di tensione, senza un minimo di singolarità (non da difendere ma da mettere alla prova dei fatti con altre singolarità)… la critica muore anche per questo e con essa, credo, anche la poesia. Poesia-fumetto? mi va benissimo, poesia pop o aleatoria alla Ashbery? è uno dei miei autori preferiti, anche se è lontanissimo dalle mie corde. A questo punto spiegaci tu cos’è questa poesia-fumetto o poesia-canzonetta… e ne potremo parlare senza per questo essere considerati dei legislatori: ognuno che abbia la voglia (non dico il coraggio, perchè sarebbe troppo) di dire cose contrarie ad un testo viene subito messo a tacere perchè visto come rappresentante di una qualche saccenza legislativa… e così l’eccesso di dialogo e di pacche sulle spalle diventa davvero un non-dialogo… tutto va bene, tutto può essere scritto o detto (e su questo siamo d’accordo) ma in un modo che fa dei testi, anche di testi che potrebbero avere una intrinseca forza deflagrante e che comunque si muouvono nella direzione giusta (come quelli della Genti, e lo scrissi più sopra), vengono disattivati, resi innocui, proprio perchè accettati (o rifiutati) acriticamente… buon post-postmoderno a tutti: è il paradiso-inferno in cui tutti siamo immersi… ognuno cerca di fare i conti come può, e chi si esalta nell’esaltarlo in realtà, sempre a mio modesto parere, non lo affronta affatto…
andrea ponso
In matematica, la frontiera di un insieme, in analogia con il significato comune del termine, è l’insieme dei punti di frontiera dell’insieme stesso, vale a dire dei punti che in un loro intorno comunque piccolo, contengono un numero infinito di punti dell’insieme complemento. Sono in effetti punti di accumulazione dell’insieme complemento, ma non necessariamente dell’insieme cui appartengono
Francesca presenta alcune immagini che si scolpiscono nella mente una poesia che ispira poesia frontiere a noi vicine ma mai attraversate dai saccenti critici che si sono affrettati ad imbonirci con le loro regolette prestampate del tipo:
il poema didascalico
il poema allegorico
l’epistola
la satira
l’epigramma
la favola
epicedio
Ballata
Cinquina
Sestina
un sempliciotto elenco da lontanissime corde(a proposito fa tanto amici della de filippi )
meglio smettere di ponsare ed elogiare la bravissima francesca che mette il cuore in parole stanche
c.
CARMINE, I LOVE YOU.
francesca,me too
scusi se sono indiscreta, mister ponso, ma è dalle 20.58 del 22 c.m. che una question mi assilla ronzando insistentemente in my head: cosa ci fa in un posto del genere?
mi son fatta l’idea che lei sia un seminatore. di perle?
mi perdoni, sa, e non si preoccupi di rispondere – tanto never come in questo caso, the silence is still the best answer…
and best wishes so
va bene, ho capito: smetto di ponsare. e alla prossima edizione vado con Busi dalla De Filippi a seminare porci tra le perle.
Almeno Busi è un grande scrittore, forse il più grande in italia (senza ironia).
Cosa ci facevo qui? non lo so… passavo… scusatemi tutti,
evidentemente è vero, alla fine, che mi ero intrufolato in una festa senza l’invito (non per colpa della Genti o di altri che hanno cercato di discutere: io sono proprio vecchio, decrepito, e per me è finita…).
p.s.: chi ha scritto delle divertenti e decrepite “leggi sempliciotte dei saccenti critici” mi mostri che riesce a sfondarle con gli arnesi giusti ed io sarò soddisfatto… altrimenti, visto che sono d’altri tempi, lo sfido a duello!
andrea ponso
caro andrea,
sarebbe bello continuare la discussione di persona, chissà magari prima o poi succederà.
difficile intendersi e anche scontrarsi ben bene nella virtualità (almeno per me!).
a te, se ti interessa scrivermi e a tutti gli altri lascio la mia mail:
f.genti@email.it
un saluto e non prendertela
francesca
se non basta, all’armi!
nell’arca (gente sul ponte 1986) W.S.
Do arki ( ludzie na moscie 1986)
comincia a cadere una pioggia incessante.
nell’arca, e dove mai potreste andare:
voi,poesie per una sola voce,
slanci privati,
talenti non indispensabili,
curiosità superflua,
afflizioni e paure di modesta portata,
e tu, voglia di guardare le cose da sei lati.
i fiumi si ingrossano e straripano.
nell’arca: voi,chiaroscuri e semitoni,
capricci ornamenti e dettagli
stupide eccezioni segni dimenticati
innumerevoli varianti del grigio
il gioco per il gioco
e tu, lacrima del riso
a perdita d’occhio, acqua e l’orizzonte nella nebbia.
nell’arca ancora : piani per il lontano futuro
gioia per le differenze ammirazione per i migliori
scelta non limitata a uno dei due
scrupoli antiquati tempo per riflettere
per riguardo ai bambini che continuiamo ad essere
le favole sono a lieto fine
anche qui non c’è altro finale che si addica.
smetterà di piover
caleranno le onde
nel cielo rischiarato si apriranno le nuvole
e saranno di nuovo
come sia addiceva alle nuvole sugli esseri
alte e leggere nel loro somigliare
a isole felici pecorelle cavolfiori
e pannolini
– che si asciugano al sole.
carmine vitale
doarki@libero.it
… Carmine, così è già meglio! rispondere alla poesia con la poesia? volevi dire questo? oppure che io faccio parte di tutte quelle cose “inutili” che nell’arca si portano in salvo, come la stessa poesia? ci siamo tutti in quell’arca: ogni specie, ogni forma, ogni bassezza e ogni splendore e miseria umana o divina. Per me la poesia è accettare la propria finitezza senza eliderla, mantenendola nella differenza: è quindi accettare anche la critica, l’intellettualismo, ecc. perchè anche quello fa parte della nostra finitezza – senza però approfittarne, mai, neanche quando fuori c’è un diluvio universale, c’è la morte (e c’è sempre). Staccare la nuda vita dalle sue forme-di-vita (per citare una lunga tradizione che mi sta a cuore, da Benjamin ad Agamben) è l’errore del nostro tempo, ma in realtà parte da dopo Dante nella nostra tradizione: da li in avanti lo scollamento è stato sempre presente, con poche, troppo poche eccezioni. Questo è oggi non solo un problema letterario ma anche e soprattutto un problema politico: e solo in questo senso, in questo tentativo di reintegrare nuda vita e forme-di-vita io credo che la poesia e l’estetica possa in qualche modo davvero dirsi politica, oltre l’ideologia dell’impegno semplicisticamente inteso. Ma forse, ancora una volta, mi sono messo a fare le citazioni, a indicare in altri quella pratica che dovrebbe essere mia e di tutti… uscire da questo e praticare veramente questi che sono solo pensieri sarebbe moltissimo, e non per salvarci dal diluvio, ma per accettarlo veramente. Del resto, anche tu mi hai risposto con un proiettile bellissimo di citazione,
andrea ponso
……….seminare porci tra le perle della de filippi: questa è fantastica!…
:D
buon lunedì: appunto che già con oggi io mi farei un suicidio di parole…..magari penso ad una strategia………….”suicidio di parole” suona forte e poco ironico e poco dignitoso per le parole e per la vita in generale…
va bene, chiedo scusa, la smetto di ravanare ché altrimenti le energie si sprecano e oggi, appunto, è lunedì e di energie ne servono tante, tante, tante……..
adieu
essendo per formazione formalista jakobsoniano ritengo (sarà ristrettezza di vedute ma che che ci vuolete fare chist’è) che l’arte in generale e la poesia in particolare si caratterizzi per lo scarto che riesce a imprimere rispetto all’orizzonte d’attesa dell’estetica dominante. se riesce ad essere originale insomma. autenticità, onestà, necessarietà, mi sembrano valori tendenzialmente ipocriti e criticamente indimostrabili. in 54 interventi nessuno ha fatto il nome di aldo nove. eppure mi sembra che la sua presenza da convitato di pietra aleggi come un macigno sulla poesia (carina beninteso) della genti . ma laddove nell’originale la forbice stilistica, capace di far convivere altezze e bassezze come pochi, crea un cortocircuito semantico e cognitivo in grado di illuminare tragicamente (altra rarità nella poesia italiana ultima) il senso del nostro stare al mondo, questa qui rimane in stallo in un nuovo tono medio post apocalittico, senza mettersi (e metterci) in crisi. è poesia rinunciataria, con scarso interesse per le dinamiche rivelatorie del linguaggio, perfettamente bilanciata e in definitiva inutile. vada per la musica ma c’è davvero bisogno di poesia per ascensori ?
Ma come si fa a dire “POESIA CARINA”? Gesus…
eta beota, se mangi come parli stai a posto…………io non ho capito niente.
con permesso, l’insalata si appassisce nel campo, con questo caldo…..
caro eta beota,
in effetti anche io mi ero stupita (favorevolmente) che in 54 commenti nessun beota avesse citato aldo nove, e ora arrivi tutto, con l’intervento in critichese stretto, yyyaaaawwwnn, vado in piscina a scrivere una poesia sul muro degli spogliatoi.
comunque le hai usate tutte:
cortocircuito semantico
attesa estetica
dinamica rivelatoria del linguaggio
ti prego scrivi un altro post e infilaci “grado zero della lingua” che te lo sei scordato.
caro Beota,
ti sei evidentemente ‘seduto’ sopra la (degnissima) formazione formalista, e lo stampino t’ha ‘squadrato’ la testa… Lello Nove è tra i migliori, ma non c’è bisogno di scivolare in paragoni di dubbio gusto… ricordo che a Urbino, a un convegno tenutosi all’indomani della morte di Paolo Volponi ( a proposito, caro Andrea Ponso, lui sì un grande, altro che certi librivendoli alla frutta dopo il primo o secondo libro), Peter Cammerer, docente di Sociologia, si affannava a dimostrare la validità del paesaggio umile di Volponi sminuendo quello letterario e borghese di Pasolini… nulla di più sbagliato: essendo il primo di origini tutt’altro che popolari, e il secondo essendo di umili origini…le questioni erano evidentemente altre, e pessimo l’uso improprio del paragone per esaltare il primo a svantaggio del secondo.
Cara Francesca Genti, ti faccio i miei complimenti, molto è stato giustamente detto. Ti chiedo, se puoi, di segnalare qualche tuo titolo,un caro saluto.
peter cammerer tiene seminari e seminari su cose obsolete e mangia e beve e canta canti popolari qui nella bassa insieme ad altre persone che sembrano usciti tutti da un film tipo albero degli zoccoli solo che nel film le cose che si facevano e le persone e come vivevano, avevano un senso……adesso proprio no. cioè, perdio, perché non provano a vivere nel modo che tanto portano ad esempio? cioè tipo zappare, arare con le nude mani, oppure raccogliere a mano l’insalata, usare le fatiche di una volta e il cesso fuori………….
non c’entra niente ma mi era balzato all’occhio il nome (e chiedo venia)
Manuel Cohen: sono d’accordo che Volponi è un grande, io infatti citavo Busi tra i viventi, e sono anche d’accordo che alcuni suoi libri non siano al livello dei primi… ma tu fammi un nome tra i nostri scrittorini vivi e vegeti in questo momento e poi vediamo dove si va a finire, almeno in Italia… tra le altre cose a me sembra che un libro recente di Busi come “E io che ho le rose fiorite anche d’inverno” sia ottimo e per niente datato…
andrea ponso
daccordo sono stato un po’ stronso ma vi sembrava il caso di scomodare pagliarani ? “poesia carina” è la formuletta più breve che mi è venuta in mente per definire questa che mi sembrava e sembra “poesia carina” (e nulla più). Ribadisco le mie osservazioni sugli evidenti debiti noviani (Rino da Treviso/è del 39) ma depotenziati, e bucowskiani (l’amore è un cane venuto dall’inferno) depotenziati pure quelli. Risultato: una poesia depotenziata. Consolatoria e d’evasione aggiungo. Viva Volponi comunque e, tra gli italiani viventi, vorrei spezzare una lancia in favore di un autore poco conosciuto dai giovani ma fondamentale : Gianni Celati . Gli ultimi 2 volumetti dei “costumi degli italiani” sono imperdibili.
eta beota,
tu scrivi in critichese usando pure un nick name, cosa c’è di più depotente?
perché non ci dici come ti chiami o giustamente ti vergogni a dire tali banalità usando il tuo nome di battesimo?
si può dire che anche la poesia più apparentemente privata chiama in vita una parte della coscienza collettiva, allude al valore non individuale del linguaggio, produce un senso. Tutte le forme del codice poetico, non solo le forme liriche, sono state all’origine forme di comunicazione: poi la storia della cultura le ha trasformate, le ha redistribuite e una parte di quelle forme di comunicazione sono state messe da parte, sono divenute il modo poetico di comunicare.
la Genti è una poetessa!!! con la P maiuscolissima!
a eta beota consiglio invece il manuale delle giovani marmotte ….
c.
Condivido le perplessità (per usare un eufemismo) di andrea ponso. Queste son furbette, però un po’ meglio di quelle dello scorso anno, perchè hanno la metrica (?)
“è l’amore la bestia più calda” (…) “una verità transgenerazionale”. Sublime! Sembra un verso di Elio e le storie tese, soltanto che l’umorismo qui è involontario. Con affetto bestiale. leonida alias f