Dimmi che non vuoi morire
Massimo Carlotto, Igort, DIMMI CHE NON VUOI MORIRE, 2007, Mondadori
La strana coppia stavolta è composta da due pesi massimi. Massimo Carlotto e Igort sono, nel rispettivo genere, autori di culto: un libro frutto della loro collaborazione – uno ovviamente ai testi, l’altro ovviamente ai disegni, anche se i ruoli non sembrano essere compartimenti stagni – rappresenta un piccolo evento.
Dimmi che non vuoi morire rappresenta un’operazione certamente più rischiosa per lo scrittore padovano, che non per il cartoonist cagliaritano. Per la prima volta infatti, i personaggi che lo hanno reso famoso – il trio di improvvisati investigatori privati composto da Marco Buratti detto “L’alligatore”, Max La Memoria e Beniamino Rossini – acquistano un volto definito: nel corso di cinque romanzi, l’Alligatore non era mai stato descritto, e questo gratificante compito era stato lasciato esclusivamente in mano al lettore. Dunque, a Carlotto va il merito di aver avuto fiducia in Igort; a quest’ultimo, quello di non averla tradita.
Il disegno schizzato a matita con tratteggi sottili e le tavole in bicromia blu e grigia sono straordinariamente adatti all’atmosfera – più crepuscolare che notturna – delle avventure dell’Alligatore. Si dice che alcuni film in bianco e nero (inevitabile pensare all’ Antonioni degli anni Cinquanta) abbiano una ricchezza cromatica maggiore di qualsiasi technicolor; allo stesso modo, si può dire che questa bicromia virata in blu riesce a raccontare in modo straordinario tutti i colori di Cagliari, di Parigi, del veneto: i luoghi della narrazione prendono vita sulla tavola, si uniscono di fronte agli occhi del lettore in uno scenario di grande compattezza, pur se ognuno mantiene ben precisa la propria identità.
Sardegna e Francia sono terreno comune per gli autori: Igort è nato sull’isola e ora vive in continente, oltre le alpi; Carlotto ha compiuto il percorso inverso, lasciando la terra francese che lo aveva adottato per stabilirsi in Sardegna. Dunque, in fondo non stupisce che questi luoghi siano così accuratamente rappresentati, così vissuti, protagonisti del racconto tanto quanto l’Alligatore e i suoi compagni di avventure.
Già, il racconto. Ruota intorno a una donna fatale, psicopatica; una cantante che cerca di annullare il suo aspetto fisico, per farlo aderire completamente all’ideale rappresentato dalle sue artiste preferite, Patty Pravo prima e Anna Oxa poi. Un personaggio affascinante, disperato e ironico, capace di fare da centro di gravità di questa piccola storia ignobile popolata di criminali di basso profilo e loser di ogni sorta, protagonista compreso. “Portami al mare, fammi sognare…”, cantava la Pravo nella canzone che dà il titolo al libro (scritta non da lei, ma da Vasco: altra strana coppia); in Dimmi che non vuoi morire c’è poco spazio per i sogni, sempre infranti dalla violenza che domina sulla vita dell’uomo.
Il libro si legge d’un fiato: inevitabile soffermarsi sulle pagine del “making of” in fondo al libro, dopo aver terminato la lettura. Contenuti speciali, come e meglio che in un dvd.
La soddisfazione degli autori per la buona riuscita dell’esperimento è tale che si ipotizza perfino di continuare a raccontare le avventure dell’Alligatore esclusivamente a fumetti, abbandonando per sempre la dimensione del romanzo tradizionale. Per ora è solo un ipotesi, certo. Eppure, non si può evitare di rilevare che si tratterebbe di in caso di spostamento da un medium all’altro neppure immaginabile fino a pochi anni fa: dalla nobiltà della letteratura alla miseria del fumetto, un passaggio davvero improponibile! Ecco dunque un altro segno. I tempi (fortunatamente) stanno cambiando.
[precedentemente pubblicato su Linus, settembre 2007]
L’alligatore coi contenuti speciali, meglio e peggio d’un dvd. Questa sì che è tutta da ridere.
Avvicinarsi ai cartoon in Italia, coi tempi di magra che tirano, è da ammirare. Naturalmente sono passati entrambi per la Francia, altrimenti il progetto non avrebbe mai visto la luce.
Naturalmente sono passati entrambi dalla Sardegna, altrimenti il progetto non avrebbe mai visto la luce.