Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato 6
[18 immagini + lettere invernali per l’estate; 1, 2,
3,4,5…]
di Andrea Inglese
Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato,
vorrei fosse venuto il momento
di ricordarti che sono con evidenza destinato alla morte,
di questo fatto, e di come te lo dico, io ho un chiaro ricordo,
basta un piccolo sforzo, perché io riporti alla mente
– come un evento accaduto di recente –
che la morte mi è destinata,
è una certezza, come giunta da una remota
dimostrazione, anonima, mormorata,
che anche tu possiedi, e che non consideriamo – io credo –
con sufficiente attenzione,
non destinato, dunque,
all’amore, se io ben ricordo
(della morte il ricordo è buono, dell’amore
molto meno)
e assieme potremmo facilmente
appurare, io nel mio ricordo, tu nel tuo,
come passeggiando per lo stesso padiglione
d’ospedale, con quella serenità
dei convalescenti,
potremmo alla fine ben ricordarlo
il fatto che di certo io
sono destinato alla morte, e non all’amore,
perché non ci sono – nella mia mente –
certezze sull’amore, sul fatto di essere
nel destino d’amore,
perché già l’idea stessa
– o la sua veste verbale –
appare qualcosa di poco chiaro,
di estensione così vaga, e franante
a ogni margine, e d’applicazione incerta
mentre la certezza dentro il destino mio
della morte, e mio perché di qualsiasi altro,
la morte che mi è certamente destinata,
su ciò io stesso, ricordandomi con chiarezza,
non posso sollevare obiezioni, sull’amore
invece
così poca memoria e solo allusioni
imprecise che anche
capire quale destino sia l’amore diviene
nebuloso, non ci sono madri e padri
a rivelarlo in nessun passato o balie
o forme di carezze, ma grandi immagini
colorate in movimento, immagini che cascano
ripetendo sempre più insane, rauche
“amore!” “amore!”, tutta la parola,
la frase fin dall’inizio,
dalla prima approssimativa formulazione,
così incerta, oscura, davvero impossibile
credervi, per il mio, almeno,
d’amore, destino.
“…. capire quale destino sia l’amore diviene
nebuloso, non ci sono madri e padri
a rivelarlo in nessun passato o balie
o forme di carezze, ma grandi immagini
colorate in movimento, immagini che cascano
ripetendo sempre più insane, rauche
“amore!” “amore!”, tutta la parola,
la frase fin dall’inizio,
dalla prima approssimativa formulazione,
così incerta, oscura, davvero impossibile
credervi, per il mio, almeno,
d’amore, destino.”
ogni commento risulterebbe banale.
basta leggere e rileggere per sentirne l’urlo soffocato, quasi un appello alla morte come fine, come unica fonte di liberazione.
la fine del sogno per colui che di sogno si nutre: il poeta.
ma non sono avvezza a sviscerare i contenuti poetici di ciò che leggo, essi sono intimi passi dello scrittore e, metabolizzati, fanno risuonare l’intima esperienza del lettore, come grancassa interiore e frastornante. Preferisco fermarmi ad un giudizio tecnico-espressivo, che trovo fluido, ansioso, angosciantemente verso nello scorrere del verso.
molto, molto, molto bello questo testo.
Natàlia
*errata corrige:
Preferisco fermarmi ad un giudizio tecnico-espressivo e dire che trovo fluido, ansioso, angosciantemente vero lo scorrere del verso.
sorry…. N.
Bellissima poesia sullo scoglio dell’amore.
I versi segnano il destino di morte, come onda alla riva.
I versi sanguinano.
Questa voce tocca perché il destino umano è lo stesso.
Pocca felicità nell’amore.
bellissima
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