Corpo @ Corpo – incazzarsi on line
dedicato all’animoso Franz
Galleria dell’Ira. Léon Benouville [La colère d’Achille]
A Galassia Gutenberg, qualche tempo fa, ho incrociato una vecchia conoscenza che da uno stand poco distante dal mio, a voce sufficientemente alta, mi ha detto: “ma perché mi odi?”. Non gli ho risposto allora. Ora so che il mio silenzio era dettato dalla non verità della sua affermazione. In realtà la vecchia conoscenza mi stava solo sul cazzo, per meglio dire, antipatico.
Così com’è assolutamente legittimo che io possa stare sul cazzo a qualcuno ( on ne peut plaire à tout le monde, recita l’adagio francese) altrettanto umano mi pare che la cosa accada anche a me. Ecco allora che mi sono interrogato in questi giorni sul modo in cui con un passaggio all’atto che si riduce in una traduzione dei sentimenti in parole, in rete accade assai sovente che ci si insulti.
Nella maggior parte dei casi non si insulta un testo- avete mai provato a dire pirla a una poesia?- ma la persona, ecco perché quando si invoca la netiquette che bandirebbe l’attacco quando è attacco alla persona, in verità si dice una gran cazzata, perché un attacco è sempre e comunque alla persona. Un testo non si attacca, tutt’al più si giudica, si critica.
Il problema, perché c’è un problema, non è tanto di sapere come si produca un’antipatia, per quanto sia ben più interessante del capire come e perché si è simpatici, quanto la questione, a parer mio cruciale, di determinare come e perché “quello stare sul cazzo” si tramuti in un “fare il culo”, ovvero in un sentimento di vero e proprio odio che sfiora il patologico dopo essersi travestito, il più delle volte di paillettes e patetico decoro.
Perché non è affatto vero che le parole fanno meno male dei fatti (siete mai stati innamorati?) e se da una parte sono convinto che se i contendenti in rete, dagli attacchi verbali, personali, passassero alle mani si risolverebbero molte cose, dall’altra mi auguro che ciò non accada e che comunque sia, valga la pena cercare di capire il perché. Perché, per esempio, queste cose accadono tanto spesso in rete.
Manca l’analisi w l’elmetto
Ovvero annerchiati quando si scrive sui blog.
La questione dello stile, in rete, suscita interrogativi che il più delle volte vengono ignorati o banalizzati con la riduzione a un regolamento di conti personale. In altri termini accade in rete che senza neppure sincerarsi della validità di una tesi o di una ricerca, si cerchi l’autore come certi difensori puntano alle gambe del centravanti indipendentemente dal gioco che si sta producendo, dal pericolo che si corre. Un esempio che mi viene in mente riguarda il tentativo compiuto da Roberto Bui di fondare una corrente di pensiero narrativo, noto ai più come New Italian Epic. Ebbene al di là della “fondatezza” di certe riflessioni condivisibili o meno (io ad esempio non ne condivido l’impostazione, la meccanica, ma su questo ci ritornerò) non c’è stato un vero dibattito sulla cosa, in rete, corrispondente in energia al numero di frecciate, cannonate, insulti più o meno benevoli e spallucce nel migliore dei casi da parte di chi al solo sentire Wu esplode in stizza e in rabbia come un leghista alla parola N A P O L I.
Vero è che spesso le incazzature in rete vedono come protagonisti persone nella vita molto meno livide e livorose di quando non si presagisca dal tono usato. Allora perché ci si incazza tra bloggers? Esiste una cartografia delle incazzature, ovvero una genealogia degli scazzi? Qualche tempo fa riallacciando un po’ i rapporti con Antonio Pascale, compagno di adolescenza casertana, ebbe a dire a tal proposito cosa assai carina. “ma lo sai che non mi ricordo nemmeno più il motivo per cui non ci rivolgemmo più la parola?”. Perché certe cose si dimenticano oppure il tempo ce le fa dimenticare fino a quando, nel nuovo ciclo di frequentazione si verifica di nuovo il distacco, non si presenta se non la stessa ragione, qualcosa di simile.
E’ altresì vero che certi scritti gli insulti se “li chiamano”, agiscono come detonatori. In particolare quelli in cui si prende posizione su dossier caldi, su temi che non solo non fanno l’ unanimità ma che addirittura riorientano gli sguardi, rompono legami, scavano abissi tra persone fino ad allora solidali.
Se per esempio mi svegliassi un giorno con il desiderio di pubblicare un post con mille commenti basterebbero poche parole chiave. Holden, Baricco, Moccia, (polemica socialdemocratica) Gomorra, Cesare Battisti, Toni Negri (polemica radicale) Dio, il papa, Eutanasia (polemica metafisica). Fascismo e antifascismo…
Eppure il lettore lo sa che se scrivo un pamphlet necessariamente incorrerò in una prosa violenta, altrimenti si troverebbe di fronte a un saggio, a un articolo o se poi in uno scritto prevale un “tono”, un colore più malinconico, molto probabilmente sente che la cosa era stata dettata dalla sua natura più diaristica.
Sulla questione dello stile poi si accendono gli animi come benzina alla prima scintilla. Dall’attacco “ortografico” a quello “stilistico” più definitivo e indimostrabile. Le cose sono tanto importanti quanto le parole usate, la frase, lo stile, per raccontarle, su questo non ci piove, o almeno non dovrebbe visto che mi sembra che accada piuttosto il contrario in Italia, in cui la standardizzazione della lingua e il suo impoverimento hanno favorito una letteratura “media” scossa dalla sindrome del temino in classe o peggio ancora dalla ideologia dello “scritto bene” propugnato dalle nuove scuole coraniche disseminate su tutto il territorio e dissimulate sotto l’insegna: atelier di scrittura?
Ho sempre creduto che quando una persona ti parla di un film esordendo con “c’era una bella fotografia” nell’ottanta per cento dei casi significa che il film non gli è piaciuto. E allora ditemi, come cazzo è possibile che nelle pagine culturali si leggano ancora recensioni popolate da “è scritto bene” o “è scritto male”! Tanto vale che sedicenti critici ci dicano che il tale libro è scritto. Punto.
A me piacciono le scritture sporche, per esempio, le parole malate, insofferenti, impazienti, gli accostamenti selvaggi, come colori e vocali, il riso della scrittura, il graffio della parola . La parola anacoluto non provoca in me nessun eczema. Eppure non ho mai pensato di fare un autodafè di tutto il resto e mi spingo anche oltre dicendo che se un risultato è stato ottenuto dai blog, va cercato sicuramente nell’esercizio della disciplina, sia come scrittori che come lettori, e tra le cose che essa ci insegna c’è una maggiore abitudine alla diversità degli stili.
Posso allora incazzarmi, quello sì, se in epoca di dominazione del pensiero unico come la nostra, il monopolio dell’informazione e dell’editoria cerca di fare quadrato, imporre una regola. Penso che mi devo adoperare in tutti i modi per rompere quel quadrato, indovinare gli interstizi nel muro, fare breccia. E lo devo fare necessariamente attraverso un sentimento come compagno Baruch Spinoza chiamandola animosità scriveva:
Considerando dunque che il lume naturale è tenuto in dispregio e anzi da molti persino condannato come fonte di empietà, che le suggestioni umane son ritenute insegnamenti divini e che la credulità è presa per fede, che nella Chiesa e nello Stato si sollevano con appassionata animosità le controversie dei filosofi; accorgendomi che questo costume genera ferocissime ostilità e dissidi, dai quali facilmente gli uomini sono portati alla sedizione, nonché molti altri mali che qui sarebbe troppo lungo enumerare, ho fermamente deciso di sottoporre la Scrittura ad un nuovo libero e spassionato esame e di non fare nessuna affermazione e di non accettare come suo insegnamento nulla di cui non potessi avere dal testo una prova piú che evidente.
(B. Spinoza, Etica e Trattato teologico-politico, UTET, Torino, 1988, pagg. 392-393)
Come trasformare l’ira in animosità, fermezza d’animo e temperanza? That’s the question.
Comunque sia tu mi stai sul cazzo!
E già.
Fermo restando che i due contendenti non abbiano nulla da rimproverarsi in termini di ingiustizie subite – lui non gli ha mai restituito dei soldi, è andato a letto con la sua ragazza, ha approfittato di lui, com’è che ci si aggredisce “come se”, che cosa determina un tale odio? Perché capita che basta mettere il proprio nome e cognome su un post che tre secondi dopo (li ho contati) qualcuno intervenga dicendo sotto nick nome che sei un pirla?
A tale proposito si sente spesso tirata in causa l’invidia, e, diciamo la verità, il più delle volte in modo inappropriato. Un attento esame di coscienza e un’analisi in buona fede ti deve per forza di cose portarti a pensare che la tua situazione non può generare invidia, “io non ti invidio” mi dicono i miei più cari amici, infatti, aggiungendo “in questo momento”.
E allora per rispondere a queste domande provocate in parte da un bruttissimo episodio che mi è capitato recentemente, ho deciso uno , che se c’era un problema riguardava me e non la persona che mi stava sul cazzo ( sentimento ricambiato alla grande) e due, che valeva la pena interrogare i maestri. Di qui il ricorso a due “testimonianze ecellenti”. Una poesia di Pasolini di cui si tralascia spesso il suo verso più importante:l’essere odiati fa odiare, e l’altra, un estratto dell’Ethica di Spinoza. Si tratta del terzo libro, quello dedicato al sentire e al sapere.
E’ un libro che in questi giorni mi porto appresso come una Bibbia il cattolico. Mi aiuta a capire. Spero possa servire anche a voi.
effeffe
l Pci ai giovani!!
di
Pier Paolo Pasolini
È triste. La polemica contro
il PCI andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, figli.
E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati…
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio
delle Università) il culo. Io no, amici.
Avete facce di figli di papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
e lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in una esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, amici.
[…]
ETICA DIMOSTRATA ALLA MANIERA GEOMETRICA
III libro
di
Baruch Spinoza
Prop. 40.
Chi immagina d’essere odiato da qualcuno, e ritiene di non avergliene dato alcun motivo, l’odierà di rimando.
Dimostrazione: Chi immagina che un suo simile qualsiasi provi un sentimento d’odio proverà anch’egli, per ciò stesso, il medesimo sentimento, cioè una Tristezza accompagnata dall’idea di una causa esterna. Ma il soggetto (per l’Ipotesi) non immagina alcuna causa di tale Tristezza all’infuori di colui che l’ha in odio: e, dunque, proprio per l’immaginarsi odiato da qualcuno il soggetto proverà una Tristezza accompagnata dall’idea di colui che l’ha in odio, ossia odierà quel qualcuno. (P. III, Chiarim. d. Prop. 13; Prop. 27).
Chiarimento: Se invece il soggetto in parola immagina d’aver dato ad altri una giusta causa d’Odio, allora (Prop. 30 qui sopra, e suo Chiarim.) proverà Vergogna. Ma questo (Prop. 25 di questa Parte) accade di rado. Piuttosto, la reciprocità d’Odio sopra considerata può anche verificarsi in seguito al sorgere di un Odio “di ritorno” come reazione al tentativo di far del male a colui che uno ha in odio (v. la Prop. preced.). Chi pertanto immagina d’essere odiato da qualcuno immaginerà costui come causa di male, ossia di Tristezza; e quindi proverà una Tristezza (o un Timore), accompagnata come causa dall’idea di colui che l’ha in odio: cioè proverà a sua volta un sentimento d’Odio, come sopra.
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Ciao maestro,
tu scrivi:
“…non c’è stato un vero dibattito sulla cosa, in rete, corrispondente in energia al numero di frecciate, cannonate, insulti più o meno benevoli e spallucce nel migliore dei casi da parte di chi al solo sentire Wu esplode in stizza…”
E il mio commento è…
– WU!!!!
Provo a migliorare la tua frase:
“…da parte dei detrattori non c’è stato un vero dibattito sulla cosa, in rete, corrispondente in energia al numero di frecciate, cannonate etc.”
…perché da parte di chi non è interessato all’identità di “detrattore”, non è interessato a definirsi in opposizione a qualcun altro e si sente libero di confrontarsi con quella proposta in progress, correggerla, integrarla, casomai rovesciarla ma argomentando, il dibattito c’è e si vede e si sente.
A saltare all’occhio è l’assenza di reazioni negative non isteriche. Quindi ben venga questo tuo post.
Dixi, ora mi congedo con un’ultima parola:
– WU!!!
Gli scazzi webbici (che spesso mi procuro) hanno a che fare, secondo me, con la modalità comunicativa propria del mezzo rete.
È stato già detto molte volte.
La parola in rete si produce allo stato, per così dire, puro.
Cioè senza mediazioni di voce, espressione, intonazione, senza troppa elaborazione di testo, senza troppe premesse o distinzioni, eccetera.
In rete si produce una particolare forma di parola scritta che non coincide del tutto con quella che si trova sui giornali e sui libri: è parola quantica, con poca struttura e quando c’è è di tipo dichiarativo, cioè non è parola d’argomento, né, di solito di narrazione.
Quindi non possiede imbottiture, quindi ferisce più facilmente.
Tanto è vero che molti usano gli emoticon, che servono proprio a smorzare la forza offensiva della parola bruta.
E però la parola in queste condizioni è anche bella, molto più bella che altrove.
Dico spesso che l’unico luogo dove dico quello che penso (essendomi altrove implicitamente vietato dalle circostanze) è il web.
Quasi mai dico “tutto” ma quello che scrivo di solito lo penso, anche se non è “tutto quello che penso”.
Quindi se nel real-mondo la parola si giova di ammortizzatori relazionali, nel web-mondo, emoticon a parte, è quasi nuda, e fa male.
(Io non odio Franz, però. Anzi.)
Hai messo troppa carne al fuoco, Effeffe, io, partendo da Pasolini sono andata e vedermi i verbali dei discorsi parlamentari del’61, pensa un po’.
Ma ve li risparmio. benché interessanti.
Con troppa carne al fuoco vien fuori una gran bella festa, l’importante è che ci sia anche del buno vino – cote du rhone di botte scura magari – che io e fratello francesco non ci facciamo com’è noto mancare.
Comunque, fratello, il tuo “avete mai provato a dire pirla a una poesia?” è un abile ma evidente paralogismo. Perchè altro è l’insulto (che è sempre e solo ad personam), altro appunto è il giudizio (che è su un ente qualsivoglia). Posto dunque che il termine medio del tuo ragionamento confonde i due significati, ecco che ne risulta che giudicare l’azione (o la parola) non equivale a giudicare la persona. E continuo dunque vieppiù a credere che tenendo distinti i due piani ci si farebbe solo del bene (il “si” è tanto soggettivo, impersonale e reciproco). Che pirla che sei! ;-)
OT: ho messo la nostra Comunarda live con Daniele Sepe su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=nEpaclkGRc8
adesso vedrai che sui muri di padova si dirà
“comunarda è una zoccola” :-)
effeffe
ps
@alcor
c’è tanta carne è vero ma il fuoco non manca e con questa rubrichetta corpo @ corpo mi piacerebbe portare a fondo un assalto alle idee reçues, in rete. All’argentina, un assado general dove di buono c’è solo la carne (astenersi vegetariani)
@ Tash
sono ancora sotto lo shock della tua confessione (di quasi amore/odio)
aggiungerei che l’odio è spesso amor curvus ed è comunque una “tristezza”, cioè il peggior peccato secondo Baruch che avendo scontato sulla pelle l’anatema rabbinico a 23 anni aveva come motto – appunto – “caute”, Viola
@ Roberto
cercherò di risponderti nei prossimi giorni ma torno a ripeterti che la questione della meccanica, del dispositivo del tuo saggio ha una grande responsabilità sul mancato dibattito (contraddittorio)
effeffe
mi piace questo quadro qui sopra, lo scroto rattrappito e livido di achille.
sì ma una volta gli uomini non erano pelosi?
e poi più che una collera di Achille mi sembra un’espressione un pochino basìta e se la devo proprio dire tutta io sono assolutamente d’accordo con marco rovelli: evviva le feste con il buon vino!
Amor ch’a nulla amato amar perdona…
E’ vero, è straordinariamente ben depilato.
Si vede che il pelo turbava, troppo realistico.
Bevitore, non è Achille, è la Diva.
Non vedi che ha, di fianco, la cetra
: si vede il bischero.
E’ lei che deve cantare.
“Cantami, o diva, del..
se volete i peli del villoso Achille con Agamennone
https://www.nazioneindiana.com/2008/05/05/poeti-allultima-spiaggia/
effeffe
quale dei due è la “Diva”???
ahahahah… :-)
tornando al tuo post:
ben venga “tanta carne al fuoco” se rispolvera cose come queste:
“…
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità. …”
ma l’argomento “core” (tanto per fare la figa), ovvero l’animosità, quel paradossalmente epidermico senso di repulsione o feeling che scaturisce in rete tra scrittori o pseudo-tali (categoria nella quale mi inserisco di buon grado) non è altro che lo specchio del reale elevato all’ennesima potenza dall’assenza di corporeità. Ne scaturisce quel frustrante senso di impotenza nel manifestare la propria fisicità animale dinanzi all’altro, quel poter dire con la gestualità del corpo “mirame, te spiezz’ en due” … e mancando tutto questo l’odio cresce a dismisura, ed è rabbia iraconda verso la propria momentanea impotenza di esprimersi pienamente e magari di dare anche qualche doveroso calcio in culo allo stronzo/a di turno.
quanto alle critiche sulla persona piuttosto che sull’ “opera”…. beh certo, dare del pirla ad un’opera sarebbe come darsi del pirla allo specchio, ma è anche vero che di un autore non può piacere tutto, che chiunque scrive la propria cagata più o meno d’autore, e criticarl – o meglio – dare su d’essa un giudizio negativo non è certo dare del “pirla” all’autore in sé, ma giusto a quel suo mal riuscito parto defecativo.
Ma se quello, proprio quello/a, con quel nick e con quella sua boria arrogante ti sta sul cazzo… beh scrivesse anche il moderno “decamerone” per te* sarebbe sempre un gran coglione. esattamente come nella vita reale.
*indefinito
“[Anch’io simpatizzo per i pedofili] che vengono da periferie, contadine o urbane che siano, [quando violentano i figli di qualche ricco e il giornale] ci racconta il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità. …”
” beh certo, dare del pirla ad un’opera sarebbe come darsi del pirla allo specchio, ma è anche vero che di un autore non può piacere tutto, che chiunque scrive la propria cagata più o meno d’autore, e criticarlo – o meglio – dare su d’essa un giudizio negativo non è certo dare del “pirla” all’autore in sé, ma giusto a quel suo mal riuscito parto defecativo.”
Ciao Soldato, sono ancora annebbiata dal sonno, quindi perdonami se non capisco il perchè di questo “collage”…
ne intuisco la provocazione su Paslini, ma per il resto- onestamente – non riesco a sistemare i neuroni in modo oridnato da comprendere. Puoi darmi una mano? tnx.
Scusami, Nàtalia, se ho usato le tue parole.
Nel collage, provocatorio nei confronti di Pasolini, ma anche delle letture che vengono date delle opere di Pasolini, e dei giudizi che, sempre gli stessi, su questo, invece, contorto e oltremodo ambiguo autore, le ho usate proprio per l’estrema chiarezza con cui illustravano il problema.
Troppo spesso – anch’io – siamo teneri, a volte ciechi, davanti a ciò che dicono o hanno detto i nostri beniamini, mentre reagiamo emotivamente, e violentemente contro quelli che non ci stanno simpatici.
Non è che io ci riesca, ma cerco, tento sempre di distinguere l’autore dall’opera. Ma non basta. Dentro l’opera è ancora più difficile discriminare quello che consideriamo accettabile e quello che per noi non lo è.
Quando sono sulle buone, per non rischiare di prendere granchi, cerco sempre di “tradurre”, cerco di farmi un’idea delle cose che leggo provando a dirmele con altre parole.
Questo solo è il modo di dividere l’opera dal suo autore.
L’opera è valida, l’autore pure, ma ciò che ha detto, secondo me è una bischerata.
Agli altri affermare che: io ho detto che l’autore è bischero.
A parer mio tutto è sintetizzato al meglio dall’illustrazione di questo pezzo:
si può può dire che il pittore sia un bischero – non perchè non abbia dipinto i peli di Achille – ma perché ha dipinto un unico bischero per sette corde.
Salvo essere smentito, e imbischerito a mia volta, da chi ne dà una lettura più vera.
Pasolini, mie cari figli, era un gran bel pezzo di reazionario. Bravo però.
grazie Soldato Blu,
“contorto e oltremodo ambiguo autore”… sono d’accordo, ma rischiamo di entrare nel “privato” dell’autore molto spesso e rischiamo di giudicarne il messaggio filtrandolo attraverso il suo vissuto o ciò che di esso conosciamo.
sono d’accordissimo con quanto hai detto, un po’ meno sull’estrema definizione finale.
a presto, ciao. Natàlia
Due parole sulla NIE e la corrente di pensiero sgorgata da Wu Ming, e non solo.
Userò qualche “sembra”. Non ho tale sovrabbondanza di attrezzature culturali da permettermi un’autentica disquisizione, né convinzione, sull’argomento.
Perché no? A me la NIE non sembra un bluff.
A me sembra che Wu Ming – che non conosco personalmente, ma di cui ho letto qualcosa – abbia studiato, cercato, ricercato, e trovato alcuni punti comuni fra le produzioni letterarie italiane degli ultimi anni. Che abbia avuto un intuzione e che ci abbia lavorato sopra. L’ha poi sviluppata, ne ha riunito i punti essenziali ed l’ha esposta in tesi scrivendola e pubblicizzandola in forma di piccolo saggio, cresciuto col tempo. Ed ha mostrato le proprie credenziali davanti ad alcune platee. Non so se numerose, ma, da quanto ho letto, erano composte da gente non propriamente illetterata.
E’ uno che pensa, che scrive, che pubblica, che tiene conferenze universitarie – sempre da quanto leggo – , uno che cerca di fondare, di costruire, di elaborare qualcosa. E che si espone.
Qualcuno ha scritto, in un blog non lontano, che “Il NIE non è roba da cocci deboli”: definizione che mi trova d’accordo.
Vabbè, si mette pure in vetrina. Usa la retorica. Ma a me sembra “schierato” dalla parte giusta. Cosa doveva fare? Sottoporre la propria intuizione al vaglio – come dice lui – dei propri detrattori?
Una buona intuizione data in pasto alle polemiche prima di nascere non potrà mai diventare una buona opera. O no?
L’Italia necessita di personaggi che, letterariamente e culturalmente, siano in grado di creare correnti nuove e spingerle in movimento, di farle circolare alla luce del sole attraverso nazioni e continenti. Di idee che dissentano, che fòndino qualcosa di diverso dal pensare generico e generale. Nell’aspettativa che si avvicinino pericolosamente al sistema, che minaccino la supremazia di cui quest’ultimo proprio ora si è appropriato. L’Italia deve avere organi istituzionali consapevoli di avere uno zoccolo duro da affrontare ogni volta che compiono un passo – piccolo, medio o grande, evidente o nascosto – verso la restrizione deel libertà individuali, o collettive. Che ne riconoscano l’esistenza, e la forza di esso.
Che poi “l’eminenza grigia” proprietaria dello zoccolo duro si chiami wu ming, effeffe o tashtego, poco importa. L’importante è che esista qualcuno intraprendente che porti avanti concretamente, ostinatamente il proprio progetto davanti al pubblico, il più grande e differenziato possibile.
Per ora, rimanere in Rete non è sufficiente per lottare contro il regime (a proposito, c’era una volta il regime democristiano, ora c’è il Governo Berlusconi…): discussioni, assemblee e cognizioni di causa che rimangono in bit a poco portano.
Il blog, può essere una buona base di partenza. Ma se è costituita da corpo a corpo virtuali forse non lo è. E rischia di rimanere autoreferenziale, in via esclusiva aggiungo io, come un antipatico e saltuario commentatore – non me ne voglia, o me ne voglia pure, se sta leggendo ora, d’altra parte sto rimanendo in argomento… – un paio di manciate di post fa ha sottolineato, entrando urlante e a gamba tesa in una discussione, nella speranza, forse, di spezzare le gambe a qualcuno.
Quanto a bischerate, validità opere, autore, l’ultimo commento di soldato blu mi trova d’accordo.
Ora, vado a cambiare il tubo del gas in cucina, scaduto a primavera scorsa.
Chiedo scusa, vado scopertamente fuori tema (salvo forse che per l’incazzatura). Nessuno si è accorto che ieri c’è stata una carneficina di lavoratori? Che il TG1, che inizia alle 20,00, ha dato questa notizia per quattordicesima, in forma cumulativa, alle 20,21? Che, esaurito lo stock di indignazione e retorica, si va verso l’assuefazione e poi l’accettazione? Che la violenza ormai, se praticata dall’impresa piuttosto che dai rumeni, non è più tale?
Magnifico brano di effeffe che analizza i sentimenti in rete. Internet crea sentimenti, perché i vincoli anche allontanati muovono il piccolo universo degli affetti che ciascuno porta in sé. Si puo dire che si inventa una nuova grammatica amorosa.
Cio che tu dici effeffe dell’odio, si puo osservare nel sentimento amoroso ( nel senso vasto: simpatia, amicizia, amore, affinità). Quando vedo i nomi delle persone che stimo, il mio cuore fa un salto, e sento una dolce carezza nel cuore.
Per il momento non ho mai sentito odio in rete, ma forse indignazione se si tratta dell’argomento che fa male: la violenza fatta alle donne, per esempio.
Quando litigo, mi sento triste e quando scrivo faccio attenzione a non ferire qualcuno, ma forse l’ho fatto senza fare apposta.
Come rammenta effeffe “on ne peut pas plaire à tout le monde”, ma questa parola saggia è difficile da accettare, perché in noi si nasconda sempre il desiderio di essere accolto, apprezzato.
Se sento che qualcuno mi trova una pirla, penso che nel fondo è vero: mi ritrovo come nell’infanzia davanti al problema matematica: sono una pirla, non riuscio a fare bene. Penso che la rabbia sveglia pena di infanzia.
Ho molto amato il brano sulla lingua sporca. Mi sento liberata del peso di scrivere bene in Italiano. A proposito penso che l’errore ortografico si puo spiegare anche con la psicologia. Quando una persona scrive violence, voilence ou voilance a spasso vuole dire qualcosa. L’emozione anche fa dimenticare l’ortografia: quando sei nel testo che brucia nel cuore, non ascolti più la voce ragionevole dell’ortografia.
La stanchezza fa anche dimenticare la regola e so che nella lingua lapsus, inversione fanno il gioco della lingua messa in libertà, ma nell’ oblio della mente logica.
L’anacoluto è il regno dell’idea liberata, maliziosa, infrange la classica sintassi, rompe con la punteggiatura.
Ho sempre pensato agli errori della lingua, alla ragione e spesso ho notato che l’errore è ricca, luminosa, inventiva.
i poliziotti, sono e saranno sempre “figli di poveri”.
sempre “Vengono da periferie, contadine o urbane che siano”.
eccetera.
anche quelli di bolzaneto, della scuola diaz, vengono da lì.
chissà se pasolini simpatizzerebbe con loro.
a parte il fatto che non trovo un nesso tra quanto scritto nel post e la (solita) citazione pasoliniana, mi preme ribadire che a valle giulia nessuno ce l’aveva coi poliziotti in quanto poveri, ma in quanto poliziotti. cioè, in quel momento, con chi impersonava e serviva lo stato.
era semplice arrivarci per pasolini, ma fece finta di non aver capito.
anche lui aveva i suoi esibizionismi.
sì hai ragiaone tashtego, qui si prendono sempre fischi per fiaschi…..
(fiaschi, notare il “raffinato” gioco di parole….)
ragazzi, fiaschi per tutti! :)
con permesso………
Son d’accordo con soldato e tash.
Per questo ieri ero andata a leggermi gli atti del dibattito parlamentare per i fatti di Genova del ’60, per rinfrescare la memoria di chi c’era e darne un po’ a chi non c’era, su Tambroni, Scelba e la polizia d’allora, rimasta uguale negli anni fino al 68 e anche dopo, come si è visto sempre a Genova nel 2001.
Nulla è cambiato, se non che adesso qualche processo si fa e qualche uomo basso in grado se ne va.
Scusate, ma della polizia io tendo a non fidarmi. Prima non mi fido, poi mi scuso per non essermi fidata.
Li ricordo bene i celerini, i tirapugni infilati sulle dita, le catene che facevano dondolare, armi improprie e virtualmente proibite, che brandivano anche quando dovevano solo starsene fermi ai lati della strada per veder passare un corteo autorizzato e per nulla violento, cercavano la provocazione e volevano menar le mani, ti cercavano gli occhi con gli occhi.
Pasolini vedeva quello che voleva vedere. Non so quanto gli interessassero i poliziotti, ma negli studenti vedeva un progresso che non gli piaceva, una società laica che lo disturbava, in fondo era un uomo profondamente religioso. E si dimenticava per amore retorico che non erano figli di papà, come diceva. Gli anni ‘60 sono stati gli anni del grande cambiamento sociale, dell’unico vero mescolamento di classe, che aveva finalmente portato all’università i figli di nessuno.
E così si torna alle ragioni dell’odio.
Aggiungo che io nel ’61 ero troppo piccola, ma avevo conosciuto chi c’era e lo raccontava, l’odio era lì a covare dal tempo della guerra, aveva continuato a covare nel dopoguerra, e le braci sono sempre devotamente tenute in vita, in attesa dell’incendio.
Perciò spero che i guardiani del fuoco sappiano quello che fanno.
Tutto il pezzo sembra scritto a suocera perché nuora intenda.
Arrivati a queste parole
per rispondere a queste domande provocate in parte da un bruttissimo episodio che mi è capitato recentemente
si capisce che è vero, parli proprio a suocera perché nuora intenda. Sarebbe stato meglio fare un’analisi dell’episodio, a questo punto.
Ogni posizione netta è controversa, cioè può suscitare reazioni sgradevoli.
Già la volontà di isolare il “fenomeno” della violenza verbale, in rete e no, come se fosse avolvibile dalle circostanze concrete in cui si manifesta, è un non accettarne la fattività, cioè l’inevitabilità.
l’odio alimenta l’amore (in taluni casi)
[cosa che con l’inverso non accade]
ma l’universo accoglie…
Mi correggo:
“Amor, ch’a nullo amato amar perdona”
Avevo cercato in internet prima di scrivere e sono riuscito a sbagliarla lo stesso…
@plessus
sono d’accordo con tutte le cose che hai detto sulla NIE e del resto ne avevo parlato con Roberto negli stessi termini dopo aver letto il suo saggio. Sulla questione della “meccanica” ritornerò poi
@Tash e Alcor
la poesia di Pasolini mi interessava per il verso messo in esergo nel post. L’odio, essere odiati, provoca odio, non ci piove. Sulla recezione del testo (intanto vi consiglio di andare qui per averne un’idea http://www.pasolini.net/poesia_ppp_pciaigiovani.htm ) si potrebbe fare una tesi ma credo che le migliori parole, la più efficace postilla l’abbia datapasolini stesso quando scriveva:
quei miei versi, che avevo scritto per una rivista per pochi, Nuovi Argomenti, erano stati proditoriamente pubblicati da un rotocalco, L’Espresso (io avevo dato il mio consenso solo per qualche estratto): il titolo dato dal rotocalco non era il mio, ma era uno slogan inventato dal rotocalco stesso, slogan (Vi odio, cari studenti) che si è impresso nella testa vuota della massa consumatrice come se fosse cosa mia.”
@anfiosso
se dico che hai pisciato fuori dal vaso ti incazzi?
Alla base di questo e altri post sul tema c’è una riflessione a partire proprio dal lavoro di Franz in rete cui è dedicato questo pezzo, e un tentativo di capire certe dinamiche proprie della rete più che della propria storia personale. Tristis in hilaritate. hilaris in tristita, diceva Giordano Bruno (non il giocatore) e il fatto che si stia parlando “serenamente” delle incazzature mi fa piacere e non ci impedirà di essere incazzati sulle cose che per i più suggeriscono une calme plate…
effeffe
Era per questo che ti avevo detto che c’era troppa carne al fuoco, ognuno si è scelto un boccone:-)
(sono tornata indietro ad aggiungere un emoticon, perché una frase neutra come quella che ho scritto poteva sembrare un incaponimento pungente, mentre non lo era)
non mi ero accorto che la poesia del post era *quella* poesia.
Secondo me è lecito dire che è qualcosa che c’è tra uno e l’altro senza che questo qualcosa abbia in concreto un ragionevole motivo, e difatti ci si chiede come possa da un niente, da un punto di partenza che non si trova o che non si trova così importante, determinarsi una avversione così, come è stata descritta, tale per cui uno chieda all’altro: perché mi odi?
Lui non sa il motivo, e, cosa straordinaria, neanche l’altro lo sa. Allora, pare che tra i due si sia interposto un filtro, che altera ogni cosa che l’uno dice all’altro, e che forse altera anche ciò che non si dicono, rimanendo nei loro pensieri un residuo e una brace pronta a rintuzzare alla prima occasione. Ma se uno o l’altro togliesse quel filtro, la vera ragione del misterioso prurito sarebbe lì davanti a loro, e potrebbero riderci sopra, o potrebbero davvero scazzottarsi come nelle migliori scene da film.
Immaginatevi invece che cosa sarebbe se uno scrivesse col cuore un complimento all’altro e il filtro tra loro lo alterasse, oppure cosa sarebbe se uno scrivesse con la rabbia tra i denti e l’altro, cambiato filtro, la prendesse come prova d’amore. Quale confusione! Per questo e per questi ragionamenti mi sento quasi di dire che ciò di cui si discute è qualcosa interposto tra i due “contendenti”, i quali, pare, farebbero a meno di contendere senza ragione. Allora, petessero dire che la ragione del loro prurito non sta nelle loro parole e nemmeno nelle loro intenzioni, starebbero meglio a ben vedere, benché alla fine è d’uopo ricordare che sia l’uno, sia l’altro hanno elevate capacità di non alterarsi se lo vogliono.
bella riflessione.
Ho sempre cercato nella mia vita di ragionare, al di là degli impulsi “vaffanculeschi”, anche con chi mi stava sulle palle. Mi capivo solo io e mi capisco solo io anche adesso che persevero. Come si può chiamare una necessità intensa di cercare di capire e conoscere l'”altro” se non forse masochismo? Spesso si odia ciò che non si conosce. Guardare capitolo “razzismo”. E’ un odio più sano quando ci si “imbella” di sani e giusti principi, ci si sente “dalla parte giusta” etc…rispetto alla controparte? La cosa interessante è che sopratutto nei conflitti sociali tutte le parti in causa sono convinte di essere dalla parte giusta. Alcuni direbbero che “alcune parti sociali” si sono “fatte convincere” ma il risultato non cambia.
Mancanza di comunicazione che porta all’odio reciproco la chiamerebbero alcuni.
Io al liceo mi ostinavo a parlare e discutere di politica con i fascisti. Non vedevo altra via per cercare di capire e cambiare qualche virgola anche perché nel sud pontino beccare un “non-fascista” è cosa rada e sono una chiacchierona. I miei compagni antifascisti mi additavano come se fossi un’imbecille. Però ho scoperto che con i fascisti ci si può anche ragionare. Poi ti metti a ragionare che un giovane nostalgico del fascismo e un giovane rivoluzionario post comunista o come li si voglia chiamare c’è ben poca differenza: sono tutti e due intenti a farsi la guerra a vicenda non riuscendo a sbancare il lunario con il lavoro precario. Tanta energia d’odio sprecata verso un obiettivo sbagliato perché in fondo hanno lo stesso nemico sociale che li costringe in quella condizione e non è un loro “pari”. Idem con patate per la questione razzismo: è più facile prendersela e odiare il vicino di casa rumeno piuttosto che il capo di Governo. Un bersaglio facile facile. Una guerra tra pari o una guerra tra chi sta poco più in alto della scala sociale verso il basso. E mi viene in mente Pasolini, traslato ad altre esperienze.
pure io mi son presa un boccone del brano…
Detesto che mi dice che pratico l’odio…
:-)
CHI mi dice…
Concordo con molte cose scritte da Furlen.
E’ però vero che le provocazioni in rete impazzano.
Un conto è dire la propria con animosità (le critiche animose, Bui, possono essere non isteriche), un conto è provocare contando sui “punti deboli” dell’interlocutore.
Spesso certi cattivi rapporti in rete diventano rapporti più disresi quando c’è stato l’incontro nella realtà, Qui siamo in una no man’s land.
Poi probabilmente certe antipatie posso rimanere, e i litigi in rete possono tranquillamente riprendere. Parola di esperto…
Io per esempio odio con tutto il cuore e l’anima quel mediocrissimo scrittore (!) che risponde al nome di Roberto Cotroneo. Eppure fioccano le marchette (vedi quella micro della Lipperini sul venerdì di repubblica)…. Scrittori così modesti andrebbero solennemente scoraggiati! Ma la Lipperini, si sa, chiacchiera bene e razzola male!
A Franz, allora sono parole di esperto. Lo dici bene la realtà è a volte più dolce, perché si incontra lo sguardo dell’altro e tu trovi finalmente nessuno odio.
“Le langage est source de malentendu”, dit le renard au petit prince.
Antoine de Saint Exupéry
Purtroppo gli uomini non leggono abbastanza Le Petit Prince…
A Marco Rovelli: scopro oggi la canzone. grazie per il momento di piacere!
No che non m’incazzo! Solo che, a quel che sembra, ci sono troppi presupposti, non solo troppa carne al fuoco — e io ne ho scelto un boccone, come giustamente ha detto Alcor, ma non potevo fare altrimenti. Non conoscendo la rava & la fava, ho trovato semplicemente il pezzo entassé, credendo fosse frettoloso, occasionale.
Mi avvedo solo ora del madornale errore.
Chiedo umilmente venia.
Torno a pisciare.
@anfiosso
entassé (come negli autobus) più che en tasse de thé ou de chiottes
Aurelio tu scrivi:
Ma la Lipperini, si sa, chiacchiera bene e razzola male!
se dovessi applicare il paradigma spinoziano un’affermazione del genere dovrei more geometrico cancellarla. Non solo perché non la condivido, (e non sarebbe una ragione) ma perché assolutamente priva di argomenti oltre che offensiva, gratuitamente insultante. Ammettiamo che Loredana legga questo commento (per Cotroneo è diverso perché tutto sommato la cosa non lo tocca dal momento che i suoi libri li hai comprati e letti e quindi oltre che scriverli di più lui non poteva fare) quasi certamente ne subirà una diminutio, una sottrazione di energia, un leggero dispiacere (capita a tutti indipendentemente dalla persona che attacca). ma la cosa che sicuramente la metterà a disagio è l’ineguaglianza del confronto, da una parte c’è loredana lipperini (nome e cognome) e dall’altra tale aurelio (il postatore va a controllare l’indirizzo mail e nella maggior parte dei casi si trova indirizzi tarocchi del tipo nazioneindianavousetestousdesinculès@stacippa.it,). Il commentatore dovrebbe allora avere le palle come ha fatto angela nel post “caro vecchio neon) e scrivere:
per correttezza visto che i miei interventi seguono una linea di pensiero ostile alla vostra (rif. a questo post) mi firmo per intero:
ma non per eccesso di buonismo, null’affatto! al contrario, proprio per rendere il conflitto paritario, portarlo a compimento. Permettere a Loredana di odiare chi la odia, per quanto sono sicuro (me lo auguro) che se ne sbatterà allegramente.
effeffe
Io non odio nessuno, anche se mi irrito molto, penso (Effeffe, mi spiace, sotto questo post non riesco a evitare di tornare a farti le pulci, spero che mi perdoni) che dietro il problema di certi apparenti “odi” , soprattutto webbici, ci sia la rabbia.
Una rabbia frustrata, che cerca di liberarsi nell’insulto.
Leggo ogni tanto che la rabbia è un sentimento positivo.
Ho i miei dubbi, è positivo quando è rivolta a un’ingiustizia, e anche lì se poi non si trasforma in analisi e politica, lascia il tempo che trova.
Quando è privata è solo una patologia, e andrebbe curata, fa male soprattutto a chi la prova, lo avvelena. E comunque è un sintomo che qualcosa non va.
sai Alcor la penso quasi come te (spero che mi perdonerai) e che qualcosa di simile accade con la gelosia (categoria del sentire spesso usata e a sproposito nelle querelle tra scrittori) tra uomo e donna (tra amanti, diciamo). In questo come nell’altro caso credo che il problema riguardi esclusivamente chi la prova la gelosia, per quanto la sofferenza sia poi condivisa dai due. Sui blog accade che ci si irriti spesso (il post voleva essere comunque un eloge dell’incazzatura) e la vera scommessa, secondo me è nell’evitare che l’ira (animosità) si trasformi in odio. innanzitutto per chi odia. E comunque sia si dovrebbe andare a parare lì dove ci indica sempre Spinoza nel chiarimento proposizione 59 (III libro):
Tutte le azioni che derivano dai sentimenti riferibili alla Mente in quanto essa conosce vanno ricondotte alla Fortezza d’animo, che io considero sotto i due aspetti di Determinazione e di Generosità. Per Determinazione intendo la Cupidità per la quale un umano si sforza di conservare il proprio essere in base soltanto a ciò che prescrive la Ragione; per Generosità intendo invece la Cupidità per la quale un umano si sforza, solo in base a ciò che prescrive la Ragione, di essere utile agli altri umani e di farseli amici. Riferisco quindi alla Determinazione le azioni che mirano solo all’utile di chi le compie, e alla Generosità quelle che mirano anche all’utile altrui: così, la Temperanza, la Sobrietà, la Presenza d’animo nei pericoli, eccetera, sono specie, o aspetti, della Determinazione; la Costumatezza, la Clemenza, eccetera, sono specie, o aspetti, della Generosità.
…e ti ho anche citato
effeffe
Non per nulla me l’ero scelto:–)
Ben ritrovato, Anfiosso..
Una tua ‘vecchia’ fan…:o)
il problema – come in molte cose – è all’inizio.
a monte.
chi t’ha chiesto: “perché mi odi?” voleva appunto chiederti conto del fatto che tu stessi ‘ascoltando’.
altrimenti ti sarebbe stato detto:
“perché mi odii?”.
e la ‘i’ non è un dettaglio, mentre lo è -probabilmente – nell’EpIc, di New Epic ecc.
ovvero sto mettendo in relazione come si stia parlando di Letteratura e di saggi di Letteratura, mentre mancano le ‘i’, c’è una carenza di ‘i’ – dannazione.
e le ‘i’ sono importanti.
una cosa è “Isterico”, un’altra “sterico”; una cosa è dire cose importanti, un’altra parlarsi addosso (e diventa ‘mportante).
io – per dirne una – ho comprato Giap! qualche giorno fa. e son venuto qui su Nazioneindiana dopo secoli. ma forse non c’entra, oppure entra e non entra. entra e non entra, entra e non entra.
va be’: ciao!
e.
Ciao, B.!
caro enp
fiiga la tua osservazione…
però anche le M invece delle N se seguite da consonante…a meno che non si tratti di una sigla tipo ENPAS. Oppure enneppi alla francese. Non ho capito invece cosa c’entra (non c’entra?) la tua remarque sulla NIE.
detto ciaò
effeffe
cosa c’entri
o
cosa centri
effeffe
be’: mi aveva colpito leggere un saggio sull’odio in Rete – articolato e impegnativo, che comincia con la domanda “perché mi odi?”.
ma non è il mio forte fare il simpatico…
e comunque: “c’entra”, decisamente.
ciao F.,
e.
[sì, trattasi di sigla]
comunque sia
mi sei piaciuto
touché!
(infatti,come cazzo mettere i puntini sulle i se le i vengono meno?)
su NIE mi piacerebbe però saperne di più. Provaci, no?
effeffe
va bene.
ti dico della NIE (come ci piacciono le sigle…):
io il saggio di Bui l’ho letto una volta e mezza – premessa importante.
e apprezzo la produzione di Wu Ming (predilezione mia: Wu Ming 3); sono del tutto d’accordo con l’idea omerica delle storie, con l’abuso dell’economia e dell’idea di profitto; e su tutti i discorsi contro i diritti d’autore e l’idea stessa di Autore.
il saggio di Bui. ci sono due cose da dire:
1. la New Epic è una boutade.
2. Roberto Bui s’è preso la briga di elaborare un’idea formale. tutte le risposte che ho lette in Rete, sono – invece – incomplete [vedi, ad esempio, questo mio commento, in cui nulla dico]. sedersi a pensare la Letteratura che è, è importante.
2bis. ma è poi importante formalizzare la Letteratura? poter dire che Gomorra è un libro NIE? (che poi è anche un 1bis, perché secondo me tutto il discorso di Bui nasce per lanciare l’idea di un confronto a tutto campo, partendo dal formalismo teorico, per arrivare ad altro).
FINE.
a-ri-ciao F.,
e.
Sono per la i di ENPI
e se ti (gli/vi) dicessi che la rinuncia al “drama” (docudrama, melo-drama, psico-drama) vs una formula più discutibile (epica contemporanea) per quanto più fascinosa , abbia creato non pochi “fraintendimenti? Come del resto la logica del chi (cosa) è dentro è dentro chi (cosa) è fuori è fuori… Non sempre chiaro, non sempre argomentato (vd esclusione di Baricco, se ricordo bene.)
Secondo me Roberto Bui sta tentando un’impresa che può essere felice oltre che necessaria sullo “stato della letteratura” in Italia. E’ l’idea di aver “fissato” l’attenzione su certi temi come il mercato (vd in premessa il dichiarato successo editoriale degli oggetti letterari presi in esame) che non mi convince, e che in qualche modo tradisce il pensiero bachtiniano (idioletto, polifonia ecc) cui pertanto si ispira. Se poi pensiamo alle fortune delle opere di Bachtin o di Broch…
effeffe
ps
a proposito, mi chiedevo, cosa pensa la critica del NIE? Ci sono dei critici (delle opere di critica) che si possono considerare NIE?
mi fermo qui ma spero di mettere in ordine le idee per farne un post più articolato e soprattutto con possibilità di discussione con tutti
ecco il punto è proprio questo:
o si argomenta punto per punto il saggio di Bui, oppure è difficile parlarne.
e questo non credo sia un effetto voluto da WM1, ché penso che l’intenzione fosse una sorta di esame collettivo – personale e sullo stato delle cose nella nostra Letteratura (nostra=italiana).
e.
Mi devo correggere come al solito.
Anch’io ho scritto “odi”. Poi, “una brace pronta a rintuzzare” è il contrario di ciò che volevo dire, dato che l’intendevo nel senso di ravvivare (ma vedo sul vocabolario che ha anche il significato di contrastare, e pertanto poteva anche andar bene). Poi, ancora, ho scritto: “benché alla fine è d’uopo ricordare”, mentre andava meglio un “anche se” al posto di benché.