Overbooking: Titti Marrone

Nota di lettura
di

Francesco Forlani
al romanzo La donna capovolta di Titti Marrone

Dei libri mi piace cogliere i segni che sono un po’ ai margini, ancora più dei ringraziamenti, come per esempio gli indici, la titolazione dei capitoli, l’esergo che apre o la citazione che chiude la narrazione, se ve ne fossero. Possono essere gli elementi grafici scelti per la copertina o più banalmente il contesto editoriale, l’anno di pubblicazione o, più semplicemente, il nome della collana. L’ultimo romanzo di Titti Marrone, La donna capovolta, è il frammento numero 69 di una collezione che per l’appunto si intitola frammenti di memoria.

Poiché non credo alle coincidenze, al caso e dunque al fatto che determinate cose non siano più di quanto non ci appaiano, mi sembra essenziale al racconto in questione l’evocazione attraverso il segno 69 di quella che particolarmente in voga negli anni della rivoluzione sessuale veniva definita  filosofia dello Yin e Yang, simboli spesso tatuati sul polso o su una spalla. Come molti ricorderanno questi due segni detti in Cina pesci rappresentano proprio il Tao, soffio materno del mondo, matrice di tutte le cose reali, e rappresentato  dal simbolo che ingloba i due principi opposti della luce e dell’ ombra, del sole e della luna, e via dicendo, agguerriti contendenti al gran gioco della vita e del mondo.

Prima di addentrarci nella storia ma solo quel tanto che basta per spingere voi potenziali lettori a varcare la soglia di questa casa-libro, estremamente accogliente, vi consiglierei di tenere bene a mente queste tre cose: memoria, teoria degli opposti e, soprattutto, poetica del mutamento come del resto ci insegna l’ I CHING, nella preziosa edizione Adelphi che molti di voi sicuramente avranno nella propria libreria.

La storia di Una donna capovolta è quella di una casa e come in una pièce di Yasmina Reza, attraverso un delicato susseguirsi di campo e controcampo, le due protagoniste Eleonora e Alina si alternano sulla scena madre di tutto il romanzo ovvero la condizione della mamma di Eleonora, che una progressiva e inesorabile malattia degenerativa sta consumando insieme alla memoria ridotta sempre più a frammenti slegati e alla deriva. Eleonora che è un’intellettuale, una femminista da anni impegnata in un corpo a corpo con le teorie di genere, si scopre d’un tratto poco attrezzata ad affrontare la realtà come certi sociologi che dall’alto delle proprie teorie si ritrovassero all’improvviso sul terreno e senza via di scampo.

Alina, quasi coetanea di Eleonora, è un’intellettuale moldava che il crollo dell’impero sovietico ha scaraventato oltre cortina per riuscire con un lavoro da badante a mantenere i propri uomini rimasti senza lavoro o come nel caso del figlio che vive in Spagna, talmente obnubilati dal meraviglioso mondo occidentale da non riuscire nemmeno a farsi carico del minimo sindacale dei sogni, ovvero di guadagnarsi da vivere durante il giorno. Una casa essenzialmente al femminile? Per lo più, come del resto ci dice Eleonora in uno dei suoi squarci di luce sulle cose:

Ormai posso dire di vivere in un mondo di sole donne. Nel mio corso di quest’anno non c’è neanche uno studente. I convegni a cui partecipo sono popolati unicamente di presenze femminili. Le rare volte che esco per svagarmi, andando al cinema o a mangiare una pizza, lo faccio in compagnia di poche amiche. In famiglia ho a che fare principalmente con mia figlia e con mia madre, mentre sempre più volatili e sfuggenti si fanno le figure di mio marito Paolo, di mio fratello Carmine e di mio padre. Gli amici maschi battono in ritirata oppure – codardi – si trincerano dietro la formazione della coppia, non mostrandosi in giro se non al riparo di mogli o fidanzate.

Per ricomporre le due voci monologanti all’interno della storia, Titti Marrone mette in scena una terza voce che lei chiama Loro e che scopriamo in realtà essere la voce ma soprattutto l’occhio che dall’esterno segue le vicende in atto fornendo al lettore la genealogia dei caratteri dell’una e dell’altra, dei loro tic e soprattutto della prossimità che esiste tra loro, loro malgrado. La tentazione del lettore va detto è quella di assegnare immediatamente una medaglia all’una a scapito dell’altra da fucilare sul campo per diserzione dai sogni e la funzione di questa voce narrante super partes è a mio avviso principalmente quella di trattenere il lettore dal farlo non privandolo in siffatto modo del ruolo di testimone del mutamento.

Un Loro dunque demiurgico molto diverso dal loro impiegato da Alina, affratellato al noi e loro di cui ci racconta per descrivere due mondi, un tempo separati dalla cortina di ferro e ora, proprio in quella casa, incredibilmente rovesciati nei rispettivi destini al punto che se tra dire e fare, di sinistra, c’è di mezzo il mare, possiamo senz’altro dire che tra  loro due c’è un oceano a separarle dalle rispettive rive.

Certo, nella nostra parte di mondo abbiamo fallito anche nell’utopia più imprendibile di tutte: il compito di “edificare l’uomo nuovo” che c’indicavano a scuola, nei raduni, nei roboanti discorsi pubblici. Ma io non scambio i nostri più colossali fallimenti con questa vischiosa ipocrisia mescolata alla vita di tutti, con la loro disinvoltura nel vendersi responsabilità dovute verso genitori e mogli per comprarsi la libertà di vite comode e svuotate di senso. Mio padre segui ogni momento della malattia di mia madre. Da medico le assegnava le terapie, vigilava sui suoi farmaci, da marito l’accompagnava un passo dietro l’altro senza pensare neanche per un momento di fuggire, scrollarsene il peso di dosso. Credo che gli uomini e le donne, da noi e da loro, siano proprio fatti in modo diverso. E preferisco mille volte il nostro.

Alina e Eleonora sono Yin e Yang, l’una è la parola, l’altra il silenzio che le serve a dissimulare l’intelligenza e la cultura, cose poco apprezzate nel mestiere della badante, scambiandosi i ruoli al passo veloce di una narrazione che Titti Marrone conduce con estrema maestria. La penna non induce mai al lirismo a cui molti autori della sua generazione post 68 ci ha reso avvezzi e anche un po’ allergici, ma facendo leva su dispositivi umoristici e caricaturali riesce ad affabulare il lettore con il suo teatro come quando ci vengono raccontate le vicende della famiglia in cui lavorava Alina prima di prendere servizio da Eleonora.

Se come troviamo scritto, sono tre i tipi di relazione che si possono spiegare in termini di Yin e Yang, ovvero di opposizione, d’interdipendenza e per finire di reciproca mutazione, La donna capovolta ci racconta proprio tutto questo. A libro chiuso mi ritorna in mente la scritta che sul finire degli anni settanta alcuni compagni avevano a colpi di vernice rossa composto sulla facciata del Liceo scientifico Armando Diaz a Caserta: ciò che non cambia è la volontà di cambiare, perché è vero, ed è un po’ la tesi di fondo del romanzo, che possiamo soltanto non volere ciò che siamo come quando Eleonora ci racconta la partita a ruoli invertiti con la madre:

Lei regredita nella penombra amara della vecchiaia, lei sospinta verso la mortificazione di pannoloni zuppi come quelli della neonata che io fui nelle braccia sue – che lei cambiava sorridendo, cospargendomi le gambette di talco –, dovrebbe poter ricevere dalla figlia adulta lo stesso naturale accudimento che venne riservato a me. Tu hai dato a me, io adesso darò a te. Chiusura del cerchio.

E chiusura di questa nota. Anche.

Post Scriptum

Quando ho esplorato le prime pagine del volume mi sono imbattutto in questa dicitura: iacobellieditore è un marchio di proprietà della società Trerefusi srl. Nel post ho deciso di lasciare tre refusi. Il primo che sarà in grado di ritrovarli avrà in regalo la mia copia del romanzo, magari autografato dall’autrice se ne avesse il tempo e la voglia.

 

4 COMMENTS

  1. Paragrafo 3: eliminare spazio fra “l'” e “I Ching”
    Paragrafo 9: “Mio padre seguì” invece di “Mio padre segui”
    Ultimo paragrafo: “Mi sono imbattuto” invece di “Mi sono imbattutto”

  2. Carissima Luisa, ci siamo quasi. Il primo che ha segnalato non era in conto. Ne rimane un terzo. Allarghi (allunghi) il campo. effeffe

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017