Il film
di Andrea Inglese
Tutto l’erotismo è lì, concentrato sulla bocca, è tutto nel primo piano, nel volto, che è una faccia piatta, larga, e dentro questa faccia si apre una bocca, come uno strano gorgo, dov’è impossibile capire per quale verso tiri la corrente, se siano vampe, irradiazioni che salgono, come da una ferita vulcanica, sott’acqua, o risucchi a perpendicolo, come in uno scolatoio, dove l’acqua si torce su se stessa, accelerando, e sprofonda, è una bocca-gorgo, ed è tutto in questa bocca di gemiti che si condensa l’erotismo, la bocca di Naomi Tani, l’attrice principale, che è sottoposta a annodamenti spaventosi, sospensioni su carrucole, trapezi, imbragature, e con tutte le braccia slogate all’indietro, tirate come pure i folti capelli, corde e fasce che stringono la carne, strappano indietro gli arti, inarcano la schiena, con le natiche tese, gli orifizi che si dilatano, e tutto ricade in bocca, in questi primi piani ossessivi, con quei gemiti che portano in superficie, portano all’orecchio il piacere e il dolore, in questo flutto torbido, in cui è mescolato lo strazio, il godimento, come una corrente alternata,
non si capisce da che parte viene cercata la liberazione dal male, non si capisce la richiesta, se in quella bocca ci fosse un discorso, un’analisi, un’arringa, una domanda protocollata di strette ulteriori, di annodamenti ancora più efficaci, e totali, oppure una richiesta di soccorso, di taglio immediato, di oblio e di pace, di vestiti da mettere addosso, di asciugamani per il sudore, e le lacrime, e tutte le secrezioni diverse, la schiuma lieve sul taglio del sesso, o agli angoli delle labbra, quelle gocce dense, ambrate, sull’anello dell’ano, tutto pulire, tutto dimenticare, rimettersi in piedi, in tailleur, oppure no, quella bocca raccoglie un urlo di desiderio, anzi un lamento trattenuto, di pancia, d’intestino, un lamento per l’ulteriore colpo, schiaffo, che ancora manca a far salire di un grado ancora, la scala del piacere si allunga elasticamente ad ogni nuova fase della sevizia, il dolore si manifesta come una parete girevole, un tranello da film di spionaggio, il punto d’entrata si rivela quello d’uscita, la macchinazione del dolore un alambicco di scariche piacevoli, liberarsi dal male significa trovare nella fitta di dolore la biforcazione verso un piacere maggiore, rovesciare il guanto, quando la benda è stretta con maggior forza, il bavaglio sega gli angoli della bocca, la mano a palmo aperto colpisce le natiche, il guanto è d’un tratto rivoltato, la via dell’orgasmo appare dietro il paravento fragile del dolore, ma tutto questo attende, tutta questa fenomenologia è una bollitura di soffi, fischi, vagiti, nella bocca della protagonista, nel crogiolo che le labbra formano intorno ai denti, e il muscolo rosa della lingua, e l’interno del palato, che si fa velluto buio, di una profondità invisibile ad occhio nudo, anche l’obiettivo meccanico urta il suo limite, Hana to ebi ossia Fiore segreto, non si sa bene chi si troverà nella sala o con chi andarci, tutto il rosso della sala, delle poltroncine acquista un significato nuovo, sinistro, di complotto, anche al MK2 Bastille, uomini disseminati, qualche coppia, una donna sola, due gay, intenditori di trapezi e latex? chi può dirlo?, al centro del film la bocca, non i seni gonfiati in punta dalle corde che li stringono alla radice, al centro non c’è il grande clistere d’acqua calda, cui segue una scarica di diarrea, ma la carne sudata, disseminata di macchie, aloni, ombre, e la bocca al centro della faccia, la faccia al centro dello schermo, come il foro d’uscita di oscuri fenomeni sismici, che viaggiano in profondità, un film erotico è un film sulla bocca.
[Da Materiali per un libro su Parigi]
[…]
tutto questo potrebbe anche assomigliare a un parto manuale
difficile in cui tecniche di manipolazione di dilatazione o di contenzione fintanto anche usando del latex (guanti) intervengono nello sparare il corpo della madre dal neonato
qui cosa nasce? l’ anima, voglio dire.
e l’ anima per liberarsi ha bisogno di un corpo punito martoriato stretto schizzato schiacciato che schizza
che si da in pasto al cielo per potersene nutrire in forma di spirito una volta subita la passione.
due cose se posso permettermi
a) controllare il punto di sospensione che deve essere
estremamente resistente, non fidarsi dei muri moderni
b) la safe word o parola di sicurezza, parola fondamentale nel caso che il corpo non voglia scendere dall’ anima e che permette di interrompere la scena / il gioco.
e SAFE WORD potrebbe essere il titolo del prosieguo, chissà
comunque un bel testo ad effetto,.. forse troppo ad effetto. l’ erotismo che si afferma esistere nella bocca io non lo riesco a immaginare leggendo… intendo erotismo alla Araki Nobuyoshi, per essere chiara… poi rimane la sensazione che l’ autore non mi pare si sia avvalsi dell’ esperienza di veri Masters/ Padroni e
di slaves educate ad essere slaves. un testo basato più sull’ osservazione come spettatore per altri spettatori…
un saluto
paola
cara paola, verissimo: tanto è vero che il pezzo s’intitola film, ed è incentrato sullo sguardo dello spettatore.
Molto bello il pezzo. Non ho visto il film, ma mi ricorda l’opera fotografica e video di Antoine D’AGATA, artista Magnum sempre al confine tra estasi e auto-distruzione.
non ho capito titolo e autore del film.
nazionalità.
data di produzione.
cast.
dati essenziali trattandosi di opera altrui.
credo.
in questo genere di descrizioni, andy, non ti batte nessuno.
Da bocca a bocca un baratro, con persino una mezza traccia di scala mistica, non quella di Bonaventura ovviamente, non quella al Fabbriciere degli herectus dai sapiens fabbricato.
Bisognerebbe farlo leggere alla Santacroce questo brano, a buon intenditor.
Complimenti
@Andrea
grazie per la risposta.
paola
Un film de Masaru Konuma, avec Naomi Tani
Titre original : HANA TO HEBI (Japon)
Genre : Erotique – Duree : 1H14 mn
Année de production : 1974
Interdit aux moins de 16 ans
caro tash, ecco la scheda. A dir la verità, ho pensato perfino di togliere ogni riferimento (titolo e nome dell’attrice) a questo pezzo, perché vorrei sganciarlo da ogni riferimento troppo diretto alla specifica realtà del film (insomma non vorrei che lo si considerasso una sorta di pezzo “critico”, in quanto non lo vuole lontanamente essere…).
Comunque Andrea Raos magari sa dirci anche qualcosa del regista…
se non è un testo critico forse è una ripensatura sensativa ma soprattutto autoptica dell’ evento complessivo delle immagini
p.
Penso che Andrea non volesse assolutamente recensire il film ma solo la tristezza erotica (prevalentemente *maschile*) di tutta la situazione… che il film sia giapponese non mi sembra comunque casuale anche se sul tema de Sade e Bataille pure non erano malaccio e forse un tantino più magnificenti dei nipponici…Viola
intanto, la triade Giappone-bocca-occhio tentacolare (quello dello spettatore-piovra) mi han fatto tornare a mente questo Hokusai:
http://www.akantiek.nl/hokusai%20p1132.htm
Mi sembra, ad ogni modo, che anche in questa prosa ci sia una sotterranea lotta a trasformare la percezione in appercezione, a pervenire a quella “poca, residua pietà dell’occhio” (Cfr. “Quando torneremo? Riluce”, in La distrazione, p. 55).
In tema di allucinazioni carnali, vedere pure il “risalire scalzo nelle loro bocche” di La lettone, Ibid., p. 77.
Il pezzo è molto bello, ma un ignorante come me vorrà dunque sapere: come si applicano queste erotiche distanze alle realtà di erotiche vicinanze? C’è davvero qualcosa da costruire?
Qui e lì, pensando, mi ero pensato che l’ avessimo già. E che sempre sia stata rifiutata.
Io sono tutto un altro tipo di entità linguistica, tanto che a tal proposito ho scritto questo
http://kerosenectute.blogspot.com/2009/03/romanticismi-futuri.html
E non me ne vergogno.
Rendere quella complessità? Complimenti ad Andrea Inglese, ma non sono sicuro che si possa in alcun modo.
Nell’ Hokusai di Fabio Teti, nella sua stessa esistenza, credo ci sia più o meno quello che intendo.
a viola, che parla di “tristezza erotica prevalentemente maschile”…
ora, non so se il pezzo trasmetta una sensazione di tristezza (non è certo la stato d’animo prevalente dello spettatore, quello da cui sono partito…), ma di certo il film in modo davvero molto giapponese combima un registro burlesco ed un erotico, in modo inusuali per la cultura occidentale. Qui Bataille e Sade mi sembra c’entrino poco… Inoltre, vi è un bel rovesciamento – forse tipico di chi è addentro a faccende S/M – di ruoli: chi tira le fila e governa è infatti la donna, la protagonista, e non i maschi annodatori.
@ Woland:
c’è un diaframma, qui, tra distanza e vicinanza: che è lo schermo. Che viene sfondato attraversando (da spettatore), mi sembra, l’apparentemente ovvio, il flusso opaco delle immagini proiettate: ingigantendo, sovraesponendo a forza di sguardo il dettaglio, lo sguardo-microscopio a cercarsi il varco d’entrata, il punto di allaccio (in entròpia?), che spesso è quello che ribalta in altro la consueta percezione – distratta – delle cose.
Non so se hai letto La svisione, come ti consigliavo. Lì c’è un punto fondamentale, riguardo a quanto dici, sempre che io abbia capito, circa la possibilità di costruire: ossia il passaggio precedente, necessario: vedere: “se non vediamo, dove mettiamo le mani?”
“il sogno della moglie del pescatore”… dipinto da un uomo… mmhhh…
dello stesso periodo la raccolta di Eishi, molto meno fantasticamente erotica, non meno densa…
Prossimo Già
Presto su indicatevi
linfee stanze
(gli occhi)
ANTONIO PIZZUTO
Non starò certo, come al solito, ad esprimere il mio meravigliato stupore – già detto – davanti alla scrittura di Andrea Inglese. Ho tentato varie volte di riuscire a carpirne il segreto, per poterne dare a me stesso una descrizione sintetica.
Non penso ancora di esserci riuscito.
Questa volta però non voglio analizzare, ma spudoratamente affermare.
Perché penso di aver colto almeno una parte delle intenzioni che, con o senza l’autore,si sono realizzate nell’opera.
Partiamo dall’inizio:
“Tutto l’erotismo è lì, concentrato sulla bocca, è tutto nel primo piano, nel volto, che è una faccia piatta, larga, e dentro questa faccia si apre una bocca, come uno strano gorgo”
e questa è una spudorata menzogna.
Poi la fine – in un commento di Andrea :
“Inoltre, vi è un bel rovesciamento – forse tipico di chi è addentro a faccende S/M – di ruoli: chi tira le fila e governa è infatti la donna, la protagonista, e non i maschi annodatori.”
e questa è la seconda, e ancora più spudorata, menzogna.
Il fatto è che, appena letto il pezzo, quella parola “rovesciamento” era venuta immediatamente in mente anche a me.
Ma per me non si trattava affatto di un “rovesciamento” che riguardava la “scena”.
Niente avviene “nella scena”, in questo scritto, perchè non c’è alcuna scena.
Perché si tratta di una reggia di specchi.
E il molteplice “rovesciamento” occhio/bocca non è quello che riguarda questi organi del corpo, ma gli strumenti creativi degli autori e gli strumenti percettivi degli spettatori e dei lettori.
Occhio di noi lettori, bocca.scrittura dell’autore, occhio dello spettatore, bocca.occhio del regista.operatore, sino ad arrivare alla bocca di Naomi Tami che, a questo punto, non conta niente [o quasi].
L’idea che tutto questo fosse nelle intenzioni del testo, e non solo una mia disposizione soggettiva a leggerlo in questo modo, mi è venuta davanti questa frase:
“e l’interno del palato, che si fa velluto buio, di una profondità invisibile ad occhio nudo,”
perché, qui, non si tratta di una descrizione che dovrebbe rafforzare l’affermazione iniziale sulla supremazia erotica della bocca, ma di “rovesciamento” ingannatore di un topos [che in qualche modo ha a che vedere col “malocchio”], che citando direttamente ciò che viene rovesciato [occhio/bocca] arriva quasi allo scherno di noi lettori, con la sicurezza che noi lettori rimarremo comunque ingannati.
****
“Apollonides perhibet in Scythia femina nasci quae bithiae vocantur: has in oculis pupillas geminas habere et perimere visu si forte quem iratae aspexerint. Hae sunt et in Sardinia. [PTOLEM. Geogr.,III, 3,3.].”
Questo passo è citato, a pag. 57, in: RAFFAELE PETTAZZONI, La religione primitiva in Sardegna, reprint Libreria Scientifica Internazionale 1980, Piacenza 1912, il quale a pag. 58 scrive:
“Chi è stato in Sardegna, non può dimenticare lo sguardo delle donne sarde: sguardo intenso cupo e ardente, fascino ammaliatore pieno di forza arcana, che parve e fu temibile, come è temibile il mistero, all’anima e alla mente dei primitivi.”
E’ il giorno dell’Epifania del 1920 che D.H. Lawrence arriva in Sardegna, assieme all’Ape regina, sua moglie, Frieda von Richthofen, la figlia di Snoopy, il barone rosso.
Mi piacerebbe poter dire che ha letto e studiato Pettazzoni per prepararsi
a quel viaggio. Fatto sta che nel libro che scriverà: “Mare e Sardegna”, possiamo leggere:
“Si vede qualche viso affascinante a Cagliari: quei grandi occhi scuri, senza luce. Ci sono occhi scuri e affascinanti in Sicilia, grandi e lucenti, con una punta sfrontata di luce e un bizzarro girarsi, e lunghe ciglia: gli occhi dell’antica Grecia, per certo. [But here one sees eyes of soft, blank darkness, all velvet, with no imp looking out of them.(D.H. Lawrence)] Ma qui si vedono occhi d’una oscurità morbida e sorda, tutta velluto, da cui nessun diavoletto si affaccia. […che si fa velluto buio, di una profondità invisibile ad occhio nudo (Andrea Inglese)].E c’è, in loro, qualcosa di più misterioso e antico, di prima che l’anima prendesse coscienza di sé, prima che nascesse nel mondo lo spirito della Grecia. Remoti, remoti sempre, come se il segreto fosse nel profondo della caverna e mai affiorasse. Si cerca nella tenebra per un secondo, quanto dura lo sguardo, ma non si riesce a penetrare fino alla realtà. Questa arretra, come una creatura sconosciuta, sempre più in fondo nella sua tana. La creatura c’è, oscura e potente. Ma quale?”
C’è anche chi, dalla Sardegna ne è partito un paio di mesi prima che D.H. Lawrence vi arrivasse, ma ne scrive molti anni dopo e non è sicuro se sia proprio lui l’autore che ha letto:
Si tratta di C.E. Gadda che nel “Pasticciaccio” ci offre una traccia:
“Ingravallo, poi, aveva letto Norman Douglas oltre che Lawrence: e ne aveva stillato Calabria, Sardegna (ringhiando) come da fiale di un iperofficiante elisire. Gli sovvenne che uno dei due grandi erotologi, ma non realizzava quale, un bel giorno s’era trasformato in geodeta, e aveva considerato l’opportunità di redigere una mappa delle isoipse maschili, estendendola a tutta la superficie della terra. Aveva dunque triangolato, in sua geodesia, anche il territorio circeo, cavandone certezza che la Circe non si fosse piazzata poi tanto male a esercitare l’arte sua, ch’era d’ammamolare i giovanotti. Codesto territorio di più profittevole ammamolamento, cioè di più eccelso livello di potenziale maschile, era secondo Norman Douglas o secondo Lawrence, un triangolo sferico, o meglio geodetico. E i vertici, i capisaldi geodetici estremi dell’ineguagliabile triangolo, lui, Norman Douglas, o lui, Lawrence, li riconosceva emergere dalle tre città di Reggio (Calabria), Sassari e Civitavecchia, con grande dispetto dei palermitani. “Poteva arrivé un poco chiù a Norte, sto minch…iologo,” ideò muto Ingravallo strizzando i denti dalla rabbia: “spingersi un poco chiù a levante,” gli suggerì l’inconscio.”
Appurato che di Lawrence può trattarsi, ma non escludendo una lettura gaddiana del Petazzoni, ecco ancora il “Pasticciaccio”:
*
E l’aveva incontrata lei pure, una sera… du occhi!
“Che occhi!”: e Fumi seccò, fece spallucce.
“Mbè, sì, du occhi,” ribattè la Ines: “ma diversi.
Di zingara. du stelle nere dell’inferno. All’Ave Maria,
quanno che annotta, pareva ch’er diavolo se fussi
vestito da donna. Quell’occhi te mettevano paura.
Ciavevano come un’idea, dentro, de volesse vendicà
de quarcuno.
[…]
“… La Virginia”, fece Ingràvola col testone sul foglio, co la penna in mano, “quegli occhi!…”, e ripensò alla cena di San Francesco, alle perdute gentilezze. “… L’ho vveduti una volta sola quegli occhi!… Ma se ce penze, ereno d’una sardegnola di sicuro… Non è che in Sardegna ch’hanno quella luce!… Un lampo, ogni sguardo!…”.
“… Come se specchiassero na lama de cortello…”.
“… Un lampo cupo…”.
*
Non è finita. Siamo nel 1973.
Antonio Pizzuto, il 23 aprile, inizia a scrivere la prima pagina di “Ultime”, la sua penultima opera che verrà pubblicata assieme all’ultima intitolata “Penultime”. Prosegue il suo lavoro su quella pagina, che nella mia intepretazione si riferisce alle pagine iniziali di “Mare sardegna” quando D.H. Lawrence, lasciando la Sicilia, dove stava, per recarsi in Sardegna, passa per Palermo, e proprio sotto la casa di Pizzuto, ai Quattro canti, sta per essere travolto in mezzo al traffico delle carrozze.
La pagina continua su questa tema fino al 7 maggio.
A questo punto il lavoro subisce una lunga interruzione, dal 7 maggio al 28 dello stesso mese, segnata da due importanti avvenimenti.
Il 14 maggio Antonio Pizzuto compie ottant’anni.
Il 21 maggio, a un giorno dal centenario della morte di Alessandro Manzoni, muore Carlo Emilio Gadda [penultimo scrittore nella “Letteratura dell’Italia unita” di Gianfranco, in cui Pizzuto appare come ultimo] nato esattamente sei mesi dopo Antonio Pizzuto: il 14 novembre 1893.
La pagina, a quel punto, viene rovesciata, il tema inziale, completato, verrà tralasciato e diventerà come dice la curatrice francese del volume:“Maniére d’hommage à C.E.Gadda.”
Ma le righe dell’omaggio sono soltanto un quarto delle righe complessive, e in queste quattro, due righe predominano:
“o bocca bocca bella con i baffini furieri,”
“imo sguardo quanto la Fossa,”
*
Non sono io che ho detto che l’unico punto dove si concentra l’erotismo è l’occhio. Ma si può fare grande letteratura nascondendolo.
esistono silografie erotiche di hokusai molto belle, con enormi cazzi tumescenti, altrettanto enormi fiche di cui è analizzato ogni ciuffo di peli, ogni piega di mucosa: il tutto portato a mirabile sintesi, come solo lui e gli altri come lui sapevano fare.
tuttavia, mettendo da parte ogni possibile rivoltante ghezzismo, del tipo “…ingigantendo, sovraesponendo a forza di sguardo il dettaglio, lo sguardo-microscopio a cercarsi il varco d’entrata, il punto di allaccio (in entròpia?), che spesso è quello che ribalta in altro la consueta percezione – distratta – delle cose…” resta da spiegare quella che mi sembra una particolare inclinazione nipponica per il sadomasochismo estremo, come fosse una sorta di ossessione di massa
ma poi che si scatenino pure gli pseudo-ghezzi: nulla è più triste della cinefilia para-francese: ognuno cuocia nella sua brodazza: ma non è il caso di inglès, il cui testo è bello e di altra natura.
,
E’ il secondo brano che leggo (e che apprezzo) di Inglese: in entrambi non c’è punto fermo che alla fine. Scrivi sempre così? E se sì, perchè?
di Gianfranco Contini
@ Soldato Blu: molto interessante, quanto da Contini.
@ Tash: mi pareva strano, una ventina di commenti e ancora nessuno che attaccasse nessuno! Meno male, mi sento più a mio agio ora. Figurati che concordo persino, su Ghezzi, verso il quale nutro una profonda antipatia. Non so proprio nulla di brodazza filo-francese, invece, desolato.
Ad ogni modo, il commento che ti degni di citare è scritto in risposta ad un amico che ha letto oggi per la prima volta Inglese. Sicchè, non avrò centrato più tanto il tema, ma mi sembra che per introdurlo io gli abbia dato una traccia non credo poi così scema, come tu ti periti di notare.
Solo per chiarezza. Un saluto, e a domani
Il post di Inglese è sicuramente interesante.
Mi piace questo pezzo, soldato blu.
Chi è stato in Sardegna, non può dimenticare lo sguardo delle donne sarde: sguardo intenso cupo e ardente, fascino ammaliatore pieno di forza arcana, che parve e fu temibile, come è temibile il mistero, all’anima e alla mente dei primitivi.”
caro diamante, di norma scrivo o + o – pallosi saggi di critica accademica o militante, o poesie, ma con punteggiatura assai presente.
Questi testi fanno parte di una serie di prose, che hanno questa specie di slancio ad estenuarsi e a indefinitamente protrarsi. Sono prose che mi sembrano non narrative né (soprattutto) liriche. I maestri di questo fraseggiare estenuante: Beckett Innominabile e testi per nulla, o il poeta francese Tarkos, ad esempio. Ma cazzo, anche certi fraseggi di Foster Wallace (al limite dell’illeggibilità) e che dire di certo Moresco? Insomma, in molti e per diverse ragioni fanno a meno del punto.
l’importante – direbbe qualcuno – è venire al punto. Come in questo caso, al di là del “punto”.
Infatti proprio a Wallace, e segnatamente al Wallace di OBLIO, mi fai pensare. Il che è, naturalmente, un grosso complimento. Almeno per come la penso io. Davvero notevole il tuo non-finire, la tua sospensione, come quella di certi cestisti o calciatori che nell’elevazione rimangono in aria un po’ di più.
sadomasochismo e giappone?
ovidie, ex attrice e ora regista di film porno controcorrente (cazzi standard, donne che vengono…) diceva, semplificando, che ogni paese c’ha la sua. La francia la sodomia, gli usa l’elefantismo (di tette e cazzi, in primis), la germania il feticismo.
Non si esprimeva sull’itaglia.
@fabio teti
ok, chiedo scusa.
però il mistero della sessualità nipponica rimane: in quale altra cultura si sarebbe potuta produrre un’immagine come quella di okusai, dove una piovra lecca la fica a una ragazza, mentre un’altra piovra, più piccola, la bacia?
@tashtego
perchè non si documenta sul valore simbolico che hanno gli animali nella cultura nipponica prima di essere così sprezzante?
se ignora il tema, perché nonè così umile da dire a se stesso: mi documento?
la piovra simboleggia il mare (ma anche i segni zodiacali di Cancro e CApricorno) dal quale si nasce e si torna il mare che lambisce la vagina porta dell’ utero primigenio ma anche cavità che accoglie lussuriosamente il pene ed è il mare che bacia la bocca altra cavità (anche sessualmente accogliente) che è non solo bocca ma soprattutto mente che si fa parola e intelligenza femminile, intuito femminile e il bacio del mare è un segno di grande amore verso la mente femminile a cui nasce la parola ma parola intesa anche come rinascita come ciclo di vita… ci provo a dare la mi ainterpretazione, insomma
immagine comunque carica di ambivalenze e unione di opposti in cui si dovrebbero utilizzare i simboli, ossia cercare l’ aspetto trascendente, non spirituale.
un saluto
paola
correzione:
non spirituale = spirituale
chiedo scusa.
p.
@cara polvere
perché non si dà una calmata?
dove sarei stato sprezzante?
non le sembra un po’ ridicolo invitarmi licealmente a “documentarmi sur valore simbolico, eccetera”?
crede di essere a un dibbattido televisivo?
sono calma infatti il tono del mio post a lei indirizzato mi pare rispettoso e per niente impertinente. leggendo la sua domanda
ho letto solo dell’ ironia un poco fuori luogo. ad ogni modo se si è risentito le faccio le mie scuse.
non so molto bene come funzionano i dibattiti televisivi, ma in questi luoghi auspico sempre in un nutriente e schietto scambio di opinioni.
ps:non ho la licenza liceale e non ho nemmeno l’ età di una liceale.
un saluto a lei.
paola
il livello del dibattito è molto scadente, a partire dalle descrizioni anatomiche dello hokusai fatte in maniera disgustosa e superficiale.
peccato, il post merita e lo hokusai poteva anche restarsene dov’era, lo si sarebbe potuto discutere diversamente in luogo adeguato a tale dibattito, magari facendo una panoramica ad ampio raggio sulla tradizione della pittura cinese e giapponese, uscendo dal compiacimento descrittivo di un’immagine im-posta a caso e casaccio.
Sono pienamente d’accordo con Nàtalia.
Ho una vera passione per la grafica giapponese
e ne possiedo un discreto archivio elettronico.
Compresi i “schunga”.
Non penso che questa forma sublime d’arte
abbia qualcosa a che vedere con la “pornografia”,
se non per chi, vittima di un’educazione sessuofobica
cattolica di cui non si è ancora liberato, non riesce
a capire che quel disegno di Hokusai, se va rapportato
a qualcosa di occidentale, non è con “fica, culo
e tette”, ma con la Santa Teresa di Bernini.
Conosco anche rielaborazioni fotografiche
occidentali e poesie sul “tema Okusai”,
segno che l’arte di un paese può essere
intesa nel modo “giusto”, anche se non si
condivide la stessa cultura.
Basta provarci a mente aperta.
[…]
e siccome quando si parla di un’opera o di qualche particolare relativo ad essa si dovrebbe cercare di dare più informazioni possibili aggiungo che il titolo dell’ opera che cita tashtego e di cui ho parlato è
Dream of the fishermans wife (Il sogno della moglie del pescatore) titolo preso dal Wikipedia
grazie
un saluto
paola
va bene, mi correggo.
invece di “in quale altra cultura si sarebbe potuta produrre un’immagine come quella di okusai, dove una piovra lecca la fica a una ragazza, mentre un’altra piovra, più piccola, la bacia?” leggi: “in quale altra cultura si sarebbe potuta produrre un’immagine come quella di hokusai, dove un gigantesco octopus vulgaris pratica il cunnilinctus a una giovane donna, mentre un altro octopus la bacia?”.
ora spero che la vostra pruderie sia soddisfatta, le vostre sopra-ciglia si possano di nuovo distendere, che i vostri ditini alzati si abbassino oppure più proficuamente per voi si volgano in altre direzioni, verso altre mete.
tra parentesi, se il nostro valoroso soldato bleu pensa che le incisioni di hokusai non abbiano a che fare con il pene e la vagina “occidentali” (spero di aver scritto bene) si vede che non le conosce poi così bene.
Certo che hanno a che vedere con ciò che tu dici, Tash.
Ma, per esempio, penso la tua correzione “un gigantesco octopus vulgaris pratica il cunnilinctus a una giovane donna, mentre un altro octopus la bacia?” sia ancora sbagliata.
Perché non si tratta di “pruderie”.
Si tratta invece di questo: che un linguaggio – al di là del fatto se “corrisponde” all’oggetto – deriva da una “forma di vita”.
E che, parlare in quel modo di quel disegno, significa anche che Hokusai vede il sesso come un qualunque imbrattatore di cessi italiano o un perfetto cancelliere di tribunale, ancora italiano.
Il che, io spero, non corrisponde a verità.
@soldato
va bene, ti saluto, ho un bel po’ di cessi da imbrattare, oggi.
@ tashtego
so benissimo che non sei un “imbrattatore di cessi”, anzi, so che sei un raffinato disegnatore [mi spiace non poter essere alla presentazione del tuo libro e non poter ammirare gli originali dei disegni di quel libro che possiedo] e che sei anche un intenditore, tanto da avermi rimproverato, altra volta, per qualche mia debolezza da te non condivisa.
Ma è che – mi ci metto anch’io – la vocazione alla provocazione non usa mezze misure e quasi sempre ci porta a voler apparire come non siamo.
Altrimenti che provocazione è? A dire male degli altri sono buoni tutti, a dire male di se stessi un po’ meno. Il mio “imbrattacessi” era un complimento. L’offesa era “cancelliere”.
p.s.
E se Hokusai conoscesse la Santa Teresa di Bernini, e il suo “dream” della moglie del “pescatore” non fosse altro che una risposta a quella: Octopus Magnum: vagina, creazione: Dio, octopus piccolo, bocca, logos, cristo?
è curioso come la descrizione cruda e diretta di Tash abbia suscitato queste reazioni, d’altra parte se devo descrivere un’azione come quella disegnata da Hokusai, non ho molte possibilità: l’eufemismo è spesso irritante, lo scientifico è spesso ridicolo, il metaforico è spesso superfluo, il denotativo-volgare mi sembra tra le migliori soluzioni: al lecca la figa si può eventualmente sostituire lecca il sesso. Il guadagno non è enorme.
per chiarire la mia posizione ed evitarmi lo spiacevole inconveniente di ritrovarmi nel mucchio a causa di chi non presta attenzione alle parole e generalizza, mi permetto di far presente che a me non ha suscitato un bel niente leggere di fica leccata dalla piovra
era la costruzione della frase non per le parole usate, mi è parsa buttata lì tanto per fare e dire, buttata lì apposta per produrre pruderie o far prudere pruderie, ma soprattutto senza nemmeno citare il titolo dell’ opera descritta (sembrava un coito clandestino rubato al mercato del pesce da un paparazzo in bolletta) e, sapendo che tashtego è piuttosto severo con chi non dà riferimenti precisi sulle opere che tratta… mi sono un poco stupita. ecco tutto. in complesso, una costruzione poco riguardosa, a mio parere opinabilissimo, naturalmente.
un saluto
paola
Proviamo a fare un test, anche se non ho nessuno problema quando qualcuno attribuisce a pruderie certe mie reazioni.
Ammettiamo noi si debba descrivere a un’altro, che non li vede, e che non sa di che cosa si tratta, un disegno trovato in un bagno pubblico e il disegno di Okusai. Si tratta dello stesso atto.
Ma noi dobbiamo descriverli in modo tale che chi no li vede, alla fine, sia in grado di dire che uno è un disegno di una imbrattacessi e l’altro il disegno erotico di un grande artista orientale.
Dobbiamo usare essenzialmente termini “oggettivi”, descrittivi.
Siamo sicuri che, dovendoci assumere questo compito, la nostra “disposizione” non tenda a dare descrizioni completamente diverse delle due cose, sia nella scelta delle parole che nelle costruzioni, anche se in entrambi i casi si tratta di “leccata di figa”?
“Leccata di giga” significa soltanto “leccata di figa”.
Se dobbiamo distinguere e far distinguere, nel primo caso bisogna evocare un cesso, nel secondo Hokusai.
D’altronde, tra gli schunga più belli ci sono proprio quelli sono ambientati nei bagni pubblici.
E’ invece interessante come il sesso scateni ancora pezzi, scritture e commenti tutti molto tecnici, tecnicali, informati come questi, su uno dei siti letterari guida in Italia. Magari intendere il sesso come sex, entrare nell’ordine delle idee del sex come qualcosa di overrated, lasciare che donne, uomini e genders facciano ginnastica senza caricarlo di significati culturali? Perche’, dico, da un lato il machismo sa oggi di viagra e dall’altro l’intimismo sa di taboo e inibizioni.
Da tutta questa girandola di parole e pruriti, vengono alla mente il supermercato youporn e il nipote “grande, grosso e frescone” della Sora Lella in uno dei primi film di Verdone.
Resta certa una cosa: che non immaginavo nemmeno lontanamente come una mia svelta associazione mentale, l’Hokusai che linkavo, pertinente al limite, credo, per quel tentacolo oculare che scruta nella bocca della giovine, potesse prendersi tanto spazio nei commenti. E voleva essere un marginalia, un cartone visivo di accompagnamento-divagazione, non più di questo. Nonostante ne sia venuta una discussione interessante, mi spiace di aver spostato l’attenzione dalla prosa, splendida, di Inglese, a questioni alla lunga non più troppo attinenti ad essa.
no, no, fabio e giusco, la discussione è solo apparentemente un OT, c’è una poesia di un poeta francese Viton che ho tradotto per un’antologia che uscirà in Italia che ha questo leit-motif:
Alors, en poésie, comme on dit, comment parler de cul?
La cui traduzione suona: Allora, in poesia, come si dice, come si parla di sesso?
Anche se il termine sesso è molto più neutro e grigio di “cul”, che magari potrebbe essere tradotto con “trombare”, parler de cul – parlare di trombare (dove trombare sarebbe sineddoche di tutto quanto si può fare con i corpi…).
La discussione è quindi innanzitutto tecnica: con quale registro, tono, vocabolario parlare degli atti sessuali e di tutto ciò che vi gira intorno?
Sapendo che ogni scelta di registro e tono implica imporre una prospettiva a quell’universo… (Naturalmente, c’è un altro tipo di tecnicismo che può intervenire, in genere meno interessante: quello di chi punta tutto sull’esperienza, sul “io lo so come si fa adesso ti spiego”, “io sono aggiornato in fatto di perversioni, adesso ti racconto gli ultimi gadget del S/M”, ecc.)
La distinzione di soldato blu che trovo interessante in realtà non mi convince: il disegno nel cesso e la stampa di Hokusai… dal punto di vista denotativo parlano di una stessa cosa…
Volevo intervenire già prima, ma non l’ho fatto perché mi era necessaria una citazione, che ho, ma di cui non ho segnato la provenienza negli appunti.
Ricordo, con riserva, di abverla copiata da: “Patanatajali, Gli aforismi dello yoga, o da: Abhinavagupta, Essenza dei Tantra, entrambi Boringhieri. Ma non ho tempo nè voglia di verificare, i libri non sono segnati.
Mi sarebbe dovuta servire per contestare la esaustività delle forme (retoriche?) elencate da Andrea Inglese come possibili in fatto di sesso, accompagnandola con una piccola provocazione, affermando cioè che la sua stessa [bella] scrittura si avvicina di più a quello che propongo io, più quanto non usi ciò che enumeri lui.
La citazione è questa:
“Il dire la verità significa
che mente e discorso devono
corrispondere all’oggetto;
mente e discorso debbono
essere così come è ciò che
è stato visto o udito.
Se il discorso è proferito
allo scopo di trasporre in
altri la propria conoscenza,
non deve essere ingannevole
o errato o insufficiente.”
Ma che può voler dire?
più di quanto non li capiti di servirsi di ciò che ha enumerato.
il sesso nella cultura orientale è “arte”, il raggiungimento reciproco del piacere è arte, cultura, filosofia …. questa è la sottile differenza
non mi sconvolge parlare di “fica”, mi crea disgusto la svendita tutta occidentale del termine che ha sì radici culturali estremamente povere soprattutto nei confronti del concetto di piacere attirbuito alla fica stessa
che non è vista che come “un pzzo di carne” … in questo caso da “pescheria”
levo il disturbo.
Qual’ è il nocciolo? L’ irrapresentabilità dell’ atto sessuale? Perché dovremmo nasconderci dietro al bel verbo? Andrea Inglese, che è autore del pezzo che stiamo commentando, non lo fa.
Il Giappone rimane sempre la patria di Nagisa Oshima, così quanto rimane la patria di una classe borghese piena di frustrati che comprano mutande di liceali sporche di merda. Se questo offende qualche bello spirito che ritiene inviolabile la sacralità spirituale di un popolo in base a qualche linea filosofica di dubbia attribuzione, beh, credo che l’ “avversario” qui diventi il reale. Oggi ho assistito a un dibattito all’ università in cui interveniva quell’ essere chiamato Luca Mastrantonio, e se penso che tra i “pensatori” debba incunearsi questa nientistica, pallida, becera, arresa elucubrazione cerchiobottista di tranquille nostalige da equidistanza, allora ditemelo che mi sparo in una narice.
Mi piacerebbe che la gente usasse la propria cultura, non che ci si facesse scudo. Sai com’ è.
E poi la fica E’ un pezzo di carne, alla base. Posso fare del riduzionismo? Non vorrei che a qualcuno “si arrossassero le gote”. Nessuno vuole più usare i termini della CARNE. Certo che NON E’ SOLO un pezzo di carne. E’ simbolo tra i simboli, forse uno dei più eterni. C’è bisogno di precisarlo, o si può andare avanti constatando che non abbiamo 13 anni?
Il sesso è arte DOVUNQUE se ne faccia dell’ arte. Perché, in Crash di Cronemberg non è arte? In occidente, in oriente e in altri luoghi cardinali o metaforici il sesso è un atto, un oggetto, e un movimento. Se ne può fare un arte o ridurlo a sfregamento di carni. E’ una libera scelta. Quella occidentale è una scelta disgustosa nel 98% dei casi, e sono d’ accordo. Ma per carità, basta uscite demenziali, come se scrivere forbito fosse una scusa per la grettezza.
torno per un momento, rileggendo delle vecchie traduzioni mi sono imbattuta in questa mia, che – parlando di sesso, arte e piacere – spero non sia OT almeno quanto l’Hokusai:
Inconfesiones
Es tan adorable introducirme
en su lecho, y que mi mano viajera
descanse, entre sus piernas, descuidada,
y al desenvainar la columna tersa
-su cimera encarnada y jugosa
tendrá el sabor de las fresas, picante-
presenciar la inesperada expresión
de su anatomía que no sabe usar,
mostrarle el sonrosado engarce
al indeciso dedo, mientras en pérfidas
y precisas dosis se le administra audacia.
Es adorable pervertir
a un muchacho, extraerle del vientre
virginal esa rugiente ternura
tan parecida al estertor final
de un agonizante, que es imposible
no irlo matando mientras eyacula.
Ana Rossetti
Inconfessabile
È talmente delizioso introdurmi
nel suo letto, mentre la mia mano vagabonda
riposa, abbandonata, tra le sue gambe,
e sguainando la colonna tersa
– il suo cimiero rosso e sugoso
avrà il sapore delle fragole, piccante –
presenziare all’inaspettata espressione
della sua anatomia che non sa usare,
mostrargli l’arrossata incastonatura
all’indeciso dito, mentre in perfide
E precise dosi gli si somministra audacia.
È delizioso iniziare
un ragazzo, estrargli dal ventre
verginale quella ruggente tenerezza
tanto simile al rantolo finale
di un agonizzante, che è impossibile
non condurlo a sfinirsi mentre eiacula.
n.c.
Boh, che questo escamotage di natura per i fini riproduttivi di specie sia ancora, nel 2009 (con tutte le sublimazioni dell’istinto di sopravvivenza attuale: culturali, tecnologiche, sociali) il principale passatempo e un argomento portante di arte -e di vita pubblica e privata, aggiungerei- rende l’idea di come la specie umana sia ancora molto giovane, in un ipotetico cammino di evoluzione che ha radici piu’ profonde e lontane delle calligrafie orientali e degli sbalzi d’occidente.
E’ un dispiacere, per me, sognante e tecnicale esploratore degli spazi di materia e di quelli siderali, piu’ che mucosali, non vivere nel 12009, dovermi ancora rapportare a fantasmatiche evaporate dall’eta’ del bronzo o nei vaudeville d’oltralpe e oltreoceano.
Capisco comunque di essere in netta minoranza e dunque, come mi sono permesso di esprimere perplessita’ (da un punto di vista “utile” alla specie, se non ne azzannate per il pragmatismo), mi ritiro di buon grado, riaccosto il paravento e torno a rimirar le stelle.
I partiti si sono divisi ancora una volta.
La prima divisione riguardava il “come” parlare del sesso.
Ora la discussione è come “non” parlarne.
Ero più affascinato dalla prima problematica.
E infatti, fregandomene altamente degli “adultosi”,
continuerò come se fossi l’adolescente che vorrei sempre essere.
Voglio contestare l’Inglese di 15.49
“il disegno nel cesso e la stampa di Hokusai… dal punto di vista denotativo parlano di una stessa cosa…”.
No. Non si sta parlando o denotando, o perlomeno io non vorrei parlare, di quella “cosa” [“quel pezzo di carne” dicono alcuni, senza capire che quello lo sanno tutti, ma che quando qualcuno si esprime in quel modo suscita un’insana curiosità sul perché si esprime in quel modo] si sta parlando, invece, dei modo, diversi, di vedere il sesso.
E questo, forse per un malinteso estetico, perchè capita anche a me di pensare che un modo più complesso e artisticamente pregnante di esprimerlo, significhi anche un modo più complesso e artisticamente pregnante di goderlo.
Era questo soltanto quel lieve fastidio iniziale, un certo modo di parlarne non raggiunge la mia sorgente di erotismo, mi presenta la cosa come pornografia di quella meno buona, e il “dream” di Okusai come qualcosa per cui non vale più che:
“mente e discorso debbono
essere così come è ciò che
è stato visto o udito.”
rileggendo il pezzo di Inglese, mi piace riportare per rifletterci questa frase che ritengo uno dei muri portanti o il soffitto portante il punto di sospensione
non si capisce da che parte viene cercata la liberazione dal male…
da che parte… il male
interessante.
un saluto
paola
urca.
ana rosseti: el revés de lorca.
Ares
Chi sa come mai l’erotismo(?) contemporaneo ultimamente pone sempre più la sua attenzione sulle frattaglie umane nella loro moltitudine; sembra un maldestro tentativo di ricomporre il tutto, in prodotti letterari e cinematografici che sono dei veri e propri puzzle anotomici infarciti di interrogativi ancestrali..
.. che sia un tentativo di ricondurre tutto all’unità ??..
mah.. non ci dormo la notte..
si cerca l’ origine?
o si origina il cercare? cfr cerchiare
un saluto
paola