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Francesca Genti: bimba urbana e ragazza kamikaze

di Marco Simonelli

Persino tra noi quattro lettori di poesia contemporanea italiana persiste la convinzione che la lirica, intesa come genere poetico, sia esausta, esaurita, decisamente inadatta al nostro tempo se non addirittura dannosa: siamo abituati a bollare i brevi componimenti in versi a tematica amorosa con gli epiteti più spregevoli: “poeticume liricheggiante”, “sbrodolamento versificato”, “sentimentalismi adolescenziali”; ne stiamo alla larga e ne parliamo a bassa voce come mamme all’asilo preoccupate per un’epidemia di pidocchi. Ci piace l’epica poematica, l’impegno civile metapoetico, avanguardistico, neo-metrico o neo-orfico – il resto è raccolta differenziata.
A farci percepire la nostra imbecillità ci pensa questo piccolo capolavoro di Francesca Genti che porta il titolo di “Poesie d’amore per ragazze kamikaze”, liriche di quelle che “esprimono il sentimento più intimo del poeta”, come vuole la definizione canonica e non se ne vergognano affatto, anzi: la sfoggiano con una grazia sobria eppure compiaciuta, proprio come farebbe una giovane padrona di casa che indossa un semplice tubino nero capace d’esaltarne la bellezza e lascia alle matrone ingioiellate sue ospiti la tronfia convinzione che l’avvenenza sia strizzarsi in un Dolce&Gabbana leopardato.
Sia chiaro che, nonostante la strategia retorica di Genti faccia di tutto per dimostrare il contrario, non siamo di fronte all’opera di una principiante, di una ragazzina che scrive pensierini (seppur geniali) sul diario: si tratta piuttosto di un’opera che prevede la dissimulazione della riflessione profonda, la semplificazione ai minimi termini della complessità del reale, il camuffamento come strategia comunicativa. Francesca Genti possiede una saggezza epicurea che per essere applicata ed espressa artisticamente necessita di una maschera, la dramatis persona della Bimba urbana (così si intitolava infatti la sua prima raccolta uscita per le edizioni Mazzoli nel 2001 e poi parzialmente ripresa e ampliata nel successivo Il vero amore non ha le nocciole, Meridiano Zero, 2004). Capricciosa e assolutista, dolcissima (ma d’uno zucchero sapientemente filato che mai sconfina nell’attacco iperglicemico fine a sé stesso) quanto spesso lugubre e risentita fino a sfiorare il paradosso, la bimba urbana è invincibile perché armata fino ai denti delle proprie debolezze e del proprio candore, è facile immaginarla come un supereroe (supereroina) di un manga di ispirazione neorealista:

vorrei essere la slava del metrò
che combatte gli albanesi attaccabrighe.
la ragazza kamikaze poesia
che ti uccide e si sfracella in quattro righe.

Tigre e pulcino, indifesa e agguerrita, la bimba urbana sperimenta e riversa in poesia una gamma di stati d’animo contrastanti: da un “effetto di gioia immediato” provocato da una “sborrata arcobaleno” paragonata a “un chilo di gelato”, alla “luna di mattino a primavera” e a “una bella notizia sul giornale”, fino alla tanto breve quanto malinconica Al suono ipnotico della lavatrice:

lavo le mie macchie
curo le ferite
trasformo il dolore in cicatrice.

La poesia di Genti sembra svilupparsi sulla ripetizione di elementi-base rintracciabili nella maggior parte del corpus: il titolo, quasi sempre parte integrante del testo tanto da generare rime nei componimenti più brevi, è un’ouverture bizzarra e straniante ad una variazione-riflessione sul tema del quotidiano declinato come un correlativo oggettivo dello stato d’animo dell’autrice. L’ironia che pervade il libro, lungi dall’essere impiegata in un mero divertissement, è piuttosto scudo con cui difendersi da un ipercritico superego. Si veda ad esempio È eterno solamente il desiderio

quindi non riesco a prenderlo sul serio:

gli anelli di famiglia i matrimoni la festa
di natale pasqua e le altre tradizioni.

(sono una nuvola rigonfia di tempesta
un vecchio frocio senza più illusioni).

Alla perentoria sentenza del titolo (che forma un distico a rima baciata col primo verso) fa seguito una quartina la cui prima parte ha il compito di chiarire tramite elencazione l’accidente biografico della riflessione mentre nella seconda racchiude in parentesi gli esiti lirici: se la “nuvola rigonfia di tempesta” potrebbe essere di per sé immagine abusata e trita, il “vecchio frocio senza più illusioni” spinge in alto l’originalità metaforica aggiornando i linguaggi dell’esito emotivo.
Nel lessico volutamente semplificato di Genti, l’amore non ha esclusivamente a che fare con l’eros piuttosto con un sentimento di appartenenza e identificazione verso la natura (sempre consigliera o consolatrice, intravista nel grigio di una Milano alienante) e verso gli oggetti: il “castoro di peluche” visto come unico interlocutore, un “panino depressivo” per identificare “il dolore delle cose”, schermi del computer, bibite, alcolici, gatti – elementi più prosastici che lirici i quali erompono nel dettato piano perfettamente cesellato dalle rime proponendo risultati surreali tuttavia dolorosamente riusciti.
A voler guardare più in profondità il corpus poetico di Francesca Genti, potremmo intravedere remote matrici della tradizione letteraria italiana: Pascoli, ad esempio (cos’altro potrebbe essere la “bimba urbana” se non una versione del fanciullino al femminile, proiettata nel ventunesimo secolo e pronta a meravigliarsi di fronte a un “tramonto rosa bibita”, ad un glicine parlante, ad un sole-psichiatra i cui “raggi sono un elettroshock”?) Potremmo citare il primo Palazzeschi per la commistione costante di serio e faceto capace però di produrre immagini imprevedibili quanto lancinanti e precise; l’insistenza sul tema amoroso e la limpidezza del verso potrebbero discendere da Penna e, volendo, potremmo anche cercare rapporti di cuginanza stilistica con due autrici contemporanee come Vivian Lamarque e Patrizia Cavalli, se solo non fosse evidente quanto il discorso di Genti rifugga dal (seppur pregevole) ritmo cantilenante della prima quanto dalla tendenza epigrammatica della seconda. Stratagemma che dimostra la necessità di un discorso poetico capace di avvicinare un numero di lettori maggiore dei quattro di cui sopra, la tendenza al candore e all’assolutismo infantile di Genti è una seducente prosopopea che tocca i temi più scontati di ciò che comunemente viene percepito come “poesia”, li fa propri, attuali e rinnovati grazie ad una costruzione metrica che accoglie riferimenti e figurazioni pop, accessibili e tuttavia potenti, efficaci soprattutto quando il discorso approfondisce il dramma: si veda ad esempio un testo come Io, oggi, con la mia disperazione in cui l’autrice si confronta col suo lato oscuro che ha le fattezze di una tigre “a cui voglio tanto bene/ ma che non riesco ad addomesticare”; oppure Sono la guardia e sono il delinquente, “ululato” che “da dentro la prigione della mente/ nell’ergastolo dell’autolesionismo/ risuona all’infinito”, una poesia che utilizza una ridda linguistica capace di confonde l’io col tu per materializzare a parole l’umana, nevrotica condizione dell’autontimerumenos.
Libro profondo tuttavia cantabile, serio nonostante eviti ad ogni pagina di sembrarlo, Poesie d’amore per ragazze kamikaze, nella sua tormentata ricerca dell’amore e della serenità è un prodotto letterario godibile e per niente frivolo.
Francesca Genti oggi è forse l’unica poetessa italiana che riuscirebbe a utilizzare la rima “cuore/amore” evitando anche solo l’ombra della banalità.

22 COMMENTS

  1. c’è una densità della trasparenza nei versi di Francesca Genti sorprendente come il tempo.una cosa da assoluto stupore.da incorniciare. il confondersi di atomi con spazi di nuvole azzurre e cieli anneriti di spinte ripartenze di vortici e costellazioni di parole fortissime
    una poesia che esce fuori dal buio come una tigre
    straordinaria.
    c.

  2. un bell’invito a conoscerla, di lei ho letto qualcosa in vari siti, troppo poco per esprimere un qualsiasi giudizio.
    mi fido quindi di quanto su lei qui scritto e ordino il libro.

  3. “Francesca Genti possiede una saggezza epicurea”, questa e molte altre osservazioni di Simonelli le trovo molto azzecate, e non credo sia un caso questa lettura brillante e congeniale, conloscendo le poesie dello stesso Simonelli. E il riferimento a Patrizia Cavalli mi sembra molto calzante, considerate tutte le differenze.

  4. Mi fa piacere leggere una recensione così seria e approfondita per il nuovo libro di Francesca, ove non solo si sfugge al cliché su di lei troppo usato e fuorviante della “bimba urbana”, pur in tutta la sua vitale freschezza (non a caso l’espressione “bimba urbana” l’ha inventata Genti, non è posticcia), ma, anzi, lo si smonta. Concordo pienamente con Simonelli quando scrive: “Sia chiaro che, nonostante la strategia retorica di Genti faccia di tutto per dimostrare il contrario, non siamo di fronte all’opera di una principiante, di una ragazzina che scrive pensierini (seppur geniali) sul diario: si tratta piuttosto di un’opera che prevede la dissimulazione della riflessione profonda, la semplificazione ai minimi termini della complessità del reale, il camuffamento come strategia comunicativa”.
    Sgomberato il campo da questa falsa interpretazione “infantilistica”, si può senza equivoci abbandonarsi al godimento della lettura vivacissima di queste storie e visioni che a me richiamano come spirito di vagabondaggio contemporaneo e di magica riflessione le indimenticate “stagioni in città” di Marcovaldo. Una lunga passeggiata per Milano dove un mondo tenero (???) e colorato ti si spiaccica addosso. No, va detto meglio: dove il colore del mondo trasforma in modi psichedelici le durezze dello stesso, siano esse emarginazioni metropolitane o inevitabili ferite di crescita.

  5. Feroce.
    Come una tigre da ammansire.
    Invano. Non riuscire ad addomesticarla.
    Non conoscerne i trucchi.
    Gli stessi da provare all’ipermercato.
    Sgargianti felicità confezionate, colori ipnotici da spacchettare.

    A me erano mancati maledettamente i suoi versi catarifrangenti, i suoi arcobaleni artificiali, i suoi balzi struggenti, i suoi dolori naturali, le felicità inseguite, gli auto-stop emozionali.
    Da un mese dopo anni di attesa sono sul comodino.
    Quotidianamente ricevono le mie cure.

  6. W Francesca Genti.
    fa versi ironici e intelligenti.
    Ordino subito il libro su IBS.
    Bellissima recensione. Grazie.

  7. per definire ciò che penso della poesia di francesca genti mi viene subito in mente tartini e la sua ricerca inesausta del terzo suono, quel suono che ci colpisce ineluttabile e profondo dritto nel cuore, lasciando un’impronta di emozione e bellezza perdurante, e poi mi viene anche in mente eraclito e il suo aforisma dove dice che tutto accade secondo contesa, contesa che la poesia di francesca esprime continuamente sia nei suoi contenuti teneri e duri, leggeri e terribili, che nella forma, apparentemente semplice e nel contempo profondamente ricercata.
    La poesia di francesca genti è sua e di tutti, e tocca profondamente e lievemete la mente e il cuore di chi la legge.

  8. Mi è capitato di aver letto due o tre poesie di Francesca Genti: mi sono molto piaciute.

  9. avevo letto gameboy della raccolta precedente in una classe di un istituto tecnico, classe solo maschile, e avevo chiesto ma secondo voi per chi scrive la genti e un ragazzo aveva detto ‘beh scrive per noi’, io avevo pensato ‘magari’, ma era bello che si fossero riconosciuti nel pubblico di queste poesie.
    bella recensione di simonelli, bravo.

  10. ho letto il libro pochi giorni fa, e m’era venuta voglia di scrivere qualcosa che assomigliasse alla recensione di simonelli qui sopra! bella e giusta!

    ciao,
    lorenzo carlucci

  11. Marco Simonelli desidera ringraziare tutti coloro che hanno espresso apprezzamento per la sua recensione. Il merito è in parte suo e in parte del libro della Francesca che è grandiosa.

  12. Ho letto il libro dopo aver letto il post.

    Il bravo Marco.

    La meravigliosa Francesca.

    Ho visto anche sprazzi di scialoja, e colorato il grigio pomeriggio milanese.

  13. … e Francesca Genti ringrazia Marco Simonelli, perché davvero la recensione è bella, seria, sensibile e indovinata.
    E poi anche i lettori che apprezzano i miei versi e il mio sentire così ben rivelato da Marco.

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francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Curo laboratori di poesia e fiabe per varie fasce d’età, insegno storia delle religioni e della magia presso alcune università americane di Firenze, conduco laboratori intuitivi sui tarocchi. Ho pubblicato questi libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Higgiugiuk la lappone nel X Quaderno Italiano di Poesia (Marcos y Marcos 2010), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Appunti dal parco (Vydia, 2012); Nel sonno. Una caduta, un processo, un viaggio per mare (Zona, 2014); Acquabuia (Aragno 2014). Dal sito Fiabe sono nati questi due progetti da me curati: Di là dal bosco (Le voci della luna, 2012) e ‘Sorgenti che sanno’. Acque, specchi, incantesimi (La Biblioteca dei Libri Perduti, 2016), libri ispirati al fiabesco con contributi di vari autori. Sono presente nell’antologia di poesia-terapia: Scacciapensieri (Millegru, 2015) e in Ninniamo ((Millegru 2017). Ho all’attivo pubblicazioni accademiche tra cui il libro Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014). Tutti gli altri (Tunué 2014) è il mio primo romanzo. Insieme ad Azzurra D’Agostino ho curato l’antologia Un ponte gettato sul mare. Un’esperienza di poesia nei centri psichiatrici, nata da un lavoro svolto nell’oristanese fra il dicembre 2015 e il settembre 2016. Abito in un borgo delle colline pistoiesi.