La paura
di Riccardo Held
È sempre quello torna sempre uguale
e sono già passati quarant’anni
ma torno sempre lì non serve a niente,
riesce sempre a farmi così male,
qualcuno o qualche cosa mi ha spezzato,
tolto di mezzo, rotto, fatto fuori,
e non ho mai capito ve lo giuro,
non lo capisco oggi cosa sia,
so solo che è così, precisamente,
mi basta per saperlo la paura
che non mi lascia mai, resta in silenzio,
nei luoghi dove sono, sta discreta
mi aspetta, mi precede, mi accompagna
discretamente, siamo in confidenza,
ci conosciamo ormai da tanto tempo,
e nessuno mi crede, un’altra cosa
strana a pensarci, mai nessuno
nemmeno lei, nemmeno i pochi
che mi tengono in cuore e che ho nel mio,
ma sono “bello, forte e intelligente”,
guardo le donne e a loro non dispiace,
loro mi guardano e non dispiace a me,
e non cosa sia l’altra paura,
quella fisica e poi la frustrazione,
che non ho mai capito cosa sia,
ma ne parlano tutti nell’ambiente,
spero che sia qualcosa come quando,
compri le rose e poi le butti via
perché non sai a chi potresti darle,
ma se avesse a che fare col lavoro,
la stima, l’autostima, quella roba,
allora è molto bene non capire
che cosa sia, perché non esiste.
Se lavori sul serio, sulla carne,
lo sai da solo prima di ogni altro,
se ti racconti palle, se ci provi,
non c’è uomo, non dio che ti consoli.
Poi ci sono i maestri, ma in quel caso
è solo colpa tua se non impari,
o colpa del maestro e in questo caso,
chi se ne frega anche dei maestri.
Ma fatemi tornare alla paura,
io la posso tradurre in cinque lingue
vive, due morte e due dialetti,
paura, peur, miedo, fear, Angst,
vi risparmio le morte e i dialetti;
che sia la povertà? Non credo proprio,
la conosco, e intendo la paura,
da troppo tempo prima che sapessi,
che mi rendessi conto del problema;
non che non sia capace, quella vera,
dico la povertà, di avvelenare
istante dopo istante proprio tutto,
ogni cosa, di togliere i profumi,
i colori, la voglia, il piano, il senso,
la direzione, il gusto e la scansione,
ma il mio caso purtroppo è differente
quella cosa che dico c’era prima.
Nella carne, nel cuore, nella mente,
nel disco duro e sulla superficie,
negli accessi remoti e inamovibili,
le periferiche, gli indici, gli archivi,
le cartelle nascoste e quelle in chiaro,
in tutte le risorse di sistema,
nella barra d’avvio, degli strumenti
gli accessori, le chiavi di registro,
nela memoria fissa e disponibile,
nei formati, tabelle di scrittura
è nascosta da sempre quella cosa,
che per noi porta il nome di paura.
Io dico noi perché non è poi vero
che sono quarant’anni che va avanti,
oppure è tutto vero, ma è soltanto
dal novecentoeottanta, fine maggio,
da quella prima volta che l’ho vista
che ho dato un nome, ho dato lineamenti
e un profumo una voce a quela cosa,
che vi voglio spiegare, voglio dirvi.
Ma come posso fare per spiegarvi
per dirvi cosa sia, che bella cosa
anche soltanto un attimo di quiete,
insieme a lei; chi trova le parole
per quella cosa immensamente bella
quando la vedo scendere un momento
scostarsi dalla scala del dolore
dischiudere la gabbia, aprirsi un poco
mettere sui suoi occhi, su quegli occhi
senza uguale né fondo, un po’ di luce,
quella luce che scende sul sorriso
e fa della sua bocca un’altra cosa,
un comando innegabile, profondo,
e luminoso e buono, imperativo
di volere quel bene, di cautela,
e prudenza e non deludere,
non offendere mai, non fare il male,
tenere tutta dentro la sua vita,
fragile bella oscura calda e offesa,
rotta come la mia da tanto tempo:
la mia paura è non saperlo fare,
la mia paura è lei, la mia paura,
è lei la mia, la sola vita bella.
E noi siamo una notte e questa luce.
La mia luce più calda è questa notte.
La mia felicità è la mia paura.
*
Riccardo Held, La paura, Milano, Libri Scheiwiller, 2008, pp. 98, 14 euro.
‘la mia paura è non saperlo fare,
la mia paura è lei, la mia paura,
è lei la mia, la sola vita bella.
E noi siamo una notte e questa luce.
La mia luce più calda è questa notte.’
meravigliosi…
senza la paura l’uomo non cresce.
La paura è una poesia che dal centro irraggia.
La paura ha nomi diversi.
Angoscia, animale rintanato in sé, che rosicchia, fa un rumore dentro.
Questa poesia scaccia la paura fuori, nel corpo della parola in luce, si vede l’animale nello specchio dei versi.
Grazie per la scelta.