Storie di migranti (un blog)

[Ad una manifestazione anti-razzista ho conosciuto Katie Hepworth, una giovane artista australiana, con una formazione di architetto e un’esperienza di militante. Mi ha segnalato il sito passa parole, in cui ha raccolto e trascritto con amici italiani storie di migranti per lo più “invisibili”. Insomma, un’australiana, a Milano, che ascolta racconti di cosidetti extracomunitari. Speriamo che ci sia qualche italiano curioso di leggerli e di diffonderli. a. i.]

Io sono Senegalese. Sono in Italia da un anno e sei mesi. Tu parti e pensi che l’Europa e’ il paradiso, perchè nei film noi vediamo dei bei vestiti, delle belle macchine, delle belle ragazze, ma è difficile vivere qua in Italia. In Senegal c‘è la bella vita, c’è tutto, ma noi del Senegal viviamo per i nostri parenti. Le culture Europea e Africana sono diverse. Nella vostra cultura, voi guadagnate la vostra vita da soli, per affittare una casa, per vivere da soli. Noi non viviamo cosi, noi viviamo per la famiglia, per aiutare nostro padre, nostra mamma, nostro cugino, tutti. In Africa non ci sono due persone, tre persone, una persona, noi viviamo in famiglia. Io non sono qua per vivere solo per me, sono in Italia per aiutare mia mamma. Lei mi ha detto “tu sei il mio figlio più serio, sei tu che devi andare per primo.” E ha preso tutti i suoi soldi, il braccialetto, ha preso tutto, ha venduto tutto, per mandarmi qua, per darmi dei soldi per fare il viaggio per partire, per fare, per trovare lavoro, per aiutare.

Prima sono andato a Brescia e sono rimasto un anno e sei mesi, e adesso sono qui a Milano da 3 mesi. Sono appena arrivato a Milano. A Brescia c’è la Lega Nord adesso, per questo sono andato via. Sono stato un anno e tre mesi senza lavoro. Se non puoi lavorare, vai a vendere [borse]. Per forza devo fare questo lavoro, di mettere le cose da vendere per terra. Non posso fare altro che vendere la roba cosi. Ci sono due possibilità per noi: se non hai il permesso di soggiorno, non puoi lavorare; se non puoi lavorare, non puoi avere qualcosa da mangiare. Mia mamma mi ha pagato il biglietto per venire qua. Io non posso restare a casa a dormire, senza pagare il mio affitto, senza pagare da mangiare, senza mandare qualcosa alla mia mamma nel nostro paese. Ho lavorato qualche giorno in ditte Italiane, e ho anche fatto della pubblicità, volantinaggio. Devo fare qualcosa, e quando non posso lavorare vado a vendere: devo per forza vendere le cose per strada. Ma adesso con le cose che si vendono così non si guadagna niente: c’è la crisi. Perciò la gente non compra. Adesso loro (gli italiani) dicono sempre che noi abbiamo rubato il lavoro dei loro figli, loro dicono questa cosa. Ma sai una cosa? Siamo noi che lavoriamo in fabbrica, che facciamo lavori pesanti che ti possono fare male. I loro figli non vogliono fare questi lavori, ma loro dicono comunque che noi abbiamo preso tutto il lavoro dei loro figli.

Quando tu scrivi su questo lavoro di vendere per strada, scrivi che questo lavoro e’ un lavoro brutto. La gente ti manca di rispetto. Vedono che tu sei lì per lavorare, ma non ti guardano. E poi, quando metti la roba giù, ci sono tanti problemi: i vigili, la polizia, la finanza, i carabinieri. Quando torni a casa, quando dormi, i tuoi sogni diventano questo: carabinieri, finanza, vigili. Non sono tranquillo per questo. Anche senza vendere non sto tranquillo. Se sei nero, ti fermano, ti chiedono documenti. Se non hai documenti, loro ti prendono, ti tengono due giorni, tre giorni, quattro giorni. Ti mandano in prigione, perciò quando sei fuori devi nasconderti bene, ma non sai quando loro ti possono prendere, ed espellerti. La prima volta, quando ti fermano, ti tengono 24 ore poi ti danno il “foglio di via” (di espulsione). Poi, quando ti prendono ancora, devi stare recluso due o tre giorni. Poi devi andare in tribunale. È come un film: ti mettono le manette, ti trasportano con cinque o sei macchine, usano la sirena, come se avessero preso un assassino. Ma sai una cosa, noi non abbiamo fatto niente. Quando mi hanno preso, mi sentivo male, una persona veramente degna non deve andare in galera. Mi ha fatto male. Ti fa male perchè vuoi tornare al tuo paese e rimanere lì, ma quando pensi questa cosa pensi anche alla tua mamma, pensi che devi essere forte, che devi lavorare. Perciò noi siamo forti e non abbiamo paura di loro. I poliziotti, come altre persone, possono essere buoni, ma ce ne sono di razzisti, cattivi. Non vogliono vedere una persona vendere. Quando metto la roba giù mi dicono “ma tu, negro, tu devi andare al tuo paese”.

La polizia non deve sapere dove viviamo. Sai perchè? Perche possono venire a casa tua per chiedere i documenti. Se non hai i documenti loro vengono a guardare se hai qualcosa: se vedono che tu hai soldi, prendono questi soldi e vanno via. Perciò quando vado a casa controllo se c’è qualcuno dietro di me, che mi segue per scoprire dove vivo. Se non hai documenti, sei un bastardo per loro. Dobbiamo, io devo subire il male, ma cosa possiamo fare?… Ma poi quando avrò il permesso di soggiorno, conosco il miei diritti, potrò prendere un avvocato. Quando avrò i documenti, avrò un lavoro, sarò tranquillo.

È molto difficile vivere in Italia, ma è molto difficile andarsene. Diciamo che noi siamo entrati in una tomba e non possiamo uscire.

D è un ventenne senegalese, il secondo figlio, tra tanti, che è stato mandato in Italia dai suoi genitori, per guadagnare soldi per aiutare i suoi genitori e l’estesa famiglia. Il suo biglietto è stato acquistato da sua madre che ha venduto tutto, ma tra i lavori occasionali, e i crescenti problemi dell’economia, lotta per riuscire a mandare denaro alla sua famiglia, sopravvivere qui e pagare i debiti.

[Continua a leggere QUI ]

6 COMMENTS

Comments are closed.

articoli correlati

Il vino buono

di Antonio Sparzani A chi venisse in mente di salare il vino, o, meglio, i vini, io non darei alcun...

Il passo della morte – Enzo Barnabà

Incipit del nuovo libro di Enzo Barnabà   Sul finire del giugno 2018, mentre attraverso la frontiera di ponte San Luigi,...

Gli artisti di quartiere a difesa della collettività: la storia di via Roma, Reggio Emilia

di Irene Russo C’è una via Roma quasi in ogni città di Italia, c’è una via Roma speciale a Reggio...

NON IN NOSTRO NOME!

DIRETTA TV L'arrivo di Sea Watch al porto di Catania. L'equipaggio sarà sentito dalla Procura della Repubblica di Catania.   Viaggi Disperati:...

Compagne e compagni

di Antonio Sparzani e se cominciassimo a darci una mossa? Ieri 1 dicembre manifestazione a Milano da Piazza Piola a via...

Contro il “decreto sicurezza”

La Costituzione italiana   firmata il 27 dicembre 1947 da tutti questi. .
andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.