Hand Care – Ritratto di una mano
di
Roberto Bugliani
la flor de la palabra che la mano scrive
che la penna annaffia cresce e cresce
ribelle nella hora suroriental (dice Tacho)
accanto, nella foto, el bastón de mando, sotto
alla stella a cinque punte, rossa di fiamma
come il cuore, come la dignità, come la lotta,
sempre camminando, sempre domandando
per terre dimenticate da dèi e da uomini
mandar obedeciendo: è questa la consegna
c’è don Durito di sguincio, nei disegni
l’insolente escarabajo della Lacandona
dove anche gli scarabei portano passamontagna
“ci siamo coperti il viso
perché possiate vedere in noi il vostro viso”
“ci siamo fatti soldati
perché siano inutili, un giorno, i soldati”
scrive la mano la voz digna de los zapatistas
ya basta ya basta ya basta
il grido attraversò la notte
occupò armato l’alba quel
1° gennaio 1994, i piatti rotti alla festa
del messico neoliberista
da 500 anni la storia ha due storie
una scritta sui libri, l’altra
affidata alla mano che ora scrive
che ora parla, con la voce
del viejo Antonio, la voce tzotzil
del popolo maya, il popolo di mais
“cuéntame más de ese Zapata”
le stelle, i soli, il risveglio dall’inganno
despertó del engaňo y la mentira
una nazione intera, dopo l’ubriacatura
di trattati servili, solo frijoles y tortilla
la mano del color della terra dice
todo
para todos, y nada
para nosotros
la mano che nasce
dal fuoco e la parola
Nota
la foto da me photoshippata è dell’autore e ritrae il sub comandante Marcos
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muy suave
mi piace moltissimo, le due lingue si fondono (non pensate a doppi sensi!) alla perfezione. bravo bugliani.
Bellissimo
“La flor de la mano scrive
che la penna annaffia cresce e cresce
ribelle nella hora suriontale”
Mi ha fatto pensare a Traven.
Le due lingue fanno terra rosseggianta.
Grazie a Roberto, Franz, Véronique per l’attenzione commentata. E al rebelde effeffe. Véronique: è un gran regalo il riferimento al tedesco-chiapaneco Traven.
Un po’ di frusaglie filologiche fose favoriranno la ricezione di questo quasi-collage.
“La flor de la palabra”: è espressione che ricorre costantemente nelle lettere e documenti zapatisti, assieme ad altre parole-tema come specchio, passamontagna, arcobaleno.
Tacho: uno dei primi comandanti dell’Ezln.
“el basto’n de mando”: all’inizio dell’insurrezione indigena, il bastone del comando militare fu consegnato dai capi delle comunità indigene chiapaneche al Subcomandante Marcos
– “mandar obedeciendo”: è la condotta delle autorità autonome zapatiste che governano i Municipi autonomi in ribellione dello Stato del Chiapas.
“don Durito” della Lacandona: è l’irriverente scarabeo interlocutore di Marcos negli scritti “creativi” dell’Ezln. Parla un linguaggio donchisciottesco (è l’anima meticcia dell’insurrezione) e compare per la prima volta nella lettera del 10 aprile 1994.
“frijoles e tortilla”: è il nutrimento abituale degli indigeni messicani, anche dopo il Trattato di libero commercio con gli Usa che ha messo gravemente in crisi l’agricoltura messicana. Per inciso, anche l’UE sta stipulando questi trattati ingiusti con molti paesi latinoamericani.
“viejo Antonio”: anch’egli compare molte volte negli scritti “creativi” del Sub. E’ un personaggio reale e rappresenta l’anima indigena dell’insurrezione.
“il fuoco e la parola”: “20 y 10: el fuego y la palabra” è il libro “ufficiale” scritto da Gloria Mun’oz (2003) che racconta la storia dell’Ezln. In italiano è stato pubblicato dalla rivista “Carta”.
Una precisazione: la foto della mano è stata fatta da un amico di Milano, Andrea Gazzaniga, nel corso di un incontro collettivo della società civile messicana e internazionale con la “comandancia” dell’Ezln in occasione dell’avvio della Otra Campan’a.
grazie Roberto per la post illa
appassionante quanto i versi decantati
sono stato di recente a vedere il film sulla storia del Che
ci sono andato per diverse ragioni
la più importante però credo sia stata la reazione di uno spettatore durante la proiezione del trailer in questione (altra sala, altro film) che è sbottato dicendo alla compagna al suo fianco. Ma guarda un po’ adesso fanno fiim pure sugli assassini.
Il mio pugno chiuso è scattato subito dopo. Non sul volto dello screanzato. Ma tra il fascio di luce e lo schermo, quasi a voler proteggere il Che dagli occhi miopi di un pirla.
effeffe
Furlèn, ho visto anch’io il Che di Sodeberg, ma per un mio sbaglio sono andato a vedere per prima la seconda parte (le davano in contemporanea nella zona dell’Odéon), ma lo sbaglio si è rivelato un bene, perché quando sono uscito dalla proiezione della prima parte vista per seconda, gli occhi mi brillavano per la vittoria :-)
Grazie Roberto, per il lessico ricco.
Mi piace la flor de la palabra, moltissimo.
Bella, mi piace:all’inizio il suono dei gerundi scandisce il ritmo come campanellini affatto fastidiosi; gli inserti di spagnolo non suonano affatto come “inserti”, ma s’inseriscono perfettamente coerenti nel tessuto dell’italiano, ne sostengono l’interna coerenza. Nel complesso un bell’equilibrio. E’ piacevole leggerla a voce alta, appoggiarsi al suo ritmo.
Caro Bugliani, che ne pensa di questa variante, in chiusura? :
la mano del color della terra dice
todo
para todos, y “eso”
para nosotros
la mano che nasce
da fuoco e parola
ERRATA CORRIGE :
Bella, mi piace:all’inizio il suono dei gerundi scandisce il ritmo come campanellini affatto fastidiosi. Lo spagnolo non suona come un “inserto”, ma aderisce perfettamente al tessuto dell’italiano, ne sostiene l’interna coerenza. Nel complesso un bell’equilibrio. E’ piacevole leggerla a voce alta, appoggiarsi al suo ritmo.
Caro Bugliani, che ne pensa di questa variante, in chiusura? :
la mano del color della terra dice
todo
para todos, y “eso”
para nosotros
la mano che nasce
da fuoco e parola
@ Salvatore,
tueggiamo? Bene, sulla variante dico subito che il bello della diretta, ossia un testo in rete offerto al commento dei lettori è un po’ come un work in progress, per cui le proposte di variazione, come quella che proponi, sono importanti perché segnalano la sensibilità di ricezione del commentatore. Detto questo, il “ciò” che proponi al posto del “nada”, se da un lato fa “violenza” alla patrola d’ordine zapatista, dall’altro sottolinea la finalità e l’appagamento dell’azione zapatista nel “tutto per tutti”. In breve, “eso” può essere una sorta di lettura europea del discorso proveniente da un altro mondo. Quanto all’indeterminativo, beh anche qui si tratta, mi pare, di un adattamento della specificità zapatista (in Chiapas è quello zapatista il fuoco e la parola) alla pluralità di fuochi e di parole (di ribellione) che esistono nel mondo, e, sotto diverse forme, anche qui in Europa.
Quello che dici non fa una grinza. La variante non è un “correggere”, ma un “riattraversare” il testo con la sensibilità – europea- di chi legge. Esatto. Forse è un’ingenuità, ma anche un voler in qualche modo “universalizzare il discorso”, renderlo trasversale ai luoghi. Ad ogni modo, e lo ripeto, ciò non toglie valore al testo originale, semmai lo rafforza. Così il testo conterrebbe anche un piccolo commento/interpretazione al naturale “report”. Ma l’ultima parola spetta sempre all’autore. Com’è giusto che sia.
caro salvatore
permettimi di essere franco e allora accogli le mie osservazioni con animo sereno. Scrivi tu alla fine, l’ultima parola spetta sempre all’autore. Forse non lo sai ma è il refrain degli editors, buoni o cattivi che siano. In rete accade che l’idea, spesso falsa, sovente vera, che i post siano testi in qualche modo non definitivi, se da una parte può aprire la parola, la prima, ad altri orizzonti, prontamente indicati dal lettore, dall’altra sembra quasi autorizzare il lettore a sentirsi editor di quei testi. Ebbene, non è così. Non lo è per le prose , a maggior ragione per le poesie. Ma perchè accade con i testi letterari e non, diciamo con quelli politici? Perché per molti la letterarietà di un testo è il suo processo di approssimazione alla forma perfetta. Fermo restando che voglio esprimere una certa cosa, esiste un’unica forma per dirlo, e allora alla prima parola dell’autore, ne seguirà una seconda, magari dello stesso, fino ad arrivare alla penultima, sempre penultima parola, di un commentatore o di un lettore, investito non si sa bene da chi del ruolo di editor. Io penso invece che esistano infiniti modi per dire delle cose. Di quegli infiniti modi esiste un pecorso, uno solo, che il più delle volte coincide con la vita di un testo, e si modifica, magari, nel corso del tempo. Il lettore , commentatore in un blog dovrà prendere o lasciare, preferibimente argomentando, ma mai, dico mai, pretendere di sapere più di quanto l’autore, o egli stesso pretenda di sapere.
Che mi ricorda certi uomini o certe donne che si ostinano a pensare e in più te lo dicono che li ami, anche se non si direbbe, anzi forse proprio perchè non si direbbe
effeffe
@effeffe
anche ciò che dici tu non fa una grinza. Ma permettimi di sgombrare il campo da un equivoco, con animo assolutamente sereno. Dici:”Il lettore , commentatore in un blog dovrà prendere o lasciare, preferibimente argomentando, ma mai, dico mai, pretendere di sapere più di quanto l’autore, o egli stesso pretenda di sapere.”
Caro Francesco, credo che l’equivoco stia qui. Come lettore ( e ti prego, credi alla mia assoluta buona fede) io non pretendo di sapere più di quanto l’autore , o io (?) pretenda di sapere”. L’avevo detto con chiarezza: il mio non era un “correggere ” il testo ma un “riattraversarlo”, proprio in virtù della funzione di lettore che viene invitato a esporsi, a dire la sua.
Riattraversamento che NON E’ UN INVITO ALL’ AUTORE A CORREGGERE IL TESTO, sia chiaro, ma solo un “contributo emotivo”, sotto forma di gioco visivo, se vuoi: cosa che, del resto, Bugliani ha perfettamente colto nella replica al primo commento, e che ho voluto, nel successivo, ulteriormente rafforzare, proprio a sgombrare il campo da ogni dubbio. Se rileggi con più “lentezza” ciò che dice Roberto e quello che aggiungo io, tutto questo lo puoi riscontrare: ti invito altrettanto serenamente a considerare la cosa da QUESTA angolazione, vedrai che i conti tornano.
Ho espresso apprezzamento al testo, che ho trovato “comunicativo” (fecondo per chi legge) e , come è mio legittimo diritto e costume, ho trasmesso all’autore questa emozione. Nella rilettura del detto zapatista “todo para todos y nada para nosotros” in “todo para todos y “eso” para nosotros”, che – ripeto ancora una volta- NON E’ UN INVITO A CORREGGERE IL TESTO IN TAL SENSO (infatti, non sono un editor), ho inteso proporre una “personale interpretazione emotiva – dissenso” rispetto al sottotesto politico.
In altre parole, pur condividendo la lotta zapatista e comprendendone motivazioni e finalità, tuttavia quel “tutto per tutti e NIENTE per noi” – visti i trascorsi in tutte e dico TUTTE le lotte per un qualsiasi contropotere- mi lascia un po’ diffidente : insomma, trovo emotivamente più bello dire “tutto per tutti e QUESTO per noi”, più sincero e più democratico; il desiderare il tutto per tutti come IL FINE della nostra lotta è di certo più bello del NIENTE per noi, perché quel niente suona retorico ( e dunque falso): chi dedica la propria vita ad abbattere un potere oppressivo e a creare un contropotere, NON VUOLE NIENTE PER SE’, MA VUOLE IL NUOVO POTERE PER SE’. E di sicuro lo avrà. Dunque non è “niente” per noi. Insomma , un “quid” di cautela libertaria. E come, tu effeffe “dando comunista”, non lo cogli? Scherzo. Effettivamente, era necessario precisare e il tuo intervento almeno mi ha sollecitato in tal senso.
Come vedi, ciò non ha nulla a che vedere con l’invito a Roberto a correggere il suo testo; esprime semplicemente la mia “diffidenza” politica sulla retoricità di uno slogan, non di certo un giudizio di valore sulla poesia che, invece, trovo bella , equilibrata nei suoi elementi, specie nell’ integrazione di italiano e spagnolo, che suona assolutamente necessaria e “pour cause” : un “trick mimetico” nient’affatto gratuito. E l’ho detto subito e senza equivoci.
Infine, ti richiamo il detto di Borges, il quale sosteneva che il “valore” di un testo non sta tanto nel suo “significato obiettivo”, nella obiettiva catena di simboli che esso produce, ma nel “commercio” con il lettore ( e qui usava l’immagine della mela e del palato, del suo “gusto” ). In altri termini Borges ci segnala che quando un testo è “fecondo” esso è capace , nell’incontro con il lettore, di dar vita ad altri simboli, altri significati, oltre i suoi intrinseci, che lo rendono fertile e gli ridanno slancio vitale, grazie all’altro polo del medium : il lettore, che appunto non è un editor, ma un interprete. E questo è UNO degli elementi della vita letteraria di un testo, senza il quale esso stesso sarebbe una “pura tomba vuota di suoni”.
A me il testo è suonato comunicativo e fecondo. Tuttavia, è lecito esprimere una presa di distanza da uno slogan zapatista che mi suona un po’ retorico, e farlo , per sintesi, attraverso un gioco di “riattraversamento”? Soprattutto dando per scontato che chi legge colga appieno il senso di “gioco”, come ha fatto Roberto Bugliani del resto?
Salvatore D’Angelo
PS. Non posso dire di “amare” Bugliani , perché questa è la sola poesia che conosco di lui. Su di essa ho espresso “apprezzamento” con queste parole, che riporto : “Bella, mi piace: all’inizio il suono dei gerundi scandisce il ritmo come campanellini nient’ affatto fastidiosi; gli inserti di spagnolo non suonano affatto come “inserti”, ma s’inseriscono perfettamente coerenti nel tessuto dell’italiano, ne sostengono l’interna coerenza. Nel complesso un bell’equilibrio. E’ piacevole leggerla a voce alta, appoggiarsi al suo ritmo.” Perché, dunque dovrei essere ipocrita come quegli “uomini o donne che si ostinano a pensare e in più te lo dicono che li ami, anche se non si direbbe, anzi forse proprio perchè non si direbbe” (parole tue)? Non è questo il mio stile. Per me, infine, amare non vuol dire “accecamento”, non è “un prendere o lasciare”. MA PER ME, appunto. E io NON SONO LA VERITA’. Tuttavia…nemmeno quella degli altri….ERGO…
Sempre con stima
SDA