La moglie, il marito e lo zerbino
E’ l’unica cosa di una casa che ti appartiene e non ti porti via ad ogni trasloco. Dalla scritta in filigrana, prestampata, incisa, Bienvenue, Welcome, ¡Hola, Salve! Steveme scarse à fetient’, capisci dove e quando comincia il viaggio. Mai dove finisce. Ecco perché al contrario delle città che ti dicono inizio e fine, Benvenuto e Arrivederci, a seconda da dove si arrivi, dal senso di marcia, le case ti danno solo il benvenuto. Sullo zerbino dell’inquilino del piano di sotto, in rue des récollets, vicino al Canal st Martin (Paris) Patrick ci pisciava ogni volta che tornava ubriaco, per fargli un dispetto. Era la sua personale rivolta all’insofferenza spesso ingiustificata di quello scassaminchia del vicino. Essì! diciamolo pure, che non è per il fatto che tu mi sia vicino che ci ameremo.
Sullo zerbino si resta un tempo infinito, ad ogni primo invito, senza la determinazione di un testimone di Geova o di un addetto dell’Enel, quando sei innamorata, quando sei preso da quella nuova amicizia, e devi invocare ogni dio perché ti dia la forza di alzare il dito, suonare il campanello.
Sullo zerbino resti a lungo, se hai veramente amato quel posto, quando hai gridato al mondo intero oltre che a lei, e ai vicini, come a lui, che ormai sei già lontana, che lei ti ha perduto, come una fiche giocata per inesperienza a un tavolo da gioco che non ti meritava. E sbatti la porta che quasi si stacca dallo stipite. Primogenito gesto, dell’abbandono. Così sospeso, ti assale una profonda nostalgia. Ignoranza di quello che succede nel luogo che era stato tuo. Allora esiti a lasciare quel pezzo di terra, l’isola, la zattera intessuta di grani di polvere o di plastica. C’è scritto benvenuto, lì sopra. Significa destino e non si può dire di no al destino. La mano ridiventa leggera, accarezza la porta. Le nocche fanno a gara a chi toccherà per prima il cuore di chi è dall’altra parte del muro. Di chi ti ha sentito respirare e ha atteso.
Ecco perché quando la porta si apre lei ti salta al collo, lui ti serra forte. Perché sei il fiore che non ha perduto il suo profumo. Perché è bene quel che comincia bene. Benvenuti, amici!
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Lo zerbino, oggetto visibile del tempo infinito,
attesa, lo dice effeffe nella sua lingua dei sentimenti,
si ferma, ascolta il cuore, ausculta:
“il cuore di chi è dall’altra parte del muro.”
Scène della vita.
“Ecco perché quando la porta si apre lei ti salta al collo; lui ti serra forte.
Perché sei il fiore che non ha perduto il suo profumo. perché è bene quel che comincia bene. Benvenuti, amici!”
Lo zerbino e il campanello hanno grazia, destino. Ma che dire del citofono, del codice?
Quando ero innamorata, mi rammenta questo tempo infinito, la paura che nessuno mi risponde, la paura di essere creatura minuscola, una topolina quasi invisibile. Ma forse quello che mi aspettava vedeva una figura contro il sole. Quando la porta si apre, è vero, il corpo dell’altro diventa immenso, dietro il paesaggio intimo ( libri, carte, divano, rose), tutto inghiotitto dal corpo, dal profumo, dall’oscurità. Tutto che mi sembrava regno, terra, mare.
Il tempo preciso per arrivare: arrivare in anticipo, il cuore matto, nel angoscia. Per ingannare il tempo, guardare il sole nel parco vicino alla casa, entrare nella sensazione di vivere.
Il testo di effeffe dice i sentimenti , ma con eleganza.
Mi darei quasi la voglia di ritrovare un amore, se non avevo paura di perdere la tranquillità e il ritmo del mio cuore.
cerco sempre di nn calpestare lo zerbino, per nn consumarlo, per nn sporcarlo ulteriormente, e quando lo zerbino è lungo quanto la porta ogni volta mi sorprendo ad allontanarmi dall’ingresso, oltre lo zerbino. se la porta si apre, mi tuffo dentro come un autista catapultato dal basso verso l’alto quando sale sul suo pullman dopo la pausa caffè, come un teatrante che esce di scena mentre sfuma l’ultima battuta. no, nn ce la faccio a piazzarmi lì davanti, in attesa che qlcu mi apra, per saltargli addosso: lo spioncino leva allo zerbino il valore che f.forlani gli conferisce, siamo già smascherati, veniamo accolti in quanto riconosciuti, al bando ogni sorpresa. mi levo dalla prospettiva dello spioncino, faccio ogni volta quest’operazione del calcolare l’imbuto di smascheramento per potermi nascondere oltre l’imbuto, e fuoriuscire dall’altrove, catapultarmi, obliterando ogni riconoscimento, ogni artefatto reincontrarsi, ogni diaframma.
Steveme scarse à fetient’??? Lo voglio!
che racconto dolcissimo e vero! da un’angolazione bassa, da sotto i piedi, libra i sentimenti su su fino ad arrivare ai volti, alle braccia, alle mani degli amanti. che sullo stuoino, “alle soglie”, marcano un eterno ritorno.
farò attenzione a dove metto i piedi, d’ora in poi: tu zerbino, tu fratello.
(ma perché si chiama zerbino e non medoro o cloridano?)
L’unico che sosta lì sopra è sempre il cane.Non ho ancora capito il perchè,tranne il fatto che impieghiamo sempre un sacco di tempo a trovare le chiavi, o che quelli, dentro, aprano agli altri,qualunque sia il tempo che fa.Lui non ha le scarpe da pulirsi,le sue sono pantofole antisporco.Non so come faccia, ma non ho mai trovato tracce delle sue passeggiate.Io invece, quando lo porto al parco,trattengo di tutto. Che sia una questione di naso?
Anche al parco,dico, non si vede dove stanno in agguato le schifezze, mentre lui le evita tutte con gran distacco.
Lo zerbino, poi, sembra il nome di un venticello come zefiro, e le preziosità le raccoglie anche lui, quasi come uno zafiro.Pensate ai casi non risolti di tanta attuale delinquenza;si guarda mai nello zerbino?Si cerca con attenzione in tutte quelle minuzie che lo popolano al vivo?
Bello questo racconto, proprio accogliente, invitante,sembra di stare sulla tua porta…effe, come la mia, ma vista al contrario,ef-fe,scan-dita…Ma ha importanza di chi è l’ingresso? Basta che non sia precluso l’accesso. Grazie per l’ironia,ne serve almeno una dose al giorno .ferni
Pochi sanno, caro Francesco, che un piccolo lembo marginale può raccontare la complessità del mondo intero come un’epopea. Ciao
Il mio vicino il suo zerbino lo scuote sempre davanti alla mia porta, pensare che io ci passo sempre sopra l’aspirapolvere e me lo ritrovo, un attimo dopo, pieno di terra e sassolini.. ho anche il sostetto che sia lui a scorreggiare nell’ascensore :-(
ora capisco tante cose….ora che ci penso mai rilevata la presenza di uno zerbino davanti al mio uscio, a volte in gioventù me li ritrovavo dentro casa, gli zerbini, ma durava poco! :)
che sia meglio entrare in casa propria e altrui a piedi nudi e con le mani piene di doni?
che meraviglia quelle ultime tre righe, effeffe, un’apertura di tutto, grazie a te. Ciao fra’.
ecco la dimostrazione che non occorrono fiumi di parole per scrivere un racconto vero, tenero, coinvolgente e, soprattutto, scritto come Dio comanda !
complimenti !
Blumy
di VDBD