La visione di Arno Schmidt

specchineri

di Marco Rovelli

All’inizio sembra un sogno, uno di quei sipari che Schmidt alza nel corso della narrazione: un uomo solitario che vaga per boschi e strade di campagna deserti, solo scheletri umani a segnare il cammino. Dopo un certo numero di pagine, in cui sei “preso” nella fantasmagorica lingua di Schmidt, catturato nei suoi interstizi, nei suoi ritmi, ti accorgi che è invece tutto fantasticamente vero: una guerra, una bomba all’idrogeno, e l’ultimo uomo sulla terra, a osservare il disastro, a scrivere la fine. Un signor Nessuno, l’“Utys” omerico, vaga in una terra metamorfica, dove le vestigia scheletriche degli umani si confondono e trapassano in natura – senz’altro – dopo che “l’esperimento uomo, il fetente, è terminato”. Poi arriva una donna: ma non cambia nulla, ché in Schmidt non si trova la morale. E’ la traccia di “Specchi neri” di Arno Schmidt, scritto nel 1951 e adesso pubblicato da Lavieri, dopo i precedenti “Dalla vita di un fauno” e “Brand’s Haide”, libri che insieme formano una trilogia: per la terza volta, dunque, Lavieri, e il curatore e traduttore Domenico Pinto, ci permettono di godere della sublime lingua di Schmidt, apparentabile – come del resto suggerisce Pinto nella postfazione – a quella di cui, nella letteratura italiana, Carlo Dossi fu “teorico”, e dopo di lui Gadda e Manganelli. Un espressionismo fatto di citazioni ipercolte e sarcasmo, lirismi e arcaismi, accostamenti inauditi di alto e basso, notazioni e interpunzioni che spazializzano come su un pentagramma qualcosa che è – musica. La traduzione di Pinto, grazie ad un costante corpo a corpo, è riuscita a rendere miracolosamente gli “artifizi” schmidtiani. Sono fuochi, quelli di Schmidt, che esplodono e lampeggiano sullo sfondo nero di una notte indifferente, una notte che fa da specchio nero al mondo degli umani, e il cui riflesso più proprio sono le foreste: “le foreste sono quanto v’è di più bello!”. Questa notte-sostanza delle cose, e di Nessuno, è l’imago dell’ateismo schmidtiano, un ateismo senza requie né consolazione, rigoroso e teso, che chiede agli uomini di essere all’altezza delle proprie possibilità. Ma gli uomini non riescono, sono meschini e soldateschi (desiderosi di una Guida, e al soldo di), come il viaggio nella Storia compiuto negli altri due libri della trilogia ha rivelato: e di questa distruzione della ragione ad opera della ragione stessa, naturale conseguenza è la misantropia, e un sogno distruttore degli umani che non meritano se stessi. Un Illuminismo senza lumi, quello di Schmidt, ma anche Illuminismo dopo-Auschwitz, senza alcuna fede nemmeno nel progresso: rischiara, e ciò che trova è la notte, è la notte che resta. E un Illuminismo la cui materia è la lingua creatrice, una lingua barocca, pieghe che evocano e rivelano le infinite altezze possibili che pertengono all’umano, le sue meraviglie – di cui però l’umano non gode, e che perde e annichilisce nella macina meschina della Storia. Meschinità quasi concepita da un diavolo – non a caso Schmidt aveva un forte interesse per le dottrine gnostiche -, un demiurgo cattivo, un “Leviatano”, che ha dotato gli uomini di ragione – ma solo per consegnarli alla distruzione. Sarebbe auspicabile che “Specchi neri” di Schmidt arrivasse a bucare la cortina delle classifiche letterarie – sogno vano, certo: e allora mi limito a consigliare la lettura non solo di questo, ma anche degli altri due libri della trilogia, ancora più esplosivi (e oscuri) dal punto di vista della lingua, esuberanti d’intelligenza (nel senso di: comprendere a fondo) della Germania degli anni trenta e quaranta – e dell’umano tout court.

(pubblicato su l’Unità, 6/9/2009)

7 COMMENTS

  1. Eh sì, è un sogno vano che possa bucare le classifiche, purtroppo, di questi tempi, ed è un gran peccato per i lettori, magari un incipit, un paio di pagine postate su NI, potrebbero affascinarli, chissà, almeno quelli che passano di qui.

  2. Forse dovrei anche dire che il lavoro di Pinto è straordinario, e anche eroico.
    E’ che mi imbarazza fare pubblici complimenti:-)

  3. sto leggendo adesso dalla vita di un fauno, sono totalmente rapito e a dirla tutta anche un pò annichilito, ma passerò certamente a leggere anche gli altri due. grazie Rovelli, hai sempre tutta la mia stima e la mia fiducia.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.