Ritratto di Signora con cane

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da Palace of the end
di
Judith Thompson
trad. Raffaella Antonelli

Erano nudi. E allora? Sono nudi ogni volta che fanno la doccia. E con ciò? E ridevo di me che indicavo il pistolino di quegli uomini? Beh, mi venga un colpo se quella è stata la cosa peggiore che gli è successa ad Abu G. Gli sarebbe piaciuto.
Ma io non sono quel tipo di donna, ok? Io rispetto gli uomini e le loro parti intime e non ho mai riso del pisello di un uomo. Ma questi non sono uomini, sono terroristi.
Avevano l’intelligence. Sapevano chi stava per far saltare in aria chi, e per quanto mi riguarda io stavo facendo quello che c’era da fare, raccogliere l’intelligence e, secondo la loro cultura, io che rido dei loro piselli è molto peggio che picchiarli. Un sacco peggio. Li stavo soltanto addolcendo un po’, come mettere burro duro ad ammorbidirsi sul davanzale. Facevo quello per cui mi stavo esercitando. È vero che me la ridevo ma quello era UN SERIO-LAVORO D’INTELLIGENCE.

E sono molto fiera che la piramide di gente nuda È STATA UNA MIA IDEA.

Veramente, era la prima cosa che mi è venuta in mente quando sono entrata in quella prigione e ho visto quegli uomini tutti uguali. So cosa potrebbe essere divertente: UNA PIRAMIDE UMANA DI PRIGIONIERI COMPLETAMENTE NUDI. Perché, sapete, sono sempre stata portata per la coreografia. Quando vedo la gente che balla mi viene voglia di sistemarli.

Forse a loro non gli è piaciuto ma hanno imparato qualcosa di utile se insegnano ginnastica a scuola o dirigono una squadra di ragazze pon pon.

Noi non ci divertivamo, cercavamo di buttar giù il morale dei terroristi.

E ha funzionato. Abbiamo ottenuto delle informazioni.

E l’altro…

Portare quel tizio in giro al guinzaglio?
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Beh, mi ha dato della cagna.

Sì, l’ha fatto, proprio come tutti voi coglioni su internet. Come tutti quegli stronzi a Fort Ashby.
Sapeva un po’ d’inglese e mi ha dato della cagna, e così per una volta nella mia vita ho potuto vendicarmi. Pensi che sono una cagna? Pensi che sono una fottuta cagna, scimmione? Andiamo a farci una passeggiata. Vuoi venire a fare una cazzo di passeggiata? E Charley e gli altri se la ridevano. Non avevo mai fatto ridere nessuno prima, non sono una persona divertente, e cazzo far ridere la gente è fortissimo. Stavano ridendo, si stavano divertendo, così mi hanno detto: « Mettilo al guinzaglio». Mi fanno troppo ridere gli sketch tipo quelli del “Saturday Night Live”, tipo “Oh Dio, c’è da portare fuori il cane… Ehi, Mamma? Hai portato fuori il cane? Henry? Henry, hai portato il cane a fare una passeggiata? Nessuno ha portato il cane fuori porca troia. Lo porto io. Dai cane, cazzo di un cane… Non sei stato bravo oggi, niente biscottino”.
E lo tiro… e mi ha sorpreso quanto il collo umano è diverso da quello dei cani. Con i cani puoi tirare forte e non vengono, non è così con gli uomini, quelli hanno il collo morbido.

PALACE-OF-THE-END-NEO-EDIZIONI

Nota dei curatori della Neo Edizioni, giovane casa editrice abruzzese, per NI

Per la prima volta tradotta in Italia arriva un’opera della scrittrice canadese Judith Thompson. Il libro intitolato Palace of the end, si articola in tre monologhi ( con testo a fronte ) che hanno come sfondo il conflitto in Iraq. A parlare sono tre persone realmente esistite ma le loro caratterizzazioni e le cose che dicono rispetto agli eventi bellici sono frutto dell’immaginazione dell’autrice.
“Le mie piramidi” ruota attorno alla vicenda di Lynndie England, soldatessa americana fotografata su una montagna di prigionieri iracheni nudi nel carcere di Abu Ghraib. Famoso lo scatto in cui è ritratta mentre porta un prigioniero al guinzaglio.
“Harrowdown Hill” è ispirato alla vicenda di David Kelly, biologo inglese chiamato ad indagare sull’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq. Pochi giorni dopo aver testimoniato circa l’infondatezza del dossier presentato dal governo Blair, il biologo fu trovato morto. Le autorità ritennero si trattasse di suicidio ma ancora non si è fatta piena luce sulla vicenda.
“Gli strumenti della bramosia” narra, infine, la storia di Nehrjas Al Saffarh, attivista irachena e moglie di un quadro del partita comunista oppositore del regime di Saddam Hussein. La donna, imprigionata e torturata negli anni ’70 nel “Palazzo della fine”, muore sotto i bombardamenti americani durante la prima guerra del Golfo.
La forza di “Palace of the end” sta nella sua lucidità, nella sua semplicità, nella sua straziante durezza. È un libro in cui la denuncia emerge spontanea. Nonostante il testo sia pensato per una messa in scena teatrale, conserva una potenza narrativa straordinaria. Con questo libro, nel 2008, Judith Thompson ha vinto il “Susan Smith Blackburn Prize” per la migliore opera in lingua inglese scritta da una donna.

21 COMMENTS

  1. La letteratura esplora anche il mondo reale della guerra. Trovo molto interessante che una scrittrice abbia il coraggio e la voglia di penetrare
    l’orrore dei corpi in guerra, umiliati, dilaniati. E’ un talento che mi sorprende, perché come lettrice non ho la capacità di leggere opere su guerra reale. C’è una resistenza che mi ferma sul camino della lettura. Il corpo dell’uomo umiliato da una donna è fatto nuovo, qulacosa che dà la nausea. Perché se la rabbia mi viene da pensare al corpo torturato delle donne in guerra, mi viene anche la rabbia, se un uomo è umiliato nel suo corpo: essere nudo è essere vulnerabile. Che una donna possia scrivere sull’argomento mi sembra straordinario. E’ un mondo allontanato del mio immaginario.

  2. Véronique, la cosa straordinaria di questo libro è che l’autrice non emette alcun giudizio. Lascia che il lettore si indigni semplicemente leggendo le parole dei protagonisti.

  3. Tutte le persone a cui ho fatto leggere il libro mi hanno detto ” è terribile, ma bellissimo”.
    In effetti lo è.
    Dal punto di vista stilistico ( se potete leggetelo anche in inglese ) la Thompson è eccezionale: la sua capacità di rendere in poche pagine tutta la disperazione della white trash la dice lunga sul suo talento.
    Dal punto di vista del contenuto posso solo dire che raramente mi è capitato di leggere qualcosa di così onesto ( e quindi terribile ) sugli effetti della guerra sull’animo umano, ma soprattutto sull’animo umano.
    Per dirla alla Cabrera Infante è un libro orribilmente bello. E uno di quelli che tutti dovrebbero leggere.

  4. Una riflessione suscitata dalla prima pagina, nel lettore, accompagna il personaggio in ogni singola frase e libera il campo da reazioni facili del tipo: è una stronza! In più americana! Si sa che una soldatessa è due volte soldato, due volte fascista! e compagnia bella. Diciamo che Judith Thompson ha messo su un teatro della crudeltà necessario per non lasciarsi scivolare addosso il male “radicale” che una condizione eccezionale, di guerra o di prigionia, alleva naturalmente. In modo diretto, senza nemmeno una mediazione intellettuale, alla Bataille o Pasolini. Un ritratto spietato – senza pietà e dunque senza moralismi- del nuovo fascismo estetizzante, con le sue coreografie del terrore.
    effeffe

  5. Ho avuto modo di leggerlo. Durante la lettura sentivo una strana rabbia montare dentro. Paradossalmente, il terzo monologo che, a mio parere, è quello più atroce e angosciante è quello che, alla fine, inspiegabilmente ti pacifica. Assopisce ogni impulso di stizza, di contrizione, di rivincita per portarti ad una pace interiore che è difficile da spiegare.
    Come a dire che di fronte ad un male così grande ogni reazione è inutile ed è inutile anche semplicemente pensare di agire.

    Interessante soprattutto quanto arrivi ad essere letterario un testo pensato e scritto per una fruizione drammaturgica.

  6. sono d’accordo con te, Nehrjas è molto più di un semplice personaggio, una energia. Domanda all’editore : quando sarà rappresentata a teatro?
    effeffe

  7. Libro memorabile. Condivido il “terribile ma bellissimo”. Complimenti agli editori per una scelta affatto ovvia.

    df

  8. Che bello per uno nato a Castel di Sangro scoprire una casa editrice (ma: degli uomini) così. che scovano e pubblicano testi così. non tutto è perduto.

    Grazie per il post, Francesco

  9. L’ho letto e mi ha levato il sonno.
    Avviene come una paralisi del pensiero perchè oltre non c’è nulla.
    Oltre quegli assassini, oltre i loro occhi, oltre i loro animi non c’è nulla, il nero.
    Questo libro è straordinario, quanto sà essere vivo il male in alcuni uomini?!
    S.

  10. Me l’aveva consigliato una mia amica e mi aveva detto che questo è un libro che più che lasciarti qualcosa, suscita qualcosa.
    Quando l’ho finito effettivamente avevo dentro qualcosa di nuovo, di inatteso. Forse è cambiato il modo di guardare certe cose, la voglia di lasciarmi sempre dentro di fronte a quello che vedo sui giornali o in tv uno spazio ed un tempo per la riflessione.
    E’ un libro che riflette senza dirlo mai, che parlando le parole di tre personaggi costruisce uno sguardo molto più ampio.
    Anch’io credo che è un libro che tutti dovrebbero leggere.
    Complimenti a Judith Thompson e alla casa editrice.
    Sr

  11. Obbligatorio come libro di testo al liceo, secondo me!
    Una lettura scarna, atroce, senza giudizi di sorta e senza vittimismi. La Thomposon si limita a descrivere e a lasciare il lettore in balia della sua coscienza.
    Davvero ottimo. Complimenti a Neo Edizioni per le scelte accurate che privilegiano la qualità dei testi.

  12. Mah…al liceo non saprei, però – sei io fossi un neo – lo proporrei di certo alle associazioni pacifiste.

  13. Un pugno nello stomaco. Davvero bellissimo!
    Soprattutto il monologo di Nehrjas è da brividi.
    Brava NEO!

  14. Però! Che coraggio!
    Grazie al neo per averci dato l’opportunità di conoscere questa interessante e brava drammaturga.

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017