Presi nella rete – Il Capo, il web, la libertà

di Marco Rovelli
 

 

berlusconifoto-di-berlusconi-jokerNon stupisce che la pluralità delle voci del web diventino issue dell’agenda politica solo quando attentano al Capo. “Attentano”, ovviamente, in senso esclusivamente etimologico, ovvero nella misura in cui lo “riguardano”. Ma dal guardare il Capo, di farne oggetto di “mira”, al mirare effettivo come quello di un attentatore non c’è che un passo. E a decidere se il passo varca la soglia sono, oggi, i vari Maroni e Carfagna, che chiedono di far tacere quelle voci, di sedare quel “canaio”. A far la differenza è un’intenzione (che è, appunto, ciò che muove un’attenzione). Se il Capo lo guardi male, storto, in tralice, allora quel “guardare” non è più la lecita (e financo doverosa) contemplazione, ma un’illecita, e violenta, malevolenza. E’ il Capo il catalizzatore di ogni discrimine tra lecito e illecito. E dalle sue vicende corporee (reali/virtuali) può nascere un disegno di legge.

Fino ad ora, la molteplicità di gruppi razzisti su Internet non aveva mai rilevato ai fini di un discorso pubblico, nessuno si era mai sognato di mettere all’ordine del giorno di un Consiglio dei ministri una qualche misura restrittiva nei confronti del web. Eppure basta scorrere i gruppi di Facebook per vedere quante vomitate d’odio razziste, sessiste, omofobe, fasciste. E’ a portata di click, lo può fare chiunque, anche un Maroni. Eppure, niente.

Ma non è solo questo: è il linguaggio sul web che non ha la stessa valenza che altrove. Vi è un surplus finzionale, cartoonico, che è specifico del discorso dei social network. Il parlante, ridotto a scrivente “senza volto”, percorre liberamente tutta la superficie del linguaggio, non più costretto da vincoli reali. L’iperbole, in un social network, è la normalità. Giudicare quanto avviene in un social network con i parametri della “realtà” significa proprio non cogliere la loro specificità. Non è il “ti spacco la faccia” del bar a cui poi segue un pugno. Alle alabarde spaziali del social network non seguono che alabarde spaziali.

Ma le misure restrittive ipotizzate da Maroni non arrivano a questo a livello del discorso, si fermano prima. A Maroni infatti interessa altro. Parla di regole non solo per il web ma anche per i cortei. Si parte dal web per arrivare a colpire il reale. Il web è ancora una volta, secondo una tendenza in atto, il laboratorio dell’anti-democrazia.

In questa vicenda ci sono tutti, ma proprio tutti, gli elementi di un regime autoritario: l’identificazione Capo/gente, il corpo sacrale del Capo (se doppio o triplo sarebbe da vedersi), la sovranità che sgorga dal Capo (e dunque dal suo corpo virtuale/reale) e azzera qualsiasi divisione e pluralità dei poteri, il vulnus ad esso inferto come vulnus alla stessa democrazia (ormai convertita in plebiscitarismo permanente) – e, come in necessaria successione logica, il binomio sicurezza/libertà, dove i due termini sono inversamente proporzionali. Lo stato d’eccezione, del resto, si fonda su questo. Per la vostra sicurezza, vi togliamo la libertà. Sta nella trama stessa della sovranità moderna, del resto: non pensava forse Hobbes che gli individui, in nome della propria sicurezza, devono rinunciare ai propri diritti e delegarli al Leviatano, al sovrano/dio in terra? E così funziona ancora, in nome della sicurezza è necessario che rinunciate ai vostri diritti. Ci stanno provando. Sta a noi che ci riescano o meno.

(scritto per Peacereporter)

21 COMMENTS

  1. Vi ricordate ad agosto il gioco del figlio pluribocciato (e per questo pluripremiato con incarchi vari e compensi vari) del Senatore Bossi?
    Riporto la notizia uscita su Il Secolo xix.it il 21 agosto:

    «” Lega trasforma, come fa il figlio di Bossi su Facebook, le sofferenze umane in un gioco”: l’accusa di Giuseppe Fioroni fa riferimento a una applicazione che si trova su una pagina Facebook attribuita alla Lega Nord. Si tratta di un gioco il cui obiettivo, si legge dalla schermata iniziale dell’applicazione, è quello di “mantenere il controllo sui clandestini in Italia”»

    «VERO LEGHISTA – Puntando il proprio mouse sulle navi, che di volta in volta si avvicinano alle coste italiane, si potranno “rimandare indietro“ gli immigrati e “ottenere punti in base alle imbarcazioni respinte“, passando così al livello successivo. Se il tentativo di respingimento dei clandestini fallisce, appare la classica scritta ‘game over’ con l’invito a riprovare “per dimostrare di essere un vero leghista“».

    Certo i clandestini non rientrano per Maroni &co tra gli esseri umani… quindi non solo è leggittimo seminare i loro corpi in mare ma anche riseminare il «germe dell’odio» (cito da contanti maestri) e dello scherno in rete.

  2. sinora è stato uno slittamento progressivo, quasi impercettibile, al quale ci siamo abituati pian piano.
    ora c’è l’occasione per un’accelerazione in senso totalitario.
    non saranno misure molto traumatiche, ma restringeranno gli spazi dell’opposizione o anche solo quelli del libero dibattito sempre di più.
    l’opposizione parlamentare sarà sostanzialmente complice finché ai suoi membri saranno garantiti (grazie all’orrenda legge elettorale vigente) gli stessi privilegi castali di cui gode la maggioranza: si notino le reazioni debolissime di bersani e del pd: persino fini risulta più critico.
    l’equazione capitalismo=democrazia si sta dimostrando un’illusione, come già si è visto in cina: al momento buono quelli che hanno in mano il potere economico si schiereranno dalla parte del regime: già lo stanno facendo.
    ancora una volta il nostro paese è il luogo di sperimentazione di mostruosità politiche mai viste prima, come già accadde col fascismo.
    una rete di opposizione vera non può partire che dal basso, dai luoghi di lavoro, dalle università: non si può più contare sull’opposizione istituzionale.
    ormai c’è poco da scherzare.

  3. @francesco pecoraro

    Se ben ricordo, lei s’avvia ad esser vecchio (non quanto me) ed ancor s’augura che “una rete di opposizione vera non può partire che dal basso”: buona cosa. E’ che io credo che “il basso” si sia da decenni pronunciato ed in modo inequivocabile. La parabola berlusconiana, che va a finire per fisicità, non ha cambiato poi di molto le cose, a mio parere. Concorda lei che i rapporti di forza tra “conservatori” e “progressisti” siano di fatto gli stessi di 60anni addietro, con in meno la “visione” di un mondo diverso, proprio là, nel “basso”?
    Certo che prima o poi si giocherà una diversa partita, ma attori quelli “dell’altra parte” che non abita (e non mangia) qui. Qui si può solo squittire, come anch’io squittisco, e sempre dopo mangiato.

    Con un saluto
    Mario Ardenti

  4. “Fu alla fine di quel mese, di quel mese che è segnato profondamente nella mia vita, che io dissi: “voglio che ci sia la pace per il popolo italiano”; e volevo stabilire la normalità della vita politica.
    Ma come si è risposto a questo mio principio? Prima di tutto, con la secessione dell’Aventino, secessione anticostituzionale, nettamente rivoluzionaria. (vive approvazioni). Poi con una campagna giornalistica durata nei mesi di giugno, luglio, agosto, campagna immonda e miserabile che ci ha disonorato per tre mesi. (Applausi vivissimi e prolungati). Le più fantastiche, le più raccapriccianti, le più macabre menzogne sono state affermate diffusamente su tutti i giornali! C’era veramente un accesso di necrofilia! (Approvazioni). Si facevano inquisizioni anche di quel che succede sotto terra: si inventava, si sapeva di mentire, ma si mentiva.
    E io sono stato tranquillo, calmo, in mezzo a questa bufera, che sarà ricordata da coloro che verranno dopo di noi con un senso di intima vergogna. (Approvazioni)”

  5. ottimo testo, marco. vorrei leggerlo anche su l’Unità… (magari ricordando in effetti anche il figlio di bossi, come qualcuno ha riportato). mai come in questo momento c’è bisogno di lucidità, memoria, e di tutto il contrario dell’autocensura, del trattenersi…

  6. Il discorso sui social network e il loro linguaggio è molto preciso e calzante e, a mio avviso, apre una porta su un corridoio in cui ancora non si cammina. Sto parlando della regolamentazione o meno dell’identità degli scriventi. In internet, da anni, prima con i blogs poi con facebook, due generazioni ormai di ragazzi (a cui si sono uniti folti gruppi di adulti e a volte di anziani) si sono abituati a dire qualsiasi cosa in modo del tutto deresponsabilizzato grazie al potere dell’anonimato. E così spesso abbiamo assistito nei blogs, come nei commenti di queste colonne, a insulti fatti da anonimi a persone esposte pubblicamente e trasparentemente con il loro nome (a partire dai redattori del blog). Dagli insulti si è passati alle minacce di violenza e ora grazie a facebook si è passati alla formazione di gruppi che insultano o inneggiano alla violenza in riferimento a persone più o meno note. Se il fenomeno non può essere risolto considerando legalmente l’iscrizione a un gruppo di facebook come l’iscrizione a una associazione per l’istigazione a delinquere, a me comunque fa riflettere, per alcuni motivi. Questi:
    – quali sono gli effetti sociali, in riferimento alla forma che assume la partecipazione civile, che questa situazione di cose provoca sulle nuove generazioni?
    – siamo sicuri che i gruppi inneggianti alla violenza su facebook siano tutti
    privi di pericolosità e quindi degni di nessuna attenzione? e se non siamo sicuri, non esiste nessuna azione possibile da intraprendere?
    – lo spazio occupato dalla rete è pubblico, a modo suo. E’ giusto che non vi siano modi per distinguere spazi pubblici lasciati ad anonimi frustrati e spazi per persone esposte in prima persona?Forse si potrebbe creare questa distinzione, sia per lasciar spazi dove dire qualsiasi cosa sia per lasciar spazi dove chi scrive deve rendere conto in prima persona di quel che scrive.
    Queste le prime riflessioni che mi vengono in mente.

  7. Perché tanto odio? Basta un sano disprezzo (e opposizione reale, dal “basso, a sinistra”, che non vuol dire – ieri come oggi – maggioranza, né lumpen socio-culturale espresso da siffatta maggioranza)

  8. Penso che ci sia stato poco rispetto della persona umana: come si fa a etichettare così su due piedi uno di squilibrato? Foucault ha parlato invano? O vogliamo restaurare i manicomi dell’Ottocento? Bresci veniva trattato da squilibrato, o no?

  9. bravo Marco!

    e sottoscrivo il primo intervento di Francesco Pecoraro, virgole incluse.

    @iltrenoavapore
    questo discorso, del sempre male tutto male, sarà anche sensato, sarà anche intelligente, ma non è logicamente corretto [visto che la mettiamo sulla logica pura]. ogni previsione sul futuro – anche questa, del sempre male tutto male – è, appunto, una pre-visione. il futuro non esiste ancora.
    è un’idea che posso condividere, insomma, ma: non si sa mai, no? proviamoci, lo stesso.

    e-

  10. @enpi

    tanto per celiare (la notte è lunga e fredda e nevica e quasi certamente moriremo) sì che il futuro esiste… proprio dentro quest’oggi che sta forgiando (ah, le parole!) l’anello del domani…

    si celia sì, ch’ha da fare un vecchio? eppoi, ok ok, non si sa mai davvero..:-)
    provateci, io diedi detti (boh..)

    ‘notte saluto grazie
    mario ardenti

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.