Poesie semplici
Fonie
di
Dorinda Di Prossimo
in vece
tu
ai gerani parli
smessi. freddolini
ai tuorli della sete
un appena di mani
io
a frutto doloroso
a promessa
Nature morte
di
Giampaolo De Pietro
Io non so se sto ascoltando
o no, volevo avventurarmi ma
al passo è finito
l’inchiostro
al rullo è mancato il tamburo
al muro è toccata una preghiera
la più silenziosa
ai venti sparsi gli alberi e
alle foglie tutto
il dolore dell’essere
un’ indegna corazza
e persa dispersa
nel mare scrollato
di dosso
dal mondo
Dorinda Di Prossimo
Avaritudine
posa e poesia
cunto
restasse una ciliegia
dopo questo cader di foglie
*
Mobilia
la stanza
i capelli
la mano
inutile amo
*
Fonie
in vece
tu
ai gerani parli
smessi. freddolini
ai tuorli della sete
un appena di mani
io
a frutto doloroso
a promessa
della staffa. a giuntura due.
Mi viene da dire che per te sfitto il cielo senza conoscere l’esatta gravità delle nuvole. Lettura selvaggia comincio del seme che si fa simile all’albero turchino.
( m’hai affidato questo di colore, indovinando gli spilli degli occhi, il tamburello della voce ). Mi salva dal puntoscorza d’acqua amara, la percorrenza d’uno scandalo bianco. Toccabile, sana pestilenza. Il corpo che sfida geometrie, il giorno modulante. Con noi banchetta un giardino che guitta terrestre. A notte radunato. Quando il pianto resta ostaggio degli orchi. E si confida. Ci sazino, allora, il vagito, la tenera cecità d’un cassetto in fragranza di polpastrelli. Còlto. Abbreviazione a solfeggiaRe. Restasse.
affittevolezze
È ritornato il mare dopo un gomito di treno,
il nome del cielo,
l’ocarina del vento tra’ capelli
Si ricombina l’aria della casa
quinte, mezze tende, cresta ai vetri
quadri fatali, laterali, abboccolati.
In fatalità sfitto, paraggi fino a domani
Riabboccano – mi dico- , ancora annodano, gli ombelichi dall’armadio-
geografie
secondo un caso che da chicago prende ballarò
voce moltiplicò il pennello sulla bocca
dovuta verosimiglianza di branchia a combaciare
favillucce come di panna su bigné
intingolo di fiato che francobolli sanno
( fanno una lucida saliva di chilometri )
Significa nulla che una tigre sfizi l’ORizzonte, accorciato?
staffa. a giuntura tre.
Il gusto del bucato ti devo
le scarpe che vanno sole
un debito a bouquet
Nel mio caffé ti metto
(sai che amo la schiuma petulante come fame )
nella cortesia d’un morso te attorciglio a giudizio
Che sia infine mandorla di viaggio questa benedizione
L’ago fermo sulla tela. La sedia a trattenere.
Giampaolo De Pietro
I fiori hanno
nuvole in mare
nuvole prenotate
sopra le chiome
come specchi
in orizzontale
per potere alzare
una volta gli occhi
e rivedersi chiari
come infantili, di
cotone e fruscii
elementari(ali), ripresi
immateriali ma lì
astanti sguardi nuovi, sopra
il reale, relativo, accadere
(senza cadere però, semmai
invitando i pensieri di sbieco
di tanto in tanto, a visitarli)
*
dobbiamo sorridere alla neve
così che ritorni a cadere, e si scordi di sciogliere
*
sembra una fila – perfetta – di pensieri
*
Libro chiuso
delle spalle.
Prendi il bicchiere
per non stare solo,
i bicchieri più che
per decoro, compagnia
mezzo vuoto che mi sia
*
al respiro che sembra un parto
a un battito solo che ne genera un altro
bravissimimi entrambi.
Giampaolo dipinge gli odori della natura, Dorinda la percezione ed il senso.
Li seguo sempre.
un abbraccio, nat
Bellissimo.
Affezionata lettrice di entrambi, non posso che congratularmi ulteriormente per ritrovarli qui insieme, splendida combinazione di voci , dove Dorinda è il canto che inventa il ricamo, a legare parole con parole, a inventare aggettivi nella catenella sapiente della sua poesia, e Giampaolo, gli occhi all’incanto dell’infanzia, apre finestre che trasfigurano la realtà in un battito di cuore fanciullo dove tutto è il mondo semplice che si vorrebbe.
Bravi!
Francesca
i poeti sanno riconoscersi,si son detti un giorno,
ed eran note di canto il lor sostegno,
tremori di terre condivise,
di spazi trattenuti
polsi, i loro,mai
saranno,
muti.
bacio
Mat
Del treno ricordo il divenire
di rotaia in persona
Di ferro in lussuria
Di canto In discanto.
Attento l’uomo che non vede
“un piccolo dito può indicare grandi cose”
E poi case sparse e un paese a fiordo
Approdo,dico, delle tue lacrime perverse
A presto spero…incanto doloroso
(S.F)
Bellissima poesia : dà l’illusione di parlare con il mondo vicino.
Niente di artificiale, il nome delle cose nella lingua naturale
della sensazione, della pianta in noi,
con questa meraviglia, una ciliega lasciata all’ultimo regalo
del piacere, tra bellezza e paura della scomparsa della meraviglia.
GRAZIE
I vostri commenti sono un bellissimo dono da mettere sotto l’albero. Mi conforta la vostra lettura sensibile e attenta. Ringrazio Francesco Forlani per la fiducia e Giampaolo De Pietro, formichina paziente, ché troppo cicala io sono.
sì, grazie Francesco, Natàlia, Mat, Francesca, Véronique, Sandro. Dorinda, perché mi smuovi la pazienza, e poi quel ronzio di cicale io lo adoro, è così mio per colonna sonora naturale! Buone feste a tutta la nazione indiana.
G.