Perché non ho smesso di scriverti versi
di Simone Consorti
Visionario, solitario stai
Passero che sogni ben altra vetta
Passero che non ti passerà mai
Di lì vedi dentro una toletta
Una donna che con gesti gai
E’ più di mezz’ ora che si umetta
Mentre in cucina il forno fa guai
Vedi ragazzi andare di fretta
Chissà dove, verso quali viavai
Dalla toletta spunta una tetta
Ma tu te la sei persa. Ahi
Tutto il mondo non è che disdetta
Canti e trapassi questo lo sai
E sempre è la parola non detta
Quella che in punta di lingua hai
Dovremmo fondarla questa setta
Di disperati! Che società! I
Membri saremmo io te chi è in bolletta
Leopardi, e quant’ altri. Dai
Figurati che mi innamorai
E lei era talmente abietta
Che quando una volta mi ammalai
Si rifiutò di farmi la peretta
Passero, questa vita va stretta
A te come a me, vita di guai
Senza donne o qualcuno che ammetta
di amarci con l’ anima; in mezzo a vespai
E a libri buoni solo a far cassetta
Senza più editori buongustai
…No, pur senza l’ alloro che ti spetta
Tu del tuo costum non ti dorrai
Né io cercherò una mia vendetta
Io scriverò e tu il volo prenderai
Quando l’ uomo che tra sé balbetta
La sua noia più non capirai.
La bocca a forma di chiglia vichinga
si aggirava come sempre ubriaca
tra i divani, con le mani da zingara
esperta in amore ed il cuore staka-
novista, vuoto come una siringa
Girava col suo umore di lumaca
si fermava preparando un’ arringa
Ma appena apriva bocca… una cloaca
Voleva le provassimo il respiro
perché il suo uomo lui l’ avrebbe uccisa
se la scopriva. E se gli davi retta
appena gli giungevi sotto tiro
crollava come una torre di Pisa
con quella sua bocca a forma sospetta
Io in genere non mi trovavo il naso
quando passava lei: me lo schiacciavo
per renderlo meno ovvio e, nel caso
me lo scopriva, agghiacciato gridavo
di non averlo, che ero tutto raso
da quando ero finito accanto, a tavola
a un noto assaggiatore sadomaso
smorsato prima e quindi fatto incavo
Mi risparmiò sempre, per tenerezza
forse. E fu una fortuna tutta mia
che quella strana vita sia passata
Solo a distanza colsi la sua brezza
Ma oggi, forse, dalla nostalgia
mi ci sottoporrei, alla fiatata
Giuro che sembrava di stare dentro
un racconto di Poe: proprio nel centro.
Poesie tratte da “Perché ho smesso di scriverti versi“, Aletti 2009.
Dei versi e dei libri degli altri si parlava invece parecchio. Non c’è voluto molto a scoprire in Simone una versione aggiornata del lettore totale di cui scrive Mallarmé – nel suo pantheon di riferimento si indovinavano, tanto per cominciare, Catullo, Leopardi, Gozzano, Fred Buscaglione, De André, Woody Allen… Tuttavia lo stato di malinconico esaurimento che avrebbe dovuto conseguirne, sembrava produrre in lui non tanto tristezza quanto un’euforica tensione creativa. Guardate le rime. In alternanza a quelle più facilmente cantabili prende vita nelle poesie di Consorti un campionario inopinato di parole spezzate o agglutinate alla fine del verso: reci (/ Ta davanti…) in rima con preci (/ Pizio– versicolo non ha in sé alcun significato ma a sua volta fa eco con Vizio), artisticon Lizst, i (/ Concerti), staka- (/ novista) con lumaca. Quest’ultimo esempio, per altro, compare in un testo che è un autentico tour de forcestilistico, con versi ipermetri, rime per l’occhio e così via (La bocca a forma di chiglia vichinga).
L’uso a tutto campo della rima a me pare la cifra della scrittura in versi di Consorti, insieme con la tendenza al recupero di strofe e metri tradizionalmente strutturati: non proprio di canzoni, sonetti o sestine è fatto il suo canzoniere, ma a queste forme si pensa inevitabilmente in quanto alluse e talvolta garbatamente parodizzate. Se metto l’accento su questi aspetti tecnici è anche per provare a suggerirne una lettura di senso che vada oltre la predominante componente ludica. Forse non è del tutto azzardato intravedere, nelle fratture e ricomponimenti tra parole o nel ritorno percussivo delle rime, l’immagine sensibile di un’esperienza di separazione (patita, deprecata, esorcizzata) e ricongiungimento (instancabilmente sognato) con il destinatario di questi versi.
L’autore racconta soprattutto il momento dell’apparizione numinosa dell’oggetto del desiderio, l’accelerazione del battito cardiaco e l’appannamento della vista, e poi il momento dell’abbandono bruciante in cui il tempo con-vissuto con la donna amata ritorna come rimorso, recriminazione, rimpianto. In questo senso il titolo della raccolta, Perché ho smesso di scriverti versi, sembra indicare lo spazio strettamente delimitato tra amore e disamore in cui può accadere la poesia: nonostante lo sconfinamento verso temi ulteriori e perfino qualche accenno “civile” nella sezione centrale del libro (complessivamente più “libera” nell’orchestrazione formale), scrivere per Consorti presuppone sempre un dialogo privilegiato con un “tu” femminile assente.
Ricordo che Simone, alle mie insistenze perché raccogliesse in volume i suoi versi, rispondeva che si proponeva di farlo dopo essersi impegnato nello scrivere un certo numero di romanzi. Il fatto che intendesse ascendere una sua stravagante scala di rispettabilità nelle occupazioni letterarie, conoscendolo, non mi sorprendeva. Avendo avuto ripetute prove del suo talento sapevo che era soltanto questione di tempo. ]
La rima e il ritmo fanno uno spazio alla vita, quando mi ha sembrato,
che l’anima nel centro della poesia, scruttatore della vita, sente immobilità,
nocciolo della tristezza amorosa,
la musica salva il passaggio del desiderio
al sentimento di disgusto,
e fose dell’illusione scrivere il vincolo
tra gli esseri.
Il corpo addolorito in la luna nera
del desiderio.
Belissima poesia che strappa qualcosa di noi.
Grazie a Marco Rovelli per aver postato queste bellissime poesie di Simone Consorti, un vero grande talento. A giudicare da questi canti ironici si nota la grande capacità tecnica di piegare le cosiddette “forme chiuse” alle più disparate esigenze dell’espressione, così che l’endecasillabo in quartine o in ottave e sestine alternate con distico finale si piegano perfettamente alle esigenze del ritmo e dell’espressione senza minimamente appesantirne il respiro. Questo è possibile solo con una grande padronanza tecnica al servizio di una forte e sentita ispirazione. Del resto Simone Consorti ha dato prova di essere molto versato anche nella poesia narrativa, d’invettiva, non gridata e non retorica, ma tutta nel testo dei “parlanti” che “si fanno” sulla carta, un po’ alla maniera dell’antologia di Spoon River di Lee Masters. Penso a Nome e soprannome, 2001 e soprattutto a Made in Italy , 2009 Editrice Atelier.Contrariamente che in Lee Masters, in Consorti non c’è il senso nostalgico e desolato dei morti che “parlano” retoricamente al lettore-vivente. Qui la forza è tutta nell’antiretorica della rappresentazione a tutto tondo di personaggi- mostri, emblemi di ciò che pullula negli ambienti urbani , nelle periferie del postcapitalismo, “from under”.
Nessun artificio retorico; ritmo e stile sono tutti nella rappresentazione, nello “sparire” della voce del poeta-narratore:pefetto esempio di mitopoiesi o di “mise en abime” senza nulla concedere al narcisismo o all’interferenza del poeta /autore : qui si vede cosa vuol dire “rappresentare e far parlare un personaggio, sparendo, non lasciando intravedere la “funzione di regia” del poeta/narratore: quando ciò riesce, allora il “testo” ha raggiunto lo scopo, ha un suo perfetto equilibrio, al di là della forma chiusa (rima, metro) o aperta (verso libero).
Sì, sono d’accordo con Petrocchi circa la versatilità e il grande talento di Simone Conforti. Sarebbe un bel modo di ricordarlo, da parte di tutti coloro che amano la poesia, comprando , regalando e facendo circolare i suoi testi. Ne vale davvero la pena.
Trovo queste poesie davvero musicali e felici. Ogni immagine si risolve in un suono, che ne è una specie di eco. Già alla prima lettura, alcuni versi rimangono impressi nella memoria. Spero di poterne leggere presto altre