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Cinque poesie

foglio-metallo2

di Vittorio Reta

Lasci scritte a sangue attraverso lo spioncino
quando la musica lascia la presa
voce anche tu miccia in acquario
per vedere una vetrata da sotto
Luci di Pietralata
Allora buttalo amore

***

Non ho che poche parole per fermare gli attimi fissati in una luce da
cartolina illustrata
e vederti agitare fra nastrini di sangue sulla fronte da pirata su un
terrazzo
celeste, non mi ricordo se il cielo sta a destra, a sinistra o sotto di noi
e i tentativi di spiegarti qualcosa,
forse una cosa terribile che rimandavo di parola in parola persino a me
stesso.
So che al mio silenzio non ho avuto risposta perché non miravo mai al
centro.

***

mi spolmono nelle lenzuola
mi alzo da questo lago ovale in cui mi ero addormentato
che un bosco mi rinchiudeva e lo spazio si restringe
l’orizzonte si restringe
l’immagine che forse scavalcava definitivamente, in ordine
con le mani sulle tempie che flagellano vene
i fianchi dietro di lei lanciati come un coltello
(ho sputato nella cabina per non vomitare tutto il sale
ho tamponato di fazzoletti i tranelli di quella notte)
che ho gettato nel Tevere con i bolli falsi
del passaporto, i visas sui pacchetti di sigarette,
sulla fronte persino il marchio
sui polsi
sui propri passi
scavalcando gli alberi levando ogni volta i gomiti su di lei
avvolta nella sua pelliccia fiorita
sbiadita la testa
e l’indomani ho telefonato alle vittime
resistenze inutili rispondevano nei fili invisibili
per guadagnare tempo ho cucito la sua impronta,
al silenzio che si impelliccia
alle frontiere c’è sempre
Tanger de mort.

***

Quando si preparò il viaggio fu lungo per acqua
scendere scale di legno e su un bordo di marmo d’oltretomba
(dopo aver visto quella città assassina)
e continuando a schegge nei termometri degli istituti di misurazione del tempo
il suo nome in sillabe orientali
tre spine nella spalla dell’osso di velluto, proseguendo con amore?
In un messaggio, l’unica drug story dell’incontro
l’unica cosa rimasta in orbita nel cielo, una porta in cima al tetto
e crollavano moli d’appoggio, risucchi, una torcia di fuoco
sbatteva la testa fra i macigni di una stanza numerata
nel ghetto orribile non ti ho detto: ti volevo dire sì, è quella volta
che guardai l’ora per te
nel quadrante rosso rosa della stazione le lancette si erano fermate per un mese.

***

È l’afa dei lacrimogeni, a seconda di come li porta il vento,
accantoni l’infanzia quando occupi una città,
i cromosomi della violenza, come li porta il vento,
i piedi affondano nei tappeti, in un tappeto pelvico strappano
vedi, il tuo gesto alla finestra, che alza il braccio mima un gesto
compiuto prima a 500 m di distanza da quando una mano
[ha raccolto una pietra
perciò hai il volto ricoperto di mappe epiteliali
ti si sono stampate addosso le impronte digitali di una immensa
[circolarità

ecco, ora asciugati, senza male le radici
aspetta un poco
una scarica motoria
che faccia rifluire l’eccitazione
prima che venga toccato il punto zero
ecco, vedi abito questo episodio al punto di non poterlo
[descrivere
seguendo una curva, piano, di spalle prima che venga toccato
[il punto zero
molte volte si contrae la muscolatura liscia

l’afa dei lacrimogeni, la biologia di una lacrima,

quel movimento in cui si è trascinati via,
guarda sta per finire
per raddoppiare la parola che ha provocato
guarda, vedi, forse, sanguino.

(da Visas e altre poesie, a cura di Cecilia Bello Minciacchi, Le Lettere)

5 COMMENTS

  1. C’è un’impressione strana di annegamento,
    di linea che si scioglie,
    un’identità perduta
    come la linea degli ogetti elenco
    che va a finire nel Tenevere
    Tanger come porto del vacillare
    e del silenzio.

    Una poesia che trafigge il cuore.

  2. Immagini forti ed incisive, “macchiate” e “sanguigne”, che lasciano il senso del vissuto a fior d’ “epitelio”

    trovo molto belle la seconda e la quinta, la prima non l’ho “capita” – diciamo così -.

    p.s.: “ale” – 18° rigo della terza poesia – credo sia una svista di battitura.

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