carta st[r]amp[al]ata n.2

di Fabrizio Tonello

Martedì sera vado tranquillamente a dormire e mercoledì mattina penso che il mondo continui come sempre: Obama alla Casa Bianca, i paracadutisti della 101° divisione a Haiti, il salmone affumicato di Barney Greengrass a New York sempre in testa alle classifiche mondiali. E invece no. Apro, dopo aver compiuto opportuni riti purificatori, l’edizione on line di Libero e leggo: “il dato veramente rilevante è che l’elezione di Brown fa perdere a Obama la maggioranza in Senato”. Ostia!, come diceva mio nonno quando pensava che mia nonna non lo sentisse.

Mi devo essere perso qualche puntata, forse sono stato trascinato in uno buco spaziotemporale e siamo in un universo parallelo, oppure mi è successo come al protagonista di Uno Yankee alla Corte di Re Artù di Mark Twain e siamo già nel novembre 2012, nel 2016, o magari addirittura nel 2036. Stai a vedere che mago Merlino mi ha fatto un incantesimo e ho dormito fino a delle elezioni americane lontane nel futuro. Vado a vedere sul sito del New York Times e vedo che la data è quella che mi aspettavo, 21 gennaio 2010. Non solo: il rispettato quotidiano della 42° strada non sembra aver registrato l’avvenimento riferito da Libero. Cosa sarà mai successo?

Secondo il quotidiano (…) di Maurizio Belpietro, sarebbe stata l’elezione di un repubblicano in Massachusetts a rovesciare la maggioranza nel Senato americano. Essendo che i senatori americani sono 100, di questi 58 sono democratici, 2 indipendenti che abitualmente votano con i democratici e 40 i repubblicani, l’elezione di Brown non dovrebbe aver condotto a un ribaltone, a meno che 10 senatori democratici non abbiano improvvisamente deciso di cambiare partito e gettarsi nelle braccia dei repubblicani. Dopo puntuali verifiche, scopro che non è successo nulla del genere e quindi i 60 senatori democratici o alleati rimarranno tali fino a quando Brown non sarà formalmente insediato, sostituendo il senatore “provvisorio” del Massachusetts che oggi occupa il seggio. Quando questo sarà avvenuto la loro maggioranza diventerà 59 su 100, invece di 60 su 100, percentuale comunque non spregevole.

A dire la verità, i giornali italiani si sono buttati, questa settimana, sulle notizie del Massachusetts, e poi sulle difficoltà per la riconferma di Ben Bernanke alla guida della Federal Reserve (l’equivalente della nostra Banca d’Italia), “scoprendo” che nel Senato degli Stati Uniti ci vuole una supermaggioranza di 3/5 per fare qualsiasi cosa. E così, sabato 23, Mario Platero rivelava ai lettori del Sole-24 Ore che “Non c’è più il segreto: il voto per confermare Ben Bernanke alla guida della Federal Reserve è stato rimandato perché non c’erano tutti i 60 voti necessari all’approvazione”.

In effetti, il segreto non c’è più perché non c’è mai stato: i voti necessari all’approvazione di qualsiasi nomina presidenziale che richieda il consenso del Senato sono 51 e non 60, almeno secondo la costituzione. E’ vero che 60 voti sono necessari per mettere fine all’ostruzionismo contro una nomina o una proposta di legge (filibustering) ma lo statuto costituzionale di questa prassi seguita dal Senato è assai incerto e, in ogni caso, è dubbio che 40 repubblicani decidano di ricorrere all’ostruzionismo contro un banchiere centrale nominato da George W. Bush. Può essere che i senatori repubblicani, per orgoglio di partito, decidano di votare contro la conferma, ma è molto dubbio che riescano a trovare i 40 voti necessari per impedire la votazione, anche contando sull’appoggio di alcuni democratici, come Barbara Boxer, e l’indipendente Bernie Sanders, l’unico senatore americano che si potrebbe definire “socialdemocratico”. Secondo il canale televisivo CNBC, il 71% dei  repubblicani, compreso il leader dei senatori Mitch McConnell, sostiene Bernanke.

E un programma di alfabetizzazione rapida rivolto ad alcuni giornalisti per imparare a contare fino a 100, quello chi lo sostiene?

10 COMMENTS

  1. Credo che il problema vero, quello su cui occorrerebbe riflettere, non sia tanto l’alchimia matematica sul numero di senatori che resteranno in quota a Obama, ma perché la linea Obama e dei democratici abbia subito un rovescio. Pare che non basti un presidente nero e democratico per cambiare i connotati della prima superpotenza mondiale, almeno fino ad oggi, anche se gli scricchiolii del mondo unipolare a favore di un multipolarsimo prossimo venturo dei paesi del “Bric” sono alle porte, e questo gli statunitensi, almeno una loro parte, lo stanno capendo.

  2. Complimenti a “Carta St[r]amp[al]ata” per la precisione con cui disseziona le castronerie sull’America dei giornali italiani. Ma con quello che sono pagati i corrispondenti da Washington, non potrebbero almeno controllare i numeri prima di scrivere?
    Su Obama e il Congresso: è ovvio che non basti un presidente nero e democratico per cambiare i connotati della prima superpotenza mondiale ma la vera delusione sta nella mancanza di leadership di Obama nel 2009. Quando avrebbe potuto mettere le banche in ginocchio non l’ha fatto e ora è troppo tardi per convincere gli americani di essere più vicino al cittadino della strada che non a Wall Street.

  3. a me invece preoccupa il fatto che la stampa, certa stampa italiana, senza possibilità di replica efficace da parte di voci dissenzienti, si getti come avvoltoio alla carogna su porzioni di notizie facendole coincidere con una notizia intera, “la ” notizia. il giornale e libero sono particolarmente esperti in questo e anche di fronte allo sbugiardamento che dovesse seguire non si fanno intimorire. alle spalle hanno la cassa di risonanza dei tg. ci mancavano solo le varie rubriche televisive di commento alle notizie che compariranno l’indomani sui giornali per favorire questa confusione. uno non va nemmeno più a leggere: se non ha tempo coglie quelle tre o quattro indicazioni distorte, che si fidi o meno poco importa: intanto la goccia della mala informazione scava scava scava.

  4. trovo questo sul New York Times a questo indirizzo http://www.nytimes.com/2010/01/18/health/policy/18health.html

    “With the Massachusetts special election for United States Senate increasingly unpredictable, Democrats in Washington are contemplating a fall-back plan to advance far-reaching health care legislation, even if a Republican victory on Tuesday deprives Senate Democrats of the crucial 60th vote they need to overcome filibusters.”
    Forse hanno drammatizzato i segnali di giornali come il New York Times, ma i timori sono spiegati e concreti

  5. Cara Lucia Cossu,

    forse i timori dei giornali italiani “sono spiegati e concreti” ma i numeri restano numeri: i democratici HANNO la maggioranza in Senato e questa maggioranza, almeno per quanto riguarda la conferma di Bernanke E’ sufficiente per impedire l’ostruzionismo. Per quanto riguarda la riforma sanitaria è questione di volontà politica…

  6. e io infatti ho parlato di timori, non di impossibilità a realizzare tale riforma, solo di ulteriore difficoltà perché ciò apre alla possibilità di struzionismo

    come ben illustrato sempre dal New York Times a questo indirizzo
    http://topics.nytimes.com/top/reference/timestopics/subjects/f/filibusters_and_debate_curbs/index.html?inline=nyt-classifier

    “With that push, the Senate decided that a two-thirds vote could cut off a filibuster, borrowing the French parliamentary term “clôture” for such a motion. In 1975, the Senate cut the required vote for cloture to three-fifths, or 60 senators, instead of 67.”

    e con la vittoria dello scorso giorno sono a 59 e non più a 60

  7. La notizia sulla quale si discute risale a diversi giorni fa. Ricordo di aver ascoltato, quella mattina, un dibattito di approfondimento su Radio 3. Confesso di non ricordare il nome di alcuno dei partecipanti, tuttavia ricordo assai bene il punto caldo della questione, un punto di triplice valenza.

    A) Il Massachusets era stato una roccaforte democratica dei Kennedy e dopo di loro, il testimone era rimasto tra i denti dell’asinello. Nelle ultime elezioni, i Democratici devono aver pensato che si andasse sul velluto e infatti, la senatrice perdente ha dovuto ammettere un imperdonabile atteggiamento di sufficienza, durante la campagna elettorale. Tanta, superficiale presunzione di supremazia ha condotto a sottovalutare l’incisività della propaganda avversaria.

    B) Alla luce di questo evento, che consuma in sé un vero dramma, sia pure “minore”, le prossime elezioni di Medio Termine appaiono ancor meno incoraggianti per Obama, rispetto alla classica previsione del calo di consensi che ogni Presidente USA, di solito, è costretto ad incassare in quell’occasione.

    C) I lavori in Senato, in special modo l’iter della riforma al sistema sanitario, rischiano di subire rallentamenti e, soprattutto, di doversi assoggettare a manovre più articolate.

    Detto ciò, e per quanto possa valere la mia opinione, ho l’impressione che il messaggio implicito negli articoli politici, della nostra stampa-con-l’elmetto, sia sempre funzionalmente legato ad una propaganda militante in servizio permanente effettivo: Destra è Bello, Sinistra fa Schifo. Ad imperituro memento, per tutti i “comunisti” dell’italico suolo, che la sacra fiamma del patrio destin destrorso viril custode ha nella man tesa. I nostri amici e gli amici dei nostri amici son gente seria; per tutti gli altri, la gogna della Storia attende.
    E giù con festosi, quanto superficiali e ridicoli, scoppiettii e fuochini d’artificio.

    Non so, magari c’è dell’altro. Magari, la tiratura aumenta quando si lancia direttamente un osso grondante nella bocca del cane, anziché star lì a dissezionare notizie. Magari, avanti che ti sei messo lì a fare qualche pesata col bilancino di precisione, ecco che qualche migliaio di lettori t’ha già spernacchiato dandoti del minchione e se n’è andato in giro per ronde. Chi lo sa.

    O forse ancora, più freudianamente, si cavalca un’onda lunga, l’eterno argomento dei rovesciamenti di fronte, così caro a noi tutti. Talmente avvezzi a vedere e a considerare tumultuosi eventi e maremoti politici che travolgano il Transatlantico, da indurre la stampa militarizzata a salutare con una batteria di salve ogni piccolo o grande dramma che riguardi gli equilibri di una democrazia. Tanto per non perdere l’abitudine.

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