La responsabilità dell’autore: Luigi Bernardi
1.
Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?
Non credo si possa parlare di mancanza di vitalità, quanto di assenza di direzione, o meglio ancora di offuscamento di direzione. Scrittori capaci in Italia ne abbiamo in buona quantità, solo che non sempre riescono a produrre opere di qualità. La ragione mi sembra vada cercata nella etichettatura che la critica e gli stessi autori si sentono in dovere di appiccicare alle loro opere, in una sorta di divisione a priori che crea branchi all’interno dei quali molti si rifugiano per sottrarsi alle proprie responsabilità individuali. Etichette – peraltro risibili a partire dagli stessi nomi, come New Italian Epic, New Realism, Post Noir – che spostano il problema dall’opera in sé all’appartenenza della stessa: un sintomo almeno di immaturità, la sola qualità di cui non può fregiarsi la letteratura. Un altro problema mi sembra quello della paura che molti scrittori hanno di non essere consolatori, di non offrire uno sguardo positivo del mondo intorno. Prendo per esempio uno dei titoli migliori della scorsa annata, Accabadora di Michela Murgia: a due terzi del romanzo l’autrice compie una svolta ardita e poco credibile, solo per arrivare a un finale che al cinema si direbbe lieto. La redenzione non è un obbligo della letteratura, è una mistificazione della realtà.
2.
Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?
Le opere di qualità appaiono comunque, il problema semmai è quello della visibilità e della pigrizia/ottusità dei lettori che scelgono di leggere sempre gli stessi autori, che a loro volta riscrivono sempre lo stesso libro. L’industria editoriale propone quell’intrattenimento che i lettori cercano. Oggi scrittori come Berto e Parise farebbero fatica a pubblicare, per non parlare di Pasolini. Il buco nero nel quale siamo precipitati è tutto qui. Per avere successo, o anche solo visibilità, ci si deve travestire da giullari. Alcuni ci riescono molto bene, anche perché giullari lo sono per davvero.
3.
Ti sembra che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali rispecchino in modo soddisfacente lo stato della nostra letteratura (prosa e poesia), e quali critiche faresti?
Le pagine culturali vivono di polemiche, si gettano a capofitto a creare anche loro divisioni, appartenenze. Le recensioni sono in diminuzione, a tutto vantaggio delle anticipazioni: pur di parlarne per primi non ci si dà neppure il tempo di leggere un testo. C’è poi l’ottusità dei critici che non vanno oltre la loro conventicola di amici e conoscenti, un altro fattore di divisione. Le pagine culturali sono ormai troppo spesso “veline” a favore di questo o quello. Il danno è enorme, questo sì epocale. Quando lavoravo all’Einaudi, nel corso di una telefonata con Paolo Repetti ci inventammo il Noir Texano, solo perché in quei giorni uscivano un libro di Lansdale, scrittore texano, e uno di Crumley, scrittore del Montana che aveva ambientato un romanzo in Texas. Io mi aspettavo che i redattori della pagine culturali ci sbugiardassero, e ce la saremmo meritata. Invece l’inesistente Noir Texano si guadagnò i suoi articoli pieni di niente.
4.
Ti sembra che la maggior parte delle case editrici italiane facciano un buon lavoro in rapporto alla ricerca di nuovi autori di buon livello e alla promozione a lungo termine di autori e testi di qualità (prosa e/o poesia)?
Gli editori italiani, nel loro complesso, svolgono un buon lavoro di selezione. Il problema nasce nella fase di promozione, alla quale soltanto pochi libri hanno diritto, e quasi sempre i peggiori, i più innocui. Un altro problema, di cui non si parla o si parla troppo poco, è l’espulsione dal mercato degli scrittori anziani. Nessuno punta più di loro, e molti trovano difficoltà a pubblicare, anche scrittori che hanno dato molto alla narrativa nazionale, penso per esempio a Giuseppe D’Agata di cui mi sono occupato a più riprese. Ci sono scrittori anziani “bolliti”, ma ce ne sono anche di vivi e rabbiosi, emarginati per il solo fatto che, data l’età, non costituiscono un buon investimento.
5.
Credi che il web abbia mutato le modalità di diffusione e di fruizione della nostra letteratura (narrativa e/o poesia) contemporanea? E se sì, in che modo?
Il web ha creato ottime occasioni di discussione e di visibilità, anche se troppo spesso ha dato origine a polemiche senza fine e di nessuna utilità. Il web è una grancassa dove ognuno può dire quello che vuole e dove ciascuno può sentirsi scrittore solo per il fatto di avere qualche testo disponibile per la lettura. La rete assomiglia per molti versi a quella caricatura di democrazia che sono le assemblee di condominio, dove tutti parlano nello stesso tempo e ciascuno pensa di avere ragione.
6.
Pensi che la letteratura, o alcune sue componenti, andrebbero sostenute in qualche modo, e in caso affermativo, in quali forme?
Credo che l’unico sostegno decente, non assistenziale, sarebbe la creazione di un sistema bibliotecario funzionante, che acquisti libri in quantità e riconosca agli autori una royalty sui singoli prestiti. Mi pare inoltre auspicabile, soprattutto per la scarsa rilevanza della nostra lingua a livello planetario, un intervento inteso a favorire la traduzione dei testi italiani all’estero. Infine, ovviamente, è imprescindibile un taglio agli sconti praticati sui prezzi di copertina da parte delle grandi catene e dal mass market: è l’unico modo per salvare le piccole librerie che spesso sono l’ultimo baluardo per l’editoria di qualità.
7.
Nella oggettiva e evidente crisi della nostra democrazia (pervasivo controllo politico sui media e sostanziale impunità giuridica di chi detiene il potere, crescenti xenofobia e razzismo …), che ha una risonanza sempre maggiore all’estero, ti sembra che gli scrittori italiani abbiano modo di dire la loro, o abbiano comunque un qualche peso?
La mia idea è che gli scrittori parlino troppo, firmino troppe petizioni (talora in palese contrasto con le loro scelte editoriali), si atteggino a salvatori di niente, quando poi le loro opere sono incapaci di lasciare il segno, di essere lo specchio di quello che siamo diventati. L’unico peso che lo scrittore può avere nella società è attraverso la scrittura, attraverso la pubblicazione di opere di riferimento, magari centrate sugli stessi temi che sembrano stare loro molto a cuore quando firmano una petizione.
8.
Nella suddetta evidente crisi della nostra democrazia, ti sembra che gli scrittori abbiano delle responsabilità, vale a dire che avrebbero potuto o potrebbero esporsi maggiormente e in quali forme?
L’unica responsabilità che si può imputare a uno scrittore è quella di scrivere brutti libri. In questo senso, molti e forse troppi scrittori italiani hanno grandi responsabilità, soprattutto quando finiscono con l’anteporre la speranza e la redenzione a quella che sarebbe la logica conclusione delle loro storie. In questo credo che la responsabilità sia anche degli editori e degli stessi lettori, che pretendono falsità e consolazione (in una parola: evasione) laddove nella vita quotidiana accettano di subire qualsiasi iattura.
9.
Reputi che ci sia una separazione tra mondo della cultura e mondo politico e, in caso affermativo, pensi che abbia dei precisi effetti?
La cultura e il mondo politico devono viaggiare sulle stesso binario ma in direzione contraria, andare verso lo scontro. Ma se proprio non vogliamo evocare l’immagine disastro, diciamo almeno che la cultura dovrebbe essere la coscienza critica del potere politico, invece troppo spesso ne è vassalla, non foss’altro che per la continua di richiesta di contributi e di assistenza.
10.
Ti sembra opportuno che uno scrittore con convincimenti democratici collabori alle pagine culturali di quotidiani quali “Libero” e il Giornale, caratterizzati da stili giornalistici non consoni a un paese democratico (marcata faziosità dell’informazione, servilismo nei confronti di chi detiene il potere, prese di posizione xenofobe, razziste e omofobe …), e che appoggiano apertamente politiche che portano a un oggettivo deterioramento della democrazia?
Non credo che a sinistra ci siano i buoni e a destra i cattivi: è una semplificazione alla quale uno scrittore non può aderire. Da parte mia, le più grandi delusioni umane le ho ricevute da persone che ostentavano l’etichetta di uomini di sinistra. Questo non impediva loro comportamenti arroganti, mafiosi e imbecilli. Il problema dell’Italia, e ritorno alla risposta alla prima domanda, è nella mafiosità dei branchi, che si respira e si subisce a ogni livello. Ben vengano quindi le contaminazioni, le irruzioni in territorio nemico, lo sparigliamento, la confusione: almeno forniscono materia al pensiero.
Comments are closed.
Un’intervista che molti che scrivono in questo blog dovrebbero leggere con attenzione. Nelle risposte di Luigi Bernardi emerge un’onestà d’intelletto forte, incisiva. Sono nette le linee, che vengono fuori, dello scrittore in rapporto al mondo. In questa intervista viene spazzata via la figura dell’intellettuale militante che si caratterizza più per la presenza in piazza e nelle petizioni che per la sua opera.
onestà intellettuale e lucidità sono le basi sulle quali poggia la sua leggenda – e lo scrivo senza vergogna adesso che è vivo e può mandarmi a quel paese).
un uomo troppo scomodo per l’editoria italiana.
@ Luigi Bernardi
In linea di massima non dice nulla di nuovo. Tutte cose in parte condivisibili. Solo qualche appunto…
1) Alcuni scrittori si sentono in dovere di firmare petizioni soprattutto se qualcun altro ne fa una questione di vita o di morte dalle pagine di Repubblica.
2) Nessun intellettuale (l’appartenza politica non c’entra) dovrebbe scrivere su un giornale come Libero. Con titoli vergognosi.
3) Bisognerebbe riflettere sul concetto di Redenzione in un paese profondamente mafioso come quello italiano.
Bello netto! Così si fa, così ci si pone. Non sono d’accordo solo sull’attacco alla “redenzione” nei finali. Se un libro è buono, ci sta bene qualunque finale, al contrario, il contrario. “Delitto e castigo” docet. Però è chiaro che Bernardi si riferiva a una certa tendenza, ecc. Direi una tendenza psicologica da fiction, che tira a pervadere un po’ tutto il panorama dell’odierna mediocrità italiana. Va scavalcata in tronco, e se come dice Bernardi “l’unica responsabilità che si può imputare a uno scrittore è quella di scrivere brutti libri”, l’unico dovere dello scrittore è quello di cercare di scrivere bei libri, di puntare al proprio meglio.
Io Luigi Bernardi non l’ho mai sentito, non so neanche chi è. Quindi, massima adesione spontanea. Ciao.
…”nel corso di una telefonata con Paolo Repetti ci inventammo il Noir Texano”…
Complimenti, mi sembra un valido pulpito da cui predicare!
Uno dei post più stimolanti degli ultimi mesi. Grazie alla redazione e a Luigi Bernardi.
Un passo che vorrei qui ricordare:
“La mia idea è che gli scrittori parlino troppo, firmino troppe petizioni (talora in palese contrasto con le loro scelte editoriali), si atteggino a salvatori di niente, quando poi le loro opere sono incapaci di lasciare il segno, di essere lo specchio di quello che siamo diventati”.
Condivido molti punti di Bernardi: il rifugiarsi nelle appartenenze, per diluire l’impatto della propria individualità autoriale; la promozione dei soliti noti (e non dei migliori); la vocazione consolatoria; una proposta concreta e alternativa all’esistente: “Credo che l’unico sostegno decente, non assistenziale, sarebbe la creazione di un sistema bibliotecario funzionante, che acquisti libri in quantità e riconosca agli autori una royalty sui singoli prestiti.”
Non condivido: “l’unica responsabilità che si può imputare a uno scrittore è quella di scrivere brutti libri” né l’apologia della confusione come stimolo del pensiero. In certi contesti, lo scrittore – che è sempre anche un cittadino – può sentire più urgente una responsabilità che non sia quella esclusiva verso la sua scrittura. Insomma, la solita storia: questa posizione di Bernardi può essere interpretata – magari non da lui – come una sorta di lasciapassare etico per lo scrittore. Quanto poi al fatto che la cultura dovrebbe essere la coscienza critica di qualsiasi mondo politico, d’accordissimo.
d’accordo quasi su tutto – insomma, penso lamberti bocconi abbia ragione sul tema dei “finali”. la consolazione finale, nel caso, deve rispettare cio’ che la precede, non deve essere “appiccicata” per accarezzare la testa di un lettore che si suppone piuttosto sciocco.
parole chiare, nette, “gusto intenso”.
Condivido Andrea I. nella sue condivisioni e incondivisioni (e aggiungo ancor più nettamente: ingenuo il finale – ma su questo, qui, se n’è già detto a dismisura).
Risposte da applausi, con una eccezione.
Risposta 6, il sistema bibliotecario è vecchio, malato e pieno di metastasi. Manca qualche anno alla sua morte, diventerà una struttura collezionistica di tipo privatistico, sostituita dal web per lo studio e la consultazione. Non vedo, quindi futuro economico per gli scrittori che possano sostentarsi con le royalties derivanti dal prestito dei libri. Al limite, si potranno sostentare con le royalties derivanti dalla vendita degli e-book. Con grande sospiro di sollievo per gli alberi e respiro per l’umanità.
Non mi sembra oro colato quel che dice Luigi Bernardi. Sarò pure Nessuno e Ignorante ma credo che Pasolini troverebbe dove pubblicare anche oggi, anche qui.
Inoltre per il momento preferisco identificare la New Italian Epic in un Non-genere-letterario (sbaglio o s’era definito ‘memorandum’?) dove riccorrono fattispecie narrative comuni a più scrittori/rici ciascuno dei/delle quali, volendo, può farsi ricondurre ad uno dei canonici generi esistenti.
“Non credo che a sinistra ci siano i buoni e a destra i cattivi: è una semplificazione alla quale uno scrittore non può aderire. Da parte mia, le più grandi delusioni umane le ho ricevute da persone che ostentavano l’etichetta di uomini di sinistra. Questo non impediva loro comportamenti arroganti, mafiosi e imbecilli. ”
Beh, certo, anch’io conosco persone di destra meno stronze di alcune di sinistra, e persone di sinistra meno stronze di alcune di destra.
[Giustamente dice “persone che ostentavano l’etichetta”. Le etichette costano poco e fanno sempre comodo, a seconda di come spiri lo zeitgeist.]
Ma il problema posto dall’ultima domanda era un altro.
[Un invito: cominciamo a non chiamare “critici” tutti i recensori dei giornali.]
secondo me, una domanda importante – da fare a Luigi Bernardi, che ha una grande (e importante) esperienza di cose editoriali – è stata solo sfiorata [“Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?”].
e cioè: di chi è la colpa?
di chi è la colpa, se si preferiscono certi finali, o certi libri?
perché esiste la convinzione che i “i peggiori, i più innocui”, dànno maggiore profitto? quando e perché e come si sono diffusi questi luoghi comuni editoriali?
e-
condivisibile al massimo aggiungendovi le limature di anna lb e andrea inglese. finalmente, da spettatrice, un po’ di chiarezza.
aggiungo tuttavia che non si può, proprio non si può scrivere per libero, al di là dello schieramento politico di appartenenza: per la qualità scadentissima del punto di vista e dell’espressione conseguente della testata. gli editoriali (!) sono dei torcibudella.
AMA, ti invito a leggere, perchè si capisce che non lo fai, le pagine culturali di Libero. Ti assicuro che sono molto ma molto più interessanti di quelle di Repubblica, l’Unità, La Stampa ecc. Preciso che io leggo parimenti le pagine culturali di tutti i giornali di cui sopra.
dinosauro ci segnali qualche articolo, di chi e su chi, della pagina culturale di libero? Libero tra l’altro è così poco democratico che in rete di culturale non mette nulla, a parte le cose che gli interessano per polemiche.
Io penso che tu possa avere ragione, nel senso che non lo escludo a priori, ma mi piacerebbe ad esempio leggere un passo che ti ha colpito, una recensione che ritieni migliore di quelle apparse su altri giornali ecc.
Non citarmi cose di Nori però le leggo già nel suo blog;-).
Non invitarmi a comprare libero …perchè non lo farei mai, non almeno prima che tu mi abbia convinto che valga la pena non foss’altro per la pagina culturale. Quello che passano in rete fa decisamente schifo … ma amgari chissà ci sono perle nascoste che tu hai letto e io no. Mostramele dai ….
Un appunto sull’ultima domanda (non sulla risposta: sulla domanda). Tra i giornali segnalabili per “marcata faziosità dell’informazione” e “servilismo” nei confronti della proprietà, segnalerei anche “La Repubblica”. Quanto al sessismo, invito alla lettura di questo pezzo di Francesco Merlo, nonché dell’analisi che ne fa Federica Sgaggio.
Così, tanto per ricordarsi.
La prima risposta di Bernardi mi lascia perplesso quando afferma che parecchi scrittori adeguano le proprie opere a presunte correnti letterarie (vedi New Italian Epic); cioè: essi scrivono (stile, forma, contenuti eccetera) in modo tale da rientrare in quella – peraltro fumosa – categoria narrativa? Mi sembra strano. Anche provando a farlo apposta non sarebbe facile. Magari conta di più (non mi riferisco a nessuno in particolare, non ho alcuna prova e vado a naso) conoscere i canonizzatori narrativi: allora magari nel genere ci si entra dalla porta principale – a proposito delle mafiette e consorterie culturali cui Bernardi allude.
Sul finale consolatorio: naturalmente non esistono regole assolute. Il finale d’una storia, se una storia è ben fatta, esige d’essere scritto, si scrive da sé, si detta allo scrittore; è la scaturigine di risonanze interne alla storia, è il clic d’un meccanismo necessario e quasi fatale; se la storia non possiede un destino coerente (il quale può anche benissimo essere un finale mozzo o incompleto, vedi Kafka o Gadda o tanti altri grandi moderni) non è una buona storia, è in qualche modo una forzatura. Infatti la buona storia fluisce simile alla vita, e quale vita la si può ingabbiare in un finale “studiato”? Voglio dire, c’è qualcuno che non sia convinto che Anna Karenina o il capitano Achab o Joseph K. non DOVESSERO morire?
ps: dico però a Lamberti Bocconi che il sommo Dostoevskij a mio avviso accusa una debolezza proprio nei finali, perchè cerca spesso l’edificazione impossibile, la redenzione più che umana svilendo così l’impatto drammatico, imbiancandolo un po’.
L’ultima affermazione di Bernardi è la più scivolosa; come ho già scritto altrove tendo a condividerla, non fosse che oggi davvero in Italia il livello di guardia dev’essere altissimo, e lo scrittore che pubblica deve stare all’erta come un civile disarmato a passeggio nella giungla.
Scusate, a me sembra che Bernardi abbia introdotto una variabile che forse mancava un po’ a questo dibattito: la gente che i libri li legge – e che non scrive su nazione indiana:
“Le opere di qualità appaiono comunque, il problema semmai è quello della visibilità e della pigrizia/ottusità dei lettori che scelgono di leggere sempre gli stessi autori, che a loro volta riscrivono sempre lo stesso libro. L’industria editoriale propone quell’intrattenimento che i lettori cercano. ”
Sarebbe bello se il mondo fosse in febbrile attesa del nuovo Pasolini (o Dostoevskij o,,,) e i biechi funzionari delle case editrici – con l’appoggio delle consorterie giornalistico-mediatiche – ne impedissero la pubblicazione.
Qui il problema diventa, prima ancora che politico, strutturale: le case editrici sono imprese economiche? Devono fare soldi? Non sono domande retoriche, secondo me. (e la gente che ci lavora lo fa per soldi? E chi scrive?)
“sarebbe bello” perché?
a me pare che ciò avvenga nei fatti: anzi, la non alta qualità di ciò che circola da qualche anno in italia mi dice due cose: o di colpo siamo entrati in una fase di profonda decadenza o i comitati di lettura delle case editrici impediscono la pubblicazione di opere che potrebbero essere di valore ma che non rispondono ai requisiti commerciali della casa editrice secondo il modello (parodistico) di eco “dolenti declinare…” senza tanto dolore e senza avvisi.
si respingono i romanzi di autori troppo vecchi: che ha da dire un vecchio?
georgia, non si possono leggere le pagine culturali solo su web. Di articoli interessanti ce ne sono stati molti. Tutti i giorni le pagine propriamente culturali sono tre o quattro (escluse quelle dello spettacolo che ricomprendono cinema, teatro, televisione). I critici, gli scrittori non sono pochi. Nei giornali citati spesso le pagine (non di costume in genere) ma che riguardano la letteratura, l’arte e la scienza sono appena due, spesso di scarsa qualità. T’invito a comprare Libero per una settimana, magari turandoti il naso, poi possiamo riparlarne.
no, caro dinosauro, segnalami tu autore e argomento, volta per volta ;-)
Poi, possibile che un giornale al di sopra di tutti gli altri nella pagina culturale (a tuo giudizio) abbia come risultato che un suo affezionato lettore non ricordi nulla che lo abbia colpito? boh …. ;-).
E’ vero che non si legge solo su web, ma il web ti invoglia a leggere il cartaceo e viceversa … invece di libero in rete ci sono solo le prime pagine (e qualche perfido articolo propagandistico) e … NON invogliano certo un lettore come me ;-)
Io condivido in pieno quanto detto alla domanda 1, soprattutto riguardo alle etichette. Chi scrive, parlo per esperienza (ache trascurabile, oggettivamente, ma soggettivamente significativa) sia di scrittore, sia di studioso, respira magari un’epoca, o degli autori, ma quello di genere è un concetto che serve soprattutto dopo che si è scritto, non è un procedimento meccanico del processo creativo. Men che meno un’etichetta.
“noir” credo sia un termine così abusato che io personalmente sto riscoprendo il verde, e non solo in letteratura.
C’è una moda che percepisco diffusa, nel web e in libreria, verso lo scrivere “bene”, come se lo stile fosse sostanza, o fosse la totalità della sostanza. Troppo spesso mi arriva la sensazione strisciante di leggere sempre lo stesso autore, pur cambiando nomi e contesti. O gli stessi autori, al limite. Credo sia un problema di omologazione, intesa non come scelta consapevole, ma come forza appiattente contro cui un certo modo di lavorare e vivere il linguaggio (e il pensiero, ovviamente) agisce da antidoto. Se uno si dimentica di somministrarsi per troppo tempo l’antidoto, però, poi sono dolori. Questo è un sintomo che viene molto prima di possibili categorie di analisi relative al fatto che “redenzione” possa essere una mistificazione, una scelta di mercato facile, o una necessità in un paese devastato dalla mafia.
<Ben vengano quindi le contaminazioni, le irruzioni in territorio nemico, lo sparigliamento, la confusione: almeno forniscono materia al pensiero.<
e questo me lo chiamate ingenuo?
L’enunciato in sé, figuriamoci, è perfetto. Ma riferito alla questione posta, e al livello di discussione che c’è stato, direi che è assai più che ingenuo – nella misura in cui, appunto, manca la presa sul punto specifico, non solo: mistifica i termini della questione.
grazie per i plausi, e anche per le critiche, sulle quali al momento non mi sembra il caso di entrare nel merito.
solo un paio di precisazioni:
@Salvatore: mi pare ci fosse dell’autoironia in quel passaggio, e semmai la denuncia della faciloneria con cui i giornalisti culturali abboccano alle trappole degli uffici stampa.
@Plessus: conosco lo stato del sistema bibliotecario e proprio perché lo conosco mi pare uno dei punti cardine per migliorare la situazione della lettura nel nostro paese. d’accordissimo invece sugli e-book.
” Ben vengano quindi le contaminazioni, le irruzioni in territorio nemico, lo sparigliamento, la confusione: almeno forniscono materia al pensiero”.
ecco, questo è ciò che chiamano post-ideologia, la moda intellettuale del momento. Signica adattarsi ai tempi e non è proprio il massimo per uno scrittore.
“Etichette – peraltro risibili a partire dagli stessi nomi, come New Italian Epic”. Come non essere d’accordo?
http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=375851
“Ci sono scrittori anziani … vivi e rabbiosi, emarginati per il solo fatto che, data l’età, non costituiscono un buon investimento.”
Adoro che si parli di me.
perché si è diffusa l’idea che scrivere su Libero sia cool?
una cosa simile era accaduta in passato per il Riformista.
E’ questo che in definitiva importa ad uno scrittore oggi?
E’ questa idea, che ci sia il giornale più a là page di altri che penso sia nociva.
@made in caina: no, la post-ideologia non è la moda intellettuale del momento. risale, e per fortuna, almeno ai tempi di Tondelli.
@ Luigi Bernardi
bé, allora o lei o altri siete fuori moda…
preferisco la seconda ipotesi, ma da ciò che si scrive sui giornali attualmente, circa le contaminazioni e gli attraversamenti degli steccati, e da ciò che una certa linea della destra, e del corriere, vuole fare passare, si direbbe che c’è un recupero vintage anche di questo.
da come parlate di Libero si desume che voi siete favorevoli alla censura, ai reati d’opinione, alle liste di proscrizione, alla delazione, alla polizia politica…
siete davvero un bell’esempio di democrazia !
alla domanda:
«Ti sembra opportuno che uno scrittore con convincimenti democratici collabori alle pagine culturali di quotidiani quali “Libero” e il Giornale, caratterizzati da stili giornalistici non consoni a un paese democratico (marcata faziosità dell’informazione, servilismo nei confronti di chi detiene il potere, prese di posizione xenofobe, razziste e omofobe …), e che appoggiano apertamente politiche che portano a un oggettivo deterioramento della democrazia?»
Luigi Bernardi non ha risposto direttamente, ma nella sostanza ha risposto sì, mi pare.
Ho letto giusto?
a proposito di democrazia, qualcuno sa del decreto Romani, sulla censura al web ?
evidentemenete i lettori di Libero e Il Giornale, che fanno tanta professione di democrazia e di libertà ne saranno stati sicuramente informati, dai !
quando un popolo è diseducato alla convivenza dalla scuola ai mezzi di informazione più comuni, gli è impedita la partecipazione alle scelte da una legge elettorale, dalle mafie, dai monopoli affaristico-mafiosi, ecc…ecc…la democrazia è solo una vuota formalità.
abbiamo di meglio da fare che mantenere la “vostra” democrazia.
“Attraversamenti degli steccati”, “deterioramento della democrazia” “posizioni omofobe, sessiste”. Orribile ciò che scrivono alcuni. Poco educati alla Cultura e per converso tracimanti di ideologismo. Molto, assai intolleranti nei confronti di un “nemico” spesso prodotto dal loro vaticinio. L’altro lo si “conosce” attraverso figure ingessate in uno stereotipo. C’è alla base una pigrizia che inaridisce il pensiero. Nell’antiestetica di certe espressioni c’è l’enorme distanza tra loro e la Cultura.
@Alcor: sì, credo sia opportuno, allo stesso modo in cui sarebbe opportuno che Il Manifesto o Liberazione pubblicassero, per esempio, Pierangelo Buttafuoco.
Nell’antiestetica di certe espressioni c’è l’antiestetica di certe espressioni !
sì, credo sia opportuno, allo stesso modo in cui sarebbe opportuno che Il Manifesto o Liberazione pubblicassero, per esempio, Pierangelo Buttafuoco.
si? e in base a quali meriti ? quelli di un mediocre scrittore trovatosi in una congiuntura politicamente favorevole ?
Spruzzafiele, l’ (a)ceto dello spirito…
made in caina, che difficile digestione! Altro che i gatti di Bigazzi! Buttafuoco è acido e mediocre? Ha scritto pochino a dire il vero, ma sono certo che non lo hai letto.
Adoro la possiblità di leggere Buttafuoco e valutarlo criticamente. O di non leggerlo, pur sapendo che esiste e che scrive.
Mi pare che le indicazioni di Bernardi siano chiare e nette!
Bernardi ha ragione, ci vuole reciprocità. Se Buttafuoco – uno che si è fatto pubblicare da Franco Freda, per dire – venisse pubblicato sul Manifesto sarebbe infatti una cosa altrettanto insensata.
Innanzitutto volevo ringraziare Luigi per aver accettato l’invito a intervenire aqui, ma soprattutto per avere condiviso con tutti la sua personale cartografia. Avercene di mappe in questa fase, diciamolo pure, di grande confusione sotto al cielo, è già una fortuna e non capita spesso che si con divida quello che si ha.
Il questionario, per esempio, più che una carta è una traccia, un insieme di tracce, di segni, e si sa che le tracce possono indurre in una o in tutt’altra direzione. A me sembra per esempio che Luigi abbia nelle prime risposte individuato dei ponti, guadi, interstizi, che vale la pena sviluppare. dalle sue considerazioni sullo stato attuale delle cose, mi sembra che emergano responsabilità ben più problematiche che non il semplice vendere il culo al nemico – e avercene uno!- o dirsi di sinistra e darsi alla destra ( dispositivo autoreverse s’intende). Proviamo a ragionare su uno di questi passaggi, per esempio.Scrive Luigi,
“Le opere di qualità appaiono comunque, il problema semmai è quello della visibilità e della pigrizia/ottusità dei lettori che scelgono di leggere sempre gli stessi autori, che a loro volta riscrivono sempre lo stesso libro. L’industria editoriale propone quell’intrattenimento che i lettori cercano”
Per capire le dimensioni dell’invasione che c’è stata a partire dagli anni ottanta, dei topi del management nel mondo della cultura basterebbe vedere , adesso che i bastimenti affondano, con quale solerzia essi abbandonino nave ed equipaggio. La crisi che sta in questo momento facendo chiudere i battenti a un numero impressionante di librerie di quartiere, licenziare personale specializzato per affidare gli stessi servizi a stagisti o a persone sottopagate –
è soprattutto di tipo economico, e non certamente culturale – mancanza di idee, talenti, poetiche – e in particolare proprio di quel modello, lettore uguale cliente che ha condizionato e ancora condiziona i programmi editoriali. In questi ultimi dieci anni (di più?) abbiamo assistito a delle vere e proprie aberrazioni in materia di letteratura, come ad esempio decidere di non pubblicare un’opera, cui pertanto si riconosceva “grande valore letterario” perché senza mercato. Trovavo aberrante all’epoca e oggi ancor più di ieri , che alla luce dei fatti quel diktat abbia potuto sfornare non solo testi mediocri ma che in più si sono rivelati dei veri e propri flop di mercato. Non valeva allora la pena, soprattutto per quelle case editrici che campano di rendita su tradizioni che ormai non gli appartengono più, pubblicare un testo che avesse più valore letterario? In effetti abbiamo visto e Luigi Bernardi ce lo ricorda, il progressivo asservimento al gusto dei lettori essi stessi asserviti a delle logiche per cui ” la dimensione consensuale, pacificatrice, d’intrattenimento puro e duro neanche un po’, era orientata, suggerita, dagli stessi editori, ha portato all’impasse in cui siamo. Da una parte lettori di altissima qualità- vd l’esperimento di Pordenone legge- e dall’altra la fuga di lettori – e di librai- dal sistema Litterature. Un’impasse da cui senza uno slancio in tutt’altra direzione, magari anche di due passi indietro, alla riconquista di determinati campi come quello della critica sociale, della invenzione di linguaggi, della visionarietà delle narrazioni, non si potrà uscire. Una battaglia che si dovrà vincere mandando affanculo per un po’ certe logiche, le stesse, fidatevi di me, che dopo aver inventato l’editoria appagamento s’inventerà il lettore a pagamento. Scrittori ad ogni costo? Bene lei ci da 5000 euro. con mille le curiamo, fabbrichiamo, comunichiamo il libro e con i restanti 4000 le procureremo quattromila lettori pagandoli un euro a libro. 4000 lettori. Quanti scrittori, e dico scrittori scrittori, possono dire di avere più di 4000 lettori? effeffe
Fimmini: intitolare così un trattato sulla seduzione lo trovo sconveniente, soprattutto da siciliano. Ma a qualcuno potrebbe suonare piacevolmente esotico. In fondo, su cliché simili a la brancati trova la sua fortuna letteraria, apprezzato più in altri luoghi che non nella sua stessa terra d’origine – e non è la solita questione: nemo propheta in patria-.
del resto, sia per stile che per i contenuti non sono mai, anche sforzandomi, riuscito a capirlo, a comprenderlo. Se non avesse così tanti estimatori mi sarebbe indifferente, come lo fu nei bei tempi in cui non era stato ancora “adottato” da Ferrara (suo unico sponsor, ‘che, sia chiaro, si tratta di questo!), affinché si promuovesse in maniera artefatta una pseudo cultura di destra da opporre a una odiata egemonia culturale.
da lì in poi la scalata è stata tutta in discesa !
a proposito di dannunziano, ecco un esempio adatto ai tempi.
@ Luigi Bernardi
uno scambio tra eguali su opposti versanti, sembrerebbe di capire, giusto?
scrittori così non hanno nulla di meritorio. Parafrasando Fenoglio, che così si riferiva in tempi impari a suoi pari, questi non fa che proditoriare le strade della scrittura, occupandole a tradimento.
sì, uno scambio come si faceva al check point charlie: noi vi diamo nori e voi ci date buttafuoco.
chi ci guadagnerebbe in questo caso?
temo di sapere la risposta.
aggiungo che faccio fatica a capire cos’è “l’individualità autoriale” e in che senso si opporrebbe alle appartenenze: la storia dell’arte è piena di individui autoriali che si sono dati anima e corpo ad un partito, una causa: insomma, gente “faziosa”.
quindi rinasce l’orribile categoria del “libero pensatore”?
e se sì, mentre liberamente si pensa secondo la propria “indìvidualità autoriale”, mentre ci si scambiano cortesemente gli scrittori da una parte all’altra (esistessero, almeno, le parti, si potrebbe pure appartenere, ma anche volendo…), il banana cosa fà? si ferma e aspetta?
beh per ora buttafuoco non mi sembra granchè, e non vedo cosa potrebbe pubblicare sul manifesto, ma se scrivesse qualcosa di pregevole, perchè no?
In fondo cardini un tempo era visto come il baubau, mentre poi si sono viste molte cose sue pubblicate su giornali di sinistra, e nessuno si è scandalizzato. TUTTO dipende dal valore del CONTENUTO.
Evviva la Faziosità ! abbasso la libertà autoriale :)
sempre, ovviamente, nell’ambito del rispetto della legalità, del pluralismo, della democrazia del morirei pur di lasciarti parlare, del rispetto reciproco, e della libertà di collocarsi nella merda che più ci aggrada…sia mai! :)
Via, via, vieni via di qui,
niente più ti lega a questi luoghi…:)
baci
la fu
(“Oggi scrittori come Berto e Parise farebbero fatica a pubblicare, per non parlare di Pasolini.” giusto!
in italia forse anche uno come il buonanima di foster wallace non verrebbe mai pubblicato. no? [ovviamente la domanda-risposta-scontata la pongo a me stesso, rimuginando sul post]).
L’editoria è una industria e come tale si comporta. Più si vende e più si deve vendere. il budget non perdona. Paradossalmente, i grandi successi di Saviano e Giordano sono una iattura per gli stessi manager della Mondadori, che si trovano costretti a replicare quelle cifre di fatturato, aumentandole.
Una volta, ingenuamente, si diceva: ben vengano i best seller perché con i guadagni realizzati una casa editrice può investire sui giovani. È esattamente il contrario. Quando lavoravo all’Einaudi, in Stile Libero Noir, inizialmente avevamo obiettivi di vendita di 4.000 copie, dopo tre anni l’obiettivo è raddoppiato, e quindi è drasticamente diminuita la possibilità di investire su un esordiente. Lo stesso succede a qualsiasi grande editore, o anche medio, quando le cose gli funzionano bene. Come faranno E/O e Marsilio a gestire gli enormi fatturati dell’Eleganza del Riccio e della trilogia di Larsson: sembra facile, ma non lo è affatto.
Per questo non c’è da aspettarsi molto dai grandi editori in termini di qualità. Però, ripeto, la situazione italiana non è peggiore che in altri paesi. I libri buoni ci sono, bisogna solo saperli cercare. E non tutti hanno la voglia, la pazienza e la curiosità di farlo.
Quanto alla polemica ideologica, mi interessa poco o niente. Da sempre preferisco leggere le idee di qualcuno che non la pensa come me: mi pare l’unico modo per crescere, per non dare mai nulla di assodato. La democrazia italiana è debole perché è giovane e mai troppo consolidata. Libero e il Giornale non sono un pericolo, il pericolo sono i loro lettori, ultimi discendenti di un popolo storicamente asservito e servo come quello italiano. Ma sono un pericolo anche i lettori di altri giornali, che credono nell’esistenza di un mondo che non c’è mai stato, non c’è e non ci sarà mai.
Nel caso di Libero il problema non è solo ideologico, è di linguaggio.
Che un problema di linguaggio non interessi chi scrive o comunque si occupa di libri spiega tante cose.
Curioso anche che si dica “Da sempre preferisco leggere le idee di qualcuno che non la pensa come me: mi pare l’unico modo per crescere, per non dare mai nulla di assodato.”
Non ci vedo niente di significativo, è la cosa che fa normalmente non dico ogni intellettuale serio, ma ogni lettore con un po’ di sale in zucca.
Ed è quello che molti hanno ribadito qui, nelle varie puntate dedicate alla questione.
Evidentemente non è servito a nulla.
duali individuali quindi. rinasce l’orribile categoria del “libero pensatore”?
e se sì, mentre liberamente si pensa secondo la propria “indìvidualità autoriale”, mentre ci si scambiano cortesemente gli scrittori da una parte all’altra (esistessero, almeno, le parti, si potrebbe pure appartenere, ma anche volendo…), il banana cosa fà? si ferma e aspetta?
TUTTO dipende dal valore del CONTENUTO.
sempre, ovviamente, nell’ambito del rispetto della legalità, del pluralismo, della democrazia del morirei pur di lasciarti parlare
giusto! rimuginando sul post]).giusto!
L’editoria è una industria e come tale si comporta. Più si vende e più si deve vendere. il budget non perdona. Paradossalmente, i grandi successi di Saviano e Giordano sono una iattura per gli stessi manager della Mondadori, che si trovano costretti a replicare quelle cifre di fatturato, aumentandole.
iniettarsi piccole dosi di letteratura
La democrazia italiana è debole perché è giovane e mai troppo consolidata. Libero e il Giornale non sono un pericolo, il pericolo sono i loro lettori, ultimi discendenti di un popolo storicamente asservito e servo
inizialmente avevamo obiettivi di vendita di 4.000 copie, dopo tre anni l’obiettivo è raddoppiato, e quindi è drasticamente diminuita la possibilità di investire su un esordiente. Lo stesso succede a qualsiasi grande editore, o anche medio, quando le cose gli funzionano bene.
che credono nell’esistenza di un mondo che non c’è mai stato, non c’è e non ci sarà mai.
ogni lettore con un po’ di sale in zucca.
Ed è quello che molti hanno ribadito qui, nelle varie puntate dedicate alla questione.
Evidentemente non è servito a nulla.
baci
la fu
francamente penso che nessuno darebbe la vita per lasciare parlare nessuno: quindi è un’immagine retorica del tutto teorica & stucchevole.
quello che accade nel paese si chiama “presa di potere” di pochi sui molti e il terreno su cui si gioca la partita è del tutto ideologico e culturale.
quindi mentre ci inchiniamo in riverenze reciproche, – la prego signor butta-fuoco scriva lei per primo sul manifesto, no prego prima lei -, questo processo (storicamente con modalità del tutto inedite) va avanti, e lo fa proprio servendosi di intellettuali per così dire ri-assorbiti nel corpo sociale, lo fa de-neutralizzando l’area della discussione democratica, mangiandosi spazi ogni giorno più grandi, arretrando tatticamente quando è opportuno (si vede in questi giorni la faccenda bertolaso), attaccando con notevole et volgare violenza ideologica non appena si apre uno spazio.
in questo quadro ci mettiamo a predicare la neutralità e la dis-appartenenza “autoriale”?
va bene, però chi lo fa, si sa pure da che parte (“oggettivamente”) sta.
Interessante intervista, è stata una piacevole sorpresa davvero, ringrazio la redazione di Nazione Indiana e Luigi Bernardi per la solita sincera facilità con cui tocca i nervi scoperti dell’editoria, lanciando il sasso senza ritrarre la mano. Concordo sul concetto di redenzione come mistificazione, i “lieto fine” stirati per le orecchie sono numerosi e stridono come il gesso sulla lavagna, pochi hanno il coraggio di evitare questa trappola e dire che la realtà come la letteratura possono essere sgradevoli e non consolanti. Poi senz’altro la visibilità è l’ostacolo maggiore che un’ opera di qualità incontra e tra le tante soluzioni proposte sembra che siamo ancora lontani dal trovare una soluzione più strutturata del passaparola.
Pecoraro, si sente, emerge con prepotenza la sua appartenenza a quel corpo “culturale” che vive fino al midollo (evitando di disturbare i neuroni che dormono) la condizione di oppressi di minoranza che deve ribellarsi. Ma quale minoranza, in tutti i programmi televisivi, nella maggior parte dei giornali, nell’editoria il vostro “corpo” è invasivo, maggioritario. Di che cosa sta scrivendo.
quello che accade nel paese si chiama “presa di potere” di pochi sui molti e il terreno su cui si gioca la partita è del tutto ideologico e culturale.
sono perfettamente daccordo con te sulla presa di potere di pochi su molti (è un fenomeno che non riguarda solo il nostro paese), se però davvero la partita si giocasse solo sul terreno ideologico e culturale … beh tanto varrebbe alzare bandiera bianca. la partita sarebbe già persa, visto il livello di cultura che c’è, al momento, a sinistra :-), anche a destra il livello è bassino (anzi inesistente) ma loro combattono con le bolle di sapone corrazzate della propaganda e lo sanno e lo possono fare perchè hanno le tv.
la cosa che mi domando sempre è perchè se loro usano la tv ci guadagnano, se la usiamo noi (vedi santoro) facciamo spesso il loro gioco. Se loro usano gli spot e gli slogan, hanno un grande seguito se lo facciamo noi facciamo solo ridere. Forse le nostre armi non sono quelle, e quando le usiamo scimmiottiamo, forse sarebbe bene che tornassimo ad usare quelle che sapevano usare i nostri nonni: politica e cultura (ma quella vera e non quella divisa, a chiacchiere e per il proprio tornaconto, in compartimenti stagni in destra e sinistra). io penso che contro la propaganda (vera e propria arma di sterminio di massa di oggi) non si debba rispondere con altra propaganda spuntata (ridicola se non si ha il potere delle tv) ma con una cultura vera, profonda, NON unicamente ideologica (che fa ridere anche i pochi polli rimasti), una cultura in grado di smontare la loro propaganda e di lasciarli in mutande di fronte a chi li credeva corazzati. E questo forse (dico forse perchè non lo so) può accadere con miglior successo contaminandosi che isolandosi settariamente. In campo culturale naturalmente, in campo politico non esiste altra alternativa che una unione compatta al di là di ogni pregiudizio … ma questo è altro discorso. L’intellettuale oggi deve affinare le proprie armi per smontare la propaganda e le menzogne della politica di destra, ma per farlo bisogna avere polsi di ferro che non tremino, un orecchio allenato, il fiuto di un segugio e soprattutto tanta ironia … e questo in giro non lo vedo.
geo
gergia, “aldilà di destra e sinistra” poi ridicolizzi una parte non dandogli cittadinanza culturale. Contaddittoria. Io non sono di destra. Rivendico alla vera cultura tanti filoni, oltre quello che tu esalti e ritieni unico ed esclusivo. Anarchici individualisti, cattolici, cristiani, liberali, anticonformisti, nichilisti, maledetti.
guardi maestro tash
io non morirei neppure per le mie idee figuriamoci per quelle degli altri
le è sfuggita la sottile ironia? possibile che non si fidi mai di me? :)
faziosissimi baci
la fu
@Lucy: mi era sfuggito il tuo “che ha da dire un vecchio?”. mi limito a risponderti: complimenti, hai capito tutto.
Oggi, su Libero, che ho letto al bar, c’è una recensione di Camillo Langone a “Ragazze del nordest”, che mi pare altrettanto convincente della corrispondente di Elena Scancanelli su Repubblica, che ho comprato. Così, detto en passant.
Vedo però che il discorso editoriale e letterario interessa sempre meno e impazza la discussione ideologica, comprese le bandiere che compaiono e scompaiono. peccato.
…ma di morte lenta nè :)
Morire per delle idee, l’idea è affascinante
per poco io morivo senza averla mai avuta,
perchè chi ce l’aveva, una folla di gente,
gridando “viva la morte” proprio addosso mi è caduta.
Mi avevano convinto e la mia musa insolente
abiurando i suoi errori, aderì alla loro fede
dicendomi peraltro in separata sede
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè
ma di morte lenta.
Approfittando di non essere fragilissimi di cuore
andiamo all’altro mondo bighellonando un poco
perchè forzando il passo succede che si muore
per delle idee che non han più corso il giorno dopo.
Ora se c’è una cosa amara, desolante
è quella di capire all’ultimo momento
che l’idea giusta era un’altra, un altro movimento
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta
ma di morte lenta.
Gli apostoli di turno che apprezzano il martirio
lo predicano spesso per novant’anni almeno.
Morire per delle idee sarà il caso di dirlo
è il loro scopo di vivere, non sanno farne a meno.
E sotto ogni bandiera li vediamo superare
il buon matusalemme nella longevità
per conto mio si dicono in tutta intimità
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè,
ma di morte lenta.
A chi va poi cercando verità meno fittizie
ogni tipo di setta offre moventi originali
e la scelta è imbarazzante per le vittime novizie
morire per delle idee è molto bello ma per quali.
E il vecchio che si porta già i fiori sulla tomba
vedendole venire dietro il grande stendardo
pensa “speriamo bene che arrivino in ritardo”
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè,
ma di morte lenta
E voi gli sputafuoco, e voi i nuovi santi
crepate pure per primi noi vi cediamo il passo
però per gentilezza lasciate vivere gli altri
la vita è grosso modo il loro unico lusso
tanto più che la carogna è già abbastanza attenta
non c’è nessun bisogno di reggerle la falce
basta con le garrote in nome della pace
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta,
ma di morte leeeeenta.
caro dinasauro non hai capito una mazza … su una sola cosa hai azzeccato, io pur amando il pensiero anarchico NON ho molta simpatia per gli anarchici individualisti che spesso mi sembrano dei fascisti (anarcofascisti appunto), ma questa è solo una mia opinione personale, per carità, anche se al momento esiste una linea di pensiero “anarchica” nata in america che si rifà al pensiero neocon e reazionario (guerra esclusa naturalmente) del niente lacci e lacciuoli, e che sembra aver attecchito anche in italia. Beh a me non paice punto, se permetti.
georgia, l’importante che capisca tu. Purtroppo la tua risposta sfugge alla questione posta. L’ostracismo, i roghi (soprattutto quelli moderni), lo snobbismo, il migliorismo, non possono essere elementi costitutivi della Cultura, pena il suo capovolgimento in anti-cultura, barbarie. Non è in discussione ciò che a te piace o non piace, ma avere un’idea della dimensione culturale la più estesa possibile. Vero, poi, quello che scrive Bernardi, torniamo alla discussione sui temi editoriali e letterari (che però qualcuno ha impastato voltumanente con quelli delle bandiere ideologiche).
Aoh, cià belli, so’ Gertrudo, me stavo a preoccupà no, sui punti 5 e 7, dove se parla der webbe che è ‘na caricatura de democrazia che so’ come le assemblee di condominio (mentre invece aoh, quella vera, de democrazia, vabbene che nun sia vera, che sia proprio assemblea de condominio, e ce mancherebbe pure…) e dove se dà n’antro corpettino alle petizioni che firmano ‘sti scrittori (“troppe”), insieme a migliaia e migliaia e migliaia de libberi cittadini: che saranno de sicuro “troppi”, pure quelli. Che poi, ‘sti scrittori parlano pure “troppo”, a dirla tutta, eh.
Mentre leggevo no, c’avevo tipo come banchi de nebbia, che me venivano addosso, m’entravano ner cervello no: me stavo a immagginà de traslochi, de valigge pesanti, ggente che da Libbero no, se trasferiva ar Manifesto, e viceversa, che sennò nun sarebbe giusto eh, semo in democrazia. Me stavo davero a preoccupà, però poi me so tranquillizzato arivando ar punto 10, che dice che s’è c’è confusione, se se vede nebbia, vabbene, dev’esse, se pole proseguì tranquilli, sereni, nun ce stanno probblemi: so contaminazioni, so cose pe’ spariglià la mafiosità der branco, so iruzioni, perché dice che vor di’ che così ce “forniscono materia ar pensiero”.
quanto ce piace de chiaccherà…
La decima domanda rovina la serietà dell’iniziativa. Grande Mozzi.
“Oggi scrittori come Berto e Parise farebbero fatica a pubblicare, per non parlare di Pasolini.” Penso che sia un’affermazione su cui riflettere…
Nel caso di Libero e de Il Giornale linko questa lettera aperta di Marco Travaglio a Michele Santoro che può dare il senso su cosa sono quei due quotidiani e a cosa si riduce il confronto con loro, altro che faziosità.
http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2442166&yy=2010&mm=02&dd=20&title=lettera_a_michele_santoro
Con la neutralità dell’autore si finisce a rincorrere le oche nel cortile, ha ragione (e quasi mai lo penso) Francesco Pecoraro
L’unica cosa che emerge chiara, tristissima, da questa intervista – così come del resto dallo scritto di De Luca – è che gli scrittori non si vogliono prendere nessuna responsabilità civile in quanto scrittori e intellettuali.
E questa è più una causa che una conseguenza del deficit democratico italiano.
lorenzo galbiati: assolutamente d’accordo. aggiungo: si *guardano bene* gli intellettuali dal prendersi la benché minima responsabilità, dal momento che tre quarti della pagnotta e del companatico viene dal padrone delle ferriere.
luigi bernardi: siccome non capisco il suo tono, sottolineo che ho detto la cosa sullo scrittore anziano in senso antifrastico. sa, qui su NI è un po’ difficile dialogare, a meno di non uscire dal seminato e spararle sempre più grosse. se dici cose normali e fondate e non sei nessuno, raramente vieni preso in considerazione: è la ragione per cui mi sorprende il suo commento. al contrario, se sei qualcuno e vaneggi il thread si gonfia che è un piacere.
I miei due cent sulla questione delle biblioteche italiane.
NOn c’è un vero e proprio Sistema Bibliotecario.
Ci sono biblioteche statali di conservazione.
Biblioteche private specializzate e pubbliche di ricerca (Università).
Ci sono infine biblioteche di pubblica lettura e Sistemi Bibliotecari territoriali che dipendono dai singoli enti locali. Sono una o più per Comune, più di diecimila. E non sono coordinate tra loro. Non c’è un catalogo comune. Non c’è un albo dei bibliotecari. Non sempre il personale è professionale o appartenente ad un ruolo specifico.
Il “sistema” però ha una sua vitalità Il suo essere decentrato, ha reso possibile a diverse centinaia di biblioteche di essere luoghi di promozione della lettura semplicemente eccellenti.
Uno dei principi cardine è la gratuità del servizio.
Da alcuni anni, una direttiva europea vorrebbe invece imporre il pagamento di un diritto d’autore, cosa che in diversi paesi del nord europa è serenamente accettata. Qui lo si vorrebbe istituire, ma mantenendo la gratuità del servizio.
Oltre alla questione di principio, c’è quella strategica: potrebbe essere un colpo mortale per le biblioteche, che già sono spesso le prime a subire i tagli di bilancio, quando le amministrazioni devono risparmiare.
Inoltre temo che il guadagno ne risulterebbe risibile, se non per i soliti grossi editori..
Infine, le biblioteche in realtà, già contribuiscono proprio comprando i libri, magari proprio quei titoli che il mercato sottovaluta o emargina grazie alle procedure partecipative del pubblico.
Sempre le biblioteche sono centri di promozione culturale, organizzano incontri e iniziative sul libro, sugli scrittori, sugli editori, spesso e volentieri contribuendo a controbilanciare gli squilibri del mercato.
un ambito dove le biblioteche hanno dato un bel contributo è quello della letteratura per l’infanzia, dove vengono assorbiti titoli e collane di piccoli editori, altrimenti invisibili nella stragrande maggioranza delle librerie italiane.
Insomma, la questione è complessa.
<Oggi scrittori come Berto e Parise farebbero fatica a pubblicare, per non parlare di Pasolini.<
ma no, ma no. pubblicano roba molto più "impubblicabile". semplicemente, forse, non sarebbero nell'occhio del ciclone, nel bene e nel male.
<Oggi scrittori come Berto e Parise farebbero fatica a pubblicare, per non parlare di Pasolini.<
sììì! e neanche foster wallace se non fosse tradotto. no?
ditemi di no. per favore. se wallace fosse stato italiano lo avrebbero pubblicato? dai, ditemi di sì. :)
se Wallace fosse stato italiano, difficilmente sarebbe stato Wallace, temo.
Qualcuno ha tirato in ballo tale Pierdiavolo Appicciafuoco e il suo banale, dozzinale, kitsch, nazifascista, putrido romanzino ino ino da quattro centesimi, “Le uova del drago”. Da vomitare. Siamo così degradati, disperati e moribondi e io stesso mi faccio pena e schifo nel citare il librino ino ino di questo nostalgico del truce, ma molto (molto, molto, molto) ben integrato nel sistema politico-culturale maggioritario…
Perché “Il manifesto” dovrebbe pubblicare le cacchine di Mangiafuoco? Non è mica una fogna? Per evacuare le deiezioni non bastano Mondadori, “Il Foglio”, “Panorama”?…
TRAVAGLIO HA RAGGIUNTO LA CIFRA DI OLTRE 950 COMMENTI !
“se Wallace fosse stato italiano, difficilmente sarebbe stato Wallace, temo.”
Temo che Fabio Teti tema bene.
Noto una certa ingenuità nella lettura che si fa delle logiche aziendalistiche che sostengono le strategie editoriali. Invito a guardare alle tirature medie ed al numero di titoli editi (oltre 50.000!!!) ogni anno in Italia (alle tirature, neanche alle vendite) da lì, moltiplicando per i prezzi medi, se ne deducono i ricavi. Si confronti ora il tabellare al minuto che si paga al minuto per la pubblicità / sponsorizzazione di una trasmissione televisiva, e se ne deduce che il solo far conoscere un autore su scala nazionale è un suicidio. Caro Bernardi, una volta con le quattromila copie vendute che citi non ci facevi neanche un margine sufficiente per pagare la copertina e la prefazione fatte da un paio di nomi altisonanti. Se ne deduce che l’industria editoriale è fortemente oligopolista, e non credo che, a queste divisioni, un editore di libri puro abbia molte chance: gli investimenti di Mondadori Libri arrivano dalle altre divisioni e il rischio è alto. Un altro problema, che ho citato, è l’affollamento. Risachio che, sotto il profilo dell’analisi empirica, si deduce dal fatto che oltre un terzo delle tirature finisce al macero; ma è una stima in difetto, per i ben noti escamotage commerciali tesi alla “svendita” prima dell’ultima ratio. Insomma, quelli da sostenere in un oligopolio vengono poi scelti con i più disparati criteri. Penando alla saggistica, mi torna in mente una battuta di Bertolino che commentava l’appuntamento di un noto sociologo sulla prima pagina del Corriere della Sera: salviamo l’Amazzonia, abbattiamo gli Alberoni :-)
ho scritto divisioni invece di condizioni, ma mi sono appena alzato :-)
made in caina il numero dei commenti non vuol dire nulla, al massimo ha lo stesso significato del televoto di ieri a sanremo ;-).
Ormai solo il peggior populismo s-popola (in tutti i campi, ce ne’è per tutti i gusti, generi, fazioni, religioni, ma sempre di populismo turbo trattasi), con l’eccezione di saviano, ma si sa che le eccezioni ci sono sempre, anche se l’eccezione non fa che confermare la regola … siamo TUTTI intossicati ormai.
@Georgia, questa storia del sono tutti uguali “che è un film di Alberto Sordi?”
e poi che eccezione sarebbe Saviano? Tutto è uguale con aggiunta di eccezioni come cadessero dal cielo, cosa siamo al misticismo culturale? Io non vedo ne geni ne santi, a me sembra che ci sia qualcuno come Saviano e molti altri che cercano di fare bene il proprio mestiere (alle volte anche sbagliando) e qualcun altro che invece delinque, corrompendo persone e falsificando la realtà riducendo spazi e possibilità di dialogo. Non caschiamo ogni volta nel sono tutti uguali in questo terribile e tanto italiano lamento, perché c’è chi lavora duramente dentro questa realtà e lo fa duramente e con difficoltà per colpa di chi lavora disonestamente e in parte (magari anche minima, ma sempre in parte) per colpa di chi non si accorge della grave situazione in cui ci troviamo. Trovo insopportabile (e questa è una mia digressione, non voglio metterti in bocca cose che non hai detto), questo eravamo tutti fascisti, eravamo tutti democristiani, eravamo tutti ladri, tutti credavamo che Tortora fosse colpevole (per dire) e ora tutti siamo intossicati, non è vero è falso come sono falsi i televoto tra l’altro.
Troppe chiacchiere.
Chi è contro per davvero, non si presta a lavorare per l’editoria berlusconiana.
Ma oltre alla responsabilità degli scrittori, chiediamoci quali sono le responsabilità degli editori, dei recensori, dei lettori, dei pubblicitari. Un buon libro, anche il migliore, per essere venduto deve trovare visibilità e gli strumenti ci sono ormai anche non costosissimi come uno spot in tv. Il guaio è che non si usano. Io personalmente conosco il fenomeno dei blog letterari e posso garantire che con un minimo di impegno e professionalità, i lettori si trovano, la gente si interessa ed è curiosa. La gente che legge c’è, ed è un patrimonio ancora inesplorato, la gente che scrive bene pure, ora non ci tocca che creare occasioni di incontro. Analizziamo la figura del recensore per esempio. Sento giornalisti che mi dicono che è un lavoraccio faticoso e nessuno vuole farlo. Perchè leggere e mettere il proprio talento per promuovere altri? Bernardi con estrema lucidità ha toccato i problemi e ha dato spunti di dibattito. Io personalmente vorrei sentire qualcuno che proponesse qualcosa di concreto. Sì, sono davvero curiosa.
superati i 1000 commenti al post di travaglio su antefatto.it
benito cereno certo che c’è chi fa le cose per bene e anche importanti, figuriamoci se lo nego, dico solo che oggi il nostro gusto è talmente calcarizzato che se non ci danno pugni eclatanti nello stomaco non ci s/muoviamo nè com-muoviamo, e questo sia a destra che a sinistra, magari in maniera diversa (certo una certa differenza esiste eccome), ma il risultato è lo stesso, ecco perchè il numero di commenti, la diffusione in rete a turbo di qualcosa, ha SPESSO (non sempre se dio vuole, ma spesso si) lo stesso valore intossicato del televoto di ieri (o del voto a berlusconi).
Io NON ho mai detto che sono tutti uguali, ma certo il momento non è dei migliori per l’intelligenza anche se … come sempre qualcosa sfonda il muro di gomma … ma è talmente raro, che chi lo sfonda, poi lo sfonda in eccesso.
geo
made in caina meglio mettere il link così non devi farci la diretta dallo stadio ;-)
Lettera a Michele Santoro
e insomma se uno scrittore italiano (bipolare quanto basta per articolare lunghe catene di associazioni immaginarie) atterrasse sull’ipotesi di non poter essere pubblicamente un epigono di Wallace, allora dovrebbe saltare tutti i passaggi intermedi di meditazione suicidaria e venire al dunque senza indugi e mezzucci (tipo droga alcool o sesso come piccole morti anticipatorie) e senza pubblicità darsi la morte?
ma non è questo il problema: per esempio uno come Dave Eggers che ne “l’opera struggente di un formidabile genio” ‘inizia’ il romanzo dal colophon, e che sulla base di una storia semplice e struggente, appunto, articola vari stili e sperimentalismi pop, insomma nemmeno uno come Eggers potrebbe essere pubblicato? Cioè il romanzo italiano si è fermato a Moravia? oppure sono io poco ferrato sui fatti scrittorii della contemporaneità italiana e se sì, mi sapreste consigliare un autore italiano (tranne Busi ovviamente) che scriva in maniera del tutto originale e nuova? come dire…. moderna?
grazie!:)
OT
Benito Cereno, so d’accordo.
Su er blogghe de Porro invece (Zuppa de Porro, se chiama, er blogghe suo) i commenti stanno a 77.
Molti je dicono che se vergognasse; ce sta pure ‘na giovane che je dice che vorebbe diventà ggiornalista e che de sicuro non vorrà diventà come lui, per dire; ce sta uno che je dice so n’amico tuo, ma se vede che te sei veduto e mo nun poi tornà più indietro…
In certi casi, er numero dei commenti, oltre a quello che c’è scritto, vor di’ eccome, come vojono di’ le firme dei cittadini sugli appelli: che sono pure “libbertà de parola”.
Ciao bbelli, ve saluto.
PS: poi me piacerebbe tanto capì ‘na cosa… Ma come mai quando la “ggente” sta zitta e se fa “i cazzi suoi”, nun va bbene, è “qualunquista”, nun vo “responsabbilità”, “nun se fa sentì”, e quando invece la “ggente” se incazza (e me pare che “materia” ce ne sta, no?) e dice la sua, o è solidale co’ un giudice minacciato de morte, o co’ un giornalista infamato, e scende su la piazza der webbe e pure nella piazza-piazza vera, non va bbene uguale? Decidiamoce.
io un po’ di nomi di autori italiani contemporanei ce l’avrei ma più che altro scrivono noir…
gertrude il problema è che la gente si com-muove sempre per gli stessi motivi: personaggio famoso in televisione. Messaggi urlati e grossolani, Linguaggio che desideriamo sentire, contenuti che vogliamo sentirci dare. Il cervello subisce, e mai si mette in moto di suo. Questo è il vero problema dell’italia di oggi, grossolana e drogata di tv. Poi magari a volte ci azzecca, perchè anche gli orologi guasti due volte al giorno danno l’ora giusta. Ma non esistono anticorpi veri siamo in balia di chi urla più forte.
geo
noir? sì, mi piace il noir. certo preferisco (come alle medie preferivo) l’agatha gialla e il poe terrorizzante. ok, liberidiscrivere, vada per il noir per ora. :) vuoi mandarmi un mail con i nomi così t’inserisco nel non-romanzo che sto nonscrivendo? se sì, questa è: leobloom@ymail.com (il mio assistente leo provvederà a farmi avere una copia transmentale); oppure liberodiscrivere qui, anzi qua, così inserisco tutto il ‘thread’ di questo post per farne un ‘th-reading’….
p.s.
mi si scusi il lieve OT. :)
Ti consiglio Pandiani con Les italiens, tutto de Giovanni con i suoi polizieschi ambientatti negli anni 30, Carrino, Ronco, Zannoni, poi ho trovato divertente Giorgio Ballario con una donna di troppo, e ce ne sarebbero molti altri magari ci sentiamo in privato ciao…
grazie!
(Georgia, non sono d’accordo, ma non posso rispondere perché sarei troppo, e lungamente, OT. Diciamo. Ciao).
Franz è il mio nome e scelgo la libertà!
Se le domande indirizzano l’intervista e alcune paiono come quelle che in tribunale sarebbero dette domande tendenziose, i commenti sono orientati solo dal modo in cui l’intervista viene percepita e quindi sono forse altrettanto interessanti.
Quello che ho notato è che la discussione si è in gran parte concentrata su cosa lo scrittore dovrebbe o non dovrebbe fare (e nello specifico se scrivere/non scrivere su Libero/Il Manifesto) e quasi per nulla su un punto che è secondo me, al di là dell’ingannevole ovvietà, il più rilevante: lo scrittore dovrebbe principalmente scrivere buoni libri.
L’idea che un non-scrittore-non-intellettuale come me si fa da questa discussione è che più che i libri siano gli interventi pubblici sulle pagine culturali a fare lo scrittore. Conterebbe molto poi se sono su web o carta stampata, e in tal caso la posizione che prende lo scrittore per il solo fatto di scrivere con la destra o con la sinistra (non la mano). In secondo piano resterebbe ciò che dello scrittore non viene dai fondi di giornale, cioè dai libri.
Domanda: ma si parla di giornalismo o di letteratura?
Altra domanda: ma uno scrittore che non diffonde il suo verbo su Nazione Indiana (cito il vicino per non dire il lontano, Libero o il Manifesto per esempio) forse non esiste, mediaticamente e letterariamente parlando?
Siccome poi sono sempre non-scrittore-non-intellettuale non dico la mia ma sparo un altro quesito: non è che il deficit di vera informazione (o detta in termini commerciali: promozione) porta gli scrittori a doversi ritagliare visibilità mediatica nel mercato delle vacche culturali, dei blog e appunto, dei giornali? Non è che questo sgomitare diventi agli occhi del mondo più importante dei libri pubblicati, che solo un’elite, ormai, legge?
PS: ma chi ha fatto il termometro umano del blog di Travaglio ha letto il suo libro?
georgia ha scritto:
“made in caina il numero dei commenti non vuol dire nulla, al massimo ha lo stesso significato del televoto di ieri a sanremo ;-).
Ormai solo il peggior populismo s-popola (in tutti i campi, ce ne’è per tutti i gusti, generi, fazioni, religioni, ma sempre di populismo turbo trattasi), con l’eccezione di saviano, ma si sa che le eccezioni ci sono sempre, anche se l’eccezione non fa che confermare la regola … siamo TUTTI intossicati ormai.”
???
Con l’eccezione di chi? Guarda dovresti proprio spiegarmi questa eccezione. Io ti tengo sempre molto in considerazione. Vedi cosa puoi fare.
non ho capito ama cosa dovrei spiegarti.
perchè considero saviano una eccezione nel panorma di personaggi televisisvi costruiti a tavolino?
Beh io, come molti di voi che frequentate NI ho letto Gomorra appena uscita, quindi fuori dalle nebbie dello strepitoso successo che poi ha avuto. Lo ritengo un bel libro, un libro importante, serio, pensato e scritto pure bene, e per niente populista, anzi. Certo sono uscite altre cose ottime, ma nessuna ha avuto simile successo. L’eccezione consiste proprio nell’insime di qualità/successo/diffusione che di solito non vanno di pari passo.
in questi giorni per me in rete è successo un fatto inquietante e significativo. La diffusione di un falso pezzo di elsa morante. Ha circolato a turbo in tutta le rete con una velocità impressionante, è piaciuto a tutti ed era invece una manipolazione grossolana e volgare.
Tutti i commentatori leggendo il bignamino-ciofeca esclamavano entusiati: Sembra scritto oggi!.
Infatti era scritto oggi anche se la firma e la data rimandavano infingardamente al 1945. Vegognosa riduzione a slogan di un pezzo meditato e profondo che è diventato uno spot pubblicitario ad uso personale. La cosa incredibile è che se fai notare che è una bufala rimaneggiata ci rimangono male e ti dicono che il significato non cambia (e quindi inutile fare veriche e controlli alla fonte).
In questa atmosfera culturale rozza da bufala, ciofeca, manipolazione dove chi spara titoli in prima pagina, urli e slogan, ha la meglio su chi controlla le fonti, usa documenti e scrive seriamente senza enfasi … beh a me pare che gomorra sia una eccezione, poi posso sbagliare …
geo
@georgia
E difatti oggi lo stesso testo tagliato e aggiustato alla bisogna compare pure su “Liberazione”
ma dai, sergio, dimmi che non è vero?
Oggi liberazione non c’è, quindi su quella di ieri? o nell’edizione del lunedì che in rete non c’è?
Mi puoi dare i dati precisi?
georgia
l’ho trovata è addirittura in home page :-(
Che vergogna!!!!!!!!
@ georgia
Non discuto il tuo giudizio su Gomorra. Pero’ Saviano e’ diventato un personaggio piu’ complesso da allora e ne ha scritte e ne ha fatte di cose da giornalista e da opinionista. Di indiscussa fama. A me piacerebbe fare una riflessione seria su quello che e’ diventato Saviano oggi, dopo Gomorra. E se sfugga a certa retorica e a certo populismo. Non ho nulla contro Saviano. Mi piacerebbe capire pero’ come e quanto il nostro sistema riesca a fagocitare con la lusinga un autore come Saviano. Tutto qui.
Sul falso della Morante non ne sapevo niente.
Mi sembra che, rispondendo, l’intervistato abbia quasi sempre in testa esempj concreti, anche quando non li cita. E’ un bene, nel senso che il riferimento concreto è un bene di per sé; è un male, perché può essere anche limitatezza di orizzonti, mancanza di idee sullo stato generale delle cose.
Però non è difficile trarre un’idea generale delle cose, dal complesso delle risposte. A parte quello che si dice dei critici (se ne dice male) e degli editori (se ne dice bene), quello che più m’interessa è quando l’intervistato indica il problema della scrittura in Italia è negli scrittori, nel loro modo di impostare quello che dovrebbe essere il loro lavoro:
1. “l’etichettatura che la critica e gli stessi autori si sentono in dovere di appiccicare alle loro opere, in una sorta di divisione a priori che crea branchi all’interno dei quali molti si rifugiano per sottrarsi alle proprie responsabilità individuali” (quanto alla responsabilità dello scrittore: “L’unica responsabilità che si può imputare a uno scrittore è quella di scrivere brutti libri”).
2. “la paura che molti scrittori hanno di non essere consolatori, di non offrire uno sguardo positivo del mondo intorno”.
3. “[penso che] gli scrittori parlino troppo, firmino troppe petizioni (talora in palese contrasto con le loro scelte editoriali), si atteggino a salvatori di niente, quando poi le loro opere sono incapaci di lasciare il segno, di essere lo specchio di quello che siamo diventati”.
Sono tre punti interessanti.
Quanto all’ultima domanda, e alla questione di Nori, a parte il fatto che nello specifico non me ne importa poi granché e la trovo veramente una questione di meschinissime proporzioni, l’unico problema che ci potrebbe essere, ancor prima di aver stabilito la liceità politica di scrivere per un giornale fascistoide, è quella della leggibilità: i lettori che scelgono quel giornale lo scelgono per ragioni di schieramento, dunque o non leggono Nori o lo leggono poco; se pure lo leggono, dubito che servi a qualcosa. Per converso, i lettori della sponda di Nori dubito che comprino il giornalaccio per lèggere lui e buttare il resto. La stessa cosa dovrebbe accadere con Buttafuoco che scrive per qualche giornalone di sinistra. Mi pare che avessero dato a Massimo Fini, anni fa, spazio sull’Unità, e lo stesso ex-ambasciatore Romano, sempre se non mi sbaglio, fu ospitato da qualche testata politicamente più verso questa sponda – non ricordo più dove, ma ricordo che era abbastanza vicino a qualcosa che mi capitava li sfogliare da capitarmi spesso sotto mano; a me davano fastidio, li trovavo fuori luogo e ritengo scrivessero in modo semplicemente ingiurioso e stupido.
Un giornale non è un luogo di discussione, peraltro, ma, stante la relativa tirannia dello spazio e la funzione più che altro, per la maggioranza, usa-e-getta, soprattutto apodittiche, che possono essere conseguenza di riflessione e studio, o no, ma che sono di norma oltre la discussione, e gli stessi scambj coi lettori non sono frequentissimi – né possono essere oltremodo democratici; è forse questo il motivo per cui i giornali si differenziano per schieramento, e si comprano, per così dire, a scatola chiusa. Se servisse veramente a qualcosa, i tentatìvi fatti nel passato sarebbero stati di più e i fallimenti, che credo siano stati la regola, sarebbero stati meno. La questione morale viene poi, e sono ovviamente d’accordo con chi contesta la partecipazione di scrittori di sinistra alla compilazione di giornali di destra.
Prima del “soprattutto apodittiche” ci andava un “di dichiarazioni”; così dovrebbe essere più comprensibile (ogni tanto schiaccio inavvertitamente l’ins ^_^).
Bella ‘sta cosa del falso Elsa Morante. Sergione ci scrisse un pezzo su un altro falso, di Borges (e non solo). Comunque, prima o poi, ci caschiamo tutti nel gioco delle tre carte, anche insigni critici (do you remember il caso Modigliani?). In fondo è meno grave di quello che sembra. Se, ovviamente, c’è chi snida la bufala.
Quello che conta davvero, credo, più che cascarci è che reazione si ha dopo. ;-)
[…] e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca e Luigi Bernardi, le risposte di Michela […]
Liberazione avvisata si corregge e pubblica per intero il testo di Elsa Morante preso da me, ma senza dirlo … ma va bene lo stesso, visto che finalmente pubblicano in home page un testo di una grande scrittrice e non una bufala contratta ed urlata alla bisogna.
Averli costretti a fere questo è già una grande soddisfazione ;-)
Biondillo hai perfettamente ragione :-) cascare ci possiamo cascare tutti, l’importante è come si reagisce quando si viene scoperti.
geo
grazie gianni della segnalazione. la cosa affascinante di quel falso, rispetto ad altri, è l’enorme successo di cui gode nonostante le numerose e autorevoli smentite. ma se analizziamo in dettaglio quella poesia, scopriamo che piace proprio perché la uniforma al gusto dominante. è un borges mitridatizzato, reso simile a coelho. la torsione operata su quei versi evidenzia la passione del grande pubblico per il registro gnomico, sentenzioso, sapienziale, alla “if” di kipling o “un indovino mi disse”. la declamazione midcult di fabio volo alla radio non soddisfa semplicemente il cattivo gusto piccolo borghese, ma in realtà lo sfrutta e lo asservisce mediante la contraffazione, la volgarizzazione e l’enfatica banalizzazione di un modello alto. la denuncia di queste “truffe letterarie”, lungi dall’essere un giochino dotto, è per me il miglior modo di introdurre anticorpi di vigilanza critica all’interno del senso comune. al di là delle mere logiche di appartenza, è sul piano linguistico e retorico che si manifesta l’autentica assunzione di responsabilità di un autore.
(http://lavienbeige.wordpress.com/2009/10/27/voli-pindarici/)
Ho letto quella pagina, della Morante o no a me è piaciuta molto!!!
anfiosso … non ci crederai, ma …ci avrei giurato;-)
Ad ogni modo la ciofeca non è una pagina, ma poche righe. La pagina (due scarse dei meridiani) è il testo autentico.
A meno che tu non stia parlando della pagina presente ora in liberazione, beh allora ci credo che ti piace, è splendida, ma quella è il testo vero di elsa morante.
geo
qui c’è poco campo, ma è evidente che bernardi ha ragione
Ah! Ecco. Sì, quello avevo letto.
[…] e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi e Ferruccio Parazzoli, ecco le risposte di Claudio […]
[…] e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco […]
[…] e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco […]
[…] e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco […]