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La responsabilità dell’autore: Michela Murgia

[Dopo gli interventi di Helena Janeczek, Andrea Inglese,  abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca e Luigi Bernardi, le risposte di Michela Murgia]


Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea? Ti sembra che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali rispecchino in modo soddisfacente lo stato della nostra letteratura (prosa e poesia), e quali critiche faresti?

Aver scritto un paio di libri non mi dà licenza di commento sullo stato della letteratura italiana contemporanea più di qualunque altro lettore forte, anche se il mio «forte» significasse qualcosa di più dei  dodici libri all’anno della media italiana della categoria. In diversa proporzione ho letto libri ottimi e libri che mi hanno lasciato solo il rancore per i soldi spesi, ma ci vuole altro per vedere la produzione letteraria italiana come un corpo collettivo con uno stato di salute generale da verificare. Se si è critici o se del critico si ha l’inclinazione all’anamnesi, la si può (e si deve) leggere anche così; solo non è il mio mestiere. Avrei piuttosto qualcosa da dire sulla difficoltà di trovare qualcuno che il critico lo faccia ancora, al di là di marchette, anticipazioni, recensioni della quarta di copertina o sassolini dalle scarpe in terza pagina firmati non da critici, ma da scrittori con qualche conto di rabbia da regolare. Anche su Libero, perché no.

Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?

Posso parlare solo per la mia breve esperienza in ISBN e in Einaudi. La prima ha in catalogo molte scelte che un ordinario direttore di marketing editoriale rubricherebbe alla voce “invendibile”, o comunque di gran nicchia. Escono lo stesso, e grazie a queste scelte capita che mi si assesti sul comodino un ottimo sconosciuto come il Tonon dello scorso anno, non proprio un romanzo da strenna natalizia. Dai tipi di Torino del resto ho visto pubblicare libri che persino io intuivo che non avrebbero ripagato nemmeno la loro stampa, tanto lontani erano da quel che staziona in classifica. Valutati come buoni libri, anche questi sono usciti lo stesso. Finché cose così continuano a succedere persino in una grossa casa editrice dove la pressione sul risultato di vendita è forte, da lettore io respiro. Mi interrogo piuttosto sulla necessità, invocata da molti addetti ai lavori, di far uscire un certo numero di porcate vendibili per garantire copertura economica alle operazioni di qualità che altrimenti sarebbero puro mecenatismo. Se per poter raggiungere un lettore servono dieci consumatori di libri, il problema forse non sono solo le scelte editoriali.

Ti sembra che la maggior parte delle case editrici italiane facciano un buon lavoro in rapporto alla ricerca di nuovi autori di buon livello e alla promozione a lungo termine di autori e testi di qualità (prosa e/o poesia)?

Non ho abbastanza informazioni per esprimere un giudizio in questo ambito.

Credi che il web abbia mutato le modalità di diffusione e di fruizione della nostra letteratura (narrativa e/o poesia) contemporanea? E se sì, in che modo?

La rete è relativamente un bene di pochi, e i pochissimi che in rete si interessano di letteratura sono gli stessi che già leggono. A causa di questo limite, stimo che il web non abbia influito sulla diffusione e la fruizione, al massimo ha fornito un posto in più agli scout dove cercare segni di vita letteraria intelligente. Credo che invece – nell’area ristretta di questo ombelico – abbia influito moltissimo su cose collaterali alla scrittura, per esempio «educando» la nuova critica all’orizzontalità della rete, e rendendo visibile il percorso a chiunque se ne sia voluto interessare. Non mi pare apertura da poco per ambiti dove la norma è accoppiarsi tra consanguinei. L’esistenza di una interazione immediata, diretta e costante tra critici, lettori, scrittori e vari addetti ai lavori è una cosa possibile solo su internet, e non mi stupirei se questa nuova dinamica fosse all’origine di alcune scelte operative esterne alla rete, ma molto interne alla produzione, selezione e valutazione di opere letterarie.

Pensi che la letteratura, o alcune sue componenti, andrebbero sostenute in qualche modo, e in caso affermativo, in quali forme?

Le case editrici sono innanzitutto imprese commerciali, non riesco a immaginare che la loro modalità di produzione possa o addirittura debba essere sostenuta al di fuori del risultato di mercato delle singole scelte editoriali, qualunque cosa pubblichino. Sono invece incuriosita da forme di distribuzione alternative che taglino i costi al lettore. Spero che le nuove tecnologie possono fare per il libro una rivoluzione analoga a quella che stanno facendo per la musica, anche in una prospettiva di ridefinizione del copyright.

Nella oggettiva e evidente crisi della nostra democrazia (pervasivo controllo politico sui media e sostanziale impunità giuridica di chi detiene il potere, crescenti xenofobia e razzismo …), che ha una risonanza sempre maggiore all’estero, ti sembra che gli scrittori italiani abbiano modo di dire la loro, o abbiano comunque un qualche peso? Nella suddetta evidente crisi della nostra democrazia, ti sembra che gli scrittori abbiano delle responsabilità, vale a dire che avrebbero potuto o potrebbero esporsi maggiormente e in quali forme?

Salto a piè pari la distinzione tra l’opera letteraria e le uscite di opinione dello scrittore, perché mi pare di capire che la domanda parta proprio dalla constatazione che siano due cose distinte e non necessariamente consequenziali. È evidente che pubblicare libri non comporti una infusione di responsabilità civica. Lo scrittore è un cittadino che ha spazi di espressione più visibili di quelli del suo panettiere, ma se è vero che può decidere di usarli come luoghi ulteriori del suo eventuale dissenso, è ingenuo aspettarsi che lo senta come un automatismo. Pretendere presenza civica da chicchessia in virtù del fatto che scrive libri ha fatto sì che da un lato si sentano perfetti incompetenti esprimere banalità su qualunque argomento solo perché qualcuno gli ha pubblicato un romanzo, e dall’altro lato che alcuni rivendichino il diritto di fare da scrittori lo stesso silenzio che avrebbero fatto da panettieri, pur di non giocarsi la libertà personale di scegliere quando tacere. Quelli che auspicano lo scrittore civile sembrano infatti dimenticare che all’aumentare delle conseguenze di quello che dici, diminuisce proporzionalmente la tua possibilità di scegliere di non dirlo. Lo affermo perché in genere cerco di non tacere mai quello che mi indigna, ma se da un post di denuncia sul mio blog o da un articolo di giornale che ho firmato possono nascere una interrogazione parlamentare o una protesta pubblica, so benissimo che da quel momento non posso più scegliere di non scriverli senza diventare complice di quel che non ho denunciato. Tenere questa linea ha un costo crescente, ma per me il voler correre il rischio di pagarlo attiene più all’interpretazione della parola cittadino che non a quella di scrittore. Però non mi sembra che la questione sia lo scrittore che tace, anzi. A sentire i discorsi, anche quelli tra intellettuali, parrebbe che il problema sia piuttosto che gli scrittori parlino «troppo»,  o compaiano «troppo» in televisione a dire quel che pensano, o firmino «troppo». Accanto al coro sparuto di chi invoca lo scrittore civico come altri volevano il carabiniere di quartiere, si alza quello molto più folto di chi auspicherebbe che stesse zitto proprio in quanto scrittore, che si facesse un po’ i libri suoi –  «buoni libri», ça va sans dire –  a meno che non accetti di farsi sindacare come, dove e perché parlare;  immagino che questa schizofrenia dipenda dal fatto che la scelta di pronunciarsi da parte di alcuni metta in imbarazzo i silenzi di altri, ma il paradosso è che proprio chi sceglie di aprire bocca si trovi alla fine a pagare non solo il prezzo di aver rinunciato al controllo sul suo silenzio, ma anche quello di subire il processo alle intenzioni, e sentirsi tacciare di migliorismo, di ricerca di visibilità, o di compulsione al petizionismo sciacqua coscienza. Io parlo, firmo e scrivo comunque ogni volta che mi pare di poter ottenere delle conseguenze, ma non mi stupisce che il silenzio continui a sembrare ad alcuni più dignitoso della parola detta a queste condizioni.

Reputi che ci sia una separazione tra mondo della cultura e mondo politico e, in caso affermativo, pensi che abbia dei precisi effetti?

Il potere politico mira a costruire consenso, la cultura educa invece alla consapevolezza, quindi soprattutto al dissenso. Per questo diffido della cultura di cui la politica non ha timore, e sul territorio dove ho scelto di stare sto molto attenta al modo in cui si muovono i soldi in quel verso, perché dietro spesso ci sono patti di non belligeranza. Non è un caso che l’intellettuale che tace sia spesso proprio quello che presiede kermesse a nomina politica, che fa consulenze di questo o quell’ente o che campa in regime protetto di visibilità mediatica.

Ti sembra opportuno che uno scrittore con convincimenti democratici collabori alle pagine culturali di quotidiani quali «Libero» e «il Giornale», caratterizzati da stili giornalistici non consoni a un paese democratico (marcata faziosità dell’informazione, servilismo nei confronti di chi detiene il potere, prese di posizione xenofobe, razziste e omofobe …), e che appoggiano apertamente politiche che portano a un oggettivo deterioramento della democrazia?

Non è questione di opportunità. Per assurdo l’opportunità ci potrebbe pure essere, e magari sarebbe quella di raggiungere con un pensiero alternativo lettori che non comprerebbero mai il Manifesto; dire cose di sinistra a gente di destra pagato da Libero mi parrebbe un signor gesto di controcultura, se quello che ha fatto Nori fosse questo. Ma ripeto: non è questione di opportunità, e nemmeno di ideologia, perché di scrivere per Libero mi vergognerei anche se fossi di destra. Qualche tempo fa mi invitarono a intervenire sul tema del lavoro precario in un talk show condotto da tal Gianluigi Paragone, ex direttore della «Padania», ex vice direttore di «Libero» e attualmente vice in Rai in quota Lega. Rifiutai, motivando che non intendevo legittimare un salotto leghista da un mezzo ambiguo come lo schermo televisivo, dove è sufficiente una inquadratura scaltra a rendere funzionale un’opinione al suo contrario. L’ho fatto perché trovo corretto accettare il confronto solo quando c’è almeno la possibilità che a fare la differenza siano le idee, e non il mezzo. Trasmissioni come quella a cui non sono andata, o i TG di Mediaset, o «Libero» e «il Giornale» sono posti dove il mezzo, il registro espressivo di cui si serve scientemente e la linea editoriale tutta, esprimono un significato complessivo che prescinde dal singolo contenuto. Poco credibile pensare di starci dentro senza sporcarsi, verginalmente astratti dalla responsabilità dell’insieme. Mi si obietta che pubblico per Einaudi, quindi non sarei nella posizione di fare discorsi di purezza. Solo che io di pubblicare per Einaudi sono fiera, e rivendico il mio diritto di restarci non a dispetto di Berlusconi, ma esattamente perché è di Berlusconi. Non dirò che ci ho potuto scrivere ciò che volevo senza censure: quello dovrebbe essere il minimo sindacale con chiunque (ma ci sono posti de sinistra in cui ho dovuto discutere per ottenerlo, detto en passant). Dirò invece l’assurdità di valutare «Libero» o il TG4, strumenti nati come corazzate di disinformazione mirate a inquinare la percezione del reale nella gente, con lo stesso metro con cui misuro l’autorevolezza di una casa editrice la cui storia precede ampiamente Berlusconi, acquisita con modi che la magistratura ha definitivamente riconosciuto illegali, e quindi a tutti gli effetti posseduta illegittimamente, comprese le competenze delle persone che ci lavoravano dentro, e delle quali non ho alcuna intenzione di privarmi solo perché gli avvocati della famiglia Berlusconi hanno pagato un giudice per appropriarsi di Mondadori. Se c’è qualcuno che eticamente è fuori posto in Einaudi è Silvio Berlusconi, non Michela Murgia, non Ascanio Celestini, non Francesco Piccolo, non Marcello Fois o quanti di noi dichiaratamente a sinistra rivendicano il diritto di starci a condizioni di libertà. E devo dire che trovo inquietante che qualcuno possa considerare un traguardo democratico vedere Einaudi diventare un monolite ideologico berlusconiano dove abbiano diritto di cittadinanza solo gli scrittori (e gli addetti ai lavori) non antagonisti. Resta il fatto che il nostro comune lavoro gli fa guadagnare tanti soldi, e non farò finta che questo non sia un problema, visto che i soldi sono parte significativa della sua forza. Ma sarebbe avvilente se lo scopo di qualunque impegno civico io possa aver scelto di esprimere fosse quello di diminuire il patrimonio di Berlusconi, e non solo perché gli farei poco danno. Il mio obiettivo non è l’assalto al deposito di zio paperone, ma dire quello che penso a più gente possibile nel modo più efficace, con la speranza che, insieme alla voce di altri, il mio pensiero possa costituire materiale per la strutturazione del mio dissenso e di quello di chi lo condivide. Che altro vuol dire fare cultura, se non questo? A cosa altro dovrebbe servire? Sono stanca di sentirmi dire che sono incoerente perché, «pur» autore Einaudi, rivendico il diritto di criticare il modello politico e antropologico berlusconiano tutti i giorni che Dio manda in terra, e l’ironia sta nel fatto che me lo sento dire da intellettuali laureati in assenza civica, che anche avendo editori indipendenti non si assumono mai il rischio di scrivere una riga di pensiero fuori dagli steccati protetti, perché «non fanno comizi», loro, ma «buoni libri». Sarebbe un perfetto arredo da salotto questo compunto silenzio degli innocenti, se avessi un salotto.

202 COMMENTS

  1. Condivido non solo quasi tutto ma soprattutto il tono.

    Aggiungo solo che se mai dovesse venirmi la folle idea di scrivere un romanzo, mi imporrei di non denunciare assolutamente nulla dell’attuale anomalia italiana. Vorrei solo rappresentare una storia totalmente avulsa da questo contesto ormai squallido, neanche piu’ grottesco. Una storia to.tal.men.te avulsa.

    T.O.T.A.L.M.E.N.T.E.

  2. Un buon intervento, coerente fino al paradosso. Mi vien voglia di chiedere alla Murgia che impegno d’opposizione e di contestazione scrittori come lei (dichiaratamente di sinistra) hanno promosso dalle pagine dell’unità di repubblica del manifesto nel corso dei governi di sinistra? Per quello che ho letto si sono collocati nella condizione sbiadita, squallida del non intervento forte per evitare di fare un piacere ai nemici antropologici. Questa non è “cultura che educa alla consapevolezza”, ma essere collatterali ad una parte politica per accrescere consenso. Ecco, questa è l’unica contaddizione che ho rilevato, forse la principale che vanifica ogni buon pensiero sulla Cultura. Perchè consapevolezza del contesto sociale non significa automaticamente approssimarsi maggiormente ad una parte politica. Una domandina finale, se l’Einaudi fosse finita nell’impero De Benedetti avrebbe pubblicato scrittori non allineati palesemente a sinistra come voi?

  3. Meno male, qualcuno si è accorto che prima di essere scrittori, panettieri, critici, ingegneri, idraulici ecc. siamo (o dovremmo essere) cittadini.

  4. è la prima volta che sento un intellettuale dire in pubblico: “non ho abbastanza informazioni per esprimere un giudizio”. Le risposte fanno tutte pensare, ma questa per me le fa guadagnare cento punti.

  5. Sono rimasta incantata dall’immagine. E’ la prima cosa che ha rapito i miei occhi. Scritture mondo. Libri come partenza, al di là del paese natale. Scrittori venuti dal mondo intero, voci che si incrociano, fanno la musica della letteratura.
    L’inizio della scrittura di un romanzo è sempre un ‘avventura, forse è una cosa che non si deve dimenticare.

  6. Sa mellus manera:

    «Dirò invece l’assurdità di valutare «Libero» o il TG4, strumenti nati come corazzate di disinformazione mirate a inquinare la percezione del reale nella gente, con lo stesso metro con cui misuro l’autorevolezza di una casa editrice la cui storia precede ampiamente Berlusconi, acquisita con modi che la magistratura ha definitivamente riconosciuto illegali, e quindi a tutti gli effetti posseduta illegittimamente, comprese le competenze delle persone che ci lavoravano dentro, e delle quali non ho alcuna intenzione di privarmi solo perché gli avvocati della famiglia Berlusconi hanno pagato un giudice per appropriarsi di Mondadori.»

    Abarrai duncas in cussa domu papendi e bufendi si chi ddu at …

    @ Dinosauro
    non c’è immediatezza tra criticare il governo e tacere sul centro sinistra. In molti fanno entrambe le cose. Tra l’altro, mi risulta che la Murgia abbia fatto pubblicamente le pulci, in tema di “conflitto d’interessi”, a Soru, candidato del centro-sinistra …

    ng

  7. Una boccata d’aria, finalmente! dice cortellessa. confermo. non richiudete, al solito, le finestre in questa stanza, intossicandola di chiacchiere sul niente.
    grazie.

  8. ng, quelle critiche sono blandissime, leggere, dal tono lievemente ammonitore. Nella sostanza si sussurra la denuncia dell’errore preoccupati che la società possa accorgersene. L’equivoco ciclopico è proprio questo. Confondere l’intellettualità con una precisa idea del mondo e della vita. L’appartenere ad un “gruppo” diventa la condizione legittimante di un ruolo intellettuale. Scrivere per l’Einaudi è una questione di resistenza eroica, scrivere su Libero è tuffarsi nella merda. Il manifesto (ed altri fogli prossimi) è il tempio della Cultura, fuori di esso pascoli per ignominiosi.

  9. Sì, Dinosauro. Prima di esprimere giudizi così netti sulle persone (sulle persone e sul loro impegno) ci si dovrebbe almeno informare. Al di là di questo, poi, è incredibile come l’assunzione di reponsabilità, il coraggio delle idee, la chiarezza delle posizione espresse, e dunque anche il rispetto per il tema in questione (perché questo modo di rispondere serio e circostanziato è davvero una forma di rispetto nei confronti del tema in questione, degli interlocutori e dei lettori), non susciti uguale rispetto, il che non significa consenso, ma solo un controargomentare ugualmente serio e circostanziato. Anche perché qui, con le varie interviste, si sta cercando di articolare un pensiero a più voci, voci anche dissonanti, non di imporre visioni.
    Almeno su questo ci si dovrebbe intendere.

  10. Be’, massimiliano manganelli, il nostro Andrea Inglese va scrivendolo da anni, anche qui su NI.

  11. Mi sono piaciute queste risposte. Ho stima di Michela, non solo letterariamente, anche dal punto di vista umano la trovo una persona di sensibilità singolare. Mi ha rilasciato tempo fa un’intervista per Sul Romanzo che conferma le mie parole. E le sue posizioni sono comprensibili.
    Giusto che il patrimonio economico non è tutto, ma in un’economia in cui i poteri sono soprattutto legati al denaro, io sono convinto che il consumatore consapevole dovrebbe tendere a scelte coerenti. Non si tratta di perfezione, ma di “tendenza”. Consumatore di cultura pure, s’intende.
    Ecco le ragioni per le quali ho letto con grande piacere Accabadora (secondo me uno dei migliori del 2009), ma mi dispiace, preso in prestito dalla biblioteca.
    Sarò impopolare e forse drastico, ma così io vedo il mondo. Non intendo persuadere nessuno della mia visione politica/editoriale, eppure sono assai convinto che tanti mali dell’Italia di oggi siano conseguenza – anche, non solo – di scelte a cuor leggero turandosi il naso.

  12. Che dire… Non conoscevo Michela Murgia (visiterò bene il suo sito). Questa intervista sfiora la perfezione. Leggerla mi ha dato un grande piacere. Anche a me poi – come ha fatto notare Francesca – ha colpito moltissimo l’umiltà di Michela Murgia (aggiungo, a quanto già citato sempre da Francesca, questo: “Aver scritto un paio di libri non mi dà licenza di commento sullo stato della letteratura italiana contemporanea […]”). Michela Murgia ha risposto alle domande su “la resposabilità dell’autore”, dimostrando lei per prima di avere un grande senso di responsabilità. Grazie.

  13. L’intervista più lucida fra quelle apparse sinora sul tema. La risposta alla domanda più scabrosa – l’ultima – è parecchio convincente. Esemplare chiarezza di pensiero.

  14. senta michela, mi piacerebbe sapere se l’unico rapporto possibile sia quello letteratura\politica e non anche letteratura\antropologia, nel senso: uno scrittore dovrebbe impegnarsi sono ‘politicamente’ o capire anche le dinamiche psicologiche (e sempre più spesso psicopatologiche) che determinano le scelte di un politico? cioè, questioni come il razzismo, l’omofobia, mafia e intolleranza, non dovrebbero essere lette anche come meccaniche patologiche oltre che politiche e non si potrebbe leggere la politica solo come ‘apparenza’ e andare oltre e carpire, o cercare di capire, la ‘essenza’ o il nucleo patologico di chi per esempio non riesce ad essere ‘flessibile’ mentalmente e accettare i contrari, le opposizioni, chi non accetta il ‘diverso scrivere’ chi pubblica solo per un mercato omologato e ‘nevrotico’ insomma, oltre e prima la politica culturale non dovrebbe esserci anche una sorta di ‘educazione’ al diverso, e un lavoro quasi psico-socio-analitico delle masse? e includere la politica e l’economia magari come estensioni di facoltà inconsce? a me piacerebbe sapere insomma se sia possibile una sorta di ‘politica culturale delle pulsioni inconsce’ di cui debba essere responsabile uno scrittore.

  15. @ gianni biondillo
    Lo so, lo so, ci mancherebbe altro. Era solo per sottolineare, nella sostanza, ciò che dice Macioci, cioè che quelle di Michela Murgia sono le parole più lucide lette finora sul tema. Ed è paradossale che siano parole semplici…
    In più, attraverso quelle parole volevo sottolineare proprio quel deficit di cittadinanza che caratterizza, secondo me, gli italiani.

  16. @ gianlucagarrapa

    Sono solo canzonette!

    E le psicopatologie quando sono di un intero popolo cessano di essere tali.

  17. grazie AMA ma non chiedevo a lei, chiedevo a Michela, un intero popolo comunque non esiste se non come parti di popolo, l’insieme è una somma e più della somma delle sue parti. io non credo che un intero popolo sia malato, sicuramente la maggior parte, ma non quella a cui mi rivolgo io non disprezzando l’altra parte con la quale non mi riesce di comunicare. eppoi il punto è questo: la psicopatologia chi la definisce? esiste un criterio che vada oltre la politicità e sussuma un ideale di bene o di male in maniera oggettiva.
    mentre rispiegavo kant, oggi pensavo: uno scrittore deve essere responsabile difronte alla cosa in sé o al fenomeno? deve ragionare col ‘fascismo estetico’ (fascismo per me, ma per i ragazzi delle medie è la terra promessa e anche per molti non è fascismo quello che viviamo) o con qualcosa di più intimo che va oltre l’hic et nunc? mi rendo conto che dal mio punto di vista (ahimè di bipolare più che di ‘scrittore’) la visione è a tratti vitale a tratti disperata, a tratti fascista a tratti liberale al limite dell’anarchia. ma uno scrittore vero, che sa scrivere e coinvolgere un lettore, non uno instabile come me che spesso offende ma non con cattive intenzioni, deve fare i conti anche con una mutata visione interiore del mondo? non so, chiedo, solo una curiosità. magari è una considerazione banale, appunto solo canzonette. ma mi piacerebbe capire.
    grazie.
    :)
    e comunque AMA non ha tutti i torti: penso alle allucinazioni collettive, alle tarantate collettive mediatiche, alle ‘mazzette legali’ che bisogna versare al proprio pensiero per smetterla di fare idee finali, sempre sull’orlo, ormai, di realizzarsi.

  18. @ gianlucagarrapa

    Che dici, posso dirti la mia, in attesa che ti risponda Michela?

    Per me oggi uno scrittore dovrebbe tirarsi fuori dal ‘fascismo estetico’, come lo definisci tu, anche se per me resta populismo postmoderno.

  19. sì AMA puoi dirmi la tua, scusa se ti sono sembrato arrogante e anche secondo me tirarsi fuori dal ‘fascismo estetico’ (che non è una mia definizione, [non sono tanto geniale] ma l’avevo letto qui, su NI, e mi scuso se non riesco a ricordare il nome della persona che ha scritto l’articolo che parlava di Videocracy e del, appunto, fascismo estetico,) è importante; però a volte ti ritrovi troppo solo nel senso che vorresti non essere un populista postmoderno e comunicare quello che sei tu, ‘ascoltando’ solo la propria cinestetica creativa e cercando di sentire meno il mondo intorno. il problema è quando non riesci a farti capire mentre tu capisci troppe cose contemporaneamente e vorresti ‘amare’e comunicare con tutto il mondo. non so. è difficile da spiegare. in certi momenti non ci pensi e continui per la tua strada e certi altri momenti pensi solo che tutto è inutile. in maniera infantile, lo so. purtroppo non ci puoi fare granché, la patologia resta. ecco perché dico: non è che bisognerebbe iniziare a capire il mondo anche da ‘altri’ punti di vista che non siano solo i rapporti politica\letteratura? considerando che la politica che intendo io non è la politica malata attuale, ma la politica come educazione dell’essere umano a capire se stesso e come educazione alla libertà.
    sono d’accordo con te AMA, è solo che non riesco più cogliere il senso della scrittura. cioè, lavorando coi ragazzi ti viene lo sconforto perché hanno una visione troppo fascista e brutale della realtà. noi adulti siamo quello che siamo. mi sembra di girare in una ruota dei criceti. :)

  20. Sia chiaro, questa sorta di populismo postmoderno non si arrestera’ col declino di Berlusconi. Anzi, trovera’ terreno sempre piu’ fertile nelle paludi avvelenate del nord-est.

    Bisognerebbe proporre una visione del mondo e delle relazioni diversa rispetto a quella del nord-est. Ma la vedo durissima. Non c’e’ via di scampo.

  21. Andrea Inglese parla da tempo di ‘fascismo estetico’ su NI.

    Non so, io non avrei l’ansia di parlare a tutto il mondo.
    Forse venti anni fa la politica avrebbe potuto fare quello che dici. Oggi mi sembra troppo tardi. Gli spazi di liberta’ comunque vanno restringendosi dovunque in Occidente.

    Credo che per me il senso della scrittura sia creare una dimensione altra. Soprattutto oggi. Ma senza grandi pretese.

  22. Gianlu’, facciamola finita. No, nel senso che ti offrirei volentieri una pizza per parlare di… Che ne so, ti piace Kandinskij?

  23. Non starò qui a sottolineare le parti positive di questa intervista, che rendono diversa la posizione di Murgia rispetto a quelle dei due autori precedenti, che praticamente rispondevano alle domande sulle responsabilità dell’autore eludendole.
    La Murgia risponde concretamente e direttamente, e gliene sono grato.
    E apprezzo le sue opinioni su Libero, Giornale; oltre che lodare la sua scelta di non presenziare alla trasmissione diretta da Paragone.

    Ma visto che siamo qui per dibattere, io vedo

    Una vera contraddizione:

    Anche il Giornale diretto da Montanelli (che a me mai è piaciuto), che aveva tra i suoi giornalisti, negli ultimi anni, Gomez e Travaglio, non è nato con lo scopo di fare disinformazione filogovernativa in modo diffamante, volgare e razzista come succede sotto la direzione di Feltri nell’era del regime berlusconiano.

    Però l’autrice non dice che sono Feltri e i suoi scagnozzi a essere fuori posto (forse perché la proprietà non è cambiata?). E dimentica di dire che Montanelli se ne andò e formò La voce proprio per opporsi al Berlusconi editore che entra in politica (e che vuole una linea editoriale dei suoi media compiacente alla sua politica).

    Invece dell’Einaudi, di cui è cambiata la proprietà, l’autrice scrive:
    “Dirò invece l’assurdità di valutare «Libero» o il TG4, strumenti nati come corazzate di disinformazione mirate a inquinare la percezione del reale nella gente, con lo stesso metro con cui misuro l’autorevolezza di una casa editrice la cui storia precede ampiamente Berlusconi, acquisita con modi che la magistratura ha definitivamente riconosciuto illegali, e quindi a tutti gli effetti posseduta illegittimamente, comprese le competenze delle persone che ci lavoravano dentro, e delle quali non ho alcuna intenzione di privarmi solo perché gli avvocati della famiglia Berlusconi hanno pagato un giudice per appropriarsi di Mondadori.”

    Già, e perché non se ne vuol privare, se è stata comprata in modo illegale? Ci tiene tanto a lavorare per un ladro solo perché ciò che ha rubato è di valore e ha una tradizione? Teoria interessante.
    Ancor più interessante che questa teoria si trovi in una rubrica che dovrebbe parlare della responsabilità dell’autore.

    “Se c’è qualcuno che eticamente è fuori posto in Einaudi è Silvio Berlusconi, non Michela Murgia, non Ascanio Celestini, non Francesco Piccolo, non Marcello Fois o quanti di noi dichiaratamente a sinistra rivendicano il diritto di starci a condizioni di libertà.”

    Se lui è fuori posto, voi dovete andarvene e denunciare questo fatto. Se rimanete, nessuno può credere che lui sia fuori posto. Questa si chiama responsabilità… direi senza nessun aggettivo particolare. L’Einaudi per cui scrivete voi non è quella di Einaudi, è quella di Berlusconi, vi piaccia o no. E questa si chiama realtà.

    “E devo dire che trovo inquietante che qualcuno possa considerare un traguardo democratico vedere Einaudi diventare un monolite ideologico berlusconiano dove abbiano diritto di cittadinanza solo gli scrittori (e gli addetti ai lavori) non antagonisti.”

    E’ un traguardo democratico comprare i suoi libri, signora Murgia, per un autore che lei stessa non giudichi un ladro. E’ un traguardo democratico che i lettori possano avere a disposizione una vasta scelta di libri editi da molte case editrici, che ci sia pluralismo nell’editoria e non monopolio, o secondo lei sarebbe democratico se tutti gli scrittori potessero scrivere per Einaudi, ci fosse insomma una sola casa editrice, per di più – lasciamo perdere per ora il Berlusconi privato imprenditore – di proprietà del capo del governo?

    “Resta il fatto che il nostro comune lavoro gli fa guadagnare tanti soldi, e non farò finta che questo non sia un problema, visto che i soldi sono parte significativa della sua forza. Ma sarebbe avvilente se lo scopo di qualunque impegno civico io possa aver scelto di esprimere fosse quello di diminuire il patrimonio di Berlusconi, e non solo perché gli farei poco danno. Il mio obiettivo non è l’assalto al deposito di zio paperone, ma dire quello che penso a più gente possibile nel modo più efficace, con la speranza che, insieme alla voce di altri, il mio pensiero possa costituire materiale per la strutturazione del mio dissenso e di quello di chi lo condivide. Che altro vuol dire fare cultura, se non questo?”

    Qui non si tratta di far diminuire il patrimonio di Berlusconi (e anche il suo, diciamolo, dato che se lei va altrove magari vende di meno).
    Qui si tratta di altro.
    Per esempio, fare cultura è quanto ho scritto sopra: sapere che scrittori onesti e capaci se ne vanno da case editrici di proprietà di persone disoneste; sapere che scrittori onesti e capaci hanno a cuore la formazione del pluralismo editoriale e non dei monopoli.

    “A cosa altro dovrebbe servire? Sono stanca di sentirmi dire che sono incoerente perché, «pur» autore Einaudi, rivendico il diritto di criticare il modello politico e antropologico berlusconiano tutti i giorni che Dio manda in terra,”

    Be’, glielo dico io stavolta: se lo fa continuando a pubblicare per Einaudi con le giustificazioni suddette, su questo punto è incoerente.

    “e l’ironia sta nel fatto che me lo sento dire da intellettuali laureati in assenza civica, che anche avendo editori indipendenti non si assumono mai il rischio di scrivere una riga di pensiero fuori dagli steccati protetti, perché «non fanno comizi», loro, ma «buoni libri». Sarebbe un perfetto arredo da salotto questo compunto silenzio degli innocenti, se avessi un salotto.”
    Non è il mio caso.

  24. però questa storia della “responsabilità dell’autore”, detto senza offesa, mi pare una stronfiata da cattedratici mancati. la responsabilità è dell’essere umano che fa lo scrittore. è l’essere umano che deve prendersi la responsabilità di quel che dice/scrive e di come lo dice/scrive. è l’essere umano – qualsiasi essere umano – che è l’autore della propria vita, soprattutto nel momento in cui fa certe scelte. perchè è sempre una questione di scelta: scrivo per una soap opera o mi metto a scrivere libri che pochi leggono? mi faccio i quattro conti della famosa serva (sempre senza volto, poveretta) o tento le vie più difficili? se sono una donna vado in braccio a castelvecchi con le sue cazzate pseudoerotiche o provo a far qualcosa di vero? dove sta l’autore, se l’essere umano non ha compiuto una scelta radicale, vera, importante? non è vero che ogni scelta vale l’altra. scegliere la strada comoda rende l’essere umano responsabile moralmente di fronte al mondo, in primis di fronte alla sua stessa vita – lasciamo perdere questo prodotto novecentesco che è la coscienza. insomma, prima parliamo di uomini e di donne, del valore delle loro scelte, e poi vediamo se, grazie ai loro scritti, questi possono essere chiamati autori.

  25. …scegliere la strada comoda rende l’essere umano responsabile moralmente di fronte al mondo, in primis di fronte alla sua stessa vita…

    scusa franz, non dovrebbe essere la scelta della strada più scomoda a rendere responsabile la scelta? forse non ho capito. che poi responsabile è appunto quel ‘responso’ che determina la propria autorialità. no?

  26. A me piace fare le verifiche, applicare le purissime enunciazioni di principio a dei casi specifici, e vedere così se reggono (che è in fondo un modo per controargomentare seriamente, come chiede a ragione Evelina). Ora, mi sembra di capire che per molti, qui, l’intervento di Michela Murgia sia stato illuminante (“una boccata d’aria”, “sfiora la perfezione” ecc). Io invece ho molte riserve, a partire da come sono state formulate le domande (la faziosità che starebbe solo da una parte. per es.), e pure su alcuni punti delle risposte. Mi riferisco in particolare al suo rifiuto di partecipare al talk show di Paragone perché lì, come su Libero, Il Giornale e tutti i tg Mediaset la differenza non la fanno le idee, ma il mezzo. Non concordo non perché penso che non sia vero, bensì perché credo che tranne rarissime ed irrilevanti eccezioni (L’infedele di Lerner, Augias su Rai3 a mezzogiorno) quella è la regola dovunque. Non è la mera proprietà di Berlusconi ciò che impedisce un libero confronto, basta vedere il recente caso della Busi al tg1.
    Fra i molti che rifiutano in blocco tutto ciò che ha in qualche modo a che fare col caimano, non pochi si vantano di non aver mai letto un giornale di destra neppure per sbaglio. Io credo che sia un errore. Bertrand Russell insegnava ai suoi allievi a studiare le guerre napoleoniche mediante la lettura dei bollettini di guerra di entrambe le parti (free thought and official propaganda). Io così faccio, all’intervallo di pranzo in biblioteca. Compro Repubblica perché è il quotidiano che meglio rappresenta il mio pensiero, ma non mi sognerei mai di affermare che non è fazioso. Lo è come tutti gli altri, a sinistra e a destra, basta vedere il caso Morante di oggi su Liberazione. Molto più subdola e perniciosa è la presunta neutralità, o terzismo che dir si voglia, del Corriere, che viene percepito come obiettivo dai suoi lettori e quindi letto con minor spirito critico. Se è vero che in un paese diviso a metà come il nostro le elezioni le “decidono gli indecisi” è lì che si costruisce il consenso in base ai propri interessi, è quello il vero nemico. Eppure nessun intellettuale, di una parte o dell’altra, rifiuterebbe l’invito a collaborarvi. Meglio prendersela con la facce lombrosiane di Belpietro e di Feltri, che parlano esclusivamente ai loro simili. Eppure, perfino in questi fogliacci immondi, qualcosa si salva, la regola salta, a seconda delle amicizie e delle simpatie. Fra i più intransigenti detrattori de Il Giornale e di Libero, che nella polemica sul caso Nori e Scarpa hanno assunto posizioni molto nette, di rifiuto totale, c’è Loredana Lipperini. Le sue motivazioni furono quelle espresse da tanti altri: l’ipoteca semantica e quant’altro. Il semplice comparire lì dentro, con la propria firma o la propria faccia, ti squalifica, a prescindere da cosa ci scrivi (e infatti secondo me nessuno lesse il pezzo di scarpa sul crocifisso), ergo non va fatto. Ognuno è libero di farlo, certo, ma gli altri sono liberi di trarne le conseguenze. Perché tu puoi esprimere il pensiero migliore del mondo, ma se in prima pagina c’è Veronica Lario in topless o la Daddario col titolo a caratteri cubitali “sputtanata”, vieni contaminato anche tu. E l’immaginazione della “contaminazione” ebbe molto successo, fu ripresa da tanti. Forse è vero, anche secondo me quelli sono stati i punti più bassi del giornalismo italiano. Ma se è infamante una semplice ed estemporanea collaborazione (quale quella di Scarpa) con giornali così volgarmente sessisti, omofobi e razzisti, che dire di un ruolo stabile, di un’assunzione a libri da anni? Forse che l’assunzione professionale esime dall’assunzione di responsabilità? Che senso ha esprimere gioia e plauso al libro contro il maschilismo italiano (“Ma le donne no”) di Caterina Soffici, caporedattore culturale de Il Giornale, in pratica il capo degli avvelenatori dei pozzi culturali, lo stesso giorno in cui in prima pagina su Il Giornale si bastona la Busi per le parole contro Minzolini dandole – fra gli altri epiteti – della “paracula”? Per inciso: a me ha sempre colpito che diversi intellettuali di sinistra abbiano tessuto le lodi di Caterina Soffici, e sono portato a credere, leggendola ogni tanto, che queste lodi siano giustificate. Ma questo non è la prova che il talento può stare anche lì, e che le pagine culturali in genere siano molto meno irregimentate e ipotecate di quanto si crede?

  27. @ galbiati

    Da lettore m’interessa poco di chi sia la proprieta’ dell’Einaudi, se la casa editrice continua a pubblicare ottimi prodotti commerciali apprezzati dalle giurie di qualita’. Berlusconi resta solo il sintomo piu’ imbarazzante di una corruzione endemica della vita democratica del paese. Corruzione a cui la stessa Einaudi non potrebbe in ogni caso sottrarsi.

    Discorso diverso per gli autori Mondadori che denunciano esplicitamente la corruzione, pubblicati e diffusi dalla casa editrice di un uomo piu’ volte caduto in prescrizione che, con ogni mezzo, ai limiti dell’incostituzionalita’, si rifiuta di farsi processare. Detto questo, da consumatore m’interessa che la Mondadori continui a sfornare un certo prodotto, cercando di non farsi condizionare piu’ del dovuto dal suo maggiore azionista. Il lettore dovrebbe vigilare su questo. Le istituzioni dovrebbero invece risolvere il problema del conflitto d’interessi.

    Credo inoltre che lo scrittore abbia come unica responsabilita’ una certa coerenza con la sua scrittura. E non e’ poco.

  28. @ Garufi.

    Cosa dovremmo fare? Sdoganare forse il linguaggio violento e gratuito di Libero e del Giornale perche’ la Soffici ha scritto un libro apprezzato da diversi intellettuali di sinistra?

  29. @ Sergio Garufi
    Come immagini non sono un lettore del Giornale. Però mi risulta che da tempo Caterina Soffici non ne rediga più le pagine culturali. Recentemente ho letto un suo articolo (perché mi riguardava, confesso), per dire, sul Riformista. Articolo piuttosto brutto, peraltro.

  30. se parliamo di chiarezza, anche la posizione di galbiati è chiara e, qualora gli scrittori (questa è pura utopia, naturlich) volessero coordinarsi per un’azione politicamente visibile ed efficace (non individuale, ma collettiva: non stiamo parlando di coscienza, ma di politica) sarebbe l’unica strada praticabile.

  31. Che palle! Sempre i soliti “superiori”, schifati dell’altro o con l’etichetta diversa dalla vostra o senza etichetta. Siete inguaribilmente autoreferenziali. Non metterete a nudo mai le vostre debolezze se continuate a vedere (esclusivamente) riflessa nell’acqua la vostra immagine. Continuate, colpevolmente, a discriminare il cattivo dal buono secondo l’appartenenza alla sinistra o no. Che cazzo di approccio Culturale è questo? Se poteste buttereste al rogo tutti i libri di quelli che considerate indegni della cultura. La Soffici non scrive più sul Giornale dal settembre 2009, ma questo non può determinare una valutazione positiva o negativa. Infatti l’atteggiamento della Lipperini testimonia la tesi che sostengo.

  32. @ dinosauro
    Non capisco l’ultima frase (e dunque tutto il resto). Se Lipperini (etichettabile “di sinistra”, stando alla sua reazione al caso-Nori) plaude a Soffici (etichettabile “di destra”, stando alla sua lunga non solo collaborazione alle, ma redazione delle, pagine del Giornale), dove stanno la Superiorità, l’Autoreferenzialità, lo Schifo, il Rogo?

  33. Secondo me Garufi ha ragione. Ho scritto sopra: esemplare chiarezza di pensiero della Murgia. Ma non intendevo dire che condivido appieno il suo pensiero, soltanto che lei ha parlato chiaro (e ha detto parecchie cose giuste). Da I SOMMERSI E I SALVATI: “è talmente forte in noi, forse per ragioni che risalgono alle nostre origini di animali sociali, l’esigenza di dividere il campo fra “noi” e “loro”, che questo schema, la bipartizione amico-nemico, prevale su tutti gli altri. […] questa tendenza manichea rifugge dalle mezze tinte e dalle complessità: è incline a ridurre il fiume degli accadimenti umani ai conflitti, e i conflitti ai duelli, noi e loro, gli ateniesi e gli spartani, i romani e i cartaginesi. […] Questo desiderio di semplificazione è giustificato, la semplificazione non sempre lo è.” Fatte le debite proporzioni siamo forse in presenza, con questa storia della collaborazione e contaminazione e via andare, d’una “zona grigia” che non chiede barricate ma acutezza d’analisi, non rifiuto aprioristico di TUTTO il “nemico” ma consapevole setaccio critico. Il cancro dell’ignoranza che sta divorando questo Paese non si combatte a mio avviso con la chiusura assoluta verso certi canali; la chemio dev’essere violentemente pervasiva, dolcemente ingorda; deve voler attaccare ogni organo malato, anche il più colmo di metastasi, e non aggredire quelli (ritenuti) già sani.

  34. La lipperini, molto informata, sa che la Soffici scrive per il Riformista e non scrive più per il Giornale, quindi il salto dal raccapricciante e lercio Giornale al rosa Riformista trasforma la Soffici illegibile e reietta in una degna d’attenzione.

  35. Dinosauro, “superiori” un par di palle: qui si discute appunto delle proprie debolezze, compromissioni e responsabilità: scrittori critici editor che dicono “io lavoro-collaboro qui perché…”, “io non voglio lavorare-collaborare qui perché…” , con nomi e cognomi, mettendoci faccia e argomenti, giusti o sbagliati che siano. Altro che roghi.

  36. lettore, “debolezze e compromissioni” proprio perchè vi considerate unici detentori della cultura, giudicate con sentenze forti e senza appello chi, appartenente al vostro “circolo” si è macchiato di una grande colpa, quella di confrontarsi con altri, scoprendo che ciò aiuta a capire di più e meglio, fuggendo per un attimo dalla stanca e pesante vostra liturgia.

  37. Andrea, a me sembra invece che la biografia professionale della Soffici sia la miglior dimostrazione che il giochino della casacca, per chi scrive sulle pagine culturali, abbia poco senso. La Soffici scriveva per Repubblica, poi 10 anni al Giornale mentre stava pure a Radio3 e ora al Riformista. E’ come Serino, che scrive dappertutto. Di che colore è Serino? E’ di destra, di sinistra? Sembra la canzone di Gaber…

  38. garufi, questo è il PUNTO. La Soffici, o chiunque altro dev’essere criticato, valutato, stroncato, apprezzato per quello che scrive. Il vero discrimine è tra chi concepisce la letteratura (o scrittura culturale) in se e chi la lega vitalmente alla politica, dando a quest’ultima il ruolo orientante.

  39. Certo che chi scrive deve essere giudicato per quello che scrive. E se scrive cose di sinistra, scrive cose di sinistra; se scrive cose di destra, scrive cose di destra. Purtroppo per chi non si rassegna a questo dato storico (piuttosto elementare), esistono “cose” e linguaggi di destra e “cose” e linguaggi di sinistra. Non solo: ma – appena si abbia una minima contezza dei contesti storici e delle continuità di medio-lungo periodo – si riconoscono anche abbastanza facilmente (al netto delle “zone grigie”, certo). Quella brutta canzone del sopravvalutatissimo Gaber, Sergio, riassume tutto l’eterno qualunquismo italico. Destra o Sinistra, Franza o Spagna…

  40. “Mi riferisco in particolare al suo rifiuto di partecipare al talk show di Paragone perché lì, come su Libero, Il Giornale e tutti i tg Mediaset la differenza non la fanno le idee, ma il mezzo. Non concordo non perché penso che non sia vero, bensì perché credo che tranne rarissime ed irrilevanti eccezioni (L’infedele di Lerner, Augias su Rai3 a mezzogiorno) quella è la regola dovunque. Non è la mera proprietà di Berlusconi ciò che impedisce un libero confronto, basta vedere il recente caso della Busi al tg1.”

    Questo ha detto Sergio Garufi, che approfitto anche per salutare, se si ricorda dell’unica volta in cui ci siamo incontrati a Cuneo. Però non capisco l’obiezione. Che non sia la mera proprietà a fare la differenza è proprio quello che ho detto io, dato che Paragone trasmetteva su Rai2, che non è di Berlusconi. La discriminante non è chi sia il padrone, ma le condizioni a cui – prestabilito che ci siano le basi per provare a fare la differenza con le idee – posso dire quel che penso; queste condizioni possono mancare più facilmente a Rai 2 alle 21 che a Canale 5 alle 10 del mattino, perché il bavaglio scatta solo quando puoi agire su una quantità davvero significativa di opinioni; e questo la dice lunga sul perché il 99% dei libri viaggi in regime di sostanziale “impunità”. Raccolgo in questa linea anche l’obiezione di Lorenzo Galbiati che fa il paragone tra il Giornale e l’Einaudi, come se l’uno e l’altra fossero oggetto della medesima pressione – e missione – liberticida. Mi colpisce soprattutto la sua teoria dell’etica transitiva, secondo la quale, essendo Berlusconi un disonesto, tutto quello che tocca diventa intrinsecamente disonesto, compreso l’ultimo dei correttori di bozze della narrativa in Mondadori. E’ una idea che avrà sicuramente successo tra chi ama i colori netti, tipo bianco e nero, ma temo che – applicata alla lettera – darebbe problemi di pendant anche nel rapporto con soggetti editoriali che questa vulgata pretenderebbe eticamente sostenibili solo perché, voilà, non sono di Berlusconi. Perché è quello il parametro dell’etica, no?

  41. dinosauro, io non scrivo, sto solo seguendo la faccenda. ma chi scrive si sta mettendo in gioco un bel po’ qua, mi pare. Ognuno poi ha diritto di giudicare. La questione è cruciale, e liquidare tutto con la “superiorità” e le “casacche” mi sembra quantomeno riduttivo. Non c’entrano dx e sx qua, come dici di sostenere anche tu…
    temo si andrebbe per le lunghe, mollo, anche perchè l’ottimo contributo di Michela Murgia non merita rumori e polemiche

  42. Un ultimo commento, poi giuro che smetto. Andrea, io non faccio l’apologia del qualunquismo, Franza o Spagna ecc, ho detto e ribadisco che esiste eccome una discriminante, ma non la riconosco soprattutto nel “dove” uno scrive, quanto appunto nel linguaggio con cui ci si esprime e pure nei gusti che si professano. La Lipperini e i Wu Ming votano a sinistra e scrivono su giornali di quell’area, ma per me la loro idea di letteratura è quanto di più reazionario e consolatorio ci sia oggi. Promuovere, come fa la prima, la Pulsatilla che ha “l’ironia amara di Erika Jong” e al contempo liquidare sbrigativamente uno come Paolo Nori (“Nori può fare quel che crede: come narratore non mi interessava prima e non mi interessa ora”) per me significa stare da una parte ben precisa che non è la mia.
    Ciao Michela, mi ricordo benissimo di te, e ricambio il saluto. Hai ragione, la mia obiezione al tuo discorso era sbagliata, è la quantità di opinioni condizionabili ciò che fa scattare il bavaglio. Sui libri il controllo è molto inferiore, sebbene anche lì, a volte, operi la censura, forse per questioni di prestigio (vedi i casi Saramago e Belpoliti).

  43. cortellessa, chiarissima la tua visione che considero il principale errore nell’interpretare la letteratura ed il fatto culturale. E’ proprio in quel breve e significativo argomentare che c’è l’equivoco di fondo. Capisco meglio, anche perchè consideri un grande scrittore il Pasolini dei “saggi” e non della narrativa e poesia. Metti l’accento sul polemista e critico sociale perchè non t’interessa il valore letterario.

  44. Sergio, più dibattiamo di queste cose più sembra che dobbiamo tornare alle basi, alle asticelle e alle cornicette. Allora, devo fare il disegnino alla lavagna per spiegare che anche per me (ovviamente!) non sono le opinioni politiche a fare la grandezza di uno scrittore? E quanti disegnini servono per spiegare che ciò malgrado le opinioni politiche di uno scrittore (o del panettiere all’angolo, per usare l’immagine di Michela Murgia), ove pubblicamente espresse (e dunque più di frequente da parte dello scrittore che del panettiere), mi riguardano e devo poterle appoggiare o avversare, se del caso? Non importa nulla che il tale sia un bravo scrittore o un bravo panettiere, se incoraggia alla deportazione, o un bravo musicologo, se dice che Hitler era una brava persona; e se è un pessimo scrittore e dice cose giuste, io devo poter essere in grado di dire che dice cose giuste (se le dice molto bene, poi, difficile che sia così accio, come scrittore; ma lasciamo perdere).
    Dopo di che (terza lavagnetta) c’è una terza questione, che è quella della sede, dove queste cose vengono dette. Murgia mi pare abbia spiegato benissimo, senza steccati e senza etichette come piace a te, perché e percome un’opinione neutra (o di sinistra), espressa entro una certa cornice linguistica, risulti necessariamente strumentalizzata o utile-idiota. Tu non sei d’accordo e l’hai detto in tutti i modi possibili, io sono di diverso avviso e a mia volta penso di aver ampiamente rotto le scatole a tutti, al riguardo. Mettiamoci l’anima in pace: per una volta, non siamo d’accordo.

  45. “Quella brutta canzone del sopravvalutatissimo Gaber, Sergio, riassume tutto l’eterno qualunquismo italico. Destra o Sinistra, Franza o Spagna…”

    @Andrea C.
    Come liquidatore avresti fatto fortuna. Queste critiche bonsai, andrebbero raccolte in serra, a memoria futura dello stato della critica in italia. Dopo destra o sinistra, si dirà sopra o sotto(valutati), per un tutto moderno kamasutra delle idee (à la missionaire, per intenderci)
    effeffe
    ps
    gli ultimi due interventi, di sergio e michela (murgia) mi sembrano assai consistenti. E poi sorge una domanda. Ora che tutti stanno lì a “chiedere” più o meno gentilmente agli autori einaudi o mondadori di lasciare le loro case madri (io ci metterei a questo punto anche le feltrinelli visto l’impiego selvaggio di quelle armi di distruzione di massa culturale e delle librerie di quartiere che sono stati i megastore) perché non chiedere cosa li faccia rimanere lì dove sono? Sono sicuro che si capirebbero molte più cose rovesciando i termini della questione.

  46. @ effeffe
    Sul perché si “rimanga” mi pare che tanto Helena Janeczek che Michela Murgia abbiano detto parole assai chiare. E lo dico come semplice lettore, non come critico-liquidatore. Ciao.

  47. caterina soffici a volte ha scritto articoli molti gradevoli e soprattutto esilaranti, credo abbia talento, ma non credo proprio comprerò il suo libro.
    Condivido il commento di garufi e visto che si torna a parlare di contenitori, e soprattutto pigiando il pedale sul sessismo e il cattivo gusto (che a me sembra non manchi in nessuno spazio), vi voglio fare una domanda: posso scrivere su Liberazione o iscrivermi a rifondazione dopo questo manifesto?.
    Io credo che tutta l’italia (destra e sinistra) si sia bevuta il cervello e che il più ubriaco sia quello che crede che esista una parte, un contenitore, che ci salvi a priori. Non è più così per chi si ritiene intellettuale. Ognuno è solo responsabile delle cose che scrive, e non dove le scriva. Poi certo è più simpatico trovare un proprio (o di colui che si apprezza) articolo sul Manifesto che su Libero. Si può leggere più rilassati senza dover attivare il senso critico, ma questo è un altro discorso.
    Non è questo il problema anzi… lo so bene che camminare sul precipizio senza balaustre fa venire le vertigini … ma se si fa finta che esistano ancora le balaustre si cade di sotto e basta.
    L’episodio citato da garufi del brano di elsa morante è, direi, emblematico e significativo: A tutta la rete (destra e sinistra), compresa Liberazione, è piaciuta di più la ciofeca grossolana (rimaneggiamento di un vero testo, profondo e interessante, di elsa morante) del testo originale. Il testo originale induceva, e obbligava, a pensare, a riflettere, mentre la ciofeca la potevi ingoiare senza masticarla e senza neppure accorgerti con precisione di cosa parlasse. E questo desiderio di ingoiare senza masticare è tipico del popolo yahoo di oggi (cfr. Swift) e soprattutto è funzionale al cosidetto Sistema che non usa più le baionette e i moschetti, ma usa abili cavalli matematici per schiavizzare il resto della popolazione.
    Beh se non ci rendiamo conto di questo, siamo perduti in partenza. Scrivere su libero NON è un delitto (dipende da COSA ci scrivi e dalla capacità e forza che hai di non farti fagocitare), semmai il delitto è il desiderio e il tentativo di strumentalizzare l’intelligenza di sinistra per sputtanare la sinistra operato dai giannizzeri della destra. Questo forse vuol fare Libero aprendo a Scarpa e a Nori, ma che il tentativo riesca o meno non dipenderà certo dallo starne fuori orgogliosamente, epurando dai nostri pensieri chi ci è entrato, ma semmai dai contenuti che uno riescirà a mettere dentro il contenitore. Il resto è solo un atteggiamento snobistico che lascia il tempo che trova.
    geo

  48. @andrea
    sicuramente sia Helena che Michela Murgia, ma vorrei aggiungere Evelina Santangelo, si sono spese in tal senso. Però, per esempio perché non dire che la scelta di appartenere a una casa editrice o meno – i fatti ci dicono però che a differenza della situazione francese, per esempio, sono sempre più rari i casi di autori legati a una sola casa editrice – dipende molto semplicemente dal legame che si ha con gli editor e/o direttori editoriali? E allora visto che è spesso il caso, e penso al nostro Gianni Biondillo in Guanda, vale forse la pena ragionare anche su questo? Per essere più precisi. Se, ammettiamo, un illuminato direttore einaudi o mondadori decidesse di acquistare da lavieri la collana Arno di domenico pinto, lasciando la stessa libertà a quest’ultimo, una libertà al momento condizionata dai mezzi a disposizione, di scegliere i suoi autori quanti scrittori passerebbero volentieri in einaudi o mondadori per lavorare con Pinto? Ho detto Pinto ma avrei potuto tranquillamente dire Cortellessa, Alfano…
    effeffe

  49. Sì Andrea, non siamo d’accordo perché poniamo l’accento su cose diverse. Capita, non è niente di grave. Io mi limito a far notare che la questione della “sede” o “cornice” è l’unica cosa di cui si sia discusso qui da un mese a questa parte, cioè da quando si è saputo che Scarpa ha pubblicato un pezzo per Libero. E in questa discussione che ha prodotto centinaia di commenti a favore o contro, l’unica cosa incontestabile è che pochissimi hanno letto il pezzo di Scarpa. Ci si è scannati sull’indirizzo del mittente a tal punto da non aprire neppure la busta rifiutandosi di leggere la lettera. Per dei lettori forti, quali sono i frequentatori dei lit blog e delle pagine culturali, è un po’ curioso, no?

  50. Be’, sarà liquidatorio, ma sul “sopravvalutatissimo Gaber” (che ho anche molto apprezzato, ben inteso) concordo con Andrea.

  51. Ma scusa Sergio, la discussione era sui contenitori. Perché insisti a dire “sì, ma nessuno ha letto il contenuto”? Se io sono dell’opinione che a Libero non bisogna dare neppure l’indirizzo (vedi cos’è capitato a Trevi di recente), a me non cambia proprio nulla se quell’indirizzo è Parioli o Centocelle. (E anzi, se vuoi saperlo, meglio è, quel contenuto, più sbagliato è dare perle ai porci.)
    Georgia, nessuno, qui, ha sostenuto che “esista una parte, un contenitore, che ci salvi a priori”. Si è sostenuto semmai che esiste un contenitore che a priori danneggia ogni contenuto abbia la ventura di esservi contenuto. Tu non sei d’accordo; amen, mettiamoci l’anima in pace. Però non mettere in bocca ad altri assurdità che nessuno si sogna di sostenere; non so te, ma si dà il caso che ci siano persone qui, che in “contenitori” di sinistra hanno passato anni, se non decenni: e ne conoscono a memoria tutti, ma proprio tutti, i vizi (molti) e le virtù (anch’esse molte).
    @ effeffe
    Infatti. Sono d’accordo con te sull’ultimo punto. Migliorare le condizioni editoriali significa, per chi come ruolo abbia scelto quello per es. dell’ideatore-direttore di collane, fare sì che le proprie scelte (che naturalmente considera giuste, altrimenti non le avrebbe fatte) abbiano maggiori chances per arrivare in libreria e raggiungere i lettori “giusti” (che non sono tutti, ma non sono neppure nessuno). Come ho già detto, se si pubblicano testi (ancor più che se testi si scrivano) a priori si deve aver rinunciato a qualsiasi eventuale pulsione elitaria o “snobistica” (come si continua purtroppo a dire – impiegando il termine secondo la vulgata televisiva, notoriamente controfattuale).

  52. ma il cortellessa pensa per caso si alluda sempre a lui?
    Mi scusi se non ho visto la sua lunga coda e inavvertitamente l’ho pestata ;-).
    Per la precisione io NON ho messo nulla in bocca a cortellessa quindi lui si limiti a rispondere per se stesso e … poi certo si può anche discutere e pure con mouse spietato, ma … senza mettere, per favore, dei fastidiosi e supponenti amen come pietre tombali, ma questo è altro discorso ancora … che prima o poi però andrebbe affrontato da quelli che scrivono in contenitori di “sinistra” e credono per questo solo fatto di essersi salvati l’anima ;-)
    geo

  53. le prime 4 domande poste alla Murgia mi sembrano quanto meno esornative, dal momento che, per sua stessa ammissione (leggo dal suo sito web) l’autrice legge in genere saggistica, quindi deduco che ignori la poesia, e di narrativa mastichi prevalentemente la sua

  54. vabbè, mi limiterò a osservarvi come a una partita di calcio, senza intervenire. le ‘squadre’ che si fronteggiano sono già da sempre prestabilite e sempre le stesse post dopo post. mai e poi mai un filino fuori dal seminato e un’apertura lievemente oltre la destra la sinistra il qualunquismo e i ‘particulari’. anche questa è italia. ciao e buone cose. :)

  55. Georgia
    Di nuovo metti in bocca ad altri cose che non hanno detto. Non ti ho risposto “io non ho detto” bensì “nessuno, qui, ha sostenuto che ‘esista una parte, un contenitore, che ci salvi a priori'”. Non è la prima volta che mi capita di notare, da parte tua, un certo mimetismo delle abitudini argomentative di certi canali. Nessuno, lo ripeto, qui ha sostenuto la scemenza che sostieni di parafrasare; di conseguenza nessuno fra “quelli che scrivono in contenitori di ‘sinistra’”, checché tu ne pensi, “credono per questo solo fatto di essersi salvati l’anima”. Sembra che tu stia studiando per fare la Pigi Battista in trentaduesimo: col credere che, ad essere di sinistra, si diventi automaticamente dei conformisti e degli idioti. Anzi, dei “coglioni” (come diceva Quello).

  56. @Murgia
    Raccolgo in questa linea anche l’obiezione di Lorenzo Galbiati che fa il paragone tra il Giornale e l’Einaudi, come se l’uno e l’altra fossero oggetto della medesima pressione – e missione – liberticida. Mi colpisce soprattutto la sua teoria dell’etica transitiva, secondo la quale, essendo Berlusconi un disonesto, tutto quello che tocca diventa intrinsecamente disonesto, compreso l’ultimo dei correttori di bozze della narrativa in Mondadori. E’ una idea che avrà sicuramente successo tra chi ama i colori netti, tipo bianco e nero, ma temo che – applicata alla lettera – darebbe problemi di pendant anche nel rapporto con soggetti editoriali che questa vulgata pretenderebbe eticamente sostenibili solo perché, voilà, non sono di Berlusconi. Perché è quello il parametro dell’etica, no?

    Non cerchi di far finta di non aver capito: ciò che ha scritto in relazione al mio commento è una completa e voluta distorsione di quanto da me sostenuto; si attenga per favore al testo.
    Io dico una cosa chiara e anzi banale: non si lavora per i ladri, cioè non si porta soldi ai ladri, anche se lo si fa in modo onesto.
    Questa è una etica chiara, che non ha il suo fondamento in Berlusconi.

    Inoltre, se una persona vuol essere intellettuale e contro il regime berlusconiano sia
    1- per il suo agire politico (le leggi che fa il suo governo)
    2- per il suo agire come privato (l’amico di corruttori e mafiosi e il modo illegale (l’ha scritto lei) con cui si è accaparrato fette dell’editoria)
    entra in contaddizione con se stessa, diventa incoerente se decide – se può scegliersi un altro editore: non mi riferisco ai redattori che hanno trovato lavoro con Mondadori e rischierebbero la disoccupazione licenziandosi.

    In più, Mondadori è un monopolio, e chi ha a cuore il pluralismo dovrebbe evitare i monopoli e far di tutto per creare tanti soggetti editoriali.
    C’è poco altro da dire, questa è logica molto elementare.

  57. A proposito di contenitori, vorrei mettere in evidenza un paio di meta-contenitori che mi sembrano emergere nella discussione. Il contenitore di Galbiati – mi scuso se non ho capito la sua posizione personale, ma la descrizione secondo me regge anche se non si addice perfettamente a lui – è di tipo: se non sei con Berlusconi sei contro Berlusconi. Gli spazi sono due: o stai fuori dallo spazio Berlusconi (e però allora non pubblichi per Einaudi e men che meno sul Giornale o su Libero) o ci stai dentro (anche se non sei d’accordo con lui). Messa così, non si scappa.
    Michela Murgia mi sembra indichi e argomenti una posizione diversa – l’Einaudi è più mia che di Berlusconi, dal punto di vista che conta davvero – ma, lasciando stare se si è d’accordo o no, facendo ciò rifiuta il contenitore con due caselle. Ragiona a partire da uno spazio multiplo, in cui entrano considerazioni variabili, non solo la dialettica “di Berlusconi/non di Berlusconi”.
    Dei due spazi, io non ho dubbi su quale preferisco (quello di Michela Murgia), anche se non sono convinto di condividere del tutto la posizione che indica – ma sono sicuro che se ne riuscissi a scegliere una, sarebbe di nuovo al di fuori del contenitore con due caselle.

  58. @ Lorenzo Galbiati
    Dunque, mi pare di capire, la tua posizione è sostanzialmente simile a quella che Vincenzo Ostuni ha riassunto nel discretamente celebre appello a Saviano perché smetta di pubblicare con Mondadori. In un’intervista apparsa di recente su “Liberazione” e che avevo rilasciato a Gilda Policastro, ho riassunto il perché non sono d’accordo con questa impostazione. Magari tu troverai la mia posizione eticamente debole o comunque non del tutto soddisfacente, io però la considero tatticamente necessaria (e in politica le due componenti mi pare che debbano poter bilanciarsi) – specie cercando di pensare a tempi un po’ più lunghi della cronaca immediatamente presente. Dal momento che non credo che l’abbiano vista in molti, mi autocito:

    Effettivamente il contesto in cui ci troviamo incoraggia domande come quella di Ostuni. Io penso però che la risposta che ha dato su Nazione indiana Helena Janeczeck, una scrittrice che è redattrice a progetto di Mondadori e che a suo tempo è stata l’editor di Gomorra, sia molto condivisibile, non solo per i suoi toni estremamente aperti e sinceri,
    ma anche per una lucidità e una risolutezza esemplari. Il punto è che Mondadori – come Einaudi e altre realtà culturali che si trovano in questo momento nelle mani di un imprenditore che è anche Presidente del Consiglio – sono vere e proprie istituzioni, che in quanto tali c’erano prima di Berlusconi e ci saranno dopo la sua fine. Pensiamo a cosa
    ha rappresentato l’Einaudi nella formazione di tutti i noi a partire dal dopoguerra, o anche prima della guerra. All’interno di quella casa editrice si sono formati i quadri dell’antifascismo militante, gli intellettuali che hanno fondato la repubblica democratica. Noi non possiamo gettare alle ortiche questa memoria culturale solo perché il suo assetto societario è stato più o meno lecitamente rilevato da un certo imprenditore. Non possiamo permettere che le risorse di competenze tecniche, di passioni umane, di autenticità intellettuale e letteraria, che costituiscono la forza non solo imprenditoriale di Einaudi e Mondadori,
    cadano nelle mani delle destra più estrema. Dobbiamo fare in modo
    che una coscienza, una consapevolezza, una sensibilità linguistica – prima
    base di una resistenza alle dinamiche spettacolari e violente che sono di fronte a noi – continuino ad avere, in quei luoghi, diritto di cittadinanza.

  59. boh caro cortellessa puoi affermarlo con tale sicurezza che NESSUNO l’abbia detto (visto che ti fai imprudentemente portavoce di TUTTI)? Io nutro dubbi, ma non vado a rileggermi tutto solo per contraddirti.
    Ad ogni modo se il solo fatto di scrivere in un contenitore, indipendentemente dal contenuto (perchè è questo che vai affermando) danna, si desume che scrivere in altri contenitori non danni.
    Secondo me le tue affermazioni non fanno un buon servizio al pensiero della sinistra (IMO naturalmente). Sì, sei un po’ conformista secondo me, ma non sei l’unico.
    geo

  60. Infatti: non necessariamente scrivere sul manifesto “danna”. Se vi si scrivono stronzate, naturalmente, si fanno “danni” (e possono essere anche gravi). E’ per questo che il manifesto, come anche altre cornici, sta bene attento al contenuto che incornicia (altro che dover dare ospitalità ai Buttafuoco, come mi è capitato di leggere di recente – come se mancassero tribune, ai Buttafuoco, per dar fiato alle loro grandi pensate…; proprio tale attenzione, a sentire i nonconformisti a contratto, significherebbe “limitare la libertà dei collaboratori”). Viceversa, la cornice di Libero (che, a quanto sostengono i suoi collaboratori, al contrario lascia tali di nome e di fatto) “danna” in ogni caso il pensiero, e il linguaggio, di chi vi caschi dentro. E ho già spiegato in abbondanza per quali motivi.
    Infine. Sì, se pensi che questo appena riassunto sia “conformismo” la pensi esattamente come Pigi Battista (http://www.ibs.it/code/9788817038355/battista-pierluigi/conformisti-estinzione-degli.html). Auguri.

  61. In UK va sui giornali di questi tempi lo scorrettissimo Amis, che se la prende -tra gli altri- con le donne in carriera che monopolizzano l’editoria del Regno; tutta gente che, a suo modo di dire, non ha nulla -ma proprio nulla- da dichiarare se non il proprio bellettrismo iper politically correct, confezionato nel vestitino buono dell’etica. Il misogino Amis sostiene che tanta ipocrisia, massimamente rappresentata nel Regno dalle Ruth Padel & affini, non porta a nulla di costruttivo ne’ in letteratura (essendo spesso le opere scadenti, confessionali, marmellatesche, opportuniste) ne’ in ambiti sociali (qui il bersaglio e’ l’opinionista musulmana dell’Independet Yasmin Alibhai-Brown, una specie di Rosi Bindi in salsa subcontinentale). Il Caimano e la sua genie sono sicuramente rivoltanti, ma lo sono altrettanto le ipocrite difese del catalogo Einaudi che sosterrebbe gli oneri del masticare amaro, pur di rimanerci. La signora Murgia sarebbe piu’ credibile dicendo che i vantaggi di pubblicare per Einaudi, in un Paese ridicolo come questo, sono ancora notevolmente superiori a quelli che pubblicare per ISBN, e che dunque si terra’ ben stretta la fascetta per non tornare nel tinello anonimo dei migliaia e migliaia di scriventi un-charted nel sottobosco.

  62. io non la penso come pigi battista (e manco lo leggo come medicina e soprattutto non le permetto di somministrarmela), ma che ti è preso di prenderlo come pietra di paragone :-)? ‘un c’havevi di meglio? … Poveri noi!.
    Ma puta caso ci fosse coincidenza in qualche frase (visto che anche gli orologi rotti due volte al giorno indicano l’ora giusta) che dovrei fare per salvarmi … uniformarmi due volte al giorno al cortellessa pensiero?
    Poi scusami, ma … leggo sopra questa tua espressione da maestrino (mi ricordi la policastro, Ma che vi fanno tutti con lo stampino?)

    più dibattiamo di queste cose più sembra che dobbiamo tornare alle basi, alle asticelle e alle cornicette. Allora, devo fare il disegnino alla lavagna per spiegare […] Dopo di che (terza lavagnetta) […]

    Oh My God!!!! Mamma mia, quanta spocchia che specchia lo spicchio di critika nostrana!
    Ma non ero io che davo di idioti e coglioni agli altri interlocutori?
    Caro cortellessa (e pensare che la stimavo) perchè non scende da cavallo? E poi fa proprio bene a rimbrottare quel birichino di
    sergio che si è permesso di parlare di contenuti in una discussione dedicata ai soli contenitori … e che diamine … ‘un c’è proprio più rispetto a questo e-mondo.
    auguri anche a te, ne hai proprio bisogno.
    Ikke la vole signora mia, ‘un ci son più gli alunni devoti di una volta.
    – Come l’ha ci ha ragione signora mia, ma la vedesse i prof!!!!!

  63. Amis? Martin amis? Ganzo, soprattutto un uomo colto!. In un, tra l’altro pessimo, racconto sull’11 settembre (uscito sulla repubblica) si lasciò andare all’improvvisazione storica e scrisse che gli arabi erano già stati buttati fuori dall’europa a Vienna nel 1683 (io me la ricordo la data perchè adoro i cornetti caldi a colazione che furono inventati per l’occasione) … che uomo colto, preciso, corretto!. Erano turchi, ma lui mica sta attento a queste quisquilie da pignoli, per lui tutto fa brodaglia ;-)

  64. Ecco, per esempio Martin Amis è un eccellente scrittore dalle idee quasi sempre assai difficili da condividere. Quanto alla “fascetta” da tenersi “ben stretta”, trovo piuttosto meschino pensare che – indistintamente – tutti coloro che pubblicano da Einaudi o da Mondadori lo facciano per bieco tornaconto. Lo accennavo sopra: se si scrivono delle cose, e tanto più se si crede che queste cose possano servire a qualcun altro, si è da ogni punto di vista tenuti a cercare di ottenere le condizioni migliori – in termini di distribuzione, promozione, anche fattura materiale dell’oggetto-libro – al fine della migliore circolazione di quelle cose. Una casa editrice non è un autobus e, come diceva prima mi pare effeffe, si sbaglia a non tenere conto dell’elemento umano: delle persone che con l’autore collaborano, cioè, a tutti i livelli. Nel concreto lavoro editoriale si pensa prima di tutto alla persona che hai concretamente di fronte, alle concretissime forme di interazione e collaborazione che si è in grado di avere, e solo in un secondo momento si pensa all’assetto societario che a quella persona dà uno stipendio . Non dico che non serva pensarci, anzi; è essenziale tenere presenti entrambi i livelli. Ma appunto: entrambi.

  65. Ecco, non vorrei sviare la faccenda: Cortellessa e le varie Murgia, Janeczek, Santangelo, parlano del lavoro editoriale, del mestiere. Amis e’ un uragano giustappunto su questa idea del “mestiere”, identica e precisa all’idea dei “soldi & sesso” dei Caimani assortiti. Io davvero non capisco come in Italia gente quale Emma Bonino (non dico Pannella se no arriva la cavalleria), protagonista quarantennale di battaglie di autentico significato civile e portatrici di diritti per tutti indistintamente, abbia un consenso sotto il 3%. O forse lo capisco bene: le manca il “mestiere”, il controllo di cordate, tessere e territorio, quello che tanto il triumvirato Berlusconi-Bossi-Fini quanto il corrispettivo D’Alema-Violante-Bertinotti (quest’ultimo caduto sul campo ahilui) hanno a cuore piu’ che la Politica della quale vanno tanto cianciando.

  66. @garrapa
    Mi sembra che quel che tu giustamente domandi – una posizione che non sia aprioristicamente né di “destra” né di “sinistra”, Garufi e io l’abbiamo sostenuta. Se ti pare di no, puoi motivare perché no?
    Ps: virgoletto le parole sinistra e destra perché, come già dissi in passato, in un mondo in liquidazione come quello d’oggi tali categorie necessitano quanto meno d’un airbag concettuale.

  67. @ GiusCo
    Mi faccia capire. Il fatto che chi scrive stia attento al proprio linguaggio, faccia in modo che non venga strumentalizzato, si sforzi di esercitare una responsabilità su ogni propria singola parola, tutto ciò per lei è mero “mestiere”, anonima techne, addirittura qualcosa di (in qualche insondabile modo) equiparabile al “soldi e sesso” di qualcun altro?

  68. @ Cortellessa

    Condivido molto gli ultimi suoi commenti. Di una cosa pero’ non mi convincera’ mai. E cioe’ che si possa usare la Mondadori per diffondere messaggi contro l’attuale governo ed i trascorsi del suo capo. Certo, si puo’ usare la Mondadori per denunciare i Casalesi ad un vasto pubblico.

    Resta il fatto comunque che gli articoli che Saviano pubblica per il Gruppo Rizzoli possano tranquillamente essere raccolti in un libro per la Mondadori. Quindi, alla fin della fiera, non ha senso che Saviano lasci la Mondadori, se non sente in quella sede maggiori pressioni che altrove.

    E su questo punto giuro che non tornero’ mai piu’. Resto dell’idea che un libro pubblicato da Mondadori, qualunque sia la sua tiratura, non possa andare oltre certi limiti. Come qualunque altro libro pubblicabile dalla grande editoria. Ma questo mio discorso forse non interessa a nessuno Quindi mi defilo.

  69. Cortellessa: l’attitude, l’attenzione al dettaglio, la sistematica ricerca di consenso, territorio e controllo, sono le medesime in piccolo. Einaudi vale Bankitalia come Bankitalia vale l’Opus Dei, ognuna nel rispettivo settore: il fine e’ lo stesso e i mezzi lo sono altrettanto. Pecunia olet atque Littera olet atque Anima olet.

  70. @ AMA
    Se le cose stessero come dice lei nel suo ultimo punto questa discussione non avrebbe motivo di farsi, per quanto mi riguarda. Il problema è che tuttora molta parte della migliore poesia e narrativa che si pubblica in questo paese la pubblicano Einaudi e Mondadori. Senza parlare delle collane di classici (i Meridiani su tutte), che restanodi gran lunga le più autorevoli (in quanto le meglio organizzate). Non è un monopolio, come è stato detto; ma un’editoria italiana amputata di Einaudi e Mondadori disegna, molto semplicemente, un paesaggio diverso da quello in cui ci siamo formati. Siamo disposti a regalare questo, a chi se le è pappate? Oppure dobbiamo fare di tutto perché, come ha scritto Michela Murgia, questo Insaziabile resti lui l’estraneo, lì dentro? Chi pensa che questa domanda sia troppo ottimistica non si rende conto che la partita la giochiamo tutti noi, e la stiamo giocando in questo preciso momento.

  71. Cortellessa affastella in questo blog tante di quelle castronerie, difficilmente potrebbe essere superato da qualcuno. Tira fuori, spesso, la parola inquinamento. La paura d’essere inquinati dipende dalla suo pensiero debole e un po’ infante. Tutti i suoi interventi sono ridondanti, non c’è nelle sue affermazioni e tesi una grammatica. Con la sua stentorea retorica cerca di nascondere il suo spirito di miliante inossidabilmente politico, per nulla intellettuale. Non risponde quando le domande sono per lui imbarazzanti. S’appende dondolando alle frange di un discorso. E’ il “tipo” pienamente corrispondente alla figura rappresentativa di una pseudocultura che purtroppo pervade il mondo dei libri. Non sono questi gli uomini che possono aiutarci a costruire una civiltà più illuminata, sotterrando i disvalori (anche quelli berlusconiani) che rendono asfittica la nostra società.

  72. A proposito dell’appello di Vincenzo Ostuni, due piccole considerazioni. Io non penso che Il Giornale sia equiparabile alla Mondadori, in uno si fa principalmente politica e nell’altra si fanno principalmente soldi, ma non è una cosa squisitamente di sinistra essere intransigenti coi forti e comprensivi coi deboli? Perché qui la questione è che i casi Nori-Scarpa su Libero sono serviti soprattutto ad ammonire gli eventuali recensori a progetto (quelli tipo me, che appena pervengono alla periferia di un nome, che vengono pubblicati sui giornali ogni morte di papa e pagati, quando sono pagati, con elemosine) dallo stare lontani da certa cartaccia; il che in sostanza equivale a chiedergli il piccolo sforzo di scomparire, di non esistere, visti gli esigui spazi e possibilità che vengono offerti. Ma a Saviano che cosa costerebbe lasciare Mondadori e traslocare, per es., da Feltrinelli (o Rizzoli ecc)? Forse che gli darebbero meno soldi? O minor visibilità sui media e minor distribuzione nelle librerie? O che non lo tradurrebbero all’estero? E non sarebbe un bello e nobie segnale, un mettere distanza fra lui e certa gente? Forse che non legittima, col suo nome, quell’impresa? Forse che non l’arricchisce? Certo, Mondadori c’era prima e ci sarà dopo Berlusconi, se si ragiona in termini geologici. Nel frattempo, però, durante le discussioni con gli avvocati a proposito della successione del suo immenso patrimonio, il Caimano ribadiva che a capo di Mondadori rimarrà la figlia Marina e non l’altra figlia, e così si succedono le generazioni e noi siamo ancora qui a dire che prima o poi passerà di mano, e a ingoiare il rospo della censura su Saramago. Forti coi deboli e indulgenti coi forti, questa sì che è una cosa di destra.

  73. Infatti, Sergio. La domanda di Vincenzo Ostuni è pertinente. A me pare che sia Janeczek che Murgia (le quali sono in posizioni fra loro ben diverse) abbiano dato una risposta non-fondamentalista, di quelle che dovrebbero piacerti. E la risposta è, stringendo al massimo: se “si resta” è perché si pensa che, con la presenza nostra e degli altri come noi, materialmente si impedisca la prevalenza – in questi settori nevralgici – di un pensiero e di un linguaggio di destra.
    Da questo punto di vista quello di Saviano è davvero un puzzling case; di recente – per es. con la sconsiderata intervista al Buttafuoco – sembra con ogni forza volersi cancellare di dosso l’etichetta (di questi tempi, si vede, considerata tutt’altro che “conformista”) di “uomo di sinistra”. Eppure i percorsi da lui fatti agli esordi parrebbero dire una cosa diversa. Dunque: se consideriamo Saviano (il personaggio, lo stile, le cose che racconta: tutto Saviano) di destra, il problema non si pone; ma se lo si pone, e lo si pone con tanta insistenza, è perché questa identità ci pare, tutto sommato, poco verosimile. Ma se consideriamo il package Saviano, malgrado tutto, di sinistra, ecco che si pongono due alternative: la prima, lasciare Mondadori (il che significa – è vero – allo stato, oggettivamente, indebolirla; è uno dei pochissimi autori dei quali si possa dire questo, Saviano); la seconda, restare dentro Mondadori e contribuire, insieme ad altri, al resistere – al suo interno – di un punto di vista, di un tenore linguistico, di un’etica personale che sono, comunque la si veda, irriducibili a qualsiasi ipotetica koinè di destra.
    Fra queste due ipotesi, entrambe sensate a mio modo di vedere, io sono per la seconda.

  74. En passant, Andrea, mi fa piacere non essere l’unico ad aver trovato molto sgradevole e ambigua l’intervista concessa a Buttafuoco, sempre che sia ancora lecito criticare Saviano.

  75. @ Cortellessa

    Come gia’ scrissi ad Helena Janeczek, bisogna fare resistenza dentro la Mondadori e l’Einaudi, almeno fino a quando sara’ possibile farlo, per salvare i cataloghi di queste due storiche case editrici italiane. Non possiamo consegnarle a Berlusconi.
    Resta il fatto che nessuno mai mi convincera’ che oggi sia possibile pubblicare per Mondadori o Einaudi un libro che denunci la corruzione endemica delle nostre istituzioni democratiche. Ma neanche per Rizzoli, sia chiaro.

    In ogni caso, uno scrittore non deve necessariamente denunciare qualcosa. Deve pero’ scrivere buoni libri, senza subire pressioni, sempre ambendo a pubblicare per le piu’ importanti case editrici italiane. Di chiunque siano.

    Senza scordarci che tutti noi, nessuno escluso, viviamo sotto un regime populista postmoderno con cui dobbiamo, tutti giorni, per forza di cose, contrattare.

  76. Resta però il fatto, Sergio, che non condivido affatto il tuo pensiero secondo il quale Il Giornale (nella gestione Feltri, forse non per caso coincisa con l’uscita di Soffici???) e Libero sarebbero dei “deboli”, coi quali esercitare indulgenza. Non avranno i fatturati di Mondadori Libri (e non ne sono certissimo, date le tirature); ma dal punto di vista linguistico, torno a insistere, sono la punta di lancia di un’informazione – se così vogliamo continuare a chiamarla – usata come arma. Questa sì, senza alcun dubbio: contro i deboli.

  77. @ Cortellessa

    Faccio molta fatica a considerare Saviano, nel suo complesso, un intellettuale di sinistra. Tutto cio’ che non e’ riconducibile alla koine’ della nostra destra italiana non e’ necessariamente di sinistra.

    Comunque alla fine che Saviano resti o no alla Mondadori m’interessa davvero poco. Io guardo al catalogo della casa editrice. Su cui Saviano credo non abbia grande peso.

  78. @ AMA
    Anche il suo dubbio è pertinente. Ma stiamo parlando di Saviano perché, a torto o a ragione, il suo caso è assurto a simbolo. A pietra di paragone, diciamo. E, come tale, funziona bene per cercare di capire il da farsi. Dopo di che sono d’accordo con lei: se si guarda a tempi meno schiacchiati sul presente, i problemi sono altri.

  79. Ma Sergio, ti pare che io ce la possa avere coi singoli deboli articolisti di Libero? (poi attento: ci saranno coinvolti dei deboli sfigati ma ci sono pure, lì dentro, dei bastonatori di professione: ne so qualcosa)
    Il fatto che non si vuole capire, purtroppo, è che la “linea” (la famosa cornice linguistico-culturale) non la fanno i poveri, deboli articolisti con le loro più o meno commendevoli e corrette recensioni. Se si parla di un giornale, poi, ovviamente si compie una generalizzazione. Lo so bene anch’io che non tutte le copertine di Libero sono come quella su Veronica Lario. Ma a un giornale che ha dimostrato di poter arrivare lì io, ripeto, non do neppure l’indirizzo.

  80. Insomma nel 2035, con berluschi morto e sepolto e marina alla guida del cavallo secondo voi staremo qui a ricordare i tanti partigiani che rimasero in einaudi a difendere idee di sinistra? io continuo a temere che i cavalli di troia la stiano arredando troia. ci si trovano talmente bene che non riescono nemmeno più a ricordare da dove venivano. è tutto così sfumato, no?
    io torno a cucire i libricini a mano e lascio la palla agli intellettuali.

  81. Il mio esempio faceva riferimento ai battitori liberi, quelli che scrivono dove possono e che non si identificano con alcun giornale (quindi non si possono definire “di Libero” o di qualsiasi altra testata). Io ho scritto per Liberazione, Il Domenicale, Diario, ma non ho mai pensato di essere uno di Liberazione o de Il Domenicale o di Diario. Ero semplicemente un free lance che scriveva per chi gli dava spazio, spesso pure gratis. Soprattutto a quelli come me mi sembrava rivolto l’avvertimento a non collaborare con quei giornali, piccolo sacrificio che equivale in sostanza a chiedergli di non esistere, “perché mica ce l’ha prescritto il medico di pubblicare”. Viceversa col “forte” Saviano, ricco, famoso e in grado di dettare lui le condizioni a qualsiasi editore, non ci si azzardava a chiedergli il minimo sforzo di traslocare altrove, dove avrebbe ottenuto le stesse condizioni, come semplice beau geste. Anche per questo io non chiedo nulla a Helena e Michela, bravissime ma con minore potere contrattuale. E in ogni caso se Il Giornale e Libero sono principalmente propaganda, mentre Mondadori essenzialmente soldi, questi soldi provengono da un’impresa culturale, non da una fabbrica di pneumatici.

  82. @ Alessandro Ansuini
    Spero che non ci sia un’alternativa secca tra il fare gi utili idioti della dinastia dei berluschi e il cucire i propri impeccabili libricini – per poi rileggerseli, la sera, con tutti i sentimenti. Magari qualcuno vuole far arrivare qualcosa a qualcun altro.

  83. @ Sergio Garufi
    “Questi soldi provengono da un’impresa culturale, non da una fabbrica di pneumatici”. Appunto. Se alla cultura teniamo, e se siamo convinti che lì se ne faccia, forse è il caso di pensarci un attimo: prima di abbandonare Troia in fiamme.

  84. Ce ne sono mille cortellessa, tutte belle postate in questa lunga lagna a difesa dei propri interessi. io le dico la mia, di strada, che non necessariamente è buona per tutti. anzi, è totalmente fuori dal mercato. le famose scelte, ha presente. ognuno fa quel che puo’, nel suo piccolo. fossi saviano non pubblicherei nemmeno un rigo per mondadori, ma cosa vuole. più che dirlo a pieni polmoni che in questa situazione sarebbe auspicabili scelte “chiare e clamorose”, che sicuramente non faranno crollare l’impero di berlusconi, ma permetterebbero a tanta tanta gente di sapere che qualcuno che ha ancora la testa sulle spalle e sa indicare una direzione che non è quella del “ma fanno tutti così!”. le parole per dire ai piccoli recensori di non pubblicare su libero le trovate, ma per dire a saviano di lasciare mondadori fate fatica. mah.

  85. @ Alessandro Ansuini
    Si vede che non ha letto quello che ho detto alle 15:37. Può non essere d’accordo su quel che si sostiene, ma non mi pare proprio che le scelte di Saviano non vengano discusse, qui e altrove. Io non “faccio fatica” a dire a Saviano la cosa che pensa lei (chi me lo impedirebbe?). Semplicemente, non penso che la cosa che pensa lei sia la cosa giusta. Più in generale, come mi è già capitato di dire, è piuttosto facile prescrivere scelte radicali non avendo occasione di farle in prima persona.

  86. George Orwell e Albert Camus, dei grandi intellettuali anticonformisti come Georges Bernanos e Simone Weil,, sono gli intellettuali citati nel link che ha messo cortellessa al libro di Buttafuoco. E mi ricorda lo spaesamento che provai a Caserta – città in cui si nasce spaesani- quando vidi la scritta Che Guevara, uno di noi con la croce celtica. Per restare a Camus ma si potrebbero citare per tutti e quattro esempi simili, basti ricordare la sua “sana” intransigenza nel dimissionare dall’incarico all’unesco dopo l’ingresso della spagna franchista . Si potrebbe facilmente, del resto, parafrasare il suo articolo « Franco, défenseur de la culture ! », sostituendo , bah, chi vi va…
    Quando avvengono questi espropri intellettuali – e la lista è lunghissima – verrebbe da replicare a questi censori di regime che il loro comportamento è proprio quello che vorrebbero condannare, e danno mazzate a destra e a sinistra semplicemente cambiando casacca ogni volta. verrebbe da dirgli con le parole di Camus

    “(…) je commence à être un peu fatigué de me voir, et de voir surtout de vieux militants qui n’ont jamais rien refusé des luttes de leur temps, recevoir sans trêves leurs leçons d’efficacité de la part de censeurs qui n’ont jamais placé que leur fauteuil dans le sens de l’histoire.

    effeffe

  87. Cara Georgia tu non sai proprio niente di me, quindi non hai modo di sapere quanto il tuo spirito sia infelice. Se non lavoro in Einaudi, da quattro anni a questa parte, non è certo perché non sono “partito” (nel senso in cui usi tu l’espressione).

  88. “il motto di cortellessa è: Armiamoci e partite”

    georgia, questa è una stronzata. e non c’è bisogno di conoscere di persona andrea per capirlo, basta vedere quanto si spende qui.

  89. caro cortellessa io mi baso solo su quello che lei scrive qui (e altrove), e non mi interessa cosa lei faccia realmente nella vita (a questo punto neppure la riconosco neppure più con le cose sue che ho letto in passato). Ultimamente (soprattuto oggi) la trovo, qui in rete (e più sforna commenti e peggio diventa), sup-ponente e arrogante. Anch’io non amo libero (forse ancor meno di lei), ma lei sta esagerando nel rimettere in riga gli altri decidendo dove debbano o meno lavorare. Se ha potere per offrire agli altri un lavoro in un giornale, secondo lei più idoneo, glielo offra, altrimenti taccia. In fondo anche scrivere sulla stampa non è che sia proprio da rivoluzionari.
    Se non lavora più all’enaudi saranno cavoli suoi, se non è più al manifesto pure … magari sta lavorando per la mondadori (visto che la difende a spada tratta) quindi per favore non si lagni e non faccia la vittima che i tempi sono duri per tutti.
    E per favore non faccia l’autopsia a saviano come se fosse un package (ma come parla?).
    Tra l’altro penso che lei, conoscendosi, sia in buona fede ad essere terrorizzato dal contagio e dall’inquinamento. Ho letto la sua intervista per liberazione e aveva tutto un altro linguaggio di quando scrive per la stampa ;-). Un giornale una lingua. Anzi per ogni giornale la lavagnetta idonea. … sarà mica un po’ dannunziano (termine buono per ogni uso) ‘sto stile zelig-didascalico?

    Non ce l’ho con lei, non ne ho alcun motivo, ce l’ho con la cultura italiana, soprattutto con la critica anemica, e al momento con quella di sinistra (l’altra al momento non esiste) che vedo così fragile e disarmata, attaccata al palo sul cubo a fare le moine … intanto tutto frana e non lo vedono … altro che stare a farsi le seghe mentali se pubblicare o meno con una casa editrice di berlusconi, arrovellandosi sul sommo problema se gli si fa più dispetto a rimanere o allontanandosi e bla bla bal a. A berlusconi NON gliene frega nulla di voi come siete ora.
    Quindi Parlate a voce alta (senza urlare e senza lamentele e bubamenti) ovunque vi capita e soprattutto dal megafono più forte, dite cose vere dalla Stampa, da Liberazione, dal Manifesto anche da Libero, perchè no? se saranno tanto ingenui da offrirvi spazio, dite cose intelligenti, scandalose, altro che rinchiudersi nel tinello per paura del contagio a spettegolare sul tasso di sinistra di nori o di saviano. Dite cose vere, VERE, smontate le menzogne … come quella che Amis sia un grande scrittore ;-)
    geo

  90. @Cortellessa,
    “Più in generale, come mi è già capitato di dire, è piuttosto facile prescrivere scelte radicali non avendo occasione di farle in prima persona.”

    Adesso non pubblicare per Mondadori, cioè Berlusconi, è diventata una scelta RADICALE?

  91. Ribadisco Georgia, e poi mi taccio: tu non sai le cose (anzi, lei non sa le cose, visto che improvvisamente mi dà del lei). Quindi, continui a parlare.

  92. @ Lorenzo Galbiati
    Sì, questo gesto che si pretende da Saviano lo sarebbe. Ma la domanda giusta è: sarebbe un gesto utile?

  93. Ma siamo sicuri che Saviano sia un intellettuale, e per di più di sinistra? Io quand’è stato ospite due ore da Fazio sono rimasto annoiato dalla sua banalità di pensiero. Il suo personaggio eternamente pencolante sul malaffare e l’ingiustizia è appunto, che lui lo voglia o no, un personaggio. L’ho già detto altrove: ha scritto male pure l’appello a Berlusconi contro il processo breve – 20 righe scarse; uno scrittore così visibile e considerato ha il diritto di scrivere male un pezzo così importante da venire stampato tutti i giorni per un lungo periodo sul più prestigioso quotidiano del Paese? Non è banale viceversa la sua situazione oggettiva, però questo è tutt’altro discorso. Ma insomma chissenefrega se resta in Mondadori oppure no? Temo venga considerato un intellettuale (e di rilievo) in virtù della sua popolarità (un’affermazione questa tanto ovvia da risultare sconcertante), e non mi sembra cosa buona e giusta – e nemmeno tanto cosa di “sinistra”. Continuo a puntualizzare su Saviano perchè non trovo giusto prendere lui come punto di riferimento, negativo o positivo che sia, in tali dispute.

  94. io non so niente, cortellessa, di lei (se non quello che scrive), ma non è un buon motivo per dire ogni minuto anche se in chiave rovesciata: Lei non sa chi sono io ;-).
    So solo che invece di dirci cosa fa lei, per darci il buon esempio, ci dice cosa dovrebbero fare gli altri e questo non è simpatico.
    Anche tu lorenzo smettila di dire cosa dovrebbe fare saviano. Quale sia il gesto utile o inutile che saviano debba fare spetta solo a lui deciderlo. Per ora ci ha dato gomorra e non è poco. Poi possiamo giudicarlo su quello che fa, ma non su quello che non fa e dovrebbe fare. Quello mi sembra un atteggiamento totalitario e moralistico.
    georgia

  95. Enrico Macioci,

    Trovo che la tua manera di evocare Roberto Saviano è squalida. In qualche righe fai un ritratto scarso di uno scrittore che vale più che dici tu.

  96. Non dico quello che dovrebbero fare gli altri. Dico quello che, secondo me, dovremmo fare noi. Lo so che questo tipo di discorso non va più di moda – ma non per questo mi pare così difficile da vedere la differenza. Lo stesso vale naturalmente per Galbiati, od Ostuni. E’ invece alquanto intollerante lei, Georgia, a dirci di cosa si possa e di cosa non si possa discutere.

  97. @Cortellessa,
    sì, ho aderito all’appello di Ostuni su facebook benché mi piaccia assai poco per i toni e per certi ragionamenti.
    (Per esempio, Ostuni parla di “censura” di Einaudi per Saramago. Io qui su NI più volte ho scritto che è Saramago a sbagliare, non Einaudi. Io giustifico, eccome, una casa editrice che non vuol pubblicare un testo in cui si dà del “delinquente” al proprietario, mentre non giustifico un autore famosissimo che vuol pubblicare proprio per l’editore che lui stesso definisce “delinquente” nel suo libro).
    La tua posizione su Einaudi io la giudico sentimentale e nostalgica, oltre che eticamente debole e tatticamente sbagliata.
    E mentre ho simpatia per le posizioni sentimentali, non ne ho per quelle eticamente deboli, per le quali al massimo posso avere comprensione, perchè non si può pretendere coraggio dagli altri, anzi diciamo che non si deve pretendere nulla dagli altri, semmai proporre loro qualcosa di diverso.
    A livello di cittadino, però, ciò per cui ho poca comprensione, per non dire che mi fa incazzare, è che non si sia capito, dopo 15 anni di regime berlusconiano, che non si può sperare di uscire da questo pantano se non ci si rende conto che Berlusconi lo si può battere solo dissociandosi e boicottando il suo sistema di potere.
    E quindi, che l’Einaudi vada pure in malora, finchè il proprietario è Berlusconi! O conta di più rimanere in Einaudi per la nostalgia dell’Einaudi antifascista e intanto continuare a dare il nostro sostegno al sistema di potere berlusconiano? E allora teniamoci Berlusconi!

    Del resto, se siamo arrivati al punto di credere che non pubblicare per Mondadori sia una scelta radicale, significa che noi stessi ci crediamo in viaggio in una strada circolare senza uscita.

    Che gli scrittori di oggi assimilabili a quelli che un tempo facevano la gloria dell’Einaudi ne escano e facciano la gloria di altre case editrici, dico io. O teniamo più al nome Einaudi che a tutto il resto? Ne facciamo una questione puramente sentimentale e nominalistica? E allora teniamoci Berlusconi, dato che ci ha sottratto quell’oggetto a noi tanto caro.

    Ma poi che sarà mai uscire dall’Einaudi, per l’Einaudi?
    Io credo sia molto più rispettoso farlo ora, credo che ora l’Einaudi sia già in mano – di fatto lo è, a livello proprietario – alla destra, e quindi rimanere dentro significa diventare complici di questa proprietà, significa dargli legittimazione, significa insomma sporcarsi. Non possiamo salvare l’Einaudi (per ora)? Salviamoci l’anima. E rendiamo noto alla storia che l’Einaudi sta subendo uno sturpro: non parteciparvi è già un modo per mostrare rispetto.

    E poi in futuro (perché Berlusconi non è eterno) potremo leggere una storia che racconta di una Einaudi dei Pavese e dei Calvino che è stata lasciata a se stessa perchè diventata illegalmente patrimonio del peggior politico e personaggio della storia della Repubblica, e che poi (prima o poi) è tornata ai suoi fasti con una nuova proprietà – che sappia cosa sia la cultura e l’onestà. O quanto meno è diventata di nuovo proprietà di una persona rispettabile perchè non è scritto sulla Bibbia che la tradizione dell’Einaudi debba ritornare per forza quella primeva.

    Anzi, io lo propongo qui, a tutti, di nuovo: che le firme italiane principali dell’Einaudi e di Mondadori che hanno a cuore la lotta per la democrazia (e quindi la lotta contro il regime berlusconiano) se ne escano dalla casa editrice di quel figuro con una dichiarazione e un appello pubblici. Che dichiarino di voler pubblicare per altre case editrici con introiti inferiori del (diciamo) 20% o, meglio ancora, che dichiarino di cercare degli investitori con cui aprire una nuova casa editrice, pronti a dar il loro contributo. E che redattori ed editor li seguano.
    Non è una utopia, basterebbero una decina di scrittori di fama per creare il caso mediaticamente, e quindi poi farlo alimentare e crescere fino a mettere in crisi Einaudi -e se la cosa si allarga anche Mondadori,.
    Si aprirebb un caso culturale e politico di portata nazionale. Un caso che avrebbe il suo peso sulla politica.
    Perchè non lo fate?

  98. @ VV

    Scusa, ma che senso ha aggiungere, con un tuo secondo commento, la elle mancante a “squallida”, se sei francese ed il tuo italiano resta graziosamente sgrammaticato?

  99. Ama,

    Ho vergogna di fare errori. Ho passione par la lingua italiana e mi fa male sentire che non posso scrivere come vorrei.

    Per tornare all’argomento, da un punto di vista straniera, trovo che la letteratura italiana è viva, ricca. Ho provato ore di piacere linguistico
    da scoprire libri molto diversi. Mi sembra che ha uno spazio più grande della francese ( che amo per la qualità della sobrietà). La litteratura francese odierna è molto intima, chiusa, in uno spazio intimo. manca un paesaggio immenso. Ho trovato nella letteratura italiana un abbraccio più grande alla società, qualcosa che oltrepassa l’intime.

  100. @ Lorenzo Galbiati
    A me pare un po’ ingeneroso che tu qualifichi di “nostalgica”, e basta, la mia posizione sull’Einaudi (che però è su Mondadori ed Einaudi, non solo Einaudi). E non spieghi perché sarebbe invece tatticamente “sbagliata”. Il punto è: l’Einaudi di oggi, 2010, e anche la Mondadori di oggi, sono case editrici che – complessivamente parlando – veicolano un pensiero e un linguaggio omologhi all’ideologia del loro proprietario? A me pare di no, complessivamente parlando. Certo, possono sbagliare (come ogni editore e anzi ogni essere umano) singole scelte, e se a nostro giudizio sbagliano noi infatti le critichiamo (come pensiamo che sia lecito criticare l’errore di chiunque, se è per questo). La seconda domanda è: l’Einaudi di oggi, e la Mondadori di oggi, rischierebbero di diventare quell’altra cosa là, se il vostro appello avesse successo? A me pare di sì (posso sbagliare, naturalmente, anche su questo punto). La terza domanda è: siamo disposti a pagare questo prezzo, al fine di mantenere un’insegna di purezza? A quest’ultima domanda-base si collegano poi tutta una serie di interrogativi a corollario. Per esempio diventa assai poco peregrina la domanda apparentemente ingenua di un commentatore che chiede l’elenco degli editori per i quali sarebbe eticamente non problematico lavorare. E poi non ci si può fermare al lavoro editoriale, perché inseguendo la purezza – come non si è mancato di affermare anche qui – sarebbe altresì difficile trovare un giornale ideale su cui scrivere, o una radio (non parliamo di una televisione) in cui lavorare. Vogliamo parlare poi delle istituzioni culturali pubbliche entro le quali si possa svolgere in modo inappuntabile il proprio lavoro? Sai che c’è stata un’aspra discussione in passato, proprio con Ostuni, su questo punto specifico. Insomma: io ho l’impressione che il morbo berlusconiano inquini molti altri soggetti, oltre a quelli che sono direttamente sotto il suo controllo (e se si analizzano nel dettaglio le filiere del libro ci si rende conto che non è affatto generico, tale sospetto). E che a voler essere “puri” a tutti i costi ci si riduca inevitabilmente nella dimensione prospettata da Ansuini: a cucire in casa i nostri inappuntabili libriccini che nessuno leggerà.
    E’ curioso come in questa discussione si confrontino due posizioni estreme – da un lato quella secondo la quale anything goes, Libero è come La Stampa che è come il manifesto e dunque liberi tutti; dall’altra quella secondo la quale qualsiasi anche vaga e remotissima compromissione con soggetti in qualsiasi modo consociati al Morbo debba essere prontamente bonificata e messa in quarantena – sono però accomunate dal rifiuto di considerare concretamente – cioè caso per caso – il lavoro, le condizioni del lavoro, le cornici istituzionali. Perché è di lavoro, di lavoro culturale che stiamo parlando (a volte ho l’impressione che ci si scordi questo piccolo particolare; per una persona che lavora in Mondadori, non solo per Saviano, l’intransigenza che professi comporterebbe scelte radicali, sì). Si tratta di valutare caso per caso, insisto, e per farlo occorre vegliare in primo luogo nel proprio foro inferiore (per questo è profondamente ingeneroso e menefreghista sostenere che qui si dica cosa devono fare gli altri; io, quel che faccio, ogni giorno mi interrogo se sia giusto, e così appunto penso che sarebbe bene facessero anche gli altri). Ma la discussione, qui e altrove, serve a stare – nel famoso foro – un po’ meno soli. A cercare di condividere con una comunità (se questa parola è ancora lecito usarla), cioè, dei parametri di comportamento. O quello che una volta si chiamava senso comune.

  101. “Anzi, io lo propongo qui, a tutti, di nuovo: che le firme italiane principali dell’Einaudi e di Mondadori che hanno a cuore la lotta per la democrazia (e quindi la lotta contro il regime berlusconiano) se ne escano dalla casa editrice di quel figuro con una dichiarazione e un appello pubblici. Che dichiarino di voler pubblicare per altre case editrici con introiti inferiori del (diciamo) 20% o, meglio ancora, che dichiarino di cercare degli investitori con cui aprire una nuova casa editrice, pronti a dar il loro contributo. E che redattori ed editor li seguano.
    Non è una utopia, basterebbero una decina di scrittori di fama per creare il caso mediaticamente, e quindi poi farlo alimentare e crescere fino a mettere in crisi Einaudi -e se la cosa si allarga anche Mondadori,.
    Si aprirebb un caso culturale e politico di portata nazionale. Un caso che avrebbe il suo peso sulla politica.
    Perchè non lo fate?”

    si puo’ aggiungere questa domanda di galbiati all’elenco di cui sopra? giusto per curiosità.

  102. il manifesto non lo ha nominato nessuno in senso negativo. Quindi cortellessa non metta in bocca agli altri cose che non hanno detto :-). Io personalmente reputo il manifesto il miglior giornale al momento.
    Poi lei dice invece alquanto intollerante lei, Georgia, a dirci di cosa si possa e di cosa non si possa discutere.
    Ma certo che si può discutere di tutto, ci mancherebbe :-) Discutere è una cosa, dare direttive un’altra :-).
    Sbaglio esimio cortellessa o lei mi ha accusato di essere simile a pigi battista (offesa bruciante, ancora di più di dannunziano) e di averle dato di coglione alla maniera di berlusconi (cosa che non ho fatto)?
    mentre lei necessita, per far capire ad alcuni di noi, duri ma non puri , di apposite lavagnette, asticelle, e usa frasi tombali come Amen e Auguri :-).
    L’intolleranza in testa a me è forfora in testa agli altri tigna, vero?.
    geo

  103. Cortellessa, le rispondo con calma stasera, cmq per ora le faccio presente due anzi tre cose:
    -sta a lei dimostrare perchè per Saviano, che famoso com’è potrebbe trovarsi facilmente un qualsiasi editore, sarebbe una scelta radicale non pubblicare per Mondadori
    -il suo discorso sulla purezza vale anche per Nori che pubblica su Libero. Perchè per Libero no mentre per un altro quotidiano filoberlusconiano meno volgare e razzista (chessò, il Tempo) sì? Dov’è la linea di confine? Non c’è, siamo noi a deciderla volta per volta. Non ci sono discorsi idealistici pro-purezza da una parte (i miei, secondo lei) e discorsi realistici spuri dall’altra (i suoi).
    -non sono solo io a dover dimostrare dove si andrebbe a finire per l’editoria e, soprattutto, per la politica, portando avanti il mio ragionamento; anche lei dovrebbe dimostrare dove si va a finire con il suo – o forse dove si è già andati a finire, visto che il suo ragionamento volto a evitare discorsi di boicottaggio della proprietà berlusconiana (fatto salvo il Giornale e non so se altro) è il filo conduttore della politica di centrosinistra da 15 anni.

  104. PS Nel coraggioso articolo della Janeczek “Pubblicare per Mondadori”, trova già la mia proposta di lasciare Mondadori per gli scrittori che sentono l’impegno democratico, e trova anche una risposta della Janeczek sulle possibili conseguenze per l’editoria tutta.

  105. “Ma siamo sicuri che Saviano sia un intellettuale, e per di più di sinistra?”.

    Macioci, ma infatti! Veda, che io sono arrivata persino a sospettare che Saviano non solo possa non essere di sinistra, non solo che potrebbe essere di destra, non solo che non sia forse né di destra né di sinistra, ma che di lavoro in realtà lui, Saviano, faccia l’idraulico.
    Capisce a cosa ci portano? Un idraulico, forse non di sinistra, forse di destra, forse né di destra né di sinistra, in televisione che dice cose banali sul sistema idrico e che scrive (male) appelli sulle tubature! Cose da pazzi.

  106. @ Lorenzo Galbiati
    “anche lei dovrebbe dimostrare dove si va a finire con il suo – o forse dove si è già andati a finire, visto che il suo ragionamento volto a evitare discorsi di boicottaggio della proprietà berlusconiana (fatto salvo il Giornale e non so se altro) è il filo conduttore della politica di centrosinistra da 15 anni”.
    Su quest’ultimo punto le do ragione. Ma se ragioniamo in questo modo – ed è in questo modo che secondo me è opportuno ragionare – il problema è dunque politico, materiale e materialistico, non etico in senso astratto-ideale. E’ un problema di limiti, limiti concreti, e di condivisione dei medesimi. E’ a questa necessità che mi appellavo.

  107. Cortellessa, torna a lavorare! (faccetta)
    Ah, il link all’intervista di Falco non-porta-da-nessuna-parte.

  108. Bè Cortellessa, le dico, 9 anni e 2000 libri dopo il giorno che ebbi l’idea di fare una casa editrice clandestina posso dirle che sono molto orgoglioso della mia creatura invisibile. e lo dico senza ironia. anche perché, una volta che ci si pone alla fine di una filiera non esiste solo chi stampa libri, esiste anche chi ospita presentazioni e organizza festival o workshop, e anche lì qualche soddisfazione me la sono tolta. il famoso tessuto culturale, nel quale ognuno opera come crede. certo, siamo sempre nell’ambito delle scelte personali, per carità. ma vorrei fare una domanda a bruciapelo a lei e ai molti che dicono che fuori dal sistema berlusconiano non c’è nulla, o meglio, non si possa eludere: ma se saviano, ipotesi surrealista, decidesse di uscire per, mettiamo, lulu. decidesse di mettere il suo libro ad offerta libera, o di chiedere un euro, toh. ma secondo lei, secondo voi, non glielo daremmo tutti un euro? e che gesto sarebbe, se accompagnato da un comunicato bello chiaro che spiegasse il perché di una scelta così radicale? questa è un’ipotesi surrealista, facciamone un’altra di ipotesi, che è quella di galbiati, molto più concreta. secondo me dietro si farebbe la fila. vedremmo la transumanza degli autori di sinistra, che fino ad oggi sono stati col mattone sullo stomaco. poi magari sia io che galbiati ci sbagliamo, fatto sta che l’altra tattica, quella di troia, mi pare non stia funzionando granché, viste le discussioni.

  109. @gertrude
    Guardi che uno non deve mica fare l’idraulico per essere un cattivo intellettuale, mentre può darsi ci sia qualche idraulico che è pure buon intellettuale. Ora, se Saviano facesse l’idraulico, resterebbe a mio avviso un intellettuale di non alto rango. Insomma non è l’abito che fa il monaco, devo spiegargliele io certe cose? Riguardo l’appello sul processo breve, non è mia abitudine linkare testi altrui; ma insomma il testo è su internet, se lo cerchi e legga in quale limpido italiano sia stato scritto. Secondo me c’è un vizio di forma che, nel momento in cui a operare è uno scrittore molto reputato, uno scrittore che funge da riferimento per molti altri scrittori e intellettuali, uno scrittore cui vengono attribuite importanti responsabilità civili, diventa anche di sostanza. Mi dirà: ma se uno scrive rivolto a Berlusconi che pretende, il dolce stil novo? E magari le darei ragione, sinora non ci avevo mica pensato sa.

  110. Cortellessa,
    ora ti rispondo nel dettaglio e ti propongo le mie domande.
    Nel tuo pezzo citato, scrivi:
    “All’interno di quella casa editrice si sono formati i quadri dell’antifascismo militante, gli intellettuali che hanno fondato la repubblica democratica. ”
    Ora i tempi sono cambiati, si direbbe: una volta nell’Einaudi si formavano i futuri partigiani che sarebbero andati in guerra rischiando la vita, ora nell’Einaudi si ha paura a diventare partigiani di una resistenza che chiederebbe solo di cambiare casa editrice e di guadagnare un po’ meno….

    “Noi non possiamo gettare alle ortiche questa memoria culturale solo perché il suo assetto societario è stato più o meno lecitamente rilevato da un certo imprenditore.”
    Questo è un discorso astratto: la memoria resta, non può essere gettata alle ortiche; mentre il lascito di quella memoria è già andato perso, vista la mancanza di coraggio di chi ci scrive.

    “Non possiamo permettere che le risorse di competenze tecniche, di passioni umane, di autenticità intellettuale e letteraria, che costituiscono la forza non solo imprenditoriale di Einaudi e Mondadori, cadano nelle mani delle destra più estrema. Dobbiamo fare in modo che una coscienza, una consapevolezza, una sensibilità linguistica – prima
    base di una resistenza alle dinamiche spettacolari e violente che sono di fronte a noi – continuino ad avere, in quei luoghi, diritto di cittadinanza.”
    Anche questo è un discorso astratto. Sembri Fede che, di fronte alla richiesta di mandare sul satellite Rete4, risponde dicendo che si perderebbe un patrimonio dell’Italia, e che si aumenterebbe la disoccupazione. No, entrerebbe Europa7 al posto di Rete4 e altri lavorerebbero come fanno ora per Rete4. Quindi, perché andandosene da Einaudi si perderebbe coscienza, consapevolezza, sensibilità linguistica? Perchè queste qualità sarebbbero prerogative della sola Einaudi, e non potrebbero invece manifestarsi in altre case editrici o in una nuova casa editrice sostenuta da quegli scrittori e da quei redattori che tali proprietà possiedono?
    Non capisco questo attaccamento all’Einaudi, mi sembra solo sentimentalismo.

    Passiamo all’altro commento.

    Chiedi:
    “l’Einaudi di oggi, 2010, e anche la Mondadori di oggi, sono case editrici che – complessivamente parlando – veicolano un pensiero e un linguaggio omologhi all’ideologia del loro proprietario?”
    -L’Einaudi e la Mondadori sono proprietà di Berlusconi e la responsabilità civile di un democratico del 21esimo secolo sta innanzi nel chiedersi quali attività alimentano il suo lavoro e le sue spese. Siamo tutti consumatori e produttori nel mondo del capitalismo globalizzato.
    Per quanto riguarda Einaudi e Mondadori, ci sono tre cose da tener presente:
    1. Berlusconi è capo del governo e in generale da 15 anni circa, sia come capo di governo sia come capo dell’opposizione, sta segnando la soria politica e sociale d’Italia come nessun altro. Se una persona considera nefasta la sua influenza sugli italiani, e crede sia parte del suo lavoro di scrittore e intellettuale denunciarlo, con gli strumenti che gli sono propri, non è un intellettuale credibile se lo fa pubblicando la sua opera di denuncia per la persona cui si vuole opporre. Di fatto, se supera certi limiti (per es. Travaglio, Saramago) Berlusconi non gli permette di pubblicare – e con questo rispondo alla tua domanda: il pensiero veicolato da Mondadori non ha una linea editoriale precisa, vero, ma è un pensiero che esclude accuse commenti e documenti obiettivi che si riferiscano ai problemi giudiziari di Berlusconi. Ma se anche non supera quei limiti personalmente, con la sua opera, pubblicando per Berlusconi contribuisce ad alimentare un’azienda che mai metterà Berlusconi in cattiva luce – ossia sotto la vera luce; alimenta quell’azienda a scapito delle altre (legge del mercato), vale a dire: con il suo lavoro restringe di fatto le possibilità di pluralismo democratico e di critica a Berlusconi.
    2. Berlusconi come privato cittadino è un losco figuro, amico di mafiosi e corruttori. E si è impossessato di Mondadori come sappiamo.
    3. Mondadori è un monopolio, di fatto, monopolio tanto più intollerabile se si considera che è di proprietà di un personaggio che vanta i punti 1 e 2 e che monopolizza i media più importanti: le tv.

    Sommiamo 1 e 2 e 3 ed esce la

    1) prima domanda per te: Perchè un democratico dovrebbe contribuire a foraggiare l’impero economico di Berlusconi pubblicando per Mondadori quando può svolgere il suo lavoro per altri editori (non per forza sconosciuti)?
    Per attaccamento alla tradizione e al nome Einaudi?
    Perché non sopporta la perdita di visibilità e di soldi che ne conseguirebbe?
    Io dico per mancanza di coerenza e coraggio. Per comodità, insomma.

    2) Seconda domanda. La ripropongo: perché un autore famoso come Saviano, che deve la sua notorietà a un libro contro la camorra (lasciamo perdere il fatto – discutibile – che è diventato famoso perchè Gomorra è stato editato da Mondadori), dovrebbe continuare a pubblicare per un amico di mafiosi? Perchè sarebbe “radicale” cambiare editore (magari per la RCS per o un altron editore grosso)? Non credi che una dichiarazione pubblica di Saviano di lasciare Mondadori per sentirsi più coerente con la sua battaglia avrebbe grande eco mediatica e, di conseguenza, porterebbe un grande successo a un qualsiasi suo libro, se uscisse dopo poco tempo?

    L’altra tua domanda è:
    “La seconda domanda è: l’Einaudi di oggi, e la Mondadori di oggi, rischierebbero di diventare quell’altra cosa là, se il vostro appello avesse successo? A me pare di sì (posso sbagliare, naturalmente, anche su questo punto).”
    Diventerebbero poco diverse da quelle che sono oggi, ma con minor peso editoriale e commerciale – soprattutto Einaudi. Io non mi immagino una migrazione di massa da Mondadori, ma solo di autori di sinistra (noti e meno noti) impegnati intellettualmente contro il regime di Berlusconi. Se però ci fosse davvero una fuoriuscita di un certo numero di autori noti da Einaudi-Mondadori, si potrebbe formare un nuovo polo editoriale, quello sì con lo spirito einaudiano antifascista e militante. E questa sarebbe una vera novità culturale, che non potrebbe non investire la politica. Perchè un siffatto gruppo di autori metterebbe in moto una serie di reazioni da parte dell’editoria e della finanza che si oppongono a Berlusconi (Repubblica-Espresso), da parte della società civile e della politica. Io credo si troverebbero facilmente gli investitori per questo nuovo polo editoriale, e anche i redattori e gli editor ecc.

    Allora, la mia terza domanda è ancora:
    3) Perchè gli scrittori di sinistra non vogliono fare questa nuova e molto meno rischiosa resistenza? Perché non se ne escono da Einaudi-Mondadori con un appello pubblico che chieda al mondo civile, culturale, editoriale e politico che si oppone a Berlusconi di fare la sua parte?

    Alla tua ultima domanda:
    “La terza domanda è: siamo disposti a pagare questo prezzo, al fine di mantenere un’insegna di purezza?”
    Ho già risposto: se fai questo discorso rigidamente, anche tu dovresti abbandonare la tua battaglia contro Libero Giornale ecc. Non c’entra la purezza, qui, c’entra l’economia e la cultura. Sono il primo a dire che la battaglia contro il berlusconismo dal suo sistema di potere a partire dai suoi media più potenti: prima le tv, poi i giornali, poi i libri. L’ho già scritto qui su NI varie volte. E sono il primo a dire che questa battaglia la dovrebbero fare gli scrittori e gli intellettuali politicamente impegnati e che possono permetterselo. Non chiedo a un redattore precario di lasciare il lavoro per la Mondadori. Chiedo semmai agli autori famosi che lavorano per Berlusconi di andarsene e di chiedere l’aiuto di vasti settori della società per fornire un nuovo posto ai redattori di Mondadori, sia con l’idea del nuovo polo espressa sopra sia – se ciò non riesce – andando ad arricchire con il loro lavoro le case editrici già presenti sulla piazza.
    E ai consumatori si potrebbe chiedere di boicottare tv, giornali, libri, cinema ecc. di Berlusconi. Non è difficile farlo, è difficile farlo sempre. Ma non c’è bisogno di un astinenza completa per far vedere gli effetti del boicottaggio.
    Ti ripasso la palla.

  111. Io sinceramente non ho capito questi attacchi a Cortellessa. E siccome e’ una persona che stimo, ho riflettuto su quanto ha scritto.
    Autonomamente sono giunto alla conclusione che Saviano farebbe una scelta sbagliata a lasciare la Mondadori a forte vocazione generalista. Saviano parla anche ai leghisti e alle persone che si riconoscono negli ideali della nostra destra nazionale, pur non essendo Saviano esattamente come loro, ma neanche propriamente di sinistra. Inoltre Saviano non vuole lasciarsi strumentalizzare da certa sinistra italiana, pur essendone diventato un’icona. Credo che voglia invece conservare una sua certa autonomia. A me personalmente Gomorra non e’ piaciuto. Trovo che sia scritto male e non condivido la sua tesi di fondo. Ma il mio giudizio e’ irrilevante. Saviano ha tutti i resquisiti necessari per essere considerato oggi un grande scrittore. In futuro non saprei. Nessuno puo’ dirlo. Aspetto con ansia il suo secondo romanzo, o docu-fiction, che leggero’ con attenzione. Se mai ci sara’.

  112. non ho aderito all’appello di ostuni perché non ha molto senso chiedere ad un solo scrittore, per quanto famoso sia, di compiere un gesto riassuntivo simbolico e isolato a nome dei tanti che famosi non sono, eccetera.
    ma a fil di logica l’ipotesi galbiati, purché praticata in nome di un ritorno del paese ad una democrazia normale, avrebbe un significato politico di ben altra portata, qualora fosse possibile (e non lo è per un milione di motivi) metterla in pratica.
    se si esce da un qualsivoglia discorso politico, vale a dire se non si cerca concretamente un piano di condivisione (e di organizzazione?), la discussione su questi temi può andare avanti all’infinito.
    così come all’infinito continueremo a vergognarci e a lamentarci del paese in cui viviamo.

  113. Trovo inoltre stupido credere che persone che lavorano da tanti anni e con passione ai cataloghi Einaudi e Mondadori debbano mandare tutto a puttane senza che ci sia una reale valida alternativa. Certo, oggi l’Einaudi non e’ piu’ quella di una volta, risente delle attuali condizioni politiche e sociali, non solo della proprieta’ indebitamente acquisita da Berlusconi.

    Insisto. Bisogna vigilare sui cataloghi delle grandi case editrici e sperare che conservino un loro prestigio ed una loro autonomia. Per quanto possibile.

    Sarebbe bello se i maggiori scrittori italiani si unissero in un’azione politica atta a sabotare le proprieta’ editoriali di Berlusconi. Ma credo che questo a loro non interessi. Credo che tengano in maggiore considerazione la distribuzione capillare delle loro idee. Per quanto significative o meno possano essere. Facciamocene una ragione.

  114. @ VV

    “Per tornare all’argomento, da un punto di vista straniera, trovo che la letteratura italiana è viva, ricca. Ho provato ore di piacere linguistico
    da scoprire libri molto diversi. Mi sembra che ha uno spazio più grande della francese ( che amo per la qualità della sobrietà). La litteratura francese odierna è molto intima, chiusa, in uno spazio intimo. manca un paesaggio immenso. Ho trovato nella letteratura italiana un abbraccio più grande alla società, qualcosa che oltrepassa l’intime.”

    Mi spiace, ma credo che la letteratura abbia tutto il diritto di essere intimista, se crede. Ma non e’ la sola a dover avere cittadinanza. Gli scrittori fortemente politicizzati poi mi lasciano perplesso.

  115. Alle volte mi viene da pensare che l’unico che sia realmente vivo sia proprio Berlusconi. La mancanza di una alternativa è un problema, poi ci sono problemi economici e poi ci sono problemi pratici, problemi tutti condivisibili e reali e non voglio banalizzare o ironizzare su questo, ma tutto ciò in cosa si risolve se non in una morte precoce. Quale idea, quale fermento siamo stati in grado di dare con tutta la visibilità con tutto il senso pratico che ci ha pervaso nelle nostre azioni? Ci siamo messi in testa una idea di paese che non esiste, viviamo guardando nello specchietto retrovisore scritte capovolte, le scritte sono i segni di Berlusconi e noi le leggiamo capovolte illudendoci che sia un linguaggio più sensato dell’originale. Invece non è niente, quello che frega, credo, è l’età, si pensa che è meglio ritagliarsi uno spazio per fare qualcosa di buono e di utile, per riuscire a costruirsi un poco di felicità ed in fondo non è altro che una forma capovolta dell’ansia di eternità di Berlusconi. Ripenso al libro di Marco Belpoliti, Il corpo del capo, e mi domando quanto è diverso da quel corpo il mio di corpo: il suo ha i capelli tinti, il mio i capelli li sta perdendo, il suo ha i segni del ritocco, il mio quello dell’insonnia, e poi ci sono le sue pretese enormi e le mie ormai così piccole da far vergognare anche il nonno partigiano, ma non so che farci perché non ho più la sua forza, non ho più la sua bellezza e non so come lui credere in un mondo migliore. Il mio corpo è quello di un vecchio, quello di Berlusconi è quello di un giovane, certo è tutto falso, ma così lascia intendere di sé e anche di me.

  116. Ho apprezzato molto le risposte di Michela Murgia.
    Di tutto il dibattito e interviste varie, l’unica nota stonata, per me, è il punto di partenza, cioé io trovo la proposta di Ostuni di un fanatismo esasperato, ma è una mia opinione.
    il lato positivo è il dibattito che ne è scaturito, accantonata per un attimo la questione-Saviano, che non si capisce perché debba essere metro di giudizio su ogni argomento per il solo fatto di avere scritto un libro ovvero quel libro. (Per metterla proprio sul banale, io che sono tra gli estimatori di Gomorra, della prima ora, mi guardo bene dal prendere per oro colato ogni parola che passa dalla bocca del suo autore nei talk-show, avrà pure diritto, anche lui a dire delle minchiate, come me e chiunque altro, e delle minchiate (grandissime, per me) le ha dette, eccome, su tutta quell’enorme retorica dell’onore e dei soldatini del sud e delle medagliette tra i denti…ma lasciam perdere, avrà pure diritto Saviano ad avere opinioni personali, non condivisibili e ad esprimerle. Ben venga tutto questo interrogarsi tra gli scrittori, invece.

    @Effeffe
    non sono d’accordo sui megastore feltrinelli, sarò spietata, ma non rimpiango per niente le piccole librerie sempre sprovviste di tutto, ed ordinazioni forzate con scadenza automatica alle calende greche e i vari pellegrinaggi a vuoto per sentirsi rispondere ogni volta, mi dispiace, il libro non è ancora arrivato.
    (meglio dei megastore, internet)
    ti dirò di più, , da queste parti, le librerie erano deserte, adesso con qualche semplice adescamento a volte letteralmente brulicano (almeno i megastore)
    e io comincio a notare la differenza nelle abitudini: mi è capitato di recarmi a teatro, a napoli, in questa stagione progetto beckett e di trovare le sale piuttosto gremite, anche di giovani, mentre solo pochi anni fa, davanti ad una brillante rappresentazione, con attori consumati, rimasi di stucco notando il deserto, intere file di poltrone vuote e i pelliccioni delle abbonate che si alzavano e se ne andavano sbadigliando o borbottando…..sarò ingenua, avrò una visione parziale, ma mi è venuto il sospetto, legittimo, che il megastore, alla sua maniera, stia facendo davvero la differenza.

  117. Condivido in ogni punto l’intervento
    pubblicato il 24 Febbraio 2010 alle 18:48
    di Lorenzo Galbiati!!
    Coincide con quanto proponevo, per sommi capi, qui, qualche giorno fa.
    Ringrazio Lorenzo che ha spiegato diffusamente e chiaramente la sua posizione!
    Mario Bianco

  118. avrà pure diritto Saviano ad avere opinioni personali, non condivisibili e ad esprimerle

    Ottimo commento maria V, lo condivido. Tra l’altro la proposta di lorenzo sarebbe anche condivisibile se non usasse saviano in maniera così fagocitante e totalitaria.
    Il problema sollevato è anche interessante, ma viene personalizzato troppo. Chiaro che chi lavora all’enaudi e alla mondadori si arrampica sugli specchi per autoassolversi e così tutti quelli che lavorano (o vorrebbero lavorare) nei vari giornali. Il problema è che volenti o nolenti se si attacca in questa maniera Libero (solo perchè è brutto sporco e cattivo) si devono attaccare anche i meno sporchi, ma non meno complici (in una visione così radicale). Se invece si abbasano i toni e si torna tera tera tutto è discutibile … ma senza strumetalizzare saviano tirandolo per una giacchetta che nemmeno porta.
    geo

  119. Nel mondo musicale americano c’è una questione analoga tra chi pubblica con le piccole case discografiche indipendenti e chi invece “si vende” alle majors. Fatti le debite distinzioni tra i due mondi, laggiù c’è una terza via che non pochi hanno seguito (Ani Difranco, Bad Religion, Nofx sono i primi che mi vengono in mente), ovvero quello di crearsi la propria etichetta e poi affidare a canali consolidati la distribuzione. Questo ha avuto poi l’effetto positivo di aggregare altri artisti di minore fama (che forse avrebbero avuto difficoltà a trovare spazi adeguati) intorno a queste nuove etichette, e quindi non è stato semplicemente un atto individuale di rifiuto.
    Mi rendo conto che azioni del genere travalicano l’attività artistica e sfociano in quella imprenditoriale, e che sono quindi più impegnative che non un semplice cambio di editore, ma, dato che non sono a conoscenza di casi analoghi in letteratura, mi domando se ci sono motivi forti per cui questo non sia accaduto.

  120. “Ma siamo sicuri che Saviano sia un intellettuale, e per di più di sinistra?”.
    (Enrico Macioci)

    Macioci? Oh, capisco bene che non debba essere lei a spiegarmi certe cose… Anche perché ero io, non dirò a spiegarle, ma a cercare appena di farle notare una (1) cosa. Vale a dire che lei non può prendersi la “libertà” di mettere in dubbio se Saviano sia o non sia un intellettuale: lo è (legga: che si dedica costantemente ad attività dell’intelletto, come la scienza, l’arte, il pensiero, gli studi).
    Dunque: se lei, pure tedioso insulso orripilante vanesio poetuccio della sera, vuole – ben al di là della sua negativa valutazione dell’opera di un altro – squalificare completamente una persona, negando la realtà e affermando il falso, io glielo faccio notare. Chiaro?

    Dovrei cercarmi l’appello di cui lei parla? Ma io l’appello “Presidente, ritiri quella norma del privilegio” l’ho trovato e l’ho letto. Il testo – a differenza delle sue inutili, vomitevoli poesie – era efficace e utilissimo. Mi trovavo perfettamente d’accordo con il suo contenuto nonché con il suo fine, insomma lo consideravo estremamente importante per il nostro Paese e quindi l’ho firmato due mesi fa. Ciò, insieme a un altro – se non sbaglio – mezzo milione di persone, intellettuale Macioci.

    *

    Per chi non avesse letto l’appello di Saviano, qui:

    http://marcotravaglio.mastertopforum.net/-vp42028.html

  121. @ maria (v)

    Ti diro’, per me Saviano di cazzate ne ha dette e ne ha scritte tante. A volte ha usato perfino una certa retorica di destra. Altre volte mi e’ risultato semplicemente ingenuo o gratuito. Ignoro quale capolavoro assoluto sia Gomorra, ma l’intellettuale che lo ha scritto nel suo complesso mi risulta deludente. Rivendico il mio diritto a dire queste cose senza che mi si accusi di essere invidioso o infamante, linguaggio grottesco a meta’ fra l’adolescenziale ed il mafioso.

    Rimasi addirittura scioccato quando dichiaro’ dalla Bignardi che in Italia c’e’ liberta’ di stampa. Ma credo che Roberto creda fermamente in questo. Che ci sia liberta’ di stampa e soprattutto d’informazione.

    Queste mie chiacchiere sono pero’ irrilevanti, neanche minoritarie, semplicemente ir.ri.le.van.ti. Saviano resta un grande scrittore ed un grande giornalista ed un grande intellettuale. Anche se la sinistra che se lo contende mi lascia perplesso.

    Per tornare in tema, poi non lo ripetero’ mai piu’, Saviano farebbe un errore a lasciare la Mondadori. Che sia li’ e’ perfettamente coerente con quello che e’ e che rappresenta. Gli altri se ne facciano una ragione.

  122. @ maria (v)

    Mi spiace, ma vivevo ancora a Milano quando aprirono le primissime Feltrinelli. Andai anche all’inaugurazione di quella sotto la Galleria. Trovo che abbiano fatto un genocidio culturale. Un po’ come quando a Firenze, a due passi dal Duomo, chiuse la Marzocco, per far posto alla Martelli. Ma non ho nessun rimpianto. Le ottime pubblicazioni Einaudi, tanto
    apprezzate dalle giurie di qualita’, sono sempre in bella mostra. Alla Feltrinelli. E non solo. Ovvio.

  123. @Cortellessa
    confido in una tua risposta, che servirebbe anche ai lettori per capire alcune tue affermazioni (la scelta “radicale” di Saviano e il perché la fuoriuscita di autori da Einaudi non sarebbe “utile”) – cui non replicherò, per non andare avanti all’infinito.

  124. @Ansuini
    apprezzo molto i suoi commenti, e la sua attività, che per ora conosco solo da quel che ha scritto.

    @tashtego
    perchè continui a dire che quel che propongo è utopistico, irrealizzabile ecc.? è una proposta facilmente realizzabile, solo che non c’è la volontà di farlo. Voglio dire: non è una utopia, non richiede chissà quali capacità umane, è una proposta alla portata di tutti senza grandi sforzi. Che poi non avvenga e non avverrà, d’accordo, ma non perché utopia, ideale irraggiungibile.

    @Mario Bianco
    Grazie anche a te.

  125. caro lorenzo è utopistico perchè nessuno lascia il proprio lavoro se non ha alternative equivalenti, tu usciresti dalla scuola per protesta verso la gelmini? no, non lo faresti, diresti che combatti dall’interno, eppure se tutti gli insegnanti lasciassero la scuola (o facessero uno sciopero contro berlusconi così lungo che sarebbero sostituiti) forse i ministri capirebbero ;-).
    Chiaro che non ti sto chiedendo di lasciare la scuola (sarebbe mostruoso).
    A te saviano sembra fondamentale per la mondadori, ma non è così, i soldi alla mondadori non vengono tanto da scrittori, soprattutto se italiani (anche se vendono) ma dalle pubblicazioni popolari: gialli, harmony fantascienza e varie riviste di tutti i generi (giornali femminili, di gossip, di cucina, giardino, cucito, cavalli, macchine, arredamento ecc. ecc.) e anche dalla pubblicità (che naturalmente si fanno in proprio). Si, certo se nessuno comprasse tutte queste cose sarebbe un crollo, ma è utopistico pensarlo in un paese dove berlusconi ha tutte le tv e simili maggioranze e dove sono berlusconiani persino quelli del televoto di sanremo. Un progetto come il tuo non potrebbe andare avanti all’infinito quindi o viene messo in atto in un momento favorevole o non solo è un flop ma rischia di fare persino pubblicità a berlusconi. Ai tempi dei bo.bi mi ricordo quando si facevano picchetti davanti alla standa … le commesse non ci guardavano certo con simpatia. Poi berlusconi chiuse le standa … ma non certo per colpa/merito nostro. E poi NON è cambiato nulla, anzi …
    Altra cosa fu andare via ad esempio da panorama o da mondadori quando diventò di berlusconi, allora aveva un grande significato simbolico, altra cosa sarebbe farlo ora. Pochi capirebbero e molti prenderebbero il posto di chi se ne è andato.
    L’unica cosa è che chi lancia editti duri e puri si dovrebbe conportare di conseguenza ma oggi pochi fanno editti duri e puri e quei pochi fanno due pesi e due misure. Si scelgono il nemico più impresentabile che ci sia e si sfogano su quello, così il resto diventa quasi accettabile.
    però il tuo progetto è anche interessante quindi portalo pure avanti, una cosa oggi utopica non è detto che lo sia domani :-)
    geo

  126. Mi chiedo se continuo a commentare qui.
    Sono davvero annoiata da qualche commento su Roberto Saviano.
    E credo che è poco delicato parlare in questa manera ( non evoco il commento di Maria). Credo che sostegno dovrebbe essere vivo.
    Qualcuno sa che puo essere una vita chiusa, con momenti difficili, una vita nella solitudine dove appunto la scrittura, la parola sono il cibo quotidiano, l’alimento di speranza?
    E’ facile di lasciare parola critica a uno che è nella solitudine, allontanato delal vita normale che tutti vivono.

    Sono in colera ( cosa che mi è quasi straniero nel mio carattere)

  127. Geo,
    gli autori famosi avrebbero eccome alternative, le proposte fioccherebbero.
    Io uscirei dalla scuola statale per andare in una paritaria (una volta si diceva privata) con un indirizzo filosofico a me gradito, anche se le paritarie (tutte) danno stipendi minori.

  128. Non ho ancora capito se la proposta Galbiati sia irrealizzabile perché gli autori “famosi”, eventuali aderenti, dovrebbero, nel caso, pagare ingenti penali all’editore ed al proprio agente per rottura di contratto,
    o piuttosto perché manco ci pensano:
    a fare i cavalli in Troja si trova sempre la stalla calda e la mangiatoia fornita.

    Ma se Troja cade e va in fiamme, pure le stalle bruciano?
    Forse sì.

    Ma no, non è vero.
    A Troja le stalle sono incombustibili, e l’avena arriva sempre, anche da Sparta e da Atene.

    MarioB.

  129. Stucchevole! Stucchevole! Stucchevole! Che palle, divenute come mongolfiere, purtroppo non volano ma affondano nel guano puzzolente di un dibattitto non più sopportabile. Cortellessa s’affaccia di tanto in tanto mette nella pentola un pizzico di livor-rivoluzionario e torna in cattedra. E giù fiumi di parole. La libertà di scrivere c’è, anche se tutti i giorni occorre combattere per conservarla. Il vero problema è che in Italia narratori eccelsi non ci sono più da decenni. Indicatemi una, una sola opera letteraria italiana(sociale o no) ucita neglli ultimi 5-10 anni. Non si può discutere all’infinito incagliati nel dilemma einaudi si einaudi no. Contaminati o no. Quando il problema vero è la mancanza di grandi scrittori e per converso la saccenza pavoneggiante di scrittori mignon che imperversano ovunque con manifesti, appelli, maratone, fiere, festival, fraschette, televisione, radio, giornali, riviste effimere, libricini autoreferenziali sulla crisi della cultura di cui sono forse la causa e l’effetto. Per fortuna ci sono scrittori veri e grandi viventi in altre terre che ci fanno ancora sperare in una letteratura viva.

  130. @ VV

    Ogni giorno si uccidono lentamente in Italia grandi scrittori caduti troppo precocemente nell’oblio e qui stiamo ad andare in collera per quattro cretinate scritte su Saviano?

    Ma rilassati un attimo!

  131. La proposta di Galbiati una volta si sarebbe definita velleitaria.

    Per Galbiati il boicottaggio è lotta politica, si fa per dire, adatta ad ogni questione, lo propone anche contro israele.

    Molto discutibile anche l’idea che una casa editrice si possa fare così, dall’oggi al domani, e accusare di debolezza etica chi vuole ,invece ,tentare di conservare il patrimonio culturale delle case editrici storiche di questo paese.

    maria

  132. fatevi da parte.
    dinosauro cerca il gande scrittore, ne ha bisogno, lui, prima di parlare di quisquilie.
    trovategli il grande scrittore e poi parliamo.
    altrimenti poi scrive “stucchevole” per tre volte.
    ma è difficile perché i grandi scrittori muoiono – vengono uccisi – ogni giorno cadendo precocemente nell’oblio e dunque ne sono rimasti pochi e sticazzi.

  133. @gertrude
    Debbo dire che su NI non godo di molti ammiratori. Grazie comunque per l’attenzione. La cosa peggiore è sempre l’indifferenza.
    ps: grazie a lei ho finalmente capito che vuol dire il termine intellettuale, specie poi intellettuale di sinistra. Ari-grazie.
    pps: ma lei è di Monza? Sarà mica la monaca? Vista la severità…

  134. georgia anch’io mi trovo in sintonia coi tuoi commenti qui sopra.

    e boicottiamo là, boicottiamo qua, mai un’iniziativa seriamente propositiva, come boicottiamo romapoesia per evento immaginifico…
    a parte il fatto che la Helena ci ha già speso tante parole su c’è mondadori e mondadori ed einaudi ed einaudi (lo dico anche a te AMA) ed io non starò mai con chi propone il digiuno ed esige l’anoressia per coerenza e rigor (mortis).
    l’editoria alternativa esiste, per fortuna, ma non ha recezione capillare, la grande editoria invece sì e questo è una possibilità, un canale che sarebbe da sprovveduti lasciarsi scappare.
    è mai possibile che tutta la resistenza risiederebbe sempre e solo nella nicchia? col solo risultato di svilirla ulteriormente, renderla sempre più esangue?

    @AMA
    non conosco la situazione nel milanese, ma nel napoletano la feltrinelli non ha commesso nessun oddio “genocidio culturale”, ha solo consentito che i libri fossero immediatamente disponibili a secchiate. non ha tolto nulla, ha solo dato. le piccole librerie non vantavano nessuna chicca che le rendesse migliori, solo enormi lacune. ogni tentativo di colmarle può solo essere apprezzato. certi rimpianti nostalgici sono reazionari o poggiano su elitarisimi, chi non ha ereditato neanche il dizionario d’italiano dalla biblioteca degli avi, conosce la fatica che è costata reperire un campionario minimo su cui formarsi e ha benedetto la feltrinelli quand’è arrivata a facilitargli l’impresa, così come è passata in seguito a benedire internet e ibs e così via….che i libri vengano liberati dalle catene e dagli scrigni di pochi privilegiati, che vengano distribuiti a manciate, che scorrano a fiotti può essere solo un bene (DI TUTTI)

    se poi i ragazzini vengono adescati dal reparto videogiochi e finiscano a trascorrere il sabato pomeriggio lì invece che altrove, correndo pure il rischio di buttare un occhio ai libri, di tanto in tanto…doce sarebbe il male? siamo sempre allo stesso punto, per eccesso di coerenza, vi smagrite e volete tutti smunti

  135. @ maria (v)

    Mi spiace, ma i libretti che interessano a me devo comunque ordinarli. Anche se vado alla Feltrinelli. E non sempre e’ possibile ordinarli. Alla Feltrinelli. E non necessariamente perche’ editati da piccole case editrici senza distribuzione. Alcuni di loro dopo un tot di tempo non sono piu’ tenuti in magazzino. Molti altri sono semplicemente fuori catalogo. Non piu’ stampati. Introvabili. E poi cosa dovrei andare a fare alla Feltrinelli? Non mi piacciono neanche le cartoline che espongono alla cassa! Einaudi e Mondadori li trovi anche nelle altre librerie. E meno ammassati in pile a ventaglio.

    Certo che c’e’ Einaudi ed Einaudi. Ma i libretti della Einaudi Einaudi, pur avendo un pubblico di nicchia, pur restando elitari, hanno una stile che vuole parlare a tutti. Una contraddizione, non trovi? A volte penso che i lettori forti non abbiano maggiore capacita’ di lettura dei lettori deboli. Leggono solo piu’ libri.

    Ma a chi interessano queste chiacchiere? Neanche a me che le faccio!

    E poi, scusate, cominciate a stilare una classifica di grandi scrittori italiani contemporanei, cosi’ alcuni di noi, quelli piu’ sprovveduti, si mettono subito al passo!

  136. @ pecoraro

    “ma è difficile perché i grandi scrittori muoiono – vengono uccisi – ogni giorno cadendo precocemente nell’oblio e dunque ne sono rimasti pochi e sticazzi.”

    Esatto. Hai capito benissimo cosa intendevo dire.

    :-)))

  137. scusa, Ama, mi pare che diciamo la stessa cosa, adesso.
    dunque, dove sarebbe il “genocidio culturale” ? ce l’avevo con quello, inizialmente infatti parlavo ad effeffe, che forse rimpiange tempi che io non ho mai vissuto, perché la decadenza era palpabile da tempo, ci siamo cresciuti in mezzo. le rpimissime librerie nelle cttadelle di provincia (casertana) sono evento dei più recenti. ti rendi conto? prima sono arrivate le sedi dislocate delle varie università, col solito codazzo robe giuridiche, ecc e solo dopo, ma dopo, dopo, sono arrivate finalmente le librerie.
    c’è solo la possibilità di fare più acquisti e a prezzi più convenienti.
    secondo, cosa ti suggerisce che io legga più di te?
    l’encomio di acquisti online l’ho già fatto, in ordine cronologico di scoperta (personale).
    cari saluti

  138. e non da ultimo, nei megastore si può persino guardare, sfogliare, leggere e NON acquistare assolutamente nulla, senza tutte le procedure e gli intermediari e l’austerità frapposti nelle biblioteche che incutono sempre una buona dose di imbarazzo

  139. pecoraro, mi citi un grande scrittore italiano vivente, poi ne discutiamo. Non cerco l’impossibile, per snobbare ciò che c’è. Non riesco, mi perdonerai, a considerare “grande” Tabucchi, Camilleri, Baricco, Scurati, Scarpa, WuMing, Giordano, Saviano, Maraini, Agus, Santacroce, De Cataldo, Carofiglio, Genna, Vitali, Moresco, Busi, e tutti gli altri. Certo, quelli citati ed altri non riportati non sono mediocri ma è impresa proibitiva indicarli come grandi scrittori.

  140. @ georgia
    Sora Lella dopo Celati e’ davvero irrispettoso. Grande, grandissimo traduttore. Celati. Peccato che noi chiedessimo un nome magari piu’ ggiovane, non e’ vero? Certo, anche io che vado a scomodare la sorella di Aldo Fabrizi!

    @ maria (v)
    Premesso che per me ha piu’ importanza cosa leggi, non m’interessa quanto leggi, facci dei nomi di grandi scrittori italiani contemporanei. Possibilmente nati dopo il dopoguerra. Sai, credo di essermi perso qualche cosa, me lo sento!

  141. Invece dal mio punto di vista straniero, ho amato:

    Camilleri ( nella sua scrittura sensitiva della Sicilia)

    Scurati ( interessante nella sua modernità)

    Scarpa

    Wu Ming non ho letto ancora

    Saviano ( rileggo il suo ultimo libro che mi dilata il cuore)

    SantaCroce i primi libri per la sua audacia, il suo stile.

    Moresco per la scrittura strana, violenta.

    Sono molto amati in Francia e tradotti.

    Dinosauro, sei sempre nella critica. Puoi citare libri che tu ami?

    Per la possibilità di comprare i libri italiani, ho molto difficultà da procurarmi libri di poesia italiana. Quando voglio ordinare, mi urto a problemi e devo aspettare di fare un giro nel paese per trovare poesia e ancora, la scelta è ristretta.

    Quando trovo è come avere un tesoro nelle mani. L’ultimo libro prosa in prosa ho cercato a ordinare nella mia libreria. Ho ricevuto un refuso, perché sembra difficile (lunghezza). Si sente une riluttenza dalla parte del commesso.

    E’ possibile immaginare che per un mese, i libri di poesia siano messi in evidenza?

  142. ama nessuno ha parlato di scrittori giovani (che è categoria un po’ fasulla) ma di scrittori contemporanei ;-). Poi non mi sembra che tu abbia detto niente sull’età di tabucchi che ha la stessa età di celati e non hai detto nulla di camilleri, la categoria giovani più gggiovvani dei gggiovani vale solo al positivo?. Avevate detto grandi (e contemporanei) non giovani, quindi mi è venuto in mente solo celati … però scendendo un po’ di gradini a me di quel genere sembrno interessanti anche cornia, nori, carabba (enzo fileno), bennati e poi moltissimi altri …
    @cara veronique … scurati no eh, per carità, mai visto un banalindividuo più di lui … bleah, davvero lo trovi moderno? va beh che moderno non vuol dire proprio nulla, ma insomma visto che sembri dargli una marcatura positiva :-)
    Ad ogni modo visto le tante cose da leggere che ci sono a me che al momento si siano grandi o meno ‘un me ne potrebbeb fregar di meno ;-)

  143. Vergè, non ho detto e l’ho sottolineato che non ci sono scrittori di valore, ho scritto che non riesco a scorgere (e la mia non è che una piccina opinione), nel panorama letterario italiano contemporaneo, un GRANDE scrittore. Un Roth, un McCarthy, un DeLillo, un Pynchon, un Amos Oz ecc. Anch’io sono affezionato ad alcuni scrittori citati, ciò non vuol dire automaticamente collocarli nell’olimpo della letteratura.

  144. Ci siamo liberati dei grandi scrittori. Quale stupida pretesa averli ancora oggi, nonostante legga solo una nicchia. Abbiamo finalmente lasciato il posto a ottimi autori mediocri. In fondo tutto questo e’ bello, sano e democratico. Si’, sono proprio soddisfatto, nel mio piccolo. Trovo tutto questo rassicurante. L’unica cosa che mi lascia perplesso e’ che questi ottimi autori mediocri ambiscano ad essere altro. Per fortuna non nello stile. Pero’ adesso il nome di uno scrittore italiano lo voglio fare anche io. Niccolò Ammaniti. Una grave mancanza non citarlo se si stilano lunghe liste, mi spiace.

    @ Georgia

    Vogliamo ricordare anche Luigi Meneghello, che ne so, cosi’, tanto per fare!

  145. georgia scrive:

    “Ad ogni modo visto le tante cose da leggere che ci sono a me che al momento si siano grandi o meno ‘un me ne potrebbeb fregar di meno ;-)”

    10&LODE!

    Amici come prima.

  146. Dinosauro,

    Credo che il sentimento che il romanzo straniero si più ambizioso tiene al sentimento de “l’étranger”, falsa impressione di grandezza.
    Siamo più critico nel confronto di una letteratura familiare.

    PS Non amo che si rivolge a me con il mio cognome solo.

  147. AMA, non ho capito perché dovrei stilare le mie classifiche qui -annoiando gli altri cui non interessa – e non in privato, tanto più che alcuni libri di autori italiani contemporanei te li ho anche consegnati a mano personalmente.
    ovvio ne siano rimasti fuori tanti altri, e poi io sono una gran casinista nel leggere, butto tutto nel mezzo, proseguo a seconda dell’umore, m’interrompo, riprendo, torno indietro….ma non c’è alcuna logica o coerenza: italiani, stranieri, giovani, dinosauri, perchè dovrei selezionare? sulla mia scrivania sono aperti in questo momento: exit di Franco Berardi, ziggy di dennis cooper, carabattole di michel leiris, le lettere dello yage, il Libro di Caino di alexander Trocchi, e qualcun altro cui sono rimasta talmente affezionata, dopo avrelo letto che non riesco ancora a metter via, tipo Bruno Bettelheim insieme a tanti altri ancora ad leggere ed altrettanti rimasti semiaperti, dopo la conclusione, per ogni crisi d’ansia, momento nostalgico, raptus e sintomatologia delle più varie :-)

    (e comunque la classifica di qualità dei lettori forti è ancora in homepage poco più sotto, non chiedere a me. )

    cari saluti a tutti

  148. Una persona non in grado di indicare (ovviamente sbagliando) dei grandi scrittori nella letteratura del suo tempo e della sua nazione (che non è il Lichtenstein o Tonga) non sarà nemmeno in grado di indicare grandi scrittori di altre nazioni o altri tempi se non per sentito dire, ripetendo il ‘dicono’ dei media, e lo si valuterà di conseguenza.

  149. caro ama, meneghello è morto, pensavo tu avessi ristretto il campo ai viventi. Di nati nel 22 e non più viventi ne possiamo trovare un discreto gruppetto … sìì più preciso la prossima volta nei tui giochetti altrimenti se ogni volta cambi le regole in corsa non la si finisce più :-)
    A me ammaniti non dispiace per niente (certo mi piace MOLTO, ma molto di più di scurati), ma se non vogliamo tralasciare nessuno si va avanti fino a domani. Io torno al mio primo commento. Nessuna lista: tra i contemporanei italiani viventi, di grandi solo gianni celati e poi …poi ci sono i poeti e lì andiamo meglio.
    Ad ogni modo buffo che dinosauro abbia stilato una lista di soli americani con l’eccezione di un israeliano … con la caterva di formidabili scrittori internazionali che ci sono ora, almeno uno o due li poteva anche citare :-) … va beh ognuno passeggia nel proprio cortile.

  150. @ georgia

    Si’, abbiamo grandi poeti. E non ce n’e’ per nessuno.

    Riguardo a Celati… Al primo anno di liceo mi fecero leggere la sua trascrizione in prosa dell’Orlando innamorato. Il primo libbricino dell’Einaudi che lessi fu Il richiamo della foresta di Jack London, tradotto sempre da Celati. Tutti noi abbiamo un primo libbrino Einaudi.

    Come autore l’ho scoperto solo di recente, leggendo Fata Morgana. Uno pseudo-saggio di etnografia che ho trovato un capolavoro. Si’, credo che tu mi abbia zittito. Incasso e porto a casa. Gianni Celati e’ un grande scrittore. Ti diro’, adesso che ci penso, anche Alberto Arbasino e’ un grande. Io mi perdo completamente nella sua scrittura. E lo contrapporrei addirittura a Saviano, pensa un po’. Ma non vorrei sembrare ossessionato da questo uomo coraggioso che merita tutta la visibilita’ che ha.

    La mia unica attenuante e che mi riferivo agli autori nati nel secondo dopoguerra. Mi spiace, ma non credo che li’ ci siano grandi scrittori. Pero’ posso sempre essere smentito. Magari dalla nostra adorata VV.

  151. forse vi può interessare: ho raccolto in un post i link della polemica contro l’einaudi innescata, tra novembre e dicembre dal mondadoriano-berlusconiano Gian Arturo Ferrari nominato dal ministro bondi presidente del Centro per il libro e la lettura (una specie di minculpop in salsa berlusconiana).
    geo

  152. E comunque, anche se ormai quel che doveva dare l’ha dato, Aldo Busi è un grande scrittore, senza se ne’ ma. Sto votando per lui all’Isola dei Famosi.
    Walter Siti potrebbe essere un altro. Michele Mari. Tullio Avoledo – e se leggessi più letteratura italiana ne scoprirei certo degli altri.
    E’ facile riconoscere la grandezza degli scrittori ormai antologizzati. Il vero talento critico è riconoscere la grandezza fra i viventi, fra gente confusa nella folla e non ancora riconosciuta dal tempo. E la grandezza c’è SEMPRE. Chi sostiene che intere epoche e nazioni (ripeto, nazioni di una certa grandezza) sono da buttare perchè lui non è in grado di distinguere non è degno di essere considerato.
    Poi, chiaro, si sbaglia: tanti più grandi di noi l’hanno fatto. Ma chi non prova sbaglia per principio.

  153. La mia unica attenuante e che mi riferivo agli autori nati nel secondo dopoguerra

    ma non si possono delimitare così i tempi con l’accetta, è ridicolo :-). Va bene per professori universitari e media che sfornano etichette, ma non per una discussione aperta ;-). Mio dio i grandi si vedono nei tempi lunghi …. altrimenti è politica editoriale. La nascita poi conta un due di briscola. Alcuni autori sfondano a 20 anni altri a settanta, come fai a dire nati nel dopo guerra, non vuol dire NULLA la letteratura ha tempi e modalità strane, meglio non costruire mai gabbie pedanti :-).
    geo

  154. sto votando per lui all’Isola dei Famosi

    Bravo, operazione profondamente culturale :-))))
    Quasi quasi tra l’isola dei famosi e libero- pagina-culturale opto, senza se e senza ma, per il secondo ;-) (e speriamo che cortellessa non mi scomunichi).
    Ma guarda te come siamo ridotti :-((((((

  155. E per non sembrare uno stupido esterofilo, poco attento alla nostra letteratura… Si potrebbe mai tacere di Giorgio Manganelli? Pare che quella del 1922 sia stata una delle nostre migliori annate! La nostra georgia mi entusiasma. Mi apre un mondo tutte le volte che la leggo. Adesso ho un nuovo giochino. Quello delle date di nascita. Ma lo sapete che Gianni Celati e Silvio Berlusconi hanno solo un anno di differenza? Qualcosa non ha funzionato, ne sono certo. Pensate a quanto saremmo oggi diversi se Gianni Celati avesse preso il sopravvento su Silvio Berlusconi!

  156. georgia scrive:

    “Mio dio i grandi si vedono nei tempi lunghi …. altrimenti è politica editoriale. La nascita poi conta un due di briscola. Alcuni autori sfondano a 20 anni altri a settanta, come fai a dire nati nel dopo guerra, non vuol dire NULLA la letteratura ha tempi e modalità strane, meglio non costruire mai gabbie pedanti :-).”

    C’hai raggione. Adesso pero’ non infliggere… Anche se resto dell’idea che autori noti che promettono grandi cose non ce ne sono in giro. Speriamo allora in quelli nati postumi. Una bbraccio.

  157. Maria, condivido la tua opinione :-)
    Sto leggendo Sandor Màrai une conversation a Bolzano, l’ho scoperto di recente nella mia libreria di una maneria casuale. Stavo cercando un libro per studiare con gli alunni un racconto di Théophile Gautier e i miei occhi erravando trovano Bolzano, e penso in un lampo al racconto di Francesco Forlani, lo compro e vedo a casa che si tratta di un’avventura di Casanova immaginata dall’autore.
    Mazzacurati: Un giorno perfetto, che leggo mano mano.
    E una raccolta di poesia di Stéphane Bouquet : Nos Amériques.
    Ho l’abitudine di viaggiare tra libri diversi e in molti paesi.

    Ama, non conosco bene gli autori di dopoguerra in Italia.
    So che amo molto la letteratura francese del XIX secolo
    e quella che si crea adesso, perché si esperimenta, si
    cerca una scrittura del romanzo, che qualche pensa ammalato.
    Credo che siamo in un terreno fantastico dove il romanzo
    puo attraversare terre alla frontiera mal delineata, dove
    si scrive una lingua futura.
    I lettori credono a un paradiso perduto della letteratura,
    credo che è un mito.

  158. @ Sascha

    No. Aldo Busi sarebbe potuto diventare un grande scrittore. Pero’ siamo ancora fiduciosi. Confidiamo nel tempo.
    Walter Siti mi ammoscia. Proprio non me lo fa rizzare!
    Non ho ancora mai letto Mari ed Avoledo. Credo sia grave.

  159. Sascha sei penosa. Mi metti in bocca cose che non ho scritto, forse presa dall’impeto ideologico-lipperiano. Busi lo leggo, ho tutti i suoi libri dal seminario sulla gioventù all’ultimo che non è granché. Leggo Saviano, Arbasino, Ammaniti, Vitali, Santacroce, Moresco, e tanti altri italiani e sono eccellenti scrittori ma non GRANDI. Poi, sentir dire che Siti, Mari e Avoledo sono la letteratura italiana contemporanea mi provoca l’orticaria e mi fa comprendere bene il tuo livello critico. Informati, si vede che non leggi certi autori, McCarthy è vivo, Roth è vivo, DeLillo è vivo, Tu sei morta! Non puoi resuscitare rappresentandoti colta, non lo sei. Hai letto poco e lo hai dimostrato in tutti i blog in cui ti ho, purtroppo, incontrato.

  160. @ VV

    La tua opinione e’ rispettabilissima. Sono io che oggi ho tanto tempo a disposizione e faccio il burlone.

    ADORO
    A.D.O.R.O.
    aDDoro

    Semplicemente ‘adoro’ la letteratura francese del XX secolo. Se non fosse esistita col cazzo che mi sarei rovinato la vita! Quindi a chi devo denunciare? Alla borghesia francese del XX secolo? Boh!

  161. Faccio una domanda provocatoria: se a impadronirsi di Mondadori fosse Bin Laden, voi ci lavorereste ancora per Mondadori?

    Capite cosa voglio dire? Oppure: e se domani Mondadori pubblica un libro di Bin Laden perche’ ‘fa profitto’, eh, io mi ritrovo come scrittore che ho pubblicato nella stessa casa editrice che ha pubblicato Bin Laden… e… e non lo so. E’ bello? Bene, le dico un po’ spiritosamente queste cose… Pero’ rimane quello che ho scritto nella domanda ossia: ma per caso non e’ che diciamo “Si’, il Presidente del Consiglio e’ un deliquentone… eppero’…”. Lavorandoci si dimostra proprio invece che c’e’ un limite di tollerabilita’ anche alla “delinquenza” e che tutto sommato non e’ poi quel “gran deliquentone”… Quindi si torna al punto di partenza: lavorare per chi non si stima e’ in pratica un gesto di stima, ed anzi e’ il piu’ grande gesto d’aiuto che gli si possa offrire perche’ e’ evidente che se viene un uomo a casa mia, si scola una bottiglia di vino come se fosse acqua in cinque minuti e poi mi insulta gridando davanti alla mia povera donnina perche’, faccio per dire, ho usato l’espressione “non e’ che” o “io me ne frego” e io rimango gentile, non lo prendo e non lo caccio, lui puo’ rimanere comodamente seduto a sputare le sue sentenze sull’uso dei miei vocaboli quanto gli pare e piace, bene, a questo punto io non lo so chi dei due avra’ piu’ torto o piu’ ragione. Capite cosa voglio dire?

    Poi anche questa cosa del profitto e della distribuzione… Ma chi se ne importa? Che noia mortale… Ogni volta che si parla di libri c’e’ sempre quello (/a) che si rimbocca le maniche del maglione, muove le braccia in ogni direzione gesticolando da “praticone” (quando magari non sa nemmeno guidare un’automobile decentemente), e riduce tutto a “profitto”. Ma che lavoro e’? Che noia e’? Allora perche’ Mondadori non si mette direttamente a vendere panini al salame? Ci fa un profitto della madonna con tutta la distribuzione che ha! Tanto piu’ che se non ho capito male, Mondadori impone al libraio uno stock di volumi di Harry Potter… Ecco al posto degli Harry Potter potrebbe imporre uno stock di panini col prosciutto, la mortadella e il salame e ci fanno su una marea di ‘profitto’! E poi anche questa faccenda della distribuzione… Ma che noia… E vabbe’ si’ ti hanno stampato venticinquemila copie di un libro… Ma proporzionalmente magari ne hai vendute tante quante quello che ha pubblicato per un editore piccolo e inesperto e che non si capisce bene che cosa l’ha aperta a fare la sua casa editrice… Non so, e’ piu’ acqua gassata che minerale naturale… Forse il successo sta appiattendo tutto veramente e ci si ritrova a fare sempre gli stessi discorsi (gesticolando col maglione rimboccato col fare di chi “l’ha capita”)… Profitto e successo…

    Sara’ che qui da Philadelphia dove sto mi viene voglia di delirare… Del resto qui a Philly quando ho fatto le scale di Rocky mi sono voltato e al posto di “Drago!” mi sono messo a gridare : “Franchini! Franchini! Franchini!”. So che Franchini e’ un pugile, il che secondo me disvela una ricca quantita’ di significati. Mettere a capo di un ramo di una industria che produce cultura un uomo che puo’ troncare all’improvviso qualsiasi discussione ben argomentata con un potente jeb sinistro secondo me e’ un messaggio molto significativo.

  162. Poscritto. Premmetto a quel che ho scritto che il pezzo di Michela Murgia mi e’ piaciuto, che Franchini e’ autore di un bellissimo libro, che la Mondadori e’ una bella casa editrice piena di ottimi autori e libri importanti e persone serie oneste e competenti che mai pubblicherebbero Bin Laden, e che secondo me soltanto mi rendo conto che c’e’ un contraddizione dovuta al sistema capitalistico e a come funziona. Ragionavo per paradossi.

  163. Il sistema capitalistico, già, c’è anche questo piccolo dettaglio da considerare:-) infatti non è per nulla vero che si debba o possa lavorare soltanto per chi si stima, il più delle volte non è possibile , per una serie infinita di motivi e non soltanto personali.

    Certo uno scrittore in teoria ha più possibilità di un operaio che si trovi a lavorare in una fabbrica che produce armi o automobili e al quale nessuno certamente chiederebbe di licenziarsi per la pace o l’aria pulita , eppure il meccanismo che agisce in ambedue casi è analogo se non lo stesso, un meccanismo che oltrepassa la volontà soggettiva delle persone singole, non si cambia una struttura economica rifiutando i datori di lavoro, non si manda a casa berlusconi non acquistando o non curando i meridiani o altri prodotti legati alla sua attività imprenditoriale per il semplice motivo che sono sempre più quelli che non farebbero simili scelte.
    Basta guardare i voti.

  164. @ Marco

    Ad aprile sono per una decina di ggiorni a Nuova York. Magari passo pure per Philadelphia. Vorrei vedere alcuni scorci da film di successo e tanta bella ggente. Si’, proprio a Philadelphia…

    Non so, dopo le ultimissime inchieste, sono giunto alla conclusione che quelli che lavorano duramente per salvare i cataloghi Mondadori non potranno impedire al populismo berlusconiano di colonizzare le giovani menti del nostro paese, tutti i giorni a nutrirsi di corruzioni da prescrivere per la tenuta stessa del sistema. In un certo senso, forzando l’immagine, riducendone le sfumature, i collaboratori della Mondadori sono come gli stipendiati della fabbrica d’armi Pietro Beretta. Quelli che si preoccupano di tenere alta la fama delle sue pistole. Bellissime. Ne provai una quando feci il militare a Pinerolo.

  165. @ Marco

    Tu sai niente del caso Bigazzi sulla Cnn? Qui a Londra, mi sembra venerdi’ scorso, ho visto Jonathan Ross che apriva il suo talk show con una ricetta italiana. Un gatto da fare al pomodoro.

    http://www.youtube.com/watch?v=z7__W4vRYzQ

    Una volta, ad una certa eta’, non li mettavamo nelle case di riposo, se non potevamo piu’ prenderci cura di loro? Adesso superati i settant’anni fanno addirittura i dittatori!

  166. @sascha

    non so con chi ce l’hai, ad ogni modo,
    NOn mi piacciono le classifiche per tanti motivi, non utlimo perché il migliore scrittore italiano contemporaneo ha scritto in sloveno:

    -Boris Pahor (Necropoli)

    -e perché non so a chi dovrebbe fregare, se non a te
    -dei nati del 22 Fenoglio
    – anch’io adoro Celati
    – se Bifo non ti piace che vuoi da me?
    – ce ne son tanti che mi piacciono da Babsi Jones a F. Buffoni da L Voce a Beppe Sebaste, da Ch. Raimo a Veronica Raimo, da G. Genna a Marco Rovelli e tanti altri che adesso non ricordo, non ho voglia, sono stanca, appena rientrata, torno ai miei libri.
    distinti saluti

  167. 195^o commento: cara NI, potresti spedire questa lista di domande direttamente a Saviano, che tra l’altro compare sotto il link di ni “Chi Siamo”? Così si potrebbe sentire che ne pensa lui…

    Grazie,

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