Cento di questi giorni!
Mancano ormai poche ore alla fine di un esperimento in rete assai interessante e di cui abbiamo già parlato qui. Si parla spesso di nuove voci ma poi si fa fatica a sentirle. Spero allora che la voce di Cristina vi giunga, chiara e forte. effeffe
Del rosso e del mille novecento e novanta e due
di
Cristina Galhardo
No no e no.
Lo diceva in classe, faccia rossa, come rosso era l’inchiostro che ha dettato la sentenza nell’esame. La maestra, non con lo chignon o gli occhiali, invece con i jeans e la tunica, esplodeva di esasperazione. E diceva No. Com’è possibile. Ti sei sbagliato a scrivere la data, vero? È questo, certamente. Ma come fai a sbagliarti allora in continuo, come ti permetti, dopo che ti ho corretto in classe, a ripetere in scritto queste barbarità nell’esame?
Gli altri studenti si dividevano fra la risata e gli occhi spalancati di stupore per le sciocchezze del compagno.
Metti questo in testa, una volta per tutte, non tollero più balordaggini. Ma tu lo sai benissimo, lo fai soltanto per annoiarmi. Ma ti costerà caro. Guarda bene: è fi-ni-ta nel mil-le no-ve-cen-to e no-van-ta e du-eeeeeee. Novanta e due! Eri appena nato! Guarda intorno a te. La vedi ancora, per caso? Senti bene, e apriva ancora di più gli occhi, come fossero questi la fonte dei suoni stridenti, il tre d’agosto del no-van-ta e du-e, accentuando tanto il numero pari, per poi ripetere come un nastro registrato la versione dei libri di storia, l’esercito della Repubblica ha finalmente fatto un assedio efficiente alla guerriglia e ha catturato il capo dei ribelli, correttamente giudicato e giustiziato. Cosa pensi altrimenti che festeggiamo, in quel giorno? La liberazione dai pidocchi? Domani, fai attenzione, leggerai per tutta la classe un testo dove, una volta per tutte, capirai bene la realtà. Che con questa non si gioca. Non stiamo parlando di un qualsiasi Paese là lontano. Gioca con la guerra soltanto chi non la conosce.
I libri scompigliati nello zaino, i piedi trascinati fino a casa, dove sembra che non sia il presente che gli domandano. A cena, fra il cucchiaio di minestra e le raccomandazioni della madre, non sporcare il pigiama, si sente la traccia delle bestie volanti che traversano le città cresciute vicino agli aeroporti fatti tanti anni fa per sognare altri voli. E ora, siccome si conosce, non evita l’impulso di nascondersi sotto il tavolo. Il padre non fa lo stesso gesto, ma la mano gli trema e smette di portare il cucchiaio alla bocca, chiude gli occhi e si concentra, passa subito, sta per passare, è passato. Stasera ha la scusa per non rimanere al tavolo, ha i compiti.
La maestra ride quando vede la pagina spruzzata in rosso, compito fatto.
Ma ragazzo, in rosso…mi vuoi imitare o questo è tutto amore?
“Il tre d’agosto del mille novecento e novanta e due è finita la guerra nel nostro Paese, il tre d’agosto non più il rumore che rende sorde le mie notti, ma lui c’è, nelle mani di mio padre quando copre le orecchie perchè non c’è più spazio per niente in noi, e lui non sa se quella sera ci deve trascinare sotto il letto che arrivano subito i proiettili, se sono i suoi che vengono a prenderlo e portarlo a un momento di più pace, adesso non ci trascina più, me e mio fratello, ha soltanto il primo sguardo di terrore e poi ricorda, ma il rumore segue abitando a casa mia, sono le notti trascorse in bianco perchè lui deve parlare e io ascoltare perchè se nessuno l’ascolta ho paura che lui esploda da solo e non ci sia nessuno per raccogliere i pezzi, i suoi gridi nella notte mi ricordano che non devo sognare perchè lui dice io ho fatto quello, l’ho fatto, come posso averlo fatto, sono le mattine in cui si fa la barba e si mente dicendo tutto bene e va al lavoro, sono le ore che rimane lavandosi del sangue che l’acqua non porta via e lui strilla non ce la faccio a levare questo da sotto le unghie e io guardo e non posso mentire, c’è sangue e non so dire se è quello di tanto sfregare o l’altro, o se i due si sono mischiati e non più il rosso andrà via di là, di qua, da me e dai suoi occhi e sembra che non è ancora mille novecento e novanta e due”.
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questo brano, in una lingua dal ritmo così particolare, anche se nasce da lontano trova cittadinanza a ogni latitudine.
” Gioca con la guerra soltanto chi non la conosce”
Un grazie a Cristina ed alla sua voce, un grazie a chi ha dato spazio alla sua di voce ed alle altre piccole microcenturie …
Qualcosa che esplode nel cuore.
Una minaccia nella casa, una follia paterna.
La scrittura sa della guerra fuori e dentro,
della paura che scorre in una casa,
venuta a morire in un quaderno.
E’ un bellissimo testo.
Ho lasciato due testi a Parigi, non so se qualcuno
ha letto. Lo spero. Era quasi un dolore lasciare le
pagine alla fortuna.
una iniziative molto bella
con l’idea di fondo di spargere lettere oltre ogni frontiera
nessun bisogno di far sapere
solo voci
grazie
c.
Ottima iniziativa. :)
Ho apprezzato molto la possibilità di poter spedire un racconto in pdf a qualcuno, con tre semplici click.
non c’è dubbio che la lingua scritta sia anche un sistema esoterico fatto di segni e rune e cunei che possono creare mondi. Per questo, come formula magica, lascio qui la versione originale e lusitana della centuria di Cristina Galhardo, da masticare in caso di necessità.
Do vermelho e de mil novecentos e noventa e dois
Não, não e não.
Dizia isso na aula, de cara vermelha, como vermelha era a tinta que ditou a sentença na prova escrita. A professora, não de carrapito ou óculos, mas jeans e túnica, explodia de exasperação. E dizia Não. Como é possível. Enganaste-te a escrever o número, verdade? Só pode ser isso, é isso certamente. Mas então como te enganas em contínuo, como te atreves, após seres corrigido na sala, a repetir por escrito estas barbaridades na prova?
Os colegas dividiam-se entre o riso e os olhos arregalados de espanto perante semelhantes disparates do colega.
Vê se enfias isto na cabeça de uma vez por todas, não tolero mais tolices. Mas tu sabes muito bem, fazes isto só para me aborrecer. Mas vai custar-te caro. Olha para mim: a-ca-bou em mil no-ve-cen-tos e no-ven-ta e doissssss. Noventa e dois! Mal tinhas nascido! Olha em volta. Por acaso vê-la? Escuta bem, e abria ainda mais os olhos, como se fossem eles a fonte dos sons estridentes, aos três de Maio de no-ven-ta e dois, acentuando tanto o número par, para então debitar como as cassetes velhas lá de casa a mensagem transmitida nos manuais escolares, o exército da república fez finalmente um cerco eficiente à guerrilha e capturou o líder dos rebeldes, justamente julgado e executado. Que julgas que celebramos então nesse dia, a libertação das minhocas? Amanhã, ouve bem, vais ler para a turma um texto onde, de uma vez por todas, acertes com a realidade. Que com ela não se brinca. Não estamos a falar de um qualquer país perdido lá no longe. Só brinca com guerra quem nunca a viveu.
Livros desarrumados na sacola, pés arrastando para casa, onde parece que não é o tal presente que lhe exigem.
À mesa de jantar, entre a colher de sopa e as recomendações da mãe – não manches o pijama -, ouve-se o rasto dos bichos voadores que atravessam as cidades crescidas para junto de aerogares feitas há muitos anos, para sonhar com outros vôos. E agora, como desde que se conhece, não evita o impulso de se esconder debaixo da mesa. O pai não faz um gesto igual, mas a mão treme e pára de levar a colher à boca, fecha os olhos e se concentra, já vai passar, já vai passar, passou. Esta noite tem desculpa para não ficar à mesa a escutar mais nada, tem de fazer deveres da escola.
A professora ri quando vê a página salpicada de vermelho, trabalho cumprido.
Menino, a vermelho… quer me imitar ou isso é amor?
Aos três de Maio de mil novecentos e noventa e dois, acabou a guerra em nosso país, aos três de Maio não mais o barulho que ensurdece minhas noites, mas ele está lá, nos mãos do pai quando tapa ouvidos porque não cabe mais nada em nós, e ele não sabe se nos deve nessa noite arrastar para debaixo da cama que aí vêm obuses se são os seus que o vêm buscar para momento de mais paz, agora já não arrasta a mim e meu irmão, tem só o primeiro olhar de terror e depois lembra, mas barulho continua a morar em minha casa, são as noites passadas em branco porque ele tem de falar e eu de escutar porque se mais ninguém escuta tenho medo que ele rebente só e não tenha ninguém para recolher pedaços, são os gritos do pai, de noite lembrando que não posso sonhar porque ele diz eu fiz aquilo eu fiz aquilo como pude fazer aquilo, são as manhãs em que faz a barba e se mente dizendo que está tudo bem e vai trabalhar, são as horas que fica se lavando do sangue que a água não lhe consegue tirar e ele berra não consigo tirar isto debaixo das unhas e eu olho e não posso mentir, tem lá o sangue, e já não sei se é só o dele de tanto esfregar ou o outro ou se ambos se confundiram e nunca mais vai sair o vermelho dali, de mim e de seus olhos e parece que não foi ainda mil novecentos e noventa e dois.