PIERA OPPEZZO. UNA LUCIDA DISPERAZIONE
di Luciano Martinengo
Ci sono stati numerosi riscontri –scritti e telefonate- alla notizia della morte di Piera pubblicata da Nazione Indiana (qui). Mi sembra perciò opportuno continuarne il ricordo con qualche informazione sui suoi ultimi mesi di vita per tentare di sondare il mistero della sua creatività tanto impervia e sofferta.
La sofferenza, che in Piera si manifestava come stato permanente d’ansia, era davvero la cifra della sua ricerca? Scavando nei ricordi miei e delle poche persone che l’hanno avvicinata emerge una incapacità –o forse una volontà- di non essere felice. All’origine c’è forse quell’ ”infanzia saccheggiata” a cui accenna in una sua poesia o la perdita di una persona amata, o ancora una forma di orgoglio che raggela la speranza. Solo la scrittura sembra contare. Questo è ciò che si vede dal di fuori, ciò che si tenta di decifrare.
Seguendo questa traccia, par di scoprire negli avvenimenti ultimi della sua vita la fatale conseguenza di una scelta. Negli ultimi mesi, Piera non scriveva quasi più. All’ospedale, dopo un incidente domestico che la costringeva a letto, diceva: “non c’è più posto per me in questo mondo.” oppure: “ma perché devo continuare a vivere?” La musica e la lettura non la invogliavano più. Solo una stentata conversazione, inframmezzata da parole di sconforto e da lunghe pause, riusciva a impegnarla per una mezz’ora o giù di lì. Nel successivo breve soggiorno presso il convalescenziario di Miazzina sul lago Maggiore perse le ultime difese della lucidità lasciandosi andare ad angosciosi rantoli che l’accompagnarono alla morte. Pochissimi giorni, poi la pace. L’espressione del suo volto tornò distesa, sembrava finalmente pacificata.
Per sondare il mistero di Piera, restano i suoi scritti: la forma della sua esistenza è la chiave di lettura delle poesie e dei racconti. E, inversamente, le sue opere testimoniano il dipanarsi delle sue giornate.
Quello che è certo è il valore assoluto che Piera attribuiva alla scrittura. In un’intervista a Paola Redaelli pubblicata su LAPIS (n.4, Milano, giugno 1989) affermava:
“…Allora compio l’atto di scrivere che è l’atto principale che ritengo di dover compiere. Evidentemente a suo tempo ho deciso che era mio compito. Da allora ho questo impegno. Per cui non si tratta mai di scrivere una certa poesia ma di fare poesia. Questo fare poesia può avere un centro diverso nei diversi periodi, è comunque un centro che alimento e definisco –tolgo all’indistinto- scrivendo. E così posso quindi dire: niente mi ispira. Il poetico è un equivoco che detta sentimenti equivoci, sentimenti sentimentali…. Scrivo per decisione di scrivere… E’ darmi questo compito che è stata una ispirazione. Forse attingo da lì”.
Per sua stessa ammissione, la caratteristica fondamentale della sua poesia è ‘l’espressione basata sui concetti e non sul sentimento.’
Alcune poesie, pubblicate nel febbraio del 1961 sulla rivista La nostra Rai sembrano testimoniare il passaggio da una poesia di sentimento a una scrittura di ricerca. Sebbene Piera le situasse ln un mondo poetico ormai lontano, conservano un’incanteviole freschezza di echi pascoliani e aperture che richiamano inconsapevolmente Umberto Saba, Sandro Penna e perfino Alda Merini con la quale non ci fu nessun rapporto né personale né artistico. I mondi poetici talvolta si intrecciano, figli dei loro creatori quanto del loro tempo. Le ripropongo di seguito perché svelano una tenerezza che la pudica e severa Piera degli anni successivi non ha più lasciato scorgere.
1
Passa sul Po
La nebbia di novembre,
Un’altra realtà è sommersa
Come il fiume nel suo letto.
La facile estate trascorsa
A contatto di guance
Affettuosamente comprensive,
All’orecchiabile ritmo
Del piacevole istinto
Morbidamente infedele
Al pensiero diretto.
2
Una luna come un’arancia
Non si era vista in tutto l’anno
Né tale bellezza si sperava durasse
Tanto è faticoso sopportare
Che i desideri più remoti si avverino.
Quando venne il giorno
“Ho tanti ricordi”
Poteva benissimo non desiderare più.
Mentre i più giovani parlavano di questo e di quello
“Per non parlare di ciò che attendo”.
Cercavano luoghi dal mattino alla sera
Aderendo a tutto ciò che produceva sapere
Nel loro respiro
Finché a uno gli si aprirono le vene
Proprio
Come da lungo tempo invocava.
3
Amo il corpo
Che ancora dorme voltato su un fianco
Quando mi sveglio al mattino.
Quello che resta con me solo un’ora
Mi tormenta più a lungo.
Ma non ne parliamo più.
L’amore si è decomposto nei lacrimatoi
Mentre voleva un dolore violento.
Il muschio è spuntato sul ricordo.
Troppe volte, inutilmente,
Lo sguardo
Si è purificato durante la notte
La vena sulla tempia
Ha rinnovato il suo sangue.
*
Piera non è catalogabile. Malgrado il tentativo di schizzarne i contorni, sfugge alla definizione, E ciò, per volontà sua propria e dichiarata (“il ‘ritornare’ mi è estraneo” . “… ‘ripassare’ tutta la propria vita, ,,,il rischio è di svianti approssimazioni se risolte in poche righe…”) e per un istinto di estrema difesa. Ecco come parla di sé –non parlando di sé- in questo stralcio da Le strade di Melanchta (Ed. Nuovi Autori, 1987):
.
Ma dove vai
l’interroga qualcuno
tollerante la voce ordinata
distraendola da se stessa lei
riconoscendo un po’ tutte le presenze
dolcemente
con tono pacato
così come viene la voce
vado da qualche parte sussurra
come Melanchta sono io
ho avuto sempre un forte bisogno d’andare
Melanchta decisa eccitata con
nella testa un
continuo battito d’ali
vagabondare
rientrando la sera
si può vagabondare sempre
anche chiudendo la porta di casa
non è vero che non c’è nessuno
ci sono io ho capito
mi sate inseguendo
dice a qualcun altro che insiste per sapere.
.
E ora, parlando di Piera, temo di cogliere il rimprovero che si cela in queste righe scarne. Il rispetto impone di lasciar parlare la sua voce, anche dove è imprecisa e frammentata. Ogni lettore poi la completerà con il proprio ascolto.
Grazie mille per questo omaggio.
Dice molto della necessità di scrivere,
di domare l’ansia, di soprevvivere
con la parola, quando ogni atto della vita
si respira male.
Credo che la tragedia accade, quando l’ansia ha tutto
invaso, e che la mente lotta, si stanca.
Ricordare piera oppezzo è doveroso, bravo andrea, ma da quanti anni nessuno s’interessava (come per altri poeti, vivi o che purtroppo non ci sono più) al suo lavoro?
Mi auguro che un editore di “buone speranze” faccia qualcosa…
elio
la sua poesia è ‘l’espressione basata sui concetti e non sul sentimento…si dovrebbe ripetere più spesso.
Da “L’uomo qui presente” ai reiterati readings ricambiati e condivisi, con lei, sono stati questi ad avermela fatta amare, oltre alla lettura della sua buonissima poesia? Piera era un’ottima persona, tesa da un’etica perenne, non felice, come tante/i, ma lieta di incontrarci, parlare, vagabondare col suo *prossimo*, è verissimo.., scriveva una forte poesia, ma da solitaria, da signora e appartata,( della sua apparizione alla “bianca” di Einaudi pochi poi, si curarono).
C’è una straripante (oramai)idea di *sommersi e salvati*, da rileggere e smontare, o sono semplicemente degli addii a immalinconirci, oggi?
Maria Pia Quintavalla
“non è vero che non c’è nessuno” –
già vorrei un suo libro.
ciao.
g
qui, lei a catania:
http://www.youtube.com/watch?v=9shP3-PXpdY
grazie giampaolo
e grazie anche a giorgio di costanzo, che ha organizzato “al volo” una trasmissione radio su Piera Oppezzo
grazie tante, giampaolo, ho apprezzato molto la bellissima clip di Piera, è proprio lei. Di quella manifestazione di Librino mi aveva parlato l’amica Maria Attanasio ma non avevo visto le immagini. Piera ci teneva a non essere dimenticata. Luciano Martinengo
Grazie Luciano, ho letto con vivissimo piacere il tuo articolo. Ammetto: non conoscevo la Oppezzo, mi hai fatto davvero un regalo. Il suo uso delle parole è particolare, unico, c’è una evocazione profonda e semplice al tempo stesso.
Grazie.
Enrico