carta st[r]amp[al]ata n.11
di Fabrizio Tonello
Ricca messe di materiali questa settimana, grazie a straordinarie performance del Foglio di Giuliano Ferrara del 10 aprile. Inizieremo da “La chiesa non è una repubblica”, come titola in prima pagina l’editoriale non firmato, che polemizza con “l’assedio scandalistico al Papa” e conclude: “L’ex sindaco di Gerusalemme, Ed Koch, ha detto proprio ieri che la campagna internazionale di stampa sulla pedofilia dei preti (…) mostra non tanto la volontà di informare i cittadini quanto quella di punire la chiesa per le sue posizioni”. Può essere, ma Ed Koch è stato varie cose nella sua vita, tra cui sergente della 104° divisione di fanteria nella battaglia delle Ardenne, deputato al Congresso americano e perfino protagonista del reality show “The People’s Court”. Quello che non è mai stato, nonostante la sua origine al 100% ebraica (il padre era un pellicciaio del Bronx) è sindaco di Gerusalemme.
Se proprio vogliamo essere sofistici, è stato sindaco di New York per 11 anni, dal 1978 al 1989.
Il giornale degli atei devoti, lo stesso giorno, si occupa anche della “democrazia dell’incarnazione” ma non è un articolo sull’importanza politica del crocifisso nelle aule. Per Lanfranco Pace, la“democrazia dell’incarnazione” sarebbe rappresentata da Charles De Gaulle, che costruendo la Quinta repubblica francese le avrebbe dato “larga preminenza sulla più comune democrazia della rappresentanza”. Uhm, uhm, chissà se gli esperti sarebbero d’accordo: l’autore dell’articolo non ci dice se questa innovativa categorizzazione dei regimi politici è tutta farina del suo sacco o se ha consultato Giovanni Sartori, Angelo Panebianco e Gianfranco Pasquino, per esempio.
Nel tracciare il percorso del generale De Gaulle, Pace scrive che, negli anni Trenta, egli “approfondiva la tattica della guerra di movimento (…) e sfornava testi che venivano studiati con attenzione dai Von Rumsted e dai Rommel ma superbamente ignorati dagli stati maggiori francesi”. Certo, Lanfranco è grandissimo pokerista ma ha qualche difficoltà con l’ortografia dei nomi stranieri: un generale tedesco Von Rumsted non è mai esistito, ma esisteva invece un feldmaresciallo Von Rundstedt, che ebbe importanti incarichi al vertice dell’esercito tedesco tra il 1939 e il 1945.
E’ stato De Gaulle a teorizzare la guerra di movimento, basata sull’uso dei carri armati, e diventata poi celebre con il soprannome di Blitzkrieg? Non esattamente. Nel 1934, il leader francese (allora semplice colonnello) pubblicò Vers l’armée de métier, un libro in cui si parlava anche del ruolo che avrebbero dovuto avere le divisioni corazzate, ma l’esercito tedesco non aveva bisogno di mandare suoi emissari nelle librerie parigine per scoprire questa idea. Leggiamo cosa scrive il più conservatore tra gli storici militari, John Keegan: “Il Blitzkrieg fu una formula per la vittoria che non ebbe un solo padre. I pionieri tedeschi nell’uso dei carri armati, Lutz e Guderian in paticolare, erano stati studenti coscienziosi degli ‘apostoli’ inglesi della guerra meccanizzata, Fuller e Liddell Hart. Ma è un passo molto lungo quello che c’è tra il sostenere una dottrina [militare] rivoluzionaria, anche con la conversione di persone influenti, e la sua accettazione da parte di un’organizzazione così monolitica e abituata alle proprie regole come l’esercito tedesco” (p. 259).
Come si vede, Keegan non cita né De Gaulle, né Rommel, né Rundstedt: i generali tedeschi che svilupparono le dottrine per l’impiego dei carri armati in battaglia furono Oswald Lutz e Heinz Guderian, che forse avevano letto i teorici inglesi della materia (benché anche questa versione sia stata smentita dalle ricerche storiche più recenti) ma certo non quelli francesi. Le tattiche impiegate contro la Francia avevano origine nell’esperienza delle “infiltrazioni” sperimentate con successo dai tedeschi nella seconda parte della Prima guerra mondiale e nell’interesse di Guderian per le comunicazioni radio, che permettevano un buon coordinamento delle unità corazzate fra loro e con l’aviazione di supporto.
Passando alla politica, Lanfranco Pace spiega poi come la “democrazia dell’incarnazione” sarebbe nata in Francia: “Il 15 maggio 1958 (…) il generale Massu, che comanda i paracadutisti di stanza ad Algeri, si mette alla testa di un comitato di salute pubblica (…) Lo spettro della guerra civile bussa alla porta (…) Il 29 maggio viene decretata la legge marziale, il 1° giugno il Generale assume i pieni poteri e presenta la sua Costituzione che il 28 settembre viene ratificata per referendum con il 79,25% dei voti”.
Quando si fa appello all’esperienza storica occorre mettere i punti e le virgole nei posti giusti; le cose andarono così: il 29 maggio il presidente della Quarta Repubblica René Coty annunciò che avrebbe incaricato De Gaulle di formare un governo e che, se il parlamento non avesse trovato una maggioranza favorevole, si sarebbe dimesso. Il 30, De Gaulle accettò. Il 1° giugno, domenica, De Gaulle si presentò all’Assemblée Nationale e dettò le sue condizioni, tra cui i pieni poteri per quattro mesi. I deputati, tra i paracadutisti e De Gaulle, scelsero De Gaulle con 329 voti contro 224. Pace scrive che il generale “presenta la sua Costituzione” ma non c’era alcuna Costituzione: essa fu opera di un gruppo ristretto, guidato da Michel Debré, nelle settimane successive. La commissione lavorò rapidamente e il testo fu pronto in agosto, per il referendum confermativo di settembre. Di fronte all’alternativa tra golpe militare e nuova costituzione i francesi scelsero la costituzione che diede vita alla Quinta Repubblica.
La formula miracolo per far funzionare la “democrazia dell’incarnazione” sarebbe quindi la presenza di un vero leader che “incarna” la volontà del popolo, più una nuova costituzione da far accettare con un plebiscito. Forse è così, ma l’icona liberale Raymond Aron non sembrava entusiasta: egli scriveva nelle sue Memorie che la repubblica francese “aveva ceduto a una ribellione dell’esercito e dei francesi d’Algeria, ribellione alla quale lo stesso generale De Gaulle non era, quanto meno, del tutto estraneo”. Lanfranco, è questa la versione 2010 del tuo slogan preferito del 1970, “IL-PO-TE-RE DEV’ES-SE-RE O-PE-RA-IO!”? E poi, se le tute blu della Fiat Mirafori non ci sono più, le sostituiamo con i parà della Folgore? Onestamente, oggi non si vedono generali italiani con i cojones del noto torturatore Massu.
Voltiamo pagina: si consiglia la visione di La battaglia d’Algeri, anche su You Tube.
Comments are closed.
Bravissimo Tonello! Ma perché non facciamo un po’ più spesso il lavoro di smontaggio critico della stampa di destra?
ora, non che sia uno sfegatato estimatore del Foglio, che peraltro sarebbe un giornale intelligente se non pigliasse ogni tanto delle cantonate inaudite, vale a dire insostenibili, soprattutto nei fondi di Giuliano Ferrara, e nemmeno sono un fautore delle repubbliche presidenziali (prepariamoci, perché stavolta punteranno a sfondare…) soprattuto se a promuoverle è uno come Berlusconi, ma se ci mettiamo a rimproverare a Lanfranco Pace la differenza tra le sue posizioni politiche del 1970 e quelle di oggi, beh, allora mi viene da dire che su questo piano ce n’è molti prima di lui (che hanno pagato molto meno di lui), a partire dallo stesso Ferrara.
la lista, come Tonello sicuramente sa, è davvero lunga e contiene traiettorie politiche se vogliamo molto più “imbarazzanti” (importanti qui le virgolette) di quella di Pace.
Pace avrà più o meno la mia età: la vita è breve, ma è anche lunga, specialmente se la si è vissuta in gran parte nel Ventesimo secolo, e le posizioni e le azioni che ciascuno di noi può aver preso o compiuto a vent’anni non possono (e direi non debbono) coincidere con quelle che prendiamo a sessanta, né è corretto, soprattutto non è intelligente, che ci siano rinfacciate oggi.
questo a prescindere dall’esattezza dell’informazione, che sarebbe obbligatoria a qualsiasi età e sotto qualsiasi cielo.
Non so, ho come l’impressione che Lanfranco Pace non si farebbe scrupoli di accusare l’interlocutore di trascorsi d’estrema sinistra se gli facesse comodo…
La buona regola sarebbe che sì, visto che tutti (o quasi) s’è cambiato posizioni e magari anche per ottimi motivi, sarebbe il caso di essere comprensivi e tolleranti all’insegna del ‘chi è senza peccato etc’. Ma, on the other hand, se uno diceva banalità estremiste prima e adesso dice banalità estremiste di segno opposto allora è proprio il caso di ignorarlo. Insomma, seguire la corrente può non essere un infamia ma di certo non è un titolo di merito.
D’accordo con Sascha, in toto.
Occorrerebbe mettersi d’accordo su cosa poi sia una “banalità estremista” e se il termine “estremista”, benché usato da Lenin et definito, come tutti sanno, una malattia infantile, non sia anch’esso una banalità. Le posizioni così dette “estreme” del Sessantotto e dintorni, includendo nei dintorni almeno tutto il successivo decennio di storia italiana, cioè fino allo spartiacque dell’omicidio Moro, erano il prodotto di un’autentica e largamente condivisa disperazione politica che colpì i ventenni di allora, stretti tra uno Stato sordo, repressivo et criminale da un lato, e un PCI integralista, altrettanto sordo. Non sto qui a fare “l’analisi” di quegli anni, mi basta far notare che se Sascha pensa che quell’estremismo sia qualcosa di banale, invece di profondamente tragico, allora è bene che si vada a rileggere qualche testo. Gli estremisti che stavano fuori dei cancelli delle fabbriche del nord non erano banali, così come non lo erano quelli che imbracciarono le armi, che assassinarono e/o furono assassinati: era gente che metteva in gioco la propria esistenza fisica in nome di un’idea e di una prassi politica che oggi giudichiamo sbagliata e criminale, ma che, ci tengo a ricordarlo, non può, ripeto non può, essere assimilata alla criminalità comune, come oggi destra e “sinistra” tendono a fare. Definire banale l’estremismo post-sessantottardo vuol dire unirsi di fatto a questo coretto indecoroso e storicamente falsificante, che punta a nascondere piuttosto che ad affrontare nodi storico-politici irrisolti. Si discute se sia venuto il momento di “superare” Pasolini, oppure che so, di “rivalutare” Craxi, ma sul seppellimento di figure come quella di Renato Curcio tutti sono sempre stati d’accordo, un accordo che nasconde quanto-meno la cattiva cosceinza sia dello stato che di una “sinistra” neo-virginale.
Se poi si entra nel merito, per quello che ne so non mi pare che Pace abbia assunto posizioni di “banale estremismo” di destra, che non sono nemmeno proprie del suo giornale.
Io, in quanto comunista interiore, sono un estremista, lo sono restato per indole, ma mi piacciono le sfumature, le distinzioni, nella convinzione che compito primo dell’intelligenza sia “separare ciò che è unito e unire ciò che è separato” (G. Simmel).
a tash, con cordiale punta polemica
il foglio è intelligentemente il braccio laico del dispotismo vaticano
ed è sempre apprezzabile chi si dedica a smontare la pretenziosa intelligenza del foglio
quanto al processo d’invecchiamento, sono ben d’accordo che esista una maturazione intellettuale, che gli itinerari biografici non siano dei circoli o delle linee rette, ma in Italia la maturazione intellettuale si fa molto spesso in perfetta armonia con l’aria che tira
quanto agli anni della contestazione e al movimento extraparlamentare, con tutto il bene che se ne può dire – nonostante la legione di detrattori – e anche il tragico che se ne può dire – nonostante la legione di semplificatori -, una cosa appare innegabile, anche a chi lo legge dopo, attraverso la mediazione del documento e della testimonianza, ossia l’alto grado di conformismo – aspetto inevitabile dei grandi fenomeni collettivi, nel bene e nel male
Da Parigi, dove Lanfranco Pace ha vissuto a lungo, vorrei dire due cose a Francesco Pecoraro. La prima è che la citazione, da parte di Tonello, dello slogan “Il potere dev’essere operaio” mi sembrava molto ironica e “en passant”, non certo una messa sotto accusa di Pace per le sue posizioni di quando aveva 20 anni. Del resto, non è che Pace abbia partecipato a tre cortei e poi si sia dedicato ad altro: fra il 1967, quando inizia la sua militanza, e il 1980, quando si costituisce e torna in Italia per affrontare il processo 7 aprile, passano 13 anni e qualche decina di incontri con i leader delle Brigate Rosse (a scopo solo umanitario durante il sequestro Moro, sostiene l’interessato). Le posizioni politiche “dei 20 anni” durano quindi ben oltre i 30.
La seconda questione è che l’articolo esaminato da Tonello (un’intera pagina!) contiene un’apologia della NASCITA della Quinta Repubblica per via quasi-golpista. Certo, non si tratta di un elogio di Pinochet, ma della giustificazione di una democrazia autoritaria, nata sotto la minaccia delle armi. Che poi De Gaulle sia diventato il principale nemico dei generali di Algeri e l’artefice dell’indipendenza dell’Algeria non giustifica l’entusiasmo per il plebiscito come strumento per costringere i cittadini a “incarnarsi” in un leader. L’idea attuale di Pace è che Berlusconi dovrebbe diventare il De Gaulle italiano spazzando via gli “azzeccagarbugli” (cioè la divisioni dei poteri e le istituzioni di garanzia). A me pare inquietante e, se dovessi rimproverare qualcosa all’articolo di Nazione Indiana, sarebbe di aver preso la cosa troppo alla leggera.
Secondo me, se la sinistra fosse come Tonello, vincerebbe le elezioni.
Be’, si può stare tranquilli perché la figura di De Gaulle, dicendola da convinto antigollista, in Italia oggi non ha imitatori né controfigure. Pensare a Berlusconi come a una sorta di De Gaulle, anche in sedicesimo, fa semplicemente ridere. Del resto, se la sinistra francese d’antan all’inizio avversò molto l’avvento della V Repubblica, poi non mancò di goderne appieno i risultati presidenzialisti (Mitterand docet). E voglio almeno dire (dati i miserrimi tempi politici che ci è toccato in sorte di sopra-vivere) che un De Gaulle oggi in Italia, che riuscisse a mandare a casa i nordamericani, chiudere le loro basi militari col corredo di atomiche (ancor più “illegali” dopo il recente accordo in tema di armamenti atomici tra Russia e Usa) e, non ultimo, liberarsi dal giogo della finanza e dell’industria Usa a casa nostra, sempre più oppressivo da 30 anni a questa parte, con le banche Usa che continuano a fare i loro trucchetti contabili, avrebbe una funzione né più né meno rivoluzionaria.
se la sinistra italiana fosse come tonello io mo divertirei molto molto di piu’. che amarezza invece.
@ Francesco Pecoraro
Mmmh, qui mi sembra un caso affine alle ‘old school ties’ britanniche…
Le volte che mi è capitato di leggere o ascoltare i commenti del signor Pace non vi ho trovato che i soliti trucchi e slogan del pastone PdL secondo l’accento particolare che vi da il Foglio: si può dire tutto e il contrario di tutto purchè sia ‘contro’.
La storia del signor Pace è stata drammatica, tragica, simbolica? Beh, anche il giornalista Mediaset Carlo Panella è stato latitante: dovrei prenderlo più sul serio?
Poi, qual’è il rapporto del signor Pace col suo passato? E’ fra quelli che proclamano un taglio netto e orrore per le posizioni d’allora oppure è un tipo alla Glucksmann, che rivendica la continuità e proclama di essere sempre contro il ‘potere’, identificato con i partiti di sinistra e l’Islam?
Non le piace il termine ‘banalita”? Potremmo usarne uno più forte. Detto brutalmente, all’epoca io votavo PRI e non avevo la minima simpatia per i ‘movimenti’ (per non dire il terrorismo). Col tempo, curiosamente, mi sono trovato con idee e gusti ed emozioni più di ‘sinistra’ di quanto ritenessi possibile, in base al vecchio principio che quando gli Dei voglionon punire qualcuno esaudiscono i suoi desideri. In compenso mi sono trovato con questo fiume di reduci che migravano da destra a sinistra con la stessa sicumera e inevitabilità di un tempo mentre quelli che non avevano cambiato idea si chiudevano in un isolamento rancoroso e sterile. Quello che persone come il signor Pace hanno mantenuto nella loro migrazione è la convinzione che tutto, letteralmente tutto, dev’essere al servizio dell’azione politica, intesa come immediato vincere o perdere (basti vedere, al mattino su Canale 5, le prime pagine di Libero, Giornale e Foglio) e che qualsiasi altra cosa sia subordinata o inutile – una convinzione che, chiaramente, non fa molto per la letteratura e spiega bene l’eccezionale sterilità artistica della destra italiana…
Non ho letto l’articolo di Pace e non ho intenzione di leggerlo.
Non sto parlando di quello, sto parlando della definizione di Sascha – che votava repubblicano (i liberali “de sinistra”, diciamo) non so a quali tempi, al quale ricordo che anche La Malfa figlio è passato al berlusconismo, non so con quale profitto, pare poco, quindi anche lui nel “fiume di reduci”: il potere piasce a todos, o mi sbaglio? – riguardo a un risalente “banale estremismo” di Pace, che oggi gli andrebbe comunque rinfacciato qualsiasi cosa scriva, sia pure l’apologia di Hitler.
Quanto alla Quinta Repubblica francese non mi pare proprio che si possa definire autoritaria, così come non mi pare (ma confesso una certa ignoranza in materia) che le posizioni de Il Foglio si possano appiattire su quelle del Vaticano, anche se la devozione atea di Ferrara raggiunge sovente il grottesco.
In somma: bisognerebbe appunto fare attenzione a non unirsi alla barbarie politica che si annida nella prassi “giornalistica” di organi berlusconiani come Libero e Il Giornale, cui piace ed è utile frugare in continuazione nel passato del nemico per sottoporre azioni e posizioni di ieri al giudizio di oggi (si veda il caso della foto di Bonino mentre pratica un aborto), indipendentemente dalle condizioni storiche et politiche cui si riferivano.
Detto francamente questa pratica la trovo orrenda: si tratta in pratica di ridurre tutto alla lotta politica odierna, di cui peraltro conosciamo la “bassezza”, producendo una visione piatta del passato, senza più profondità né cura dei dettagli.
Il berlusconismo (atroce parodia della politica), oltre che essere fascinoso per molti liberal/repubblicani, e quindi non solo per gli estremisti banali e i comunisti di un tempo, è contagioso per chiunque, cioè per tutti noi.
Sono d’accordo, Pecoraro, e anziché proporre la lettura dell’articolo di Pace proporrei la visione dell’ultimo film di Polanski. Non solo siamo in presenza di un’opera d’arte, ma si impara anche molto di più sul mondo odierno (non credo che i nordamericani gli perdoneranno questo film), inclusi certi recenti dolorosi “dettagli” afghani. A proposito di questi, noto con dispiacere il silenzio di NI sulla vicenda, nemmeno un link a Emergency….
“Detto francamente questa pratica la trovo orrenda: si tratta in pratica di ridurre tutto alla lotta politica odierna, di cui peraltro conosciamo la “bassezza”, producendo una visione piatta del passato, senza più profondità né cura dei dettagli.”
Che è proprio quello che trovo deplorevole in Pace e negli altri personaggi che citavo.
Ogni volta che leggo queste esegesi sbrigative e rassicuranti del 68, estremista, disperato ecc., mi prende lo scoramento. C’è questa determinazione a farlo rientrare in qualche modo nei ranghi, nei codici, per renderlo rassicurante, e quindi ri-chiuderlo in un cassetto, tra gli oggetti ammuffiti. C’è poi chi spara ad alzo zero, il 68 è stato il prequel del terrorismo ecc. Ognuno ci mette del suo. Ognuno cerca di consolarsi, e di spiegare ciò che non ha mai vissuto, né capito. Insomma, per citare la classica battuta da bar, qua in Italia siamo tutti CT nella Nazionale (di kalcio).
Ma che dire. Il 68 ha fatto delle fabbriche dei teatri e dei teatri delle fabbriche. Ha scardinato i rapporti interpersonali, che scavano ben più in profondità di quelli politici, ha coniugato la psicanalisi con l’antipsicanalisi, e molto altro, direi tutto altro. Sono percorsi molto poco consolatori e rassicuranti questi, meglio pontificare sul PCI e l’estremismo ecc.
Ma: quando vedo dei personaggi che c’erano, e che dovrebbero avere vissuto quel lungo viaggio nella vita, che oggi si mettono a disquisire all’ombra dei moderni predicatori papalini antidivorzisti antiabortisti, rimango incredulo: ma davvero è lui? E’ proprio lui? Ma non sarà una proiezione neuro-cibernetica di un personaggio reale, che un tempo fu in carne ed ossa? E ancora non ci credo. Oppure, se è lui, se sono davvero loro, in realtà non c’erano, erano altrove, avevano solo voglia di fare un po’ di casino, senza capire nulla, senza credere in nulla, proprio come fanno oggi.
Per il resto mi emoziona trovare spesso Tonello qui. L’ho incontrato, in passato, era una delle firme di punta del manifesto, anni ’70. E’ una bella presenza, una mente lucida e uno stile sopraffino.
@baldrati
qui occorre essere sbrigativi, non so dove hai visto dell’esegesi.
se vuoi l’analisi leggiti qualche saggio, così ti passa lo scoramento.
Pecoraro, ti atteggi a “sbrigativo” quando ti tira il culo, e a predicatore quando sei a caccia di consensi facili. L’hai scritto tu: “Le posizioni così dette “estreme” del Sessantotto e dintorni, includendo nei dintorni almeno tutto il successivo decennio di storia italiana, cioè fino allo spartiacque dell’omicidio Moro, erano il prodotto di un’autentica e largamente condivisa disperazione politica che colpì i ventenni di allora”, ma quale “condivisa disperazione”, disperati per i fatti tuoi e lascia in pace chi si è fatto il mazzo anche per te.
@baldrus
Il tuo modo di argomentare è molto convincente e “sbrigativo”.
Mi resta la curiosità di sapere chi è che si sarebbe “fatto il mazzo” anche per me, e quando.
Per quanto riguarda il concetto di “disperazione politica” provo a chiarirne il significato: per disperazione politica di una generazione intendo il fenomeno di diffusa dis-appartenenza che colpì i ventenni a cavallo del Sessantotto e che si estese alla generazione successiva, sino agli inizi degli Ottanta.
In poche parole (sperando che bastino a evitarti ulteriori scoramenti) si tratta di questo: il non riuscire a riconoscersi non solo nelle culture e nelle prassi (educative e non) dei padri – dove per “padri” si intende establishment più o meno consolidato con cui ciascuno di noi si confronta sin dalla nascita, ma anche nelle formazioni politiche allora in corso, diciamo così legale.
Da qui la contraddizione dell’essere senza casa da un lato e del dover aderire, appunto per disperazione e urgenza politica, alla koinè di una casa più antica, il marxismo storico.
Insomma la smania, del tutto giustificata, di rinnovamento, non riuscendo in nessun modo a produrre (almeno in Italia) una vera contro-cultura e una vera contro-politica, sposò inaspettatamente vecchie ideologie e prassi rivoluzionarie, in parte rinnovandole, ma per la maggior parte restandone soffocata.
Eccetera.
Una qualità ti va riconosciuta: sei bravo a raccogliere consensi confezionando piccole sentenze/semplificazioni che soddisfano esigenze latenti. Che in altre parole si chiama populismo. Quale soddisfazione se ne ricavi, è per me un mistero, ma non voglio approfondire. Questa semplificazione: “Insomma la smania, del tutto giustificata, di rinnovamento, non riuscendo in nessun modo a produrre (almeno in Italia) una vera contro-cultura e una vera contro-politica, sposò inaspettatamente vecchie ideologie e prassi rivoluzionarie, in parte rinnovandole, ma per la maggior parte restandone soffocata.” è una riduzione comica di un momento (momento, e non tentativo, va sottolineato) rivoluzionario che non può certo essere incasellato in quella forma di autolesionismo che caratterizza in parte ciò che resta della sinistra di questo paese, per cui tutto va svilito, depotenziato, inserito in una presunta deriva che rovina il proprio patrimonio, la propria conquista e la speranza. Il 68 aveva al suo interno mille tendenze, mille conflitti, ma si trovò una sintesi creativa nel momento rivoluzionario (sconfitto, ma accade sempre, in questa epoca). E se tu sei qua a parlare come parli, su questo sito, è anche grazie a chi si fece il mazzo per scardinare porte e rinnovare linguaggi. Ma tu sei un noto ingrato, un essere a sangue freddo, comunque è giusto che, come tutti, goda di quello che altri ti hanno dato. Ah, cancello dal mio commento la parola “scoramento”, perché mi rendo conto che appartiene a un organismo a sangue caldo, della specie dei mammiferi, che risulta fastidioso a chi, invece, ha scelto (o è stato costretto a) di transitare in quella dei rettili.
Guarda che non vi è in me alcun intento offensivo, ma una volontà di vivere fino in fondo la propria schizofrenia, la propria paranoia e il proprio dolore, che è l’unica possibilità rivoluzionaria che ci resta, soprattutto letteraria. Se sei un rettile, accetta la tua natura. Un tentativo l’avevi fatto, quando ti firmavi Alligator e parlavi di una tua metamorfosi, mi eri piaciuto, ti ho persino ammirato. Invece sei tornato a fare il predicatore da strapazzo.
nessuno mi aveva mai detto che sono un rettile: ne resto deliziato e lusingato.
dico sul serio.
Però non fare del teatro. Tu stesso ti sei definito tale, in una serie di commenti, tempo fa (Il nome te lo inventai io, e anche allora ti deliziò). Sii quindi il rettile che ti piace essere, e perciò non predicare, perché così rischi di fare la fine del Presidente Schreber, che negava la sua vera natura –
Saluti sibilanti
rinuncio a chiedere ulteriori chiarimenti.