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La scimmia infaticabile

di Andrea Inglese

CODA

io da piccolo ero per le scimmie, davvero mi dicevo: “ma guarda le scimmie!, guarda come sono inarginabili, carnevalesche, insolenti le scimmie!”, non dicevo “carnevalesche”, ma dicevo: “forza, ancora, sempre più scimmie! Anzi facciamo tutti quanti le scimmie, imitiamo nel dettaglio le scimmie, sempre più gridando e saltando, arrampicandoci ovunque, mostrando il culo, la lingua, tirandoci l’uccello!”, anche le pantere, sinuose, mute, elegantissime, anche le pantere nere mi piacevano, molto meglio dei leoni, delle tigri, dei leopardi, con un esercito di pantere e scimmie gli adulti erano spacciati, avremmo sconfitto in un quarto d’ora la mia famiglia, e le figure parentali sostitutive, spazzate via nonna zia danda, e tutte quelle canaglie di signore e signori complici, le maestre, i preti, i tutori, sbranati, dileggiati, con le scimmie che pisciavano in testa a tutti, meglio dei crass, di jello biafra, scimmie e pantere molto meglio del punk, scoperto dopo, ultima spiaggia della pernacchia le scimmie in ogni caso, nella loro ingovernabile irriverenza, sono l’energia inaddomesticabile del Trickster, la Briccolandia in armi, il piccolo principe lo farebbero a pezzi dopo un ciclo di lazzi diabolici, le scimmie danzano il MUMBO JUMBO, addestrano i piccoli figli dell’uomo al licenziamento e alla diserzione, mi hanno trasmesso il genio del rutto comandato, l’insolenza come tattica del colpo di tosse, dello svenimento simulato, e l’alibi caratteriale, in classe, quando facevo il gioppino, il muto, il paraplegico, l’annegato, il mostro di lochness, garibaldi ferito ad una gamba, il tonto, lo smemorato di collegno, domenico savio martire, mangiafuoco, gian burrasca, la regina impiccata, il sacco di juta, l’abate faria, cesare sotto i pugnali, l’assiro-babilonese, orzowei, ma soprattutto il gibbone, il macaco, l’orango, il babbuino, il lemure, tutta la varietà dei primati, ero il migliore alunno-scimmia che mai fosse stato prodotto nelle scuole elementari e medie della Repubblica

alle scimmie volevo dare il governo del mondo, il controllo dell’arsenale nucleare, i più avanzati laboratori di microchirurgia, le sinagoghe, le moschee, le cristiche abazie, i dipartimenti di letteratura, i panfili dei consulenti finanziari, gli istituti di credito e di bellezza, l’industria della pornografia asiatica, alle scimmie riconoscevo lungimiranza, riso dianoetico, vanagloria, prestanza cinetica, lascivia, turpitudine spirituale, arte del fallimento, scienza dell’inutile, totale ignoranza della geometria euclidea, alle scimmie volevo bene, ai gorilla sopratutto, così fraterni e protettivi, ma anche agli scimpanzé, che immaginavo sempre intenti a dileggiare nei laboratori squadre di dottorandi e primatologi, quando sotto gli occhi di quest’ultimi eseguono beffarde operazioni d’incastro e selezione solidi, di pigiatura bottoni e spellamento banane

ad un attento esame della letteratura divulgativa e specialistica, risulta chiaro che gli scimpanzé sanno fare più o meno tutto quanto un essere umano, mediamente alfabetizzato, può fare: guidare un trattore, accendersi una sigaretta, dare fuoco a un appartamento, defenestrare un interlocutore esageratamente capzioso, ridacchiare all’entrata del primo ministro, perdere anni di vita alla play-station, spendere denaro in modi fantasiosi, associare culi e facce dei propri conoscenti, giocare a scacchi simulando sbadigli, applaudire mascalzoni durante cerimonie ufficiali, compiere lunghe e complicate operazioni per ottenere un pompino, gli scimpanzé ci sanno fare, ed inoltre, a differenza della specie umana, non si danno arie, non scrivono dichiarazioni universali d’intenti, non sostengono che lamelle di pane contengano pezzi interi dello scimpanzé supremo, amano esser sfaccendati, sfacciati, strafottenti, alle tavole della legge preferiscono la barzelletta senza finale, e soprattutto gli scimpanzé sono eroi del cinema, sbucano ovunque, nei momenti più solenni dell’immaginario collettivo, moderno, claudicante, portano avanti l’interferenza dell’osceno e della derisione, mentre l’attore umano è sempre più equipaggiato, d’armi e automobili micidiali, e veste capi di sartoria sublime, e si muove dentro scenari grandiosi, blocchi immensi di ghiaccio, astronavi alla deriva, saloni astratti nei piani alti di grattacieli, mentre l’uomo è sempre più nocivo, nei suoi atletismi di circostanza, nella sua veste di eroe tecnologico, lo scimpanzé balla a capriole in rasoterra, celebra l’entrata e l’uscita nel nulla, cavalca il caso, la catastrofe, il deragliamento

c’è una grande gratitudine nei confronti di Kubrick, ma anche di Pierre Boule (La planète des singes, 1963), e persino di Franklin J. Schaffner (Il pianeta delle scimmie, 1968), o di Ted Post (L’altra faccia del pianeta delle scimmie, 1970), o di Don Taylor (Fuga dal pianeta delle scimmie, 1971) o di J. Lee Thompson (1999 – Conquista della terra, 1972 e 2670 – Ultimo atto, 1973), mentre c’è un sentimento ambivalente per Tim Burton (Il pianeta delle scimmie, 2001), partito così bene e finito così noiosamente, lui che ha messo sulle zampe le scimmie più belle del cinema, per poi farle soccombere di fronte a un fantoccio umanoide, un big jim della peggior specie, un ragazzotto idoneo a fare il postino in un lungometraggio dell’orrore, c’è comunque gratitudine per questo romanziere francese che tutto ha anticipato, per questo genio del cinema aviofobico, per questi professionisti della 20th Century Fox, che hanno in qualche modo, prima e dopo l’anno mirabile 1968, accolto, cavalcato, la grande onda dell’estremo Occidente, l’onda nata a Berkeley già nel 1964, e arrivata poi attraverso la Flower Power Generation e Timothy Leary fin dentro la sequenza più psichedelica di 2001, il trip nel cunicolo spazio-temporale, che è poi anche il dirupo di coscienza, la grande crepa psichica, gratitudine per aver tenute semiaperte le chiuse, affinché passasse quell’energia, che ha permesso, almeno per qualche anno, di comprendere la straordinaria grandezza morale delle scimmie, di aver lasciato loro spazio per un rovesciamento ideologico, in cui la specie ingorda, la nostra, sia ridotta al ruolo di predecessore infame e idiota, gratitudine anche nei confronti del professor Björn Kurtén, nato a Vasa, che ha sollevato le scimmie dalla colpa di averci generato, noi così scarsamente scimmieschi, perché lo dice chiaro e tondo, che l’ominide omicida viene non dagli alberi ma dalla melma, dai lembi di acqua stagnante, dove qualche pesce si arenò furioso, “le nostre braccia e gambe sono derivate dalle pinne pettorali e pelviche dei pesci crossopterigi, progenitori di tutti i vertebrati terricoli”, ma non finisce qui, perché “i nostri denti, ad esempio, iniziarono la loro storia come rivestimento squamoso del corpo di qualche oscura creatura pesciforme nei mari di più di quattrocento milioni di anni fa”, lo dice questo paleontologo finlandese, bisogna crederci, ha fatto forse dei sopralluoghi, magari spazio-temporali, e ha scagionato le scimmie

ma questa gratitudine non deve tralasciare un vero e proprio ossequio, un inchino di tutto lo spirito, nei confronti dei Grandi Maestri, autori di quel capolavoro che circolò, sotto le fattezze ordinarie di un telefilm per ragazzini, nei primi anni Ottanta, e che lasciava finalmente spazio, al di fuori di ogni pretenziosa cornice umanoide, a loro soltanto, l’élite libertaria dei primati, gli scimpanzé, telefilm che di certo girarono loro stessi, in completa autonomia, da bravi soviet pelosi e ridanciani, e di cui immaginarono pure i copioni, e che si limitavano a uno scimmiottamento insolente, parodico, della società umana, fin nei meandri più noiosi e astenici della vita familiare, di questo telefilm di scimpanzé, che cucinavano, facevano la doccia, giocavano a poker, salivano su scale appoggiate agli alberi da frutta, rincorrevano tacchini, giravano per ospedali in camice, si mettevano l’elmetto da operaio edile o il copricapo da vigile urbano, di questo capolavoro in cui gli scimpanzé, approfittando di una fessura delle telecomunicazioni umane, si presero il gusto di irriderci come specie e, nello specifico, come civiltà capitalistica occidentale, di tutto ciò è sparita traccia non solo materiale – è irreperibile sul web – ma anche mnemonica, nessuno più ne ricorda l’esistenza, non v’è più testimone vivente, se non il sottoscritto, in grado di certificare, di alzare la voce, di gridare al mondo, “sì, io ho visto i telefilm degli scimpanzé, io ricordo questa cosa, posso evocare persino una scena, quella in cui, goffamente vestiti, infilavano alla bell’e meglio delle lenzuola in una finta lavatrice, e delle mutande da donna enormi, con il pizzo, ed erano due scimpanzé, uno che interpretava l’uomo e l’altro la donna”, nessuno vuole più dirlo, nessuno riesce nemmeno a ricordarlo, qualcuno, ai piani alti, con la propaganda, con la telepatia dei nuovi servizi occulti, qualche papa criminale, e tecnologicamente attrezzato, ha cancellato persino la coscienza dell’oblio, il telefilm degli scimpanzé non c’è mai stato, ma questo è falso, ve lo assicuro io, lo dico ora e per sempre, ne ho visti molti episodi, anche se non posso esibire nessuna prova, poiché sono, in definitiva, io stesso la sola prova, potete usarmi, chiamatemi, verrò, ne parlerò, anche senza gettone, solo un sobrio rimborso spese

(Da Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001)

26 COMMENTS

  1. scimmie qui nella stessa funzione che hanno i ragazzi selvaggi in Borroughs, nell’omonimo romanzo ma gia’, ad esempio, in Naked Lunch. ma al diavolo il vizio di ricercare precedenti, fonti, ipotesti. mi piace questa capacita’ di inglese di inventare “cose” in prosa di genere indefinibile, anfibio tra saggio e fiction, metascrittura e pathos. pura prosa, dunque, e mi piace, e’ quello che secondo me resta da fare ora.

  2. c’è ritmo e raffinata ironia…bella, poi, la chiusura. E’ vero, me li ricordo anch’io quei telefilm, impegnato com’ero a “cambiare il mondo”, ricordo comunque d’averli sbirciati mentre se li divorava mio fratello e – incredibile – la mia vecchia – e timorata (di Dio) – mamma.

  3. eh eh, molto bello e divertente, anche se per me le scimmie rappresntano il peggio dell’umano, lo stadio meccanico e imitativo, la bestia che ha già assunto le caratteristiche patetiche dell’umano ( doppiezza percettiva, furbizia, coscienza dell’ego, pseudo-sentimenti ecc.) senza essere ancora acceso da qualche scintilla misteriosa, senza essere attraversato da qualche faglia che lo metta in crisi…

  4. Quello che più mi colpisce di questa “prosa” è il suo ritmo poetico, il suo continuo accumulo di oggetti e di aggettivi, sostantivi qualificanti che scandiscono le righe. è una prosa in linea con la stessa poetica di Inglese e questo susseguirsi di parole suggerisce una “climax” ascendente che connota sempre di più e delimita il campo dell’oggetto descritto. Il caos derivante da questo “accumulo” di parole mi ricorda una poesia dello stesso Inglese (nel mezzo della stanza): “sedie, tovaglie, libri, pagine, stoviglie” e poi “i frammenti, le ciglia, le polveri, lembi di stoffa, schegge, cavi, cornici”. Sembrano “scritture scritte” seguendo il movimento di una telecamera. Le ultime due righe inoltre (da “potete usarmi”….alla fine) mi sembrano proprio la conclusione di una poesia. (del resto mi pare di capire che sono un novenario, un endecasillabo ed infine un altro novenario). Bella prosa-poetica. P. S. Ho letto su “Repubblica” che un gruppo di scienziati sono esaltati perché hanno riscontrato che un gruppo di “scimpanzè è pronto ad uccidere per conquistare il territorio” (http://www.repubblica.it/scienze/2010/06/22/news/battaglia_scimpanze-5047002/). Beh che dire.

  5. Salvatore!!!!
    Dunque anche tu ricordi? Non sono il solo allora.
    Dammi dati ullteriori? Ti ricordi quale canale trasmetteva quei benedetti telefilm? Ti ricordi precisamente quale anno fosse?

  6. Anche a me piacciono le scimmie, tanto tanto. Non ho visto la serie che dice Inglese, anche se propendo a pensare che se la sia giustamente inventata per puntellare il suoi bel ragionamento. Io invece sono relativamente sicuro di aver visto un lungo film, a fuori orario, di un regista russo che si dovrebbe chiamare Ingosib De Baragulov, dal titolo “ Obez’jany Aleksandrii “ (Le scimmie di Alessandria). Egli inventa un mondo futuro popolato da sole scimmie letterate in una ritrovata Alessandria. Immagino. La storia parte dalle quattro scimmie sacre, grandi più o meno come King Kong. Lì per lì a guardarle fanno paura. L’inquadratura è stretta su di loro, esseri primordiali, che grugniscono e tirano pugni all’indietro al costone di montagna che fa loro da sfondo, sbriciolandolo sempre di più. Poi c’è un controcampo in panoramica e si vede tutta una folla di scimmie di tutti i tipi in fila indiana per depositare vivande ai piedi dei giganti, ai quali si inchinano, una per volta, chiamandoli più volte GRANDI EDITORI, facendo una breve preghiera INGINOCCHIATI prima di andarsene. Dall’ordine con cui questo avviene si intuisce che gli scimmioni King Kong sono esseri sacri ai quali ognuno sacrifica una gran parte delle quotidiane vivande per il bene della comunità. Si immagina che gli scimmioni si approfittino un po’ di questa devozione, ma va bene così.

    Stacco. Siamo al villaggio in un tempo non relazionabile alle scene precedenti. C’è al centro una immensa biblioteca, grande anche di più di tutte le cattedrali messe insieme. Immagino. La vita si svolge serena. Tutti sono impegnati nella lettura camminativa lentica a voce alta, come Sant’Agostino, tutti si scambiano opinioni, tutti irridono e sbeffeggiano. A parte una speciale specie di scimmie, chiamate di Pordenone, una specie protetta di cui sono rimasti solo 140 esemplari, che se ne stanno rinchiusi in un circolo esclusivo a leggere concentrati e a voce bassa, che infastidiscono tutta la comunità. Immagino. Da fuori si vedono delle scimmie di specie operaia che infaticabilmente trasportano libri con delle carriole con su scritto “ novità “. Qui immedesimazione e pathos dello spettatore specifico vanno al massimo, anche per via che siamo entrati nel sociale della condizione operaia.

    Dopo questa bella scena mi sono addormentato. Al risveglio, non so quante ore dopo, si era sempre allo stesso film, ma c’erano scene più introspettive, come mi aveva cautamente anticipato Ghezzi nella sua introduzione orale fuori tempo. Si era ora in una bellissima torre con scimmie raffinatissime chiamate di sinistra, ce n’erano alcune di piccolissime che stavano nel palmo di una mano, facendosi pettinare la spocchia e laccare le unghia dalle loro belle curatrici. A questo punto riapparve Ghezzi per concludere l’introduzione. Disse in sostanza, immagino, che De Baragulov era un genio visionario che si era meritata la sua attenzione, che lui l’aveva finalmente scoperto e introdotto per via orale a noi straccioni di pubblico insonne. Ma non finì neanche il ragionamento che partì Rainews 24 per dire che ci vorrebbero tutti imbavagliare, dormienti e, soprattutto, insonni. Bisognava lottare, altrimenti fine delle introduzioni orali. Boh, immagino che me ne andai a dormire.

    Ps: il genio De Baragulov, che conobbi in seguito, immagino, mi aggredì anche un po’ maleducato – mentre facevo gli interiorismi, esteriorismi e umorismi mii – per domandarmi secco: “ Larry, scusa, ma questo Enrico Ghezzi che va fuori tempo mentre fa l’introduzione orale agli italiani insonni, chi cazzo è? “ (immagino mi abbia detto così, perché De Baragulov parla russo stretto e io non capisco una sola parola)

  7. Se la memoria non m’inganna era l’anno 1980 o 1981 , il canale (forse) era Italia 1 e la serie televisiva americana era del 1974 , in 14 episodi di un’ora ciascuno, della Twentieth Century Fox, basata proprio sul film PLANET OF THE APES (1968) di Franklin J. Schaffner, interpretato da Charlton Eston e tratto dal romanzo di Pierre Boulle.
    Mi ricordo che mi colpiva il doppiaggio del giovane personaggio -scimmia Alan, eseguito da Biagio Pelligra, che aveva ed ha una voce molto chiara e squillante (tra l’altro tra gli interpreti di Allonsanfan e soprattutto di molti “polizieschi all’italiana” con Maurizio Merli e Mario Merola degli anni 1979-84). Tra le “star” della serie Tv c’erano anche Benley Garland e Sondra Locke.

    Comunque, se ti interessa, edita dalla Twentieth Century Fox, trovi a € 25,99 una edizione in quattro dvd per la durata complessiva di 6 ore.

  8. Ancora, in rete ho trovato una scheda della serie con la storia e i “crediti”. La posto qui sotto, anche perchè LM si dia contezza che non ti sei inventato nulla, quanto alla serie televisiva , si capisce :

    LA STORIA
    La serie ripercorre la trama dell’originale
    cinematografico ed è ambientata qualche secolo prima
    dell’arrivo del capitano Taylor.
    Nel 1980 tre astronauti Virdon, Burke e Jones partono a bordo della
    Icarus per una missione spaziale ma, a causa di un’anomalia, l’astronave
    viene sbalzata avanti nel tempo di circa 1100 anni per schiantarsi
    sulla Terra del 3085. Nell’impatto Jones perderà la vita
    e Virton con Burke si troveranno su una Terra devastata dalla catastrofe
    nucleare e dove le scimmie si sono evolute al punto da schiavizzare
    gli esseri umani.
    La serie TV è ambientata circa ottocento anni prima del del
    film e questa volta gli umani sono un po’ più evoluti e sopratutto
    dal punto di vista politico le scimmie non sono esattamente unite.
    Le tre specie di scimmia che compaiono nel telefilm sono babbuini,
    gorilla e scimpanzè. Questi ultimi più miti sono contrari
    alle politiche aggressive dei furbi babbuini che comandano il pianeta
    avvalendosi della brutalità dei gorilla.
    Proprio fra gli scimpanzè Virton e Burke trovano il loro
    alleato ed amico Galen che cresciuto secondo ideali di libertà
    e di giustizia crede nella possibilità di una pacifica convivenza
    fra uomini e scimmie e farà di tutto per aiutare i due umani
    a tornare a casa.
    Per poter tornare indietro i due astronauti hanno un unica speranza:
    decifrare i contenuti di un disco di computer recuperato dalla Icarus
    e per fare ciò l’unico modo è riuscire a trovare un
    elaboratore elettronico ancora funzionante. Così Virdon e
    Burke accompagnati dal loro amico Galen vagano per città
    e villaggi alla ricerca della tecnologia necessaria braccati dalle
    truppe di gorilla comandate dal perfido Generale Urko che ha l’ordine
    di catturare i due umani per portarli al cospetto del presidente
    dell’Alto Consiglio, il babbuino Zaius.
    CURIOSITA’
    Roddy McDowall ha interpretato tre diversi scimpanzè nella
    saga.
    – Cornelius ne “Il Pianeta delle Scimmie” e “Fuga
    dal pianeta delle scimmie”
    – Ceaser in “1999: conquista della Terra” e “2670:
    ultimo atto”
    – Galen nella serie televisiva
    Il tredicesimo episodio della serie “Il Liberatore”(”the
    Liberator”) non fu mai trasmesso sulla CBS ma per la prima
    volta su Sci-Fi Channel-
    PERSONAGGI
    Alan Virdon – Ron Harper
    Peter Burke – James Naughton
    Galen – Roddy McDowall
    Zaius -Booth Colman
    Generale Urko – Mark Lenard
    CREDITS
    Titolo
    Originale: “Planet
    of the Apes – TV Series”
    Creato da:
    Pierre Boulle
    Musiche: Lalo Schifrin
    Produttore esecutivo: Herbert
    Hirschman
    Produzione: 20th Century
    Fox
    Episodi: Una sola stagione
    di 14 episodi da circa un’ora trasmessi per la prima volta
    sulla CBS nel 1974

  9. @ D’Angelo
    Planet of the Apes mi sembra sia del 79. Visto a Milano a settembre di quell’anno.

  10. @Carlo Capone

    Titolo originale Planet of the Apes
    Paese USA
    Anno 1968
    Durata 112 min
    Colore colore
    Audio sonoro
    Genere fantascienza
    Regia Franklin J. Schaffner
    Soggetto Pierre Boulle (romanzo)
    Sceneggiatura Michael Wilson, Rod Serling
    Interpreti e personaggi
    Charlton Heston: George Taylor
    Roddy McDowall: Cornelius
    Kim Hunter: Zira
    Maurice Evans: Dr. Zaius
    James Whitmore: Presidente dell’assemblea
    James Daly: Dr. Honorious
    Linda Harrison: Nova
    Robert Gunner: Landon
    Lou Wagner: Lucius
    Jeff Burton: Dodge
    Woodrow Parfrey: Dr. Maximus

    Doppiatori italiani
    Renato Turi: Charlton Heston
    Massimo Turci: Roddy McDowall
    Vittoria Febbi: Kim Hunter
    Alessandro Sperlì: Maurice Evans
    Bruno Persa: James Whitmore
    Manlio Busoni: James Daly
    Luciano De Ambrosis: Robert Gunner
    Vittorio Stagni: Luo Wagner
    Sergio Tedesco: Jeff Burton

    Fotografia Leon Shamroy
    Montaggio Hugh S. Fowler
    Effetti speciali L. B. Abbott, Art Cruickshank, Emil Kosa Jr.
    Musiche Jerry Goldsmith
    Premi
    Premio Oscar alla carriera per John Chambers (truccatore)
    Nomination all’Oscar per i migliori costumi e migliore colonna sonora
    La Library of Congress ha selezionato il film per la conservazione per il suo valore culturale

    Nel 2001 Tim Burton ne ha fatto un remake abbastanza deludente.
    No, PLANET OF THE APES è del 1968, e la scena finale, di grande effetto, dove il Capitano Taylor (Charlton Eston), giunto su una spiaggia scopre a poco a poco ( e noi con lui attraverso la lenta e graduale apertura di campo) di trovarsi di fronte al relitto semisepolto della Statua della Libertà – e dunque prende finalmente coscienza che quel misterioso pianeta dove dominano le scimmie, in realtà è la Terra-, fu tipica dello spirito di quegli anni. Anche 2001 Space Odyssey, di Kubrick è del 1968.
    Il Pianeta delle Scimmie (il film) ricordo d’averlo visto nel 1970, ad Alatri dove studiavo. Avevo 16 anni. Se ti riferisci al film, forse l’hai visto in un film d’essai. Se alla serie televisiva, forse hai ragione: essa è stata trasmessa in Tv non più tardi del 1981,
    Ma qui Inglese si riferisce alla serie televisiva successiva al successo del film.

  11. No ragazzi non ci siamo.

    Della serie cinematografica che parte con il film del 1968 è tutto noto ufficialmente, dei telefilm pure, anche se meno reperibili.

    Ma nessuno, per ora, ha parlato dei telefilm interpretati dagli scimpanzè a cui mi riferisco io, e che non hanno nessun riferimento alla saga nata dal libro di Boule. Si trattava di telefilm per bambini, al massimo ragazzi.

    Dunque, come pensavo, sono riusciti a cancellarne ogni traccia dai vostri cervelli….

    Come

  12. Mi correggo:l’infallibile Raos ha pescato le pezze d’appoggio. Bravo andrearà.

  13. ahah, io me me lo ricordo quel telefilm. scimmie coi cappellini e il pince nez che prendono il the, questa scimmia che interpretava una vecchia. mi ricordo anche il padre vestito da padre di famiglia. però è vero, non ricordo trame, c’erano loro che facevano cose, una specie di teletubbies primati. interessante la riflessione.

  14. @ Salvatore D’Angelo

    l’ho visto nella tarda primavera del 79 al Durini di Milano, su questo non ho dubbi. Andai alla proiezione delle 18, per rilassarmi dopo la giornata in fabbrica (all’epoca, incredibile a dirsi, Milano era una città industriale….)

    Che ti devo dire, l’avranno proiettato 11 anni dopo. Boh

  15. ma il punto focale, glissiamo?

    Sir. Inglese, se lei non posta a breve un video in cui si produce nella famosa figura “Garibaldi-ferito-ad-una-gamba” denuncio NI a delle autorità a casaccio…

  16. Balle,…scimmie troppo umane…non sopravviveranno..il contagio è universale,spazio ai cobra,ai ragni e agli scorpioni,resistono alla bomba,ai bacherozzi,alle amebe…,all’ornitorinco più prezioso d’ogni umano,…il pianeta è vostro,tenetelo voi…
    noi siamo in troppi,neppur quotati in borsa,che può valer un uomo,sei miliardi e legge di mercato,nothing…solo filosofie da caminetto e delinquenti con pistole a venti colpi,… dobbiamo andare,
    è tardi,molto è stato fatto e ancor più disfatto…
    dov’è che andiamo?..
    finalmente,a farci fottere.

  17. finalmente un po’ di sano ottimismo Doe, qui nella rovente e brulla Sierra Madre….

  18. ….senza tesori…senza Bogart…sanza denari….sanza calzari… e sol dell’avvenire….merveilleux..branca,branca,branca….menta,menta,menta..ci rivedremo a Filippo…l’amico dei cavalli…come si fa a non esser ottimisti!

  19. …anche Bruto e Cassio…ne eran ghiotti,every morning a colazione…peccato non da Tiffany…magari avrebbero spupazzato un po’ la Audrey..e chissà…

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.