carta st[r]ampa[la]ta n.22

di Fabrizio Tonello

Confesso: la vita dei giornalisti delle pagine culturali mi affascina, forse perché in Italia “pagine culturali” è un ossimoro, come “ghiaccio bollente”, “Berlusconi incensurato” o “Scajola cosciente di ciò che accade intorno a lui”. Nelle sezioni Cultura (di solito accuratamente nascoste tra i listini di Borsa e il gossip televisivo) gli infelici redattori che abbiamo descritto su Nazione Indiana la settimana scorsa convivono faticosamente con “le Firme”.

Le Firme sono il fiore all’occhiello del giornale, gli intellettuali che il direttore vuole assolutamente far scrivere e (un tempo) arruolava con contratti milionari. Ora sono piuttosto loro, le Firme, che andrebbero ogni settimana a farsi cavare un litro di sangue pur di apparire a Domenica In o di firmare 50 righe nelle auguste pagine del Corriere o dell’inserto domenicale del Sole (il foglio e il manifesto riscuotono un successo di stima ma sono considerate solo come tappe per essere promossi in serie A). Solo che una volta le Firme erano Montale, Buzzati, Volponi, Pasolini; adesso sono Gianluca Nicoletti, Mina e Simona Ventura.

Anche il Giornale ha le sue Firme, in particolare Marcello Veneziani, la cui produzione editoriale è sterminata: ha collaborato praticamente a tutti i giornali d’Italia, compreso il fascistissimo Borghese, ha scritto libri con tutti gli editori, per esempio Ciarrapico, quello accusato di aver arraffato contributi pubblici per 20 milioni di euro con giornali di forte impronta culturale come Ciociaria Oggi. Sul suo sito web, Veneziani, afferma di essere posseduto dalla “inquietudine del viandante” : infatti è passato dalle edizioni Settimo Sigillo alla più redditizia Mondadori, dalla scomparsa SugarCo alla frizzante Fazi.

Al Giornale, Veneziani si occupa di un po’ di tutto ma mercoledì 30 giugno (p. 34) si cimentava con un pezzo di storia intitolato, niente meno, “Così i camalli affondarono la democrazia dell’alternanza”. Congratulazioni al caporedattore che ha messo la parola “camalli” nel titolo, difficilmente comprensibile per i suoi lettori in quanto desueta: oggi i portuali genovesi vengono probabilmente chiamati “operatori alle banchine” o qualcosa di simile. Ma vediamo quali sono le tesi del giornalista-scrittore-filosofo sugli avvenimenti del luglio 1960.

Ce lo dice il sottotitolo: “Il 30 giugno di cinquant’anni fa i portuali misero Genova a ferro e fuoco”. Belìn, “a ferro e a fuoco”. La foto su tre colonne che illustra l’articolo mostra gruppetti di persone in mezzo ai tavolini rovesciati di un bar, non precisamente un’immagine tipo Baghdad. E’ vero che ci furono scontri per varie ore tra la Celere e i giovani che manifestavano contro il congresso dell’Msi ma non ci fu nemmeno un morto, né tra i poliziotti né tra i dimostranti, e l’episodio più grave fu il caso di un dirigente degli odiati celerini gettato dai “feroci camalli”, come li definisce l’autore, nella fontana di piazza De Ferrari. Suvvia Veneziani, “a ferro e a fuoco”: guarda che gli archivi dei giornali dell’epoca adesso sono disponibili anche on line, non si possono sparare balle troppo grosse.

La tesi dell’articolo è che il governo Tambroni , “il primo governo di centro-destra che godeva dell’appoggio esterno dell’Msi” era “legittimamente uscito dalle urne” e fu rovesciato “da un vero e proprio golpe di piazza” organizzato dai portuali comunisti e dal “violento” Sandro Pertini.

Il filosofo di Bisceglie dichiara sul proprio sito che “non pretende di scoprire verità che nessuno finora aveva mai pensato o conosciuto” e quindi è necessario dargli un piccolo aiuto sulla faccenda del governo Tambroni “legittimamente uscito dalle urne”. Nella primavera 1960 non c’erano affatto state elezioni: il 24 febbraio si era dimesso il governo Segni per contrasti interni alla DC, come spesso accadeva a quei tempi, e ci furono vari tentativi di comporre un nuovo esecutivo, tra cui un incarico a Fanfani, che rinunciò il 22 aprile. Solo allora il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi diede l’incarico a Ferdinando Tambroni, che il 29 aprile ottenne la fiducia con i voti missini. Non c’era stata alcuna campagna elettorale di un “centrodestra” contro un “centrosinistra” e la “democrazia dell’alternanza” era di là da venire: furono le varie correnti democristiane a dilaniarsi tra loro e la reazione di Genova fu contro il congresso dell’Msi, allora guidato da un gerarca della repubblica di Salò, un fascista fatto e finito come Giorgio Almirante.

Sempre il filosofo di Bisceglie, che non troppo tempo fa era alla ricerca della sposa invisibile “che si nasconde dietro mille volti: il primo amore, la madre perduta, l’autrice celata, la prostituta, la dea…” , continua nella sua opera storiografica sull’anno 1960: “Anche la guerra fredda, con l’avvento di Krusciov e Kennedy si era intiepidita”. Vediamo, vediamo, il 30 giugno 1960: Krusciov e Kennedy cosa facevano? Il primo si preparava alla famosa seduta del 12 ottobre alle Nazioni Unite quando, infuriato dall’intervento del delegato filippino, si tolse una scarpa per sbatterla più volte sul banco dietro cui stava: un momento in cui, ai diplomatici occidentali, non apparve affatto tiepido. Quanto al compianto Kennedy, doveva ancora diventare presidente perché in giugno 1960 alle elezioni mancavano parecchi mesi e Richard Nixon era un avversario formidabile: JFK sarebbe stato eletto (con un forte sospetto di brogli) solo in novembre e sarebbe entrato in carica solo nel gennaio 1961. Tra l’altro, in politica estera, il candidato democratico, aveva una posizione estremamente bellicosa, accusando l’amministrazione Eisenhower di aver lasciato i russi prendere un vantaggio nella produzione di missili (l’inesistente missile gap di cui molto si discusse in quei mesi). Altro che “intiepidimento”.

Veneziani conclude che “quando si parla del rumore di sciabole dei militari e carabinieri italiani, e della strisciante tentazione golpista che attraversò l’italia tra il ’64 e il ’70 (…) si deve considerare quel precedente genovese che rendeva impossibile la nascita per vie democratiche di un centro-destra in Italia”. Magari le idee di un golpe (di Freda, Ventura, Rauti, Valerio Borghese e qualche altra decina di missini o ex missini) furono un po’ più di una “tentazione”: il piano di colpo di Stato del generale De Lorenzo arrivò allesoglie della realizzazione, le bombe a Milano del 1969 facevano parte di una strategia della tensione che doveva provocare la nascita di un governo autoritario, così come gli attentati sui treni per cui fu condannato Mario Tuti negli anni ’70 e la bomba di Bologna nel 1980. Per fortuna che il nostro filosofo, ammorbidito dall’età nonostante l’aspetto giovanile, scrive, con magnanimità, che a Genova “forse fece bene la polizia a non rispondere col fuoco”. Almeno nel 1960: cosa fece nel 2001 (con l’entusiastica approvazione di Veneziani) lo sappiamo bene.

[ndr. avrete tutti riconosciuto nell’immagine in apice un fotoritocco, su pacifico fondo azzurro, del “violento Sandro Pertini”]

32 COMMENTS

  1. Dover leggere tutte queste righe sull’idiozia non disinteressata di Veneziani mi sembra troppo.

  2. Professore di Scienza dell’Opinione Pubblica (?)….ma lei e Veneziani,di che state discutendo…son più attuali le guerre puniche!
    Ma per favore..

  3. Invece, un “Tonello al giorno toglie il medico di torno”! Ottima sentinella smaschera cazzate, col giusto umorismo ( E NON SOLO), che di questo si tratta con le sue carte strampalate.

  4. Stupisce davvero la vocazione alla mistificazione dimostrata da certi “filosofi” (?!?) che, riplasmando eventi storici di cui molti più giovani non sono affatto a conoscenza, tentano un lavaggio del cervello di chi ignora certi avvenimenti ed il loro contesto di svolgimento, andando a concimare un grasso humus su cui impiantare i germogli dell’ossequio ai diversi e probabili regimi.
    Inquietante, direi pure.

    mdp

  5. è però sgradevolissimo quel reiterato “filosofo di bisceglie”. a questo punto perchè non chiamare carmelo bene “attore e autore teatrale di otranto”?

    ma dai…

  6. ps: questo per dire che questo pezzo – che può essere condivisibile in molte sue parti – manca, nella forma, del rispetto dell’avversario. bisognerebbe colpire l’avversario senza queste “trovate” di bassa lega, a mio avviso.

  7. @franz krauspenhaar

    caro franz sei fuori strada, credo. Non si tratta di “trovate di bassa lega”, ma di uno dei codici costitutivi del “genere” di scrittura, cioè del corsivo satirico. A tal proposito, ti segnalo maestri quali Mauro Melloni (Fortebraccio) e il suo degno erede Marco Travaglio, che stamani sul FATTO QUOTIDIANO ha presentato una perla delle sue migliori, dedicata a James ….Bondi.
    Il problema è che quando un filosofo arriva a tali livelli di pressapochismo e di distorsione dei fatti della cronoca , per piegare la storia recente a una “lettura” ad usum regiminis corrente, beh, viene meno alla sua stessa definizione di “filosofo” ( a prescindere che sia di destra o di sinistra). E dunque, non rimane che farne dell’umorismo. Tale quello di Tonello.

    @ The O.C.

    Personalmente non so chi sia Tonello, cosa faccia e in quali “giochi” o “cordate” sia inserito nella lotta quotidiana a colpi di gomito…ché a ciò fa pensare il tuo commento. Ogni tanto lo leggo qui su NI e spesso trovo intelligenti e divertenti le sue “Carte Strampalate”. Tutto qui. Sono estraneo a tutto il resto.Amen.

  8. fortebraccio era un grande, effettivamente. travaglio non lo digerisco, come i peperoni. il suo umorismo è quello del primo della classe, un po’ nevrotico. è stridulo.non arriva a tali picchi melloniani. ma il suo maestro (del robespierre della carta stampata, dico) non è stato indro montanelli???

    e definire veneziani “il filosofo di bisceglie” è “stridulo”. sa di acido, ma non solforico. gastrico.

  9. Certo che è stato Montanelli. Ma io parlavo di “eredi” . E di certo Travaglio, in quanto al genere del “corsivo satirico” è di sicuro più degno erede di Fortebraccio che di Montanelli. E certo, stando alle incredibili “evoluzioni” politico-dialettiche-opportunistiche di personaggi quali James Bondi & C. (Che dire di Quagliariello, poi, uno fra i tanti..che ricordo benissimo nella mia gioventù, che s’ergevano a “radicali” incendiari e mangiapreti e – essi sì primi della classe – pronti a far la lezione sempre ai comunisti , sul quale carro erano prontamente saliti – Bondi, sindaco di Fivizzano, 1976, vista “l’onda” di allora, salvo a scenderne durante il “riflusso” (1979-1983), dicevo, di fronte a simili spettacoli Travaglio farebbe bene – anzi benissimo – ad assumere l’aria di “primo della classe” (che non ha), tanto per ricordar loro le regole elementari di una etica “liberal” in campo giornalistico e non solo. E poi, dipingere uno come Bondi quale “Cantatrice calva” “Pallore Gonfiato” e “Vate di Fivizzano” , alludendo alle sue straordinarie performances poetiche… dài, vuoi mettere…. Mi fa ricordare , appunto, Fortebraccio al suo meglio quando dipingeva Cariglia, Orlandi , Pietro Longo & C. , la vecchia banda del fu PSDI, in divisa da MP (Military Police) americana e ..via satireggiando. E dunque, che sarà mai un “filosofo di bisceglie” (pagliuzze) per un Veneziani che le spara così grosse – e senza pudore- sui fatti del luglio 1960, dove morirono per mano della polizia cinque giovani dimostranti ( i “morti di Reggio Emilia”, da cui una famosa canzone politica), tentando di rovesciare la cronaca, confidando sulla “smemoratezza” di massa, già ampiamente anestetizzata grazie alla marmellata dei media dell’eterno presente… Massì Franz, bevici su uno di quegli straordinari liquorini alle erbe, e vedrai che , con i peperoni, digerirai meglio anche…Travaglio! Absit iniuria verbis, eh!

  10. Comunque, tornando un po’ al serio – e tanto per dimostrare che in rete c’è tanta più serietà storiografica e più rigore rispetto alle “gazzette di regime”, metto qui di seguito una nota informativa sui “Morti di reggio Emilia” (7 luglio 1960 , toh, domani corre il cinquantesimo anniversario…e allora si capisce meglio l’operazione del “filosofo di bisceglie” ). In quell’estate furono 11 i morti e più di 350 feriti in Italia, sacrificati – secondo il tradizionale squallore della politica italiana -al tentativo estremo di opporsi all’inevitabile apertura al “centro-sinistra”, giusto per aggiornare un po’ l’impresentabile facciata del potere democlericale all’incipiente avanzare del boom economico (11 morti e 350 feriti nel 1960, nel cuore dell’Europa ..altro che Repubblica delle banane!)

    I morti di Reggio Emilia – I morti del luglio 1960
    Scheda a cura di Girolamo De Michele

    Il 7 luglio 1960, nel corso di una manifestazione sindacale, cinque operai reggiani, tutti iscritti al PCI, sono uccisi dalle forze dell’ordine. I loro nomi, immortalati dalla celebre canzone di Fausto Amodei “Per i morti di Reggio Emilia”: Lauro Ferioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli. I morti di Reggio Emilia sono l’apice – non la conclusione – di due settimane di scontri con la polizia, alla quale il capo del governo Tambroni ha dato libertà di aprire il fuoco in “situazioni di emergenza”: alla fine si conteranno undici morti e centinaia di feriti. Questi morti costringeranno alle dimissioni il governo Tambroni, monocolore democristiano con il determinante appoggio esterno dei fascisti del M.S.I. e dei monarchici, e apriranno la strada ai futuri governi di centro-sinistra. Ma soprattutto, contrassegneranno in modo repentino un radicale mutamento di clima politico nel paese: l’avvento della generazione dei “ragazzi con le magliette a righe”. Sino a quel momento i giovani erano considerati come spoliticizzati, distanti dalla generazione dei partigiani e orientati al mito delle “tre M” (macchina, moglie, mestiere): la giovane età di tre delle cinque vittime testimonia invece la presa di coscienza, in forme ancor più radicali della generazione che aveva resistito negli anni Cinquanta, di un nuovo proletariato giovanile. Di questo mutamento di clima – dalla disperata tristezza per il revanchismo fascista alla rinascita della speranza dopo i fatti di luglio – sono testimonianza la poesia di Pasolini “La croce uncinata” (aprile 1960) e l’articolo “Le radici del luglio” (Vie nuove, 29 ottobre 1960).

    Il contesto storico-politico

    Il 25 marzo 1960 il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi conferisce l’incarico di formare il nuovo governo a un democristiano di secondo piano, Fernando Tambroni, avvocato quasi sessantenne ed esponente della sinistra democristiana, attivo sostenitore di una politica di “legge ed ordine”. La sua designazione segna un punto di svolta all’interno di un’acuta crisi politica, con pesanti risvolti istituzionali. La politica del centrismo è ormai esaurita, ma le trattative con il Partito Socialista di Pietro Nenni per la formazione di un governo di centro-sinistra non sembrano in grado di partorire la svolta politica, auspicata e preparata dall’astro nascente della DC Aldo Moro, che nell’ottobre 1959 aveva aperto ai socialisti affermando il carattere “popolare e antifascista” della DC in occasione del congresso democristiano svoltosi a Firenze. Il governo Tambroni ha al suo interno una forte presenza di uomini della sinistra democristiana, ma ottiene la fiducia alla camera solo grazie ai voti dei fascisti e dei monarchici. La direzione della DC sconfessa l’operato del gruppo parlamentare, e tre ministri (Sullo, Bo e Pastore) aprono una crisi che si conclude col rinvio alle Camere del Governo, con l’invito del presidente Gronchi a sostituire i tre ministri riottosi. In questo modo Gronchi esplicitava la proposta politica di un “governo del Presidente” che cercava spregiudicatamente i suoi consensi in aula con chiunque fosse disponibile ad appoggiarlo: una soluzione autoritaria, come lo era del resto la proposta di un “gollismo italiano” caldeggiata da Fanfani, volta a sminuire le prerogative del Parlamento davanti al rischio di un ingresso dei socialisti nella maggioranza. Degna di nota la presenza nel governo di due uomini del “partito-Gladio”: Antonio Segni (agli Esteri) e Paolo Emilio Taviani, (oltre all’immancabile Giulio Andreotti, Oscar Luigi Scalfaro e Benigno Zaccagnini).

    Da Genova a Reggio Emilia

    Nel giugno il MSI annuncia che il suo congresso nazionale si terrà a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, e che a presiederlo è stato chiamato l’ex prefetto repubblichino Emanuele Basile, responsabile della deportazione degli antifascisti resistenti e degli operai genovesi nei lager e nelle fabbriche tedeschi. Alla notizia Genova insorge. Il 30 giugno i lavoratori portuensi (i cosiddetti “camalli”) risalgono dal porto guidando decine di migliaia di genovesi, in massima parte di giovane età (i cosiddetti “ragazzi dalle magliette a righe”), in una grande manifestazione aperta dai comandanti partigiani. Al tentativo di sciogliere la manifestazione da parte della polizia, i manifestanti rovesciano e bruciano le jeep, erigono barricate e di fatto si impadroniscono della città, costringendo i poliziotti a trincerarsi nelle caserme. In piazza De Ferrari viene acceso un rogo per bruciare i mitra sequestrati alle forze dell’ordine. Il prefetto di Genova è costretto ad annullare il congresso fascista. In risposta alla sollevazione genovese Tambroni ordina la linea dura nei confronti di ogni manifestazione: il 5 luglio la polizia spara a Licata e uccide Vincenzo Napoli, di 25 anni, ferendo gravemente altri ventiquattro manifestanti. Il 6 luglio 1960 a Roma, a Porta San Paolo, la polizia reprime con una carica di cavalleria (guidata dall’olimpionico Raimondo d’Inzeo) un corteo antifascista, ferendo alcuni deputati socialisti e comunisti.

    Il 7 luglio

    La sera del 6 luglio la CGIL reggiana, dopo una lunga riunione (la linea della CGIL era sino a quel momento avversa a manifestazioni politiche) proclama lo sciopero cittadino. La polizia ha proibito gli assembramenti, e le stesse auto del sindacato invitano con gli altoparlanti i manifestanti a non stazionare. Ma l’unico spazio consentito – la Sala Verdi, 600 posti – è troppo piccolo per contenere i 20.000 manifestanti: un gruppo di circa 300 operai delle Officine Meccaniche Reggiane decide quindi di raccogliersi davanti al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta. Alle 16.45 del pomeriggio una violenta carica di un reparto di 350 celerini al comando del vice-questore Giulio Cafari Panico investe la manifestazione pacifica: “Cominciarono i caroselli degli automezzi della polizia. Ricordo un’autobotte della polizia che in piazza cercava di disperdere la folla con gli idranti”, ricorda un testimone, l’allora maestro elementare Antonio Zambonelli. Anche i carabinieri, al comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica. Incalzati dalle camionette, dalle bombe a gas, dai getti d’acqua e dai fumogeni, i manifestanti cercano rifugio nel vicino isolato San Rocco, “dove c’era un cantiere, ricorda un protagonista dei fatti, Giuliano Rovacchi. Entrammo e raccogliemmo di tutto, assi di legno, sassi…”. “Altri manifestanti, aggiunge Zambonelli, buttavano le seggiole dalle distese dei bar della piazza”. Respinti dalla disperata sassaiola dei manifestanti, i celerini impugnano le armi da fuoco e cominciano a sparare: “Teng-teng, si sentiva questo rumore, teng-teng. Erano pallottole, dice Rovacchi, e noi ci ritirammo sotto l’isolato San Rocco. Vidi un poliziotto scendere dall’autobotte, inginocchiarsi e sparare, verso i giardini, ad altezza d’uomo”.

    In quel punto verrà trovato il corpo di Afro Tondelli (1924), operaio di 35 anni. Si trova isolato al centro di piazza della Libertà. L’agente di PSOrlando Celani estrae la pistola, s’inginocchia, prende la mira in accurata posizione di tiro e spara a colpo sicuro su un bersaglio fermo. Prima di spirare Tondelli dice: “Mi hanno voluto ammazzare, mi sparavano addosso come alla caccia”. Partigiano della 76a Sap (nome di battaglia “Bobi”), è il quinto di otto fratelli, in una famiglia contadina di Gavasseto. Sposato, è segretario locale dell’Anpi.

    Davanti alla chiesa di San Francesco è Lauro Farioli, 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bimbo. Lo chiamavano “Modugno” grazie alla vaga somiglianza con il cantante. Era uscito di casa con pantaloni corti, una camicetta rossa, le ciabatte ai piedi: ai primi spari si muove incredulo verso i poliziotti come per fermarli. Gli agenti sono a cento metri da lui: lo fucilano in pieno petto. Dirà un ragazzo testimone dell’eccidio: “Ha fatto un passo o due, non di più, e subito è partita la raffica di mitra, io mi trovavo proprio alle sue spalle e l’ho visto voltarsi, girarsi su se stesso con tutto il sangue che gli usciva dalla bocca. Mi è caduto addosso con tutto il sangue”.

    Intanto l’operaio Marino Serri, 41 anni, partigiano della 76a brigata si è affacciato piangendo di rabbia oltre l’angolo della strada gridando “Assassini!”: cade immediatamente, colpito da una raffica di mitra. Nato in una famiglia contadina e montanara poverissima di Casina, con sei fratelli, non aveva frequentato nemmeno le elementari: lavorava sin da bambino pascolando le pecore nelle campagne. Militare a 20 anni, era stato in Jugoslavia. Abitava a Rondinara di Scandiano, con la moglie Clotilde e i figli.

    In piazza Cavour c’è Ovidio Franchi, un ragazzo operaio di 19 anni. Viene colpito da un proiettile all’addome. Cerca di tenersi su, aggrappandosi a una serranda: “Un altro, racconta un testimone, ferito lievemente, lo voleva aiutare, poi è arrivato uno in divisa e ha sparato a tutti e due”. Franchi è la vittima più giovane (classe 1941, nativo della frazione di Gavassa): figlio di un operaio delle Officine Meccaniche Reggiane, dopo la scuola di avviamento industriale era entrato come apprendista in una piccola officina della zona. Nel frattempo frequentava il biennio serale per conseguire l’attestato di disegnatore meccanico, che gli era stato appena recapitato. Morirà poco dopo a causa delle ferite riportate.

    Ma gli spari non sciolgono la manifestazione: sono proprio i più giovani – tra i quali è Rovacchi – a resistere: “La macchina del sindacato girava tra i tumulti e l’altoparlante ci invitava a lasciare la piazza, che la manifestazione era finita. Ma noi non avevamo alcuna intenzione di ritirarci, qualcuno incitava addirittura alle barricate. Non avremmo sgomberato la piazza almeno fino a quando la polizia non spariva. E così fu. Mentre correvo inciampai su un corpo senza vita, vicino al negozio di Zamboni. Era il corpo di Reverberi, ma lo capii soltanto dopo”.

    Emilio Reverberi, 39 anni, operaio, era stato licenziato perché comunista nel 1951 dalle Officine Meccaniche Reggiane, dove era entrato all’età di 14 anni. Era stato garibaldino nella 144a Brigata dislocata nella zona della Val d’Enza (commissario politico nel distaccamento Amendola). Nativo di Cavriago, abitava a Reggio nelle case operaie oltre Crostolo con la moglie e i due figli. Viene brutalmente freddato a 39 anni, sotto i portici dell’Isolato San Rocco, in piazza Cavour. In realtà non è ancora morto: falciato da una raffica di mitra, spirerà in sala operatoria.

    Polizia e carabinieri sparano con mitra e moschetti più di 500 proiettili, per quasi tre quarti d’ora, contro gli inermi manifestanti. I morti sono cinque, i feriti centinaia: Zambonelli, riuscito a entrare nell’ospedale, testimonia di “feriti ammucchiati ai morti, corpi squartati, irriconoscibili, ammassati uno sull’altro”. Drammatica anche la testimonianza del chirurgo Riccardo Motta: “In sala operatoria c’eravamo io, il professor Pampari e il collega Parisoli. Ricordo nitidamente quelle terribili ore, ne passammo dodici di fila in sala operatoria, arrivava gente in condizioni disperate. Sembrava una situazione di guerra: non c’era tempo per parlare, mentre cercavamo di fare il possibile avvertivamo, pesantissimi, l’apprensione e il dolore dei parenti”.

    La caduta del governo Tambroni

    Nello stesso giorno altri scontri e altri feriti a Napoli, Modena e Parma. Il ministro degli Interni Spataro afferma alla Camera che “è in atto una destabilizzazione ordita dalle sinistre con appoggi internazionali”. Invano il presidente del Senato Cesare Merzagora tenta una mediazione, proponendo di tenere le forze di polizia in caserma e invitando i sindacati a sospendere gli scioperi per “non lasciare libera una moltitudine di gente che può provocare incidenti”: la polizia continua a sparare ad altezza d’uomo. A Palermo la polizia carica con i gipponi senza preavviso, e quando i dimostranti rispondono a sassate, gli agenti estraggono i mitra e le pistole e uccidono Francesco Vella, di 42 anni, mastro muratore e organizzatore delle leghe edili, che stava soccorrendo un ragazzo di 16 anni colpito da un colpo di moschetto al petto, Giuseppe Malleo (che morirà nei giorni successivi) e Andrea Gangitano, giovane manovale disoccupato di 18 anni. Viene uccisa anche Rosa La Barbera di 53 anni, raggiunta in casa da una pallottola sparata all’impazzata mentre chiudeva le imposte. I feriti dai colpi di armi da fuoco sono 40.

    A Catania la polizia spara in piazza Stesicoro. Salvatore Novembre di 19 anni, disoccupato, è massacrato a manganellate. Si accascia a terra sanguinante: “mentre egli perde i sensi, un poliziotto gli spara addosso ripetutamente, deliberatamente. Uno due tre colpi fino a massacrarlo, a renderlo irriconoscibile. Poi il poliziotto si mischia agli altri, continua la sua azione”. Il corpo martoriato e sanguinante di Salvatore viene trascinato da alcuni agenti fino al centro della piazza affinché sia da ammonimento. Essi impediscono a chiunque, mitra alla mano, di portare soccorso al giovane il quale, a mano a mano che il sangue si riversa sul selciato, lentamente muore. Le autorità imbastiranno successivamente una macabra montatura disponendo una perizia necroscopica al fine di “accertare, ove sia possibile, se il proiettile sia stato esploso dai manifestanti”. Altri 7 manifestanti rimangono feriti.

    Il 9 luglio imponenti manifestazioni di protesta a Reggio Emilia (centomila manifestanti), Catania e Palermo rilanciano la protesta. Tambroni arriva a collegare le manifestazioni a un viaggio di Togliatti a Mosca, affermando che “questi incidenti sono frutto di un piano prestabilito dentro i palazzi del Cremlino”. Ma il governo è ormai nell’angolo: il 16 luglio la Confindustria firma con i sindacati l’accordo sulla parità salariale tra uomini e donne, il 18 viene pubblicato un documento sottoscritto da 61 intellettuali cattolici che intima ai dirigenti democristiani a non fare alleanza con i neofascisti. Il 19 luglio Tambroni si reca dal presidente Gronchi, il 22 viene conferito ad Amintore Fanfani l’incarico di formare un governo appoggiato da repubblicani e socialdemocratici.

    Nel 1964 si svolge a Milano il processo a carico del vice-questore Cafari Panico e dell’agente Celani. Il 14 luglio la Corte d’Assise di Milano, presidente Curatolo, assolve i responsabili della strage: Giulio Cafari Panico, che aveva ordinato la carica, viene assolto con formula piena per non aver commesso il fatto; Orlando Celani, da più testimoni riconosciuto come l’agente che con freddezza prende la mira e uccide Afro Tondelli, viene assolto per insufficienza di prove.

    ***
    (Da http://www.reti-invisibili.net/reggioemilia/

  11. Ha ragione D’Angelo,è come chiamar Travaglio la “vezzosa marchetta”,Veltroni “scrittor de noantri”,la Bindi “l’anello mancante”……
    Ma si,beviamoci su,brindiamo,anche ai “compagni che sbagliano”…è cosi che venivano chiamati i voltagabbana?…e poi..ma come si fa a dar lezioni ai comunisti…! Ci ha provato la Storia,ma con scarso successo..rien a faire..è come dire a Scalfari che la filosofia è altrove,,,a proposito di filosofi e primi della classe.

  12. Se ci mettiamo a far la conta dei morti….
    Reti invisibili,” Cosa lega le vittime innocenti delle stragi italiane a quelle uccise dalle forze dell’ordine, dallo squadrismo neofascista, dalle organizzazioni mafiose?”.
    Già,ma a quest’elenco manca sempre qualcosa…

  13. @Johnny Doe

    mi sa che a furia di voler essere interessante a ogni costo, lei sta clamorosamente mancando il vero oggetto del tema in questione…

    Quanto a voler fare la lezione ai comunisti ( suo sarcasmo in merito), è più che evidente che lei non ha conosciuto “in azione” certi radicali alla Quagliariello; e poi si tratta di specificare che tipo di “comunisti” abbia in mente lei… io mi riferivo a quelli del Pci anni 1970 in poi (meglio ancora ai giovani del Pci, con i dovuti distinguo, ché ciascun uomo è un carattere a sé), che combattevano su più fronti, contro l’ipocrisia democlericale, contro le mummie del Pcus , contro i nuovi invasati di Lc, Potop, Autonomia Operaia, e contro l’insopportabile saccenteria dei radicali alla Quagliariello et similia ( ed infatti, i più invasati di qusto variopinto spettro politico, si sa che fine hanno fatto: tutti sul carro berlusconian-craxiano, a partire dai già citati, ai Liguori, aiCusani, ai Brandirali-finito nelle brume di Cl e Compagnia delle Opere) etc.
    Quanto alla Storia, nessuno scandalo, è la storia stessa delle contraddizioni di classe , dello sfruttamento e dei rapporti di forza tra le classi in seno al modo prevalente di produizione e alle sue sovrastrutture politiche ad incaricarsi di fare giustizia, con o senza i comunisti (fideisti o meno): è una palmare e inoccultabile legge della dialettica storica, appunto, che nessun sarcasmo può mistificare. Essa ci dice che quelle esperienze di passaggio a una società “altra” da quella capitalista sono fallite, sono state sconfitte. E allora? Ma ci avventuriamo in un altro e più irto terreno. Meglio lasciar perdere….

    Quanto al tema del post, lei ha capito benissimo la scorettezza dell’operazione di Veneziani.
    Purtroppo il PD oltre alla propria identità ha perduto anche la memoria storica e non s’accorge dell’ ” operazione saccheggio” in atto da qualche anno a questa parte circa l’immenso patrimonio storico-culturale a cui sta (inopinatamente) rinunciando. Fra poco faranno Gramsci “converso” e martire della Chiesa….e a loro starà bene….

  14. Cercar di rendersi interessante è specialità di altri,non mia,non ne ho bisogno.Sa com’è,solo che non mi è mai piaciuta la morale a senso unico,ognuno ha i suoi difetti.Non conosco le beghe interne dei comunisti d’allora e nemmeno di quelli di adesso,se ancora esistono ,e nemmeno di Quaglieriello.non mi interessano minimamente.Ha ragione,manco l’oggetto del post perchè è una discussione anacronistica,mi interessano più le sfumature del testo,anzi quello che ci sta sotto, più rivelatrici di quanto non sembri di un certo modo di pensare.
    Ci mancherebbe pure che mi mettessi a specificare le varianti del comunismo! Basta e avanza quanto lei viene illustrando,il settarismo di sempre,il casino di sempre.
    La Storia,per ora ha solo detto che il comunismo tout court è stata una esperienza fallimentare, e se mi passa una considerazione puramente
    estetica,dove si è affermato,è stato un mondo grigio,noioso e di mortificazione dell’uomo,che non è solo un essere sociale,ma anche individuo con altri interessi e aspirazioni che nulla hanno a che fare con l’organizzazione sociale.
    Aver scambiato il marxismo,che è solo un metodo di indagine,per un modello di società,un possibile paradiso in terra (come si intuisce da certi poetici passaggi di Marx),vuol dire non conoscere l’uomo,essere dilettanti della psicologia umana.I preti,che son molto più furbi,il paradiso lo promettono nell’altro mondo,ed è per questo che durano,mentre al capitalismo non importa un accidenti dei paradisi,basta che l’uomo compri qualcosa.
    Ma quali sconfitte! Oggi esiste,piaccia o non piaccia,un unico modello,crisi o non crisi.Il modello di chi ha il coltello per il manico e se ne fotte di tutti e di tutto,crisi comprese.Erano gli americani,ora faranno i conti coi cinesi.Ma in fondo è sempre stato questo il modello.Il resto è solo garniture.Non piace? Il mondo è truccato,in ogni minimo particolare,è sempre stato un trucco.
    Il problema di molti è che scambiano il dover essere per l’essere.

    Tornando a noi,non mi interessa se Veneziani è scorretto o no,nemmeno ho letto l’articolo,è il tema che non ha alcuna rilevanza,come già ho detto,è come parlar di guerre puniche.Solo una discussione accademica.
    Tambroni…..quanti secoli son passati!

    In quanto alla memoria storica,è meglio lasciar perdere….qui prima del 1945 è una tabula rasa….pare che l’italia prima non sia esistita…
    Se leggo il Gramsci delle Note su Machiavelli,devo dire che la sostituzione del partito al principe e la concezione dell’intellettuale organico,sono le più grandi sciagure culturali che la nazione abbia avuto.

    Infine,guardi che sono altri i primi ad arruolare nelle loro file,con occhiute operazioni di lifting,gente con cui nulla hanno avuto a che spartire,tipo Cèline,Nietsche e perchè no,i Falcone e i Borsellino….

  15. la grandezza di quegli eventi si deve al fatto che dell’ MSI non vi fù nessun rispetto proprio perché non si trattava di un avversario ma di nemico da annientare

  16. >la grandezza di quegli eventi si deve al fatto che dell’ MSI non vi fù nessun rispetto proprio perché non si trattava di un avversario ma di nemico da annientare>

    tipica frase da “fascista di sinistra”. complimenti.

    @salvatore d’angelo.

    caro salvatore, berrò un amaro alla tua salute.
    certo è che sbeffeggiare un politico ha un senso, un filosofo/ intellettuale un altro.

    il politico – salvo casi disperati (d’alema/forattini) – dallo sberleffo ha tutto da guadagnare. è storia.

  17. @johnny doe

    caro johnny che dire…. si era partiti da un “filosofo di bisceglie” (che franz contestava quale mezzuccio di bassa lega), e che io- invece- non trovavo affatto disdicevole, in quanto elemento costitutivo del “genere letterario” utilizzato da Tonello ( il corsivo satirico); il che era una maniera abbastanza “soft” per fare dell’ironia su autentici strafalcioni e vere e proprie falsificazioni di storia e cronaca (che a lei non interessa d’accordo, e son fatti suoi) presenti nell’articolo di Veneziani (toh, che cadeva proprio in prossimità del cinquantenario dei fatti del 7 Luglio 1960). Insomma , come dire il Politico di Stradella, il Testone di Predappio, il Vate della Capponcina, l’Uomo di Arcore e via elencando ad libitum: che male c’è? che “sostanza storica” si acculta in tal modo?
    La sostanza del post di Tonello è che richiama l’attenzione sulle OPERAZIONI DI FALSIFICAZIONE DELLA STORIA, DELLA CRONACA, in una parola di ciò che è stato ( alle quali si prestano moltissimi “intellettuali” o “filosofi” , a prescindere dalla loro collocazione politica, e per i più svariati e poco nobili motivi – per inciso, durante il ventennio solo una decina di professori universitari su migliaia decisero di non giurare fedeltà al fascismo; sapesse quanti e quali ! ,invece, diedero copertura “scientifica” e “culturale” all’ignominia delle leggi razziali!…- operazioni che (badi, da sempre e da chiunque) vengono fatte in omaggio al POTERE DI TURNO e in barba alla giustizia e in oltraggio alla memoria di chi di queste operazioni ne è stato vittima. Ora a me non pare che questo sia un “tema anacronistico”. Al contrario E’ IL TEMA per eccellenza, di eterna attualità. Proprio in virtù delle ragioni “apparentemente” ciniche da lei addotte. Cose deve fare , dunque, un intellettuale degno di questo nome se non levare ALTA E FORTE la sua voce contro la MISTIFICAZIONE, sempre e comunque e contro CHIUNQUE?
    E’ un vero peccato che lei, a furia di interessarsi alle “sfumature del testo”, ne perda la sostanza . Corre il rischio, poi, – come fa, del resto- di passare proprio per quello che non vorrebbe passare, cioè quello che vuol fare la “lezione e le bucce a tutti”, da primo della classe,toh, proprio come Quagliariello! Ma non se ne adonti, è un peccato a cui nessuno di noi, è estraneo.
    Tra l’altro, son d’accordo con lei sul “marxismo quale metodo d’indagine” di interrogazione e analisi del reale. Quanto a Gramsci e alla sua lettura del Principe,e dell’intellettuale organico, ma perchè ne fa una lettura “distratta” o di “scuderia”? Guardi che è attualissimo: metta Berlusconi al posto del Principe, e al posto della definizione “Partito” la struttura berlusconiana “Pdl, intellettuali degli house organ e via elencando” e vedrà come Gramsci le si illuminerà di luce nuova. Vede? lei commette lo stesso errore che addebita agli epigoni di Marx e di Gramsci, appunto: li legge alla lettera e con un pregiudizio di “scuderia”, avendoli già etichettati. Faccia uno sforzo, sia più “libero e più intellettuale”; lo legga senza pregiudizi, “creativamente, direi. Le assicuro, tolto il caduco, le parrà di leggere la fedele cronaca del nostro reale. Quello di oggi.
    Un’ ultima cosa, quanto a Céline e a Nietzsche : anche qui, provi a leggerli “da sinistra” o, per evitare equivoci in cui si potrebbe incorrere con la locuzione “da sinistra”, li legga in maniera “creativa” , postmoderna, trasversale…sono certo che tutta quell’amarezza o quell’apparente cinismo- con conseguente dispersione di energia- che traspare nei passaggi dove accenna alla “legge del coltello tra i denti”, troverà approdi davvero fecondi… mi creda. E senza sprezzo da parte mia. Mi perdoni lo stile.

    @ franz krauspenhaar

    “il politico – salvo casi disperati (d’alema/forattini) – dallo sberleffo ha tutto da guadagnare. è storia.”

    Assolutamente d’accordo. Quanto al resto, vale quanto detto a johnny doe.
    Comunque anch’io berrò volentieri un amaro alla tua salute. In attesa di berne uno insieme.

  18. @Elio
    Credo che lei si sbagli. In prospettiva storica, l’obiettivo non era il “Msi come nemico da annientare”, ma costruire un movimento di opposizione a una svolta a destra nell’asse politico. A Genova, non morì nessuno nè dell’Msi nè della polizia nè tra i manifestanti. A Reggio Emilia, in una manifestazione sindacale, più che legittima,anche se non autorizzata all’esterno del Teatro, incapace di contenere più di 20.000 persone,la polizia sparò ad altezza d’uomo sui manifestanti inermi, per il semplice motivo che “l’assembramento” non era autorizzato – le pare un motivo per sparare ad altezza d’uomo?- e morirono 5 persone con più di un centinaio di feriti. Io non accuso la polizia, che evidentemente eseguiva ordini, seppure ordini criminali. Ma quello fu un vero è proprio “ballon d’essai” per innescare una provocazione e saggiare , a livello di “Piazza”, le reali possibilità di una svolta permanente a destra e per un governo autoritario, verso cui spingevano le forze più ottuse dell’establishment politico ed economico, e su cui anche gli americani, per gli eterni motivi di “politica dei blocchi”, premevano o quanto meno osservavano cinicamente gli esiti per valutarne i vantaggi ai fini della propria politica di Stato-Guida (le maiuscole sono ironiche!) dell’Occidente ( la stessa ironia vale per gli altri Compari dell’Est Europeo)
    Infatti, vista l’entità della sollevazione e l’enormità degli eccidi “per così poco”, la Dc riusci a fare macchina indietro , e di lì a poco si diede vita al “centro-sinistra”, inglobando il Psi permanentemente nell’asse di governo.
    L’Msi e parte della Cgil vennero semplicemente strumentalizzati, “usati” per innescare cinicamente il “ballon d’essai”. Vi sono montagne di documenti in tal senso.Ma molto ancora resta da sapere circa quelle manovre. Questo, credo, sia il compito dello storico e del filosofo degni del nome, a prescindere dal suo schieramento, non certo quello di ammannire “panzane” circa inesistenti elezioni e “tentativi comunisti ” di impedire la “normale alternanza elettorale”, così, tanto per sparare sulla croce rossa e per compiacere il Capo e l’Establishment di oggi.

  19. @ D’Angelo

    Qua a forza di bere….
    “La sostanza del post di Tonello è che richiama l’attenzione sulle OPERAZIONI DI FALSIFICAZIONE DELLA STORIA, DELLA CRONACA..”
    Ma caro ‘Angelo,la storia è sempre falsificazione,o nietzscheanamente solo interpretazione,visto che la scrive chi vince,e della cronaca meglio non parlarne,solo una guerra per bande….
    “Cose deve fare , dunque, un intellettuale degno di questo nome se non levare ALTA E FORTE la sua voce contro la MISTIFICAZIONE, sempre e comunque e contro CHIUNQUE?”.
    Già,è proprio qui il punto,specie il chiunque….spesso identificato solo con l’altro a cui si è avversi…con tanti saluti alla mistificazione…va bene Bocca e non va bene Pansa..e viceversa.
    E questa iattura,è certissimamente addebitabile ai concetti gramsciani di cui sopra,dove l’intellettuale è la famosa mosca cocchiera,in pratica un servo,che in cambio di privilegi deve sempre far l’interesse del Partito,pena l’ostracismo.
    Cosa ovvia denunciata da anni.Ha ragione quando dice che la cosa è intercambiabile,Machiavelli è di tutti (anzi è attualissimo da sempre dappertutto),ma il fatto è che questa teorizzazione principe-partito,non è di mia nonna,ma Gramsci in un contesto storico politico ben preciso,che mal si confà con un partito che sempre,a parole,parlava di libertà ogni giorno…a proposito di mistificazioni.
    Certo che a forza di legger tutto “creativamente” si corre pure il rischio di un pazzesco e melmoso blob,dove tutto è uguale e serve per tutti gli usi…
    Celine è Celine e basta,non puoi prendere solo quel che ti fa comodo,prendi tutto il pacco,il Viaggio e pure Bagatelle.
    E’ come trovare nell’asistematicità e contradditorietà di Nietzsche,una appartenenza politica.E’ stato fatto una volta dalla sciagurata sorella,e poi tentata ancora da più recenti filosofi francesi
    Provi a legger Bagatelle “da sinistra”,ci sarebbe da divertirsi!
    Se far i conti con l’essere e non col dover essere è esser cinico,ebbene lo sono.Ma non certo amareggiato,caro D’Angelo,le sorti dell’umanità mi sono totalmente indifferenti,anzi sarebbe meglio ce ne andassimo tutti a puttane…è ora!
    Beato lei che par intravedere nuovi sol dell’avvenire! Io gli “approdi non so fin a che punto”fecondi” ,li vedo solo nella tomba.
    Siam partiti da Bisceglie e guarda un po’…..
    Se poi lei mi accusa pure di far le bucce a tutti…non potrei obbiettarle nulla….visto che ho appena finito di sbucciar parecchie patate..
    Tranquillo D’Angelo,vada per lo stile…comunque mai oggetto di ave marie e pater,ma ci mancherebe pure lo sprezzo!
    Meglio quello del pericolo,non crede?
    Bye

  20. Se si fosse considerato l’MSI un avversario da rispettare (come si farebbe oggi) non si sarebbe dovuto impedire quel comizio,anzi,in un vero stato democratico la polizia avrebbe dovuto disperdere,eventualmente con le armi,i manifestanti che intendevano impedire CON LA VIOLENZA,come fecero,una legittima manifestazione.

    Fortunatamente all’epoca i pezzenti dello spirito non abbondavano come oggi e numerosi SQUADRISTI ROSSI impedirono CON EROICA VIOLENZA il lurido raduno del NEMICO.

    Come aveva ben chiaro Pertini nella lucida dichiarazione riportata su wikipedia la legittimità della violenza intrinseca a manifestazioni finalizzate ad impedire il convegno di quel partito politico risiedeva nella Resistenza. Essa era quindi violenza legittima e sovrana poiché i valori che la ispiravano erano i medesimi alla radice della Costituzione.

    « La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli. Sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente »

  21. è sempre consolante sapere che i cattivi sono sempre da una parte, che i fascisti sono solo neri. è bello come guardare un vecchio western, con gli indiani che alla fine vengono sterminati dagli eroici cowboyZ.

  22. Eh, devo ammettere che a questo punto ha ragione Franz.Sì, questo “scriversi addosso” sembra proprio un western, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra ..Mah, autismo corale? limiti della rete? scherzi della individuale presunzione di ciascun attore? Boh! Comunque, pace e bene a tutti!….

  23. Certo che il caso Italia è ridicolo con questa storia dell'”eterno nemico”.
    Penso alla Spagna che ebbe una guerra civile da un milione di morti ,al cui confronto la nostra è una faida.Ebbene,questi invece di azzanarsi come da noi (e certamente ne avrebbero ben più motivi),ad un certo punto han deciso di guardare avanti,non dico dimenticando,rinunciando a servirsi della storia che divideva,di questa guerra, per far politica.Anche per questo si è visto dove sono arrivati in pochi anni!

    Qui si continua a camminare sempre con la testa all’indietro,rivolta ad un passato che ha lati oscuri per tutti e si cerca sempre di usare questo passato al posto della politica.Sembra che l’orologio sia fermo ad allora.
    Non sarebbe ora di darci un taglio?

  24. “Chi ha avuto ha avuto, ha avuto, chi ha ‘rato ha ‘rato ha rato, SCURDAMMECE ‘O PPASSATO, simme ‘e Napule paisà”….

    Darci un taglio, già! Ditelo a Veneziani.

  25. @johnny doe

    sei completamente fuori strada. Ma non c’è problema. E il prezzo che bisogna pagare a) al mezzo e ai suoi limiti b) all’autismo e alla “sordità” di cui siamo un po’ tutti affetti.
    Pace e bene.

  26. @johnny doe

    ..e poi mi scusi, perche dovremmo “andare tutti a puttane”? (espressione che , leggo, ama usare spesso) e non, invece, dedicarci al “fare all’amore” secondo i gusti e le inclinazioni sessuali proprie, ci mancherebbe!….in modo da essere -questo sì, concordo con lei- un po’ più rilassati. Infatti , non ho mai condiviso qel luogo comune che dice “Comandare è meglio che f…….e”. E’ vero piuttosto il contrario , perchè, come si dice, chi f…..e bene, “comanda”* anche meglio…

    * nell’estensione più lata del suo significato.

Comments are closed.

articoli correlati

Non perdiamo la testa. Il doveroso e vano tentativo di difendervi da Allam e le firme de Il Giornale

di Lorenzo Declich E' venerdì 24 ottobre, ho fatto una ricerchina su “Non perdiamo la testa” partendo dalla copertina, su...

Unità brand new

di Chiara Valerio Sono una persona piuttosto frivola. Me ne accorgo, per esempio, quando valuto la possibilità che l’Unità, il...

L’amore e Gödel

Alcune considerazioni su Almanacco del Giorno Prima di Chiara Valerio di Vanni Santoni Ho conosciuto Chiara Valerio dieci anni fa; eravamo...

carta st[r]ampa[la]ta n.48

di Fabrizio Tonello Gentile Dottor Baricco, come vedrà dai commenti qui sotto, i capitoli che mi ha inviato per la...

carta st[r]ampa[la]ta n.47

di Fabrizio Tonello Gentile Signorina/Signora Mariarosa Mancuso, come vedrà dai miei commenti qui sotto la Sua tesina “Addio al radical chic”,...

hanksy

di Sabina de Gregori Il mondo si sa, gira e rigira su se stesso, ma ogni tanto improvvisa e sorprende...