da “Economia”
di Domenico Lombardini
inguaribile strabismo dell’osservazione – puntare
un dito frangendo uno schermo acqueo che riverbera
in onde concentriche i tocchi; così osservare
modifica l’oggetto, senza una possibile oggettività
°
non è questo il migliore dei mondi, diceva
– è forse il peggiore; l’altro ascoltava
e fissava la granulazione salivare sul labbro, non capiva
°
mi sono adagiato su un comodo reticolo,
e ho accettato senza riserve la consistenza
finita del corpo; poi ho creato nel mio addome
un’apertura, uno speco verminoso. venne un medico,
mi disse: è normale – non passerà.
°
ho pietà della mia coazione a ripetere
atteggiamenti-pensieri-stati mentali.
ho pietà della mia pietà.
°
la nostalgia è un rimedio a cui troppi indulgono. la fiducia
nel futuro è d’altronde necessaria, o meglio, strategica:
struggle for life (l’urgenza del tempo presente è vomitevole)
°
un sogno: torso atterra, nudo, cazzo eretto, infitto.
poi la pelvi muoversi, lo sperma uscire
e intridere la terra – non volevo. una voce alta mi gridava: bravo.
°
i figli crescono alla luce delle vetrine
[principio del piacere indicativo]
scandali di un mondo in rovina.
vedi un muro, l’intonaco nuovo: no, solo crepe, fili di ferro
sporgenti, ossa da corpi sfatti.
°
l’aria non si fa abbracciare, con schiocco
le mie braccia chiudono circonvoluzioni
ridicole. solo ora mi accorgo: a loro basta
questo, la vìa sicura, il corso illuminato, il nodo
urbano del consumo, l’ingurgitamento;
il mondo è fango.
°
Anni Ottanta
bastarono al mantice e all’aria
quattro piastrelle, anche linoleum.
sì, al mantice, all’aria del ventre,
pochi figli, uno o due, agli angoli
di una casa spoglia, il lavoro, la fatica:
al sudore corrispose consumo.
°
(vite kafkiane)
nel piccolo, nella brevità di passi
e gesti che per stanchezza e prassi
perdono levità, per code di facce
e scapole, lo sguardo fisso al muro,
l’incoscienza fatta regola – sul muro
scrostato di edifici,
una falena nera mi dice
che questa vita è persa:
scappa, sentimi, scappa, vìa da questa farsa.
°
non c’è nulla di più disonesto della spontaneità;
e gettarsi – cupio dissolvi – nel vuoto di una creatività
che esibisce e non risolve.
°
correlato psicologico del post-fordismo: forma mentale
e abitudine al dolore della produzione. la macchina che produce
perde olio – sangue mai.
[Da Domenico Lombardini, Economia, prefazione di Francesco Marotta, puntoacapo, 2010]
“non c’è nulla di più disonesto della spontaneità;
e gettarsi – cupio dissolvi – nel vuoto di una creatività
che esibisce e non risolve.
°
correlato psicologico del post-fordismo: forma mentale
e abitudine al dolore della produzione. la macchina che produce
perde olio – sangue mai.”
d’accordo proprio
ricerca esasperata [impastata di stanchezza ] del sangue che scorre in mezzo [per riallacciarmi al mai sul sangue piantato nel commento precedente] – e invece è fango – stanchezza che provoca il lettore lo muove verso sé lo riempe di radiazioni di nostalgia emorragica che non riesce nemmeno a passare per gli oramai monopolizzati spazi respirativi. questi versi hanno la stanchezza del fango molle che scava lento sentieri in montagna durante la pioggia. o la stanchezza del poeta che sente di avere quasi finito tutte le parole, almeno quelle per le quali è restato sveglio per nascere.
un saluto
paola lovisolo
caspita.