Voci sulla scomparsa dell’intellettuale

di Andrea Inglese

Fra intrattenimento e acculturazione

Non si può veramente parlare di eclissi o di assenza dell’intellettuale, in Italia, durante questo primo decennio di secolo. Siamo alle prese, semmai, con una figura spettrale, al contempo ostinata e vaga, ossessionante e di scarsa consistenza. Il personaggio che più di tutti è stato costretto ad assumere questo ruolo di revenant è quello ovviamente Pasolini, il cui corpo sfigurato e mai compiutamente sepolto continua a suscitare polemiche, a sollecitare indagini e processi, a provocare evocazioni nostalgiche e ammonitrici. D’altro parte, lo statuto dell’intellettuale, superstite ingombrante e superfluo di un’epoca in via di sparizione, non è certo cruccio esclusivamente nostrano. Esso assilla tutto l’Occidente, come testimonia una vera produzione saggistica di portata internazionale sull’argomento.

Non sarebbe facile individuare le circostanze funeste che, in un’ottica unanime, determinano la morte dell’intellettuale e il suo tentativo di sepoltura. Secondo alcuni autori, come il nostro Alberto Asor Rosa, è la “civiltà montante” televisiva e giornalistica che porta inevitabilmente all’esclusione dell’intellettuale dalla scena pubblica. Nel suo recente libro, Il grande silenzio. Intervista sugli intellettuali (Laterza, 2009), Asor Rosa sostiene che il “silenzio” degli intellettuali è frutto non di una perdita di voce, di una rinuncia a parlare, ma di un radicale mutamento degli ambiti di produzione e diffusione della cultura. La scena non è semplicemente rimasta vuota, ma è stata occupata da altri personaggi e riorganizzata secondo le esigenze del nuovo medium televisivo, producendo di conseguenza un nuovo pubblico e delle nuove attese. Posizioni simili erano già state espresse a partire dagli anni ottanta del secolo scorso dai più autorevoli dei maîtres à penser francesi: Deleuze, Derrida, Foucault, Bourdieu. In diversi articoli e interviste, i quattro convergono su un medesimo leit-motiv: l’inquietante e minaccioso mutamento dei rapporti di forza tra intellettuali (universitari) e giornalisti, tra lavoro specialistico e saggismo, tra università e media di massa[1]. Il nemico all’orizzonte, insomma, è la confusione dei valori, e più in generale la dissoluzione dei tribunali che, storicamente, avevano come funzione di custodire i criteri di giudizio di ogni lavoro di tipo intellettuale. La perdita di autorevolezza degli intellettuali non è stata quindi associata in Francia con la semplice ascesa dell’incultura o con l’imporsi di ciò che Giancarlo Majorino chiama la “dittatura dell’ignoranza”. In un’intervista concessa nel 1980 al quotidiano “Libération”, Deleuze si esprime in questi termini: “È diventato molto difficile lavorare, perché si erge tutto un sistema d’«acculturazione» e di anti-creazione”[2]. Non è solo l’idiozia di certo intrattenimento televisivo o di certo giornalismo-spazzatura a indebolire la considerazione nei confronti del pensiero e dell’attività artistica, ma lo stesso regime dell’acculturazione generalizzata, che tutto fonde e confonde, ponendosi come una micidiale macchina di dissoluzione delle differenze e delle eterogeneità.

Non è quindi lecito sostenere che il lavoro intellettuale ha semplicemente cessato di suscitare l’interesse dell’opinione pubblica; sono mutati piuttosto i processi e le sedi che tendono a legittimarlo, come i canali preposti a diffonderlo. Il potere oggi si sente minacciato non dagli editoriali di Fortini, o dalle pagine di romanzo di Pasolini, ma dalle trasmissioni di Santoro e dagli interventi di Travaglio. Similmente, il potere ha le sue parodie d’intellettuali “organici”: lo specialista di storia dell’arte Sgarbi, capace però di vociferare su questioni di carattere generale. La giovane ricerca universitaria ha per lo più le pezze al culo, ma i salari degli opinionisti e dei presentatori televisivi non sono mai in calo. Gli scrittori e critici che non trovano più adeguato spazio, e compenso, nelle pubblicazioni di sinistra, possono sempre trovare ospitalità nelle ricche pagine culturali dei quotidiani o dei settimanali di destra.

Eclissi dell’intellettuale universitario

Il tema dei criteri è posto all’ordine del giorno anche nel mondo anglosassone. Il sociologo inglese Frank Furedi vi ha dedicato un libro nel 2004 dal titolo Che fine hanno fatto gli intellettuali? Secondo l’autore, la banalizzazione che coinvolge l’intero universo culturale deriva dallo “strumentalismo”, ossia dal prevalere di una logica dell’utile, sia esso economico, sociale o terapeutico (“Di conseguenza, il modo in cui vengono valutati il sapere e l’arte non è determinato da criteri interni ai due campi, bensì in base alla loro utilità per qualche scopo ulteriore”[3]). Il richiamo all’autonomia dell’intellettuale e al significato intrinseco delle sue ricerche può sfociare allora in una difesa di quelle istituzioni – prima tra esse l’università – che di tale autonomia sono storicamente garanti. Una contrapposizione così schematica, però, ignora due questioni cruciali. Fare del sapere accademico un baluardo contri i mali della “civiltà montante”, caratterizzata dalla perdita di spirito critico e dall’omogeneità crescente dei comportamenti, significa dimenticare che l’università a sua volta funziona come apparato riproduttivo del sapere, incline a livellare e a ottundere la ricerca. Per richiamare un tema caro a Musil, l’idiozia può albergare tranquillamente tra i garanti dell’intelligenza, e l’università è stata ed è ancora, in molti casi, baluardo contro l’innovazione concettuale e l’evoluzione dei saperi.

Neppure i tentativi di riforma liquidatori dell’istituzione accademica possono farci dimenticare l’inevitabile dialettica che è sempre esistita tra la comunità scientifica ufficiale e titolata e le correnti ereticali, nate ai suoi margini o al di fuori di essa. È in virtù di queste correnti, d’altra parte, capaci di operare delle rotture epistemologiche, ma anche di sintonizzarsi e raccogliere le novità delle lotte politiche, dei movimenti spontanei, delle nuove identità sociali, che la figura dell’intellettuale ha assunto un ruolo critico, ossia la capacità di sfidare sia le pratiche specifiche dell’istituzione accademica sia quelle più generali dell’universo sociale e politico.

L’altra questione che conviene qui ricordare riguarda il destino odierno del lavoro intellettuale. Si dimentica, infatti, che l’intrattenimento di massa procede paradossalmente con la formazione intellettuale di massa. Ma così facendo, l’istituzione deputata a svolgere il lavoro intellettuale (l’università) è sempre meno in grado di assorbire le persone che ha formato per questo lavoro. Il problema, ancora una volta, non è semplicemente italiano. Neppure esso è riducibile a un semplice aumento del precariato accademico su scala mondiale. È forse opportuno, semmai, parlare come fa Immanuel Wallerstein di vero e proprio esodo degli studiosi e degli scienziati dall’università. La libera ricerca, infatti, diventerà sempre meno praticabile a causa di due tendenze di fondo: la formazione di massa, che schiaccia l’università sul modello liceale, e il vincolo finanziario, che impone al sapere prodotto d’incontrare la domanda dei soggetti economici forti, i governi e le imprese.

Se l’esodo di cui parla Wallerstein riguarda soprattutto i migliori docenti-ricercatori della fascia alta e privilegiata, esso tocca, nello stesso tempo, anche coloro che costituiscono l’esercito del precariato accademico. Quest’ultimi sono costretti a rinunciare prima o poi agli itinerari tormentati delle borse e dei contratti a termine, volgendo altrove le loro competenze e individuando nuovi ambiti per l’esercizio dei loro saperi.

In ogni caso, l’ipotesi di Wallerstein è che l’università moderna, così come è esistita per circa due secoli, cesserà di costituire il luogo principale della produzione e riproduzione del sapere. In un libro del 2006, La retorica del potere. Critica dell’universalismo europeo, il sociologo statunitense dedica uno specifico capitolo al destino di quello che lui stesso definisce “l’ultimo e più potente degli universalismi europei – l’universalismo scientifico[4]”. Tale universalismo affonda le sue radici in quel sistema universitario che conosce ormai una crisi strutturale, poiché il momento del suo massimo sviluppo – gli anni successivi al 1968 – corrisponde alla fase di stagnazione prolungata dell’economia-mondo ancora in corso. Quindi per Wallerstein ricette risolutive al declino dell’università non ve ne sono, ma ciò non significa sancire la fine dell’autorevolezza scientifica e intellettuale a favore delle varie forme di populismo culturale e manipolatorio. Ciò che sta accadendo costituisce semmai una decisiva opportunità per ridefinire lo statuto sociale dei saperi e il rapporto dell’intellettuale con l’agire etico e politico.

Così l’autore: “Gli intellettuali agiscono necessariamente a tre livelli: come studiosi, alla ricerca della verità; come individui dotati di senso etico, alla ricerca del giusto e del bello; come soggetti politici, alla ricerca della riunificazione del vero con il giusto e il bello. Le strutture del sapere che sono prevalse negli ultimi due secoli sono ormai artificiose, appunto perché hanno affermato che gli intellettuali non potevano muoversi disinvoltamente fra questi tre livelli. Essi erano incoraggiati a limitarsi all’analisi intellettuale. E qualora non fossero stati in grado di evitare di esprimere le proprie passioni morali e politiche, veniva detto loro di separare rigidamente i tre tipi di attività”[5].

Non credo che con queste parole Wallerstein cerchi di resuscitare la figura dell’intellettuale “organico” o dell’intellettuale che si vuole coscienza e guida di qualsivoglia entità collettiva. Trovo qui una concordanza con quanto diceva George Orwell del rapporto tra scrittore e politica nel suo saggio del 1948 Gli scrittori e il leviatano: “Quando uno scrittore s’impegna in politica dovrebbe farlo come cittadino, come essere umano, ma non come scrittore. Non penso che egli abbia il diritto, solo a motivo della sua sensibilità, di sottrarsi alle quotidiane bassezze della politica”. Non è insomma in virtù di una sua particolare chiaroveggenza che l’intellettuale dovrebbe esprimersi su di un terreno etico e politico, ma in quanto cittadino comune ed essere umano. Se il suo ruolo non è quindi privilegiato, né gravato da prerogative eroiche, nemmeno egli è dispensato da quelle forme elementari di responsabilità civile che toccano qualsiasi persona. Ma le riflessioni di Wallerstein toccano anche un punto più controverso, e che raramente viene evocato durante i dibattiti sul declino degli intellettuali. L’obiettivo polemico, infatti, non riguarda primariamente l’intellettuale umanista (l’intellettuale-filosofo, l’intellettuale-scrittore, ecc.), ma lo scienziato in quanto intellettuale – scienziato sociale o della natura.

Crisi della coscienza tranquilla

In Ascesa e declino degli intellettuali, un saggio apparso nel 1992, Wolf Lepenies ragionava a partire dai confini politici e ideologici della nuova Europa. Al regime di acculturazione e d’intrattenimento della civiltà montante così come all’erosione del sistema universitario mondiale si affianca qui un’ulteriore fattore di crisi: quello propriamente storico-politico del 9 novembre 1989. Con l’apertura del Muro di Berlino, si annuncia anche la scomparsa delle alternative ideologiche al liberalismo, ossia al nucleo dottrinario che d’ora in poi sarà condiviso come la forma ultima di ogni giustificazione del legame sociale in Occidente. Se l’unico modo di pensare la società, è quello espresso dalle istituzioni politiche ed economiche della società esistente, allora sono cancellate le due attitudini principali entro le quali si è dibattuto per alcuni secoli l’intellettuale europeo: la malinconia e l’utopia (“L’intellettuale si lamenta del mondo, ma da questa sofferenza nasce un pensiero utopico che disegna un mondo nuovo e quindi contemporaneamente allontana la malinconia”[6]).

Ciò nonostante Lepenies considera che proprio questa chiusura dell’orizzonte debba condurre a criticare una figura della tradizione intellettuale europea che sembra invece aver sopravvissuto indenne a tutti i cataclismi storici. Si tratta dello scienziato, che ha tratto la sua forza dal situarsi “al di là della malinconia e al di qua dell’utopia” e da un agire caratterizzato da una “coscienza tranquilla”. Ma per Lepenies la lunga stagione in cui la scienza si è sviluppata attraverso una completa neutralizzazione del punto di vista morale è ormai giunta al termine. È come se la scomparsa di alternative rispetto all’esistente avesse portato definitivamente allo scoperto il dogma centrale del liberalismo europeo, ossia il mito del progresso tecnico e scientifico, legittimato dall’atteggiamento avalutativo dello scienziato.

A conclusione di questo itinerario tra diverse voci, è possibile affermare che nuove partite si aprono, oltre alle rituali apparizioni dell’intellettuale come spettro. Al declino dell’intellettuale professionalmente garantito e dell’istituzione che ne legittimava il lavoro, si contrappongono intellettuali non garantiti e non conformi che in maggiore autonomia ed economia di mezzi elaborano e diffondono il loro sapere. Il web costituisce uno dei principali spazi di raccordo tra questi saperi non centralizzati. L’altra partita aperta è quella che riguarda lo scienziato, la cui imparzialità politica e neutralità etica comincia ad essere sottoposta a critica in base ai valori delle persone comuni. La politica come tecnocrazia, ossia come semplice governo dell’esistente e come grado zero dell’investimento ideologico, appare oggi come una costruzione ideologica tra le altre.


[1] Su questo argomento, Geoffroy de Lagasnerie, L’empire de l’université. Sur Bourdieu, les intellectuels et le journalisme, Éditions Amsterdam , Paris 2007.

[2] Gilles Deleuze, “Entretiens sur Mille Plateaux”, in Pourparlers, Minuit, Paris 2003, p. 42.

[3] Frank Furedi, Che fine hanno fatto gli intellettuali? I filistei del XXI secolo, trad. it., Cortina, Milano 2004, p. 25.

[4] Immanuel Wallerstein, La retorica del potere. Critica dell’universalismo europeo, trad. it., Fazi, Roma 2007, p. 91.

[5] Ibidem, p. 105.

[6] Wolf Lepenies, Ascesa e declino degli intellettuali in Europa, trad. it., Laterza, Roma-Bari 1992, p. 10.

[Questo articolo è apparso sul n°1 di “Alfabeta2” (luglio-agosto 2010)]

64 COMMENTS

  1. molto interessante, anche rispetto a chi, sul sito di alfabeta, ”pourparler” ventilava la troppa italianità del progetto.
    sono, poi, particolarmente in accordo con i passaggi ”via” Orwell e Lepenies.

  2. ”La politica come tecnocrazia, ossia come semplice governo dell’esistente e come grado zero dell’investimento ideologico, appare oggi come una costruzione ideologica tra le altre.”

    Pasolini docet

  3. Come si vede ,da questo interessante articolo, diversi sono i motivi del “declino” degli intellettuali e tutti con un innegabile fondo di verità.
    Mancherebbe solo il ruolo svolto degli stessi intellettuali nella loro autodistruzione o comunque della loro credibilità,analisi non meno importante.

    ““Gli intellettuali agiscono necessariamente a tre livelli: come studiosi, alla ricerca della verità; come individui dotati di senso etico, alla ricerca del giusto e del bello; come soggetti politici, alla ricerca della riunificazione del vero con il giusto e il bello”.

    Siamo sicuri che a questo “dover essere” degli intellettuali sia sempre corrisposta la sua realizzazione?
    Io non lo sarei.

  4. Un punto di vista differente, come al solito. Stavolta però mi metto dietro le forti spalle di Perry Anderson. In un saggio del 1992, raccolto nell’antologia Spectrum, Anderson analizzava il pensiero di quattro intellettuali di destra: Von Hayek, Schmitt, Strauss e Oakeshott e faceva notare come il loro pensiero fosse considerato importante e ampiamente citato nelle sfere governative negli Usa e in Gran Bretagna. La differnza fra destra e sinistra, in questo caso, era che a destra si dava MOLTA più importanza alle idee di quanto si facesse a sinistra. (e se invece di limitarsi ad autori tutto sommato dignitosi Anderson si fosse abbassato ad occuparsi di Ayn Rand avrebbe avuto delle sorprese…). Come disse un tempo Keynes, gli uomini che si credono pratici sono spesso schiavi di teorie accademiche da quattro soldi.
    Il dubbio è che, lungi dall’essere diventato insignificante, l’intellettuale oggi sia più importante di prima solo che si tratta di intendere chi lo è e chi non lo è o non lo è più. Il dubbio è che oggi ci si trovi nel bel mezzo di un esperimento intellettuale volto a ricostruire il mondo su basi nuove, a creare un utopia su tutta la Terra. Altro che fine delle ideologie. Finirà malissimo, come tutti questi esperimenti, ma stavolta il suo campo d’azione è di gran lunga più vasto e profondo…

  5. a sascha,

    “Il dubbio è che, lungi dall’essere diventato insignificante, l’intellettuale oggi sia più importante di prima solo che si tratta di intendere chi lo è e chi non lo è o non lo è più.”
    Già, e in questo pezzo si prova a dare una prima risposta alla questione. Non ti sembra?

    Quanto all’utopia di cui tu parli, possiamo chiamarla così, ma di certo non è un esperiemento sociale del tutto nuovo, ed è quello di costruire una società che sia il più possibile adeguata alla pura logica del capitalismo – il che è in qualche modo impossibile o con costi altissimi, che è quelli che già stiamo pagando….

  6. Il pezzo avrebbe dovuto occuparsi della scomparsa dell’intellettuale di sinistra, quindi. A destra, in effetti, oggi domina la figura dell’intellettuale organico oppure impegnato (non per niente si idolatra Orwell, l’intellettuale impegnato per eccelenza, pur facendo finta di condannare l”impegno’…) ed è a sinistra che gli intellettuali sono costretti a cavarsela da se’ e precipitare nell’insignificanza…

  7. secondo me gli intellettuali sono molto importanti per la società perché essa senza essi diventa una cosa bestiale in cui non ci sono valori da potere esprimere. inoltre grazie agli intellettuali e alla cultura si riescono proprio a esprimere quei valori. e poi sicuramente gli intellettuali migliori sono gay perché sono contemporaneamente sia intellettuali sia gay sommando le due sensibilità. grazie e scusate

  8. “…ed è quello di costruire una società che sia il più possibile adeguata alla pura logica del capitalismo – il che è in qualche modo impossibile o con costi altissimi, che è quelli che già stiamo pagando….”

    Ve bene,e allora che si fa? Quali sono le nuove utopie o le speranze(perchè di questo si può solo parlare ora) che potrebero portarci da altre parti?
    Quale poi eventualmente il pensiero che può tradursi in azione,perchè solo così il mondo cambia? O si aspetta solo il crollo del capitalismo che implode su se stesso come è successo nei fatti all’utopia marxista?
    Non è compito dell’intellettuale queato?
    Di analisi e teorie del lamentogià se ne son sentite fin troppe,ma poi?
    Il solito,eterno Che fare mi sembra il convitato assente,se escludiamo qualche trovata da chianti classico.

  9. rotowash.. ahaahahahahahha grande!!

    .. si pero’ qui stanno parlando di qualcosa di più complesso e il tuo pensiero stà ai margini, forse sopra.. e anche sotto, certamente a sinistra.. a destra per nulla ^__^

    ..seguiamo per imparare, sperando che non si accapiglino .. e si trincerino dietro pratiche citazioniste ^__^

  10. Innanzitutto il che fare, va ogni volta misurato nel contesto specifco in cui si pone…

    che fare come insegnante, nella scuola attuale? che fare come editor nella casa editrice attuale? che fare come educatore nelle cooperative e i contratti con il comune attuali? che fare come scrittore sulle pagine culturali o sui blog o sulle riviste letterarie attuali? ecc.

    in realtà, le risposte anti-capitaliste le abbiamo già, sono le forme di vita “decenti”, come le definiva Orwell, e di cui parla ancora Jean-Claude Michea, le forme di vita che implicano la cooperazione, la reciprocità della cura, l’economia simbolica del dono, ecc ecc, tutte cose che fanno funzionare la nostra società, che se fosse puramente capitalista si autodistruggerebbe nel giro di pochi anni…

    la vera difficoltà riguarda le forme concrete di lotta, tra privato e pubblico, tra quotidiano e politico… ma su questo è difficile, forse insensato, proporre soluzione in anticipo, generiche, onnicomprensive… quello che si può fare è riflettere sulle varie forme di lotta e i loro esiti… e di esempi oggi ce ne sono, dall’università alla fabbrica… nono sono tanti ma ce ne sono e non solo in Italia

    a grenoble, le bande di quartiere sparano addirittura sui reparti di polizia antisommossa… non credo sia una buona strategia, ma è parte della lotta, forse non per una vita decente, ma almeno per la vita – le sommosse a grenoble, come sempre, sono state scatenate dall’uccisione di un giovane rapinatore da parte della polizia

  11. Che fare? Due cose. Primo farsi dare stipendi il più possibile alti in cambio del meno possibile di lavoro. Secondo, per gli intellettuali che frequentano logge, loggette e porticati, che mi risultano numerosi, introdurre l’obbligo del casco, per via del degrado architettonico dei palazzi dove hanno sede le suddette, sopra di tutto in provincia.

    D’accordo con rotowash al centopercento che la sensibilità ci vuole copiosa.

  12. @ rotowash

    La prossima volta che fai idiote battutine – quasi omofobe – sui gay, ti preparo per benino… Resto vigile.

  13. Tornando in tema…

    L’intellettuale universitario, quando non e’ un ex ragazzotto di estrema periferia, a volte anche solo emotiva, tutto ambizione e riscatto sociale, ottenuto dopo decenni oziosi da portaborse, e’ tendenzialmente uno squalliduccio con poco da scrivere, a trascinarsi in un lento ma inesorabile declino.

    Non sono informato. Qualcuno saprebbe dirmi se c’e’ un calo degli aspiranti ricercatori come avviene da decenni per le vocazioni?

  14. Eh no,caro inglès,qui non si tratta di aspirine,ma di cambiare un sistema mondiale ormai!
    ” le forme di vita che implicano la cooperazione, la reciprocità della cura, l’economia simbolica del dono, ecc ecc, tutte cose che fanno funzionare la nostra società..!

    Ma lei ha presente dove siamo? In che epoca? Queste non sono utopie,ma discorsi che si fan tra amici al bar!
    A Grenoble,le bande di quartiere…! Ma per favore,qui si tratta di un sistema globale a cui bisogna oporre una alternativa globale,mica di occupare una università o una fabbrica o far scaramucce con la polizia!

    “…ma su questo è difficile, forse insensato, proporre soluzione in anticipo, generiche, onnicomprensive…”

    Dica piuttosto che non ci sono,o che gli intellettuali non sono in grado di elaborarne una!

    Scusi inglès,che tra l’altro mi piace come scrittore,ma qui siamo a topolineide!

  15. Iniziate a pubblicare gratuitamente i pezzi di Alfabeta su internet? ovviamente l’autore può fare quello che vuole con i suoi articoli, però io che ho comprato il numero della rivista non sono contento di vederne pezzi gratis su internet. O meglio sono contento se posso leggerla smettendo di comprarla.

  16. @larry

    L’idea del grano è buona,poi aggiungiamo alle logge,loggette…..una quintalata di festivals,un fazio e alcune centinaia di convegni di tipo medico-promozionale,e quanto al casco,molti potrebbero anche far senza….

  17. Improduttivo, di articoli di alfabeta2 ne sono già disponibili alcuni sul sito di alfabeta2, assieme ad altro materiale che invece in rivista non c’è.

    ok johnny doe:
    la soluzione globale è tipo: mettiamo il capitalismo in ginocchio, via le tirannie, eliminiamo dal mondo la tortura e l’inquinamento, sia abolito lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, e dell’uomo sulla donna, e dell’uomo sul bambino, e pure sugli animali e le piante. L’obiettivo mi sembra abbastanza globale e radicale. Il punto è che per ogni programma anche globale ci vuole sempre un punto d’inizio, e delle fasi intermedie. Ci fornisci tu lo schema?

  18. Consigli per Inglese:

    1, l’acquisto di un mappamondo danzabile, come per l’Hitler-Chaplin. E’ tanto semplice.

    E, lateralmente: se vuoi iniziare a restituirmi i soldi dei libri tuoi che ho acquistato e che poscia hai postato in giro, palesando niuna sensibilità verso me e il prossimo tuo in generale, questo è il momento buono per farlo.

  19. No inglès,io non lo so,io non son un’intellettuale che scrive ennesimi e ponderosi saggi sullo sfacelo del sistema,sono un semplice peones che osserva,lo chiedo invece a loro! Non è il loro mestiere?
    Se lo sapessi,non ci sarebbe bisogno d’intellettuali.
    La soluzione globale sarebbe elaborare una visione alternativa,come è capitato spesso nella storia.
    E’ il loro compito,non il mio.
    Purtroppo,disperso il molto fumo,pare che non ci sia arrosto,e cioè una credibile e fattibile alternativa a questo sistema o che non sian capaci di elaborarla.(e che non è solo la serie di generalità che lei elenca,ma un nuovo ,credibile modello politico,di sviluppo economico finanziario e distributivo,che trascinerebbe inevitabilmente il resto).
    I casi sono due,il resto è garniture.
    Si,d’accordo,punto d’inizio e fasi intermedie,ma non possono certo essere le aspirine di Grenoble… da lei elencate in termini di azione,e comunque dovrebbero sempre ispirarsi ad un’idea di modello globale,agire in vista di una sua realizzazione e non sull’onda di una qualsiasi circostanza particolare.

  20. johnny doe,

    di visione alternative all’esistente ce ne sono, senza neppure andarle a cercare sulla luna, alcune sono addirittura già esistenti, come forme minoritarie di relazioni interpersonali, economia di scala ridotta, modelli politici locali, e non sono sempre così esotiche: se invece parliamo – come mi sembra il tuo caso – di visioni millenaristiche e salvifiche della specie umana, essendo io molto ateo e laico, non vado in cerca di Guide, né di Idee, né di Alternative.

    Quanto alle aspirine, a Grenoble sparano piombo, non aspirine. Informati. Sarà contorno finché vuoi, ma c’entra con il discorso che stavamo facendo.

    Quando hai trovato il Profeta, o la Ricetta, ossia le generalità che tu elenchi: “un nuovo, credibile modello politico, di sviluppo economico finanziari e distributivo, che trascinerebbe inevitabilmente il resto”…. avvertici.
    Mi piace molto questo finale macchinico: il “modello politico-finanziaro-distributivo a trascinamento”, lo si potrebbe chiamare.

  21. Questa frase:

    “un nuovo, credibile modello politico, di sviluppo economico finanziari e distributivo, che trascinerebbe inevitabilmente il resto”

    è comunque legata a una visione capitalista del mondo, dove il capitale è sempre lo stesso, il denaro..

    Può il “capitale” diventare altro ?

    Comunque l’idea di inglese la condivido è nel quotidiano che bisogna agire perchè la rivoluzione si compia, certo è che è un’operazione da farsi su scala anche internazionale, che è poi l’esigenza di johnny doe;

    .. e poi bisogna fare i conti con chi , il sistema, non vuole che cambi..

    .. altrimenti le due forze si annulano, quella positiva che agisce nel quotidiano e quella negativa che sempre nuel quotidiano agisce..

  22. Si arriva sempre al punto che bisogna adoperare il corvello, affilarlo quanto serve per battersi a favore delle proprie idee, se non si vuole passare per mentecatti di comment attori che si dovrebbero limitare a leggere e leccare significato tra gli spazi bianchi (come diceva Derrida?); o peggio, se non si vuol passare da letterativi minorati, ovvero satirici, che sarebbe anche bello, si venisse però associati a Swift, Twain, Orwell, Longanesi, Flaiano, si venisse almeno associati a Tognazzi-Vianello, e non a dei malfattori come Fo, Luttazzi e Grillo. Ho detto malfattori, figurativamente parlando, s’intende. E poi forse volevo dire malattori.

    Gli intellettuali sono stati una recente invenzione dei padroni per meglio giustificare le proprie malefatte. Mettiamola così: io sono un delinquente della peggiore specie, ma dato che ci ho soldi e potere, che controllo tutto, mi circondo di anime belle, almeno per il week end, mi ci faccio fotografare insieme ecc. Le anime belle (e grasse) ogni tanto, dentro ai loro astrusi ragionamenti, faranno intendere che io agisco per puro spirito di liberalità, che li faccio lavorare anche se la pensano allopposto, a volte li faccio addirittura accucciare alla mia tavola. Non faccio nomi, ma pensate più a Soros che al Padredimarina. E pensate a tutto il circo dell’arte contemporanea. Pensate, infine, all’assetto proprietario dei gruppi editoriali italiani.

    C’è però un fatto, che gli intellettuali sono si astrusi, ma non completamente scemi (e con il cazzo che sono anime belle come pensano i padroni!): in fondo in fondo sapevano e sanno di essere in balia dei loro protettori-magnaccia; in tanti anni si sono organizzati per diventare autonomi da qualunque potere, Stato, Chiesa, Partito, Grandi Industrie, Banche e Gruppi Finanziari. Per questo hanno dovuto un po’ occultarsi, aderendo a logge, loggette e porticati, ritenendo forse a ragione che solo così potevano difendere l’autonomia del proprio pensiero. Solo che alla fine quasi sempre a capo di logge, loggette e porticati ci sono sempre gli stessi dai quali gli intellettuali cercano di liberarsi, i magnaccia, i quali, si viene sciaguratamente a sapere, sempre più di frequente, sono ai vertici della PIRAMIDE, occulti agli stessi aderenti. Un bell’intrigo. Che fare?

    Nella Piramide la parola d’ordine principale è OCCHI CHIUSI, che chissà cosa vuol dire. L’ultimo film dell’indispensabile Kubrick, che di occulto parla, ha come titolo Eyes Wide Shut, che potrebbe voler dire occhi chiusi spalancati, chissà perché. Detto questo si potrebbe anche immaginare che il rasoio immaginifico che divide un occhio, nel film Un chien andalou di quel buontempone dell’immaginazione che fu Bunuel, potrebbe anche non essere un immagine astratta, immagino, estratta dal suo folle immaginario, come hanno sempre cercato di farci credere i critici immaginativi, bellini, chissà cosa immaginavano di nasconderci.

    Nella Piramide, si va alla cieca, ma ci sono i gradoni, quindi l’ascesa, che è il motivo per cui tutti sono lì, è apparentemente facilitata, maanche, come dice sua Entità Veltroni, ostacolata quanto si vuole, perché a colui che sta ai vertici – che è senza benda perché queste sono le regole del gioco – non ci vuole nulla per respingere gli ascendenti, bendati, nell’inferno dei primi gradoni. Ma una cosa che avviene pure, immagino, è che gli ascendenti bendati arrivino ai gradoni alti, pensando di essere in cielo, ma incontrano di nuovo i loro vecchi magnaccia, che riconoscono perché annusano la loro inconfondibile puzza di umanità, i quali li deridono, cos’altro possono fare, dato che sono ai vertici senza aver fatto nessuna fatica spirituale, né fisica, perché sono entrati dalla punta? Ha presente, Inglese, quella piramide che si vede dappertutto, anche nel dollaro americano, che ha la punta staccata, quest’ultima con al c’entro l’occhio. Quella serve per entrare ai Grandi Maiali di cui dicevo l’altro giorno, infatti se si guarda bene c’è anche l’eliporco. E’ giusto, perché sono loro i padroni delle piramidi, della forma piramide, addirittura della parola piramide.

    I magnaccia deridono gli ascendenti bendati, però continuano a sfruttarli, e, per via delle loro copiose conoscenze spirituali e scientifiche, CHE IL MERITO CI VUOLE, i magnaccia-Entità li mettono a dirigere gli Enti, la tv di Stato, per esempio. Con un compito in particolare, allargare il mondo all’inverosimile, inventare problemi, impaurire a più non posso. Per questo chiamo adesso gli intellettuali FUNZIONARI DELL’IMPAURISMO.

    Esco dalla piramide e rientro nella recensione di NI. Solo per dire a Inglese e a tutti quanti che bisognerebbe davvero che gli intellettuali scomparissero, ma purtroppo non sarà così: saranno sempre a guardia di qualunque segno di vitalità, sopra di tutto artistica, belli disposti negli ENTI, governativi e non governativi, nazionali ed internazionali. Ci sarebbe da augurarsi che scompariranno almeno nei blog, in subordine che si smentalizzeranno, ma per come stanno le cose mi permetto di essere pessimista sia nella ragione che nella volontà.

    @Jonny spero adesso capisca meglio le ragione del casco, perché a occhi chiusi di incidenti ne succedono, e non sanno più che scuse inventarsi al pronto soccorso. Del resto i costi delle riparazioni delle SUPPOSTE anime belle ricadono tutti sulla società. Ribadisco, una legge sul casco obbligatorio ci vuole. Jonny ci ha mai fatto caso che la svastica è un insieme di quattro triangoli, come la piramide regolare?

  23. @ inglès

    “…come forme minoritarie di relazioni interpersonali, economia di scala ridotta, modelli politici locali, e non sono sempre così esotiche”

    Ma qua si parla di capitalismo,mica di comunità mormoni di tre gatti ,del comune di Casamicciola o di Alice nel paese delle meraviglie ! Ma quali alternative! Queste son solo banchetti delle tre carte,cazziatoni da pizzeria.
    Ma quali visioni millenaristiche e salvifiche della specie umana, qua se c’è una salvezza e solo personale,con l’andazzo corrente.
    Son proprio io che voglio salvare il mondo! Per me potremmo tutti andare
    a farci fottere! Sarebbe ora.Ed è molto facile che accada fra non molto.

    Già l’ho detto,non tocca a me trovar soluzioni,che ci stanno a fare oggi gli inellettuali! Ma forse ha visto bene larry,son rintanati dentro la piramide a menar torroni.

    Perchè non scendere dal pero e dire papale papale che non ci sono alternative credibili al sistema capitalistico occidentale (ma pure i cinesi non scherzano),invece di elaborar compitini da talk show e timbrare il cartellino ?

    Oppure, che non si è capaci di trovarle,invece di seminar incenso ai fedeli per la solita messa stampata.
    Laicamente che sono praticamente inutili.

    Ma è evidente ,mon ami, che un nuovo modello economico-politico potrebbe risolvere in modi nuovi anche diversi problemi che lei elenca.
    Uno di questi modelli era il marxismo,pare che i suoi laudatores sian tutti spariti,ora ne è rimasto uno solo in occidente e una variante mista in oriente,la Cina.Questi sono modelli di società.
    Non vi piacciono?Ok siete capaci di sostituirli con altri? Probabilmente no.
    Quanto al trascinamento macchinico ,più che modelli,pare che sia altre le parti che ormai ci trasciniamo….in carriola.

    @larry

    Capisco,capisco la sua preoccupazione per il bilancio sanitario…però senza casco…vuol mettere… quanto si risolverebbe in tempo reale..,senza costi per il pronto soccorso….certo graverebbe sul settore crisantemi…ma come direbbero ai peones gli intellettu senza ali…non si può aver tutto dalla vita,mentre son impegnati a giocar di fingersi poveri.
    Nel ludico s’impegnano spegnandosi o spegnendosi del tutto sui gradoni della piramide uncinata.
    De profundis!

  24. il pregio vostro – johnny doe e larry massimo – è che siete chiari, che si capisce cosa dite e sopratutto a chi vi rivolgete…. (infatti tra voi vi capite)

    tutto il resto è fumo

  25. Magari si può fondare una giuria di ermenueuti di Pordenone, così, per stabilire chi è più chiaro fra noi. Che Dio salvi la regina dalla comprensibilità, sopra di tutto dalla comprensibilità Inglese.

    PS: per i più filologi, sopra mi riferivo ai Grandi Maialai non ai Grandi Maiali, per i quali ho grande rispetto.

  26. Dato che sono un uomo di mondo, che ho fatto tre anni di Ermeneutica a Cuneo e ne so anch’io della moria di vacche letterarie che c’è stata quest’anno, che, scusate se settecentomilalire sono poche, punto e virgola, ho chiesto al titolato circolo locale una perizia di parte. Prima di tutto ci tengono a far sapere, gli Esimi Ermeneuti coi quali ho potuto solo teleparlare perché sono in ferie, che Giorgio Manganelli – il quale si occupava tra l’altro di critica della letteratura Inglese, o di letteratura della critica Inglese, non ho capito bene al telefono – che qui viene spesso celebrato, degli intellettuali pensava male, parecchio male, inispecie delle loro raffazzonate spocchie.

    Poi mi suggeriscono di riportare, sempre in via anticipativa della querula che prevedibilmente avverrà in seguito, una rima di Cecco Angiolieri
    Però chi mi riprende di fallare,
    nol mir’a dritto specchi’, al mi’ parere.

    Infine non capiscono, gli Egregi Ermeneuti di Cuneo, cosa ci sia di strano nel sostenere che oggi gli intellettuali non solo sono inutili alla causa dei più bisognosi di bellezza e di pensiero diciamo rivoluzionario, ma sono addirittura dannosi, perché generalmente sotto controllo di chi comanda.

    Tutto il resto è arrosto, no, non ho detto fumo, ma arrosto, arrosto, arrosto, maledetto arrosto.

    Ps: non ho molto tempo, mi trovo a un convegno scientifico: “ Conseguenze, ricadute e danni provocati nella lingua dall’uso da parte di tanti scrittori dei micidiali proiettili di linguaggio impoverito “ Fra poco faccio il mio intervento: “ Ipotesi di risarcimento, la parola alle vittime “. Semmai vi faccio sapere.

  27. Cappero !! , ma l’intervento è con ..o senza interprete ?

    ..anime semplici come me come fanno a capirci qualcosa?

  28. larry siccome sei molto simpatico e hai molta cultura ti volevo chiedere se in privato o su ni se loro sono d’accordo potevi raccontare la tua vita oppure spiegando come ti trovi avendo tutta questa cultura. io vorrei diventare acculturato da molti anni ma non ci riesco perché non ho la passione e poi la cultura non m’interessa. ciao e grazie

  29. un articolo molto bello, chiaro e stimolante, che induce a riflettere. Gli intellettuali hanno perso di autorità e autorevolezza, hanno meno spazio, dignità e fondi. Gli intellettuali non fanno più paura, verissimo, quest’anno nel nord del messico hanno ammazzato 9 giornalisti. Gli intellettuali non non plamano piu’ nè alimentano l’immaginario collettivo. Una società mediocre, televisiva, in questi anni di degrado, sembra di poter fare a meno degli intellettuali, ma il prezzo che si paga è salato:l’imbarbarimento della politica, della società e dell’economia soprattutto. Basta osservare gli scempi di ambiente e di umanità e di giustizia che si compiono per il mondo laddove l’economia mostra il suo volto più estremo ed extraterritoriale nella più completa indifferenza del pubblico televisivo sempre più ignorante e indifferente. Pensiamo solo a come sia stato possibile il disastro provocato dalla BP, e forse ci renderemo conto di come sia urgente e improcrastinabile un’azione che arresti questa inesorabile tendenza alla barbarie.

  30. Questo frammento del commento di Larry Massino

    «oggi gli intellettuali non solo sono inutili alla causa dei più bisognosi di bellezza e di pensiero diciamo rivoluzionario, ma sono addirittura dannosi, perché generalmente sotto controllo di chi comanda.»

    mi ha emozionato.
    Sono le stesse parole, tali e quali, che diceva sempre un mio zio fascista, ora morto, l’unica differenza è che lui non diceva “intellettuali” ma “culturame”.

  31. @ inglès

    “il pregio vostro – johnny doe e larry massimo – è che siete chiari, che si capisce cosa dite e sopratutto a chi vi rivolgete…. (infatti tra voi vi capite)
    tutto il resto è fumo”.

    I segnali di fumo sono una prerogativa….indiana,lo hanno per contratto,timbrare il cartellino ,accumular punti,non si sa mai che ritorni manitou.Più chiari di così!

  32. @ Ares neanch’io capisco nulla di informatica, ma non mi serve l’interprete per usare il computer. Neanche a lei per usare tutta la letteratura che vuole, purché non voglia imporre il linguaggio agli scrivucoli che non le piacciono come Larry.

    @Immondizie rotowash anche voi siete molto simpatici, lo dico senza ironia: per scrivere non avete alcun bisogno della cultura, come per la pallacanestro che mi sembra stiate valutando in alternativa. La cultura neanche a me è mai interessata, per questo ho letto o visto o ascoltato solo quello che mi piaceva e mi divertiva. Solo che quando parlo mi piace essere informato del tema trattato, altrimenti mi taccio.

    @Alcor Ho avuto la sfortuna di non avere neanche uno zio fascista, perciò non saprei dire se gli Ermeneuti di Cuneo plagino suo zio o ragionino con la loro testa. Per come li conosco io sono anarchici, ma potrebbe anche essere che plagino, soprattutto quando sono al mare e ritengono le quistioni di nessun interesse. Comunque loro non si offendono di nulla, e d’altra parte non verranno mai a saperlo che ha dato loro dei fascisti, perché pensano che internet sia una sciagura per qualità di pensiero, letteratura e arte, le quali erano già abbastanza ostacolate e costrette alla medietà da cultura e critica. Della politica italiana, in ogni caso, pensano sia una forma di intrattenimento scadente, quindi fascistone, comunistone, puzzone, scorreggione, culattone, non gli fa effetto. Così pensano loro. Non so, le ho già detto. Per quanto riguarda la diatriba direi di aspettare le osservazioni degli Ermeneuti di Pordenone, sicuramente più affidabili e ponderate. Quanto al culturame sono d’accordo con suo zio che le orecchie bisogna tenerle pulite. C’è un prodotto nuovo in farmacia il cui principio attivo è scelbarepellente. Pare che agisca anche contro i pregiudizi e la mancanza di spirito critico, ma non su tutti i pazienti. Per quanto mi riguarda, infine, avevo simpatia per lei anche quando non riusciva a capirmi, perché penso che non capire il proprio interlocutore sia un’ottima base dialogica.

  33. perché non dice ai suoi ermeneuti di Cuneo e di Pordenone di lavorare di più e usare quel “corvello” di cui parla sopra, evitando di parlare come la buon’anima?
    potrebbe essere interessante.

  34. Come le viene in mente che io possa dare ordini nientedimeno che a degli e
    Ermeneuti?

  35. @ Larry Massimo

    Mi scusi per il disturbo, ma vorrei sapere se i suoi ermeneuti di Cuneo sanno da che parte andare per andare dove dobbiamo andare… sa, è una semplice informazione.

  36. @Massimo

    Dato che siamo alleati hanno chiesto a un generale austriaco. Si sono capiti perché il più vecchio degli ermeneuti aveva un amico che era stato prigioniero in Germania, e perché condivide con il generale una generica antipatia per gli Inglesi. Gli ha detto che le strade vanno bene tutte, sopra di tutto quelle poco battute. Basta non andare a destra, come indica per sviare il zuzzerello sotto. Comunque, nu volevam savuar, per scrivere dove dobbiamo scrivere cosa dobbiamo scrivere?

  37. @larry

    “La cucina di Vissani, oscilla tra due poli che non definiremmo opposti ma complementari: la filologia e l’avanguardia.
    E’ l’ermeneuta d’avanguardia del territorio.”

    Lo stile c’è,ma secondo lei questo viene da Cuneo?

  38. @Larry

    non mi sopravvalutare.. è che io non ci capisco proprio una cippola, non voglio imporre linguaggi, non ne sarei ingrado, ma partendo la lei questa discussione stà diventando , per me, incomprensibile.

    .. come al solito le discussioni importanti finiscono in ciccia è io ho perso un’altra occasione per capirci qualcosa, grazie !!

    Te possino ..

  39. @Johnny

    mi sembrano più ermenueti di Pordenone, quelli di cuneo sono autoironici.

    @Ares

    Vedi Ares, io mi limito a esporre le mie idee, che a qualcuno piacciono a qualcuno no, a qualcunaltro risultano incomprensibili. Lo faccio usando il mio linguaggio, a volte il sarcasmo. Logge, loggette e porticati, piramide, occhi chiusi alludono alla massoneria (occhi chiusi è un precetto primario delle logge massoniche, equivale a bocche cucite), che è inutile far finta di non conoscere, dato che controlla tutto, in particolare le professioni intellettuali. Il problema, qui, è che se tu hai idee diverse da quelle degli articolisti vieni tacciato di incomprensibiltà e di fascismo dopo due secondi. Non va bene. Me, egli, Larry, per esperienza e conoscenza, sostiene semplicemente che la cultura, così come stanno le cose, fa da tappo all’arte e alla libertà di pensiero. Sostiene che senza il dogma della cultura, sul quale marciano i poteri sopra di tutto massonici, ci sarebbe più bellezza in giro, in definitiva più libertà di pensiero e non meno. Invece essi sostengono che sei vuoi occuparti di bellezza e di pensiero devi pagare il pedaggio alla cultura. Infatti gli puoi offendere la mamma, ma non gli toccare la cultura, perché non lo tollerano. Sarà perché il consorzio di gestione della cultura li paga? ‘tacci loro!

  40. @larry

    Era una cena all’inglese,cucina fantasma,tra due pontificatori ed un pontiere,io ero il progetto da perfezionare.
    Uno pontificava sui ponti ,l’altro invece su come bollir l’acqua.
    Il pontiere stava un po’ di qua,un po’ di là,da vero ermeneuta.
    Lei ora mi mette in difficoltà,perchè mi pareva d’aver captato al caffè un fait piemontese,ma anche un mi soi sbusat il budiel.
    Una vera questione ermeneutica.

    Ora smetto ,se no mi cacciano.

  41. la libertà di pensiero viveva un brutto momento

    l’infinita massoneria delle camarille piramidali, che tutto controllava, prodigando lauti vitalizi ai difensori della cultura-tappo e della cultura-topo (nonostante le apparenze di un sistema italia deculturato), fu però seriamante minacciata da un coppia di sbarazzini fustigatori di costumi;

    il Paziente Inglese – loggetta Gran Compasso, tessera n° 34522 – che viveva giorni felici su pedalò lussuosi negli stagni arcadici – fu il primo ad essere salacemente svergognato – “Commentarne (alla cazzo) uno per educarne cento”! – dicevano gli Zorro del libero-pensamento

  42. I cuneesi, che sono cattivi, suggeriscono di dire di Nietzsche e della sua lotta contro la cultura. Mi limiterei a dire che chi vuole se lo studi, basta rileggere i primi scritti per farsi un’idea, soprattutto circa il filisteismo della cultura. Per il resto ognuno si può fare un’idea delle rispettive posizioni leggendo il post e i commenti. Dico solo, per quanto mi riguarda, che mi ero limitato a essere un po’ sarcastico, in quello che intendevo un intervento unico, il primo. Poi mi sono sentito offeso da certe risposte di Inglese ad altri commentatori critici, la maggioranza, riposte piuttosto spocchiose, e sono intervenuto di nuovo.

    La mia serena impressione è che lo statuto del sapere è cambiato, ovunque, anche tra gli indiani: esso non si produce più mediante il confronto tra idee, ma mediante l’appartenenza a gruppi di sapere autolegittimanti. Ciò determina ovviamente una corsa al centro della scena, che è comprensibile, ma non bella da vedere. Una volta arrivati al centro, o ad esso vicino, le critiche al nostro sapere, anche sacrosante, perdono qualunque valore, a meno che esse stesse non riescano a organizzarsi in gruppo di sapere autolegittimante e collocarsi vicino al centro.

    Si tratta di un agonismo dal quale io mi sono sempre tenuto lontano, pur avendo avuto fin da ragazzino il diritto di beneficiare dei ricchi premi e cotillons che il sistema mette a disposizione dei primi della classe, purché non rompano troppo il cazzo e capiscano bene che devono solo fare da imbellettamento del potere. Ma questo non c’è bisogno che glielo insegni nessuno, nascono imparati, come sin dice. Infatti trovano inimagginabile che si possa produrre pensiero e bellezza non finanziati dallo Stato.

    Vorrei davvero finire questa inutile diatriba dicendo che se mi sono tenuto lontano il più possibile dall’agonismo non l’ho fatto per moralismo puritano Inglese. L’ho fatto per ragioni estetiche: non mi garbano i narcisisti primi della classe, e non mi garba il centro della scena in cui essi si trovano così bene, tanto da essere convinto che per l’umanità uno dei principali problemi da combattere sia la FAMA nel mondo, che è un problema estetico, non etico. Certo, ancor meno mi garbano quelli che si collocano nella marginalità provvisoriamente, in attesa di cucce più confortevoli.

  43. Touché. A queste vette di umorismo non arrivo. Me l’avevano detto che quando tira fuori l’umorismo Inglese non ce n’è per nessuno.

  44. @ Larry Massino

    Cioé, se non ho capito male, lei lamenta l’assenza sulla scena odierna di qualche genio iconoclasta, che “sfondi le strutture del linguaggio”, crei un “cortocircuito tra immaginazione e potere”, operi un “ribaltamento delle prospettive”, descriva uno “spaesamento” nel non riuscire a “ridefinire i contorni di un nuovo modo di leggere la realtà” e così via…
    Beh, mi sembra che ce ne siano molti invece, di questi geni iconoclasti… possibile che lei non li veda? Opuure lei magari vorrebbe che rinunciassero a pubblicare per Mondadori o Einaudi?
    Non le sembra di chiedere un po’ troppo?
    Vorrebbe che questi formidabili geni pubblicassero le loro struggenti opere per sconosciute case editrici a pagamento?
    O peggio, lasciare questi capitoli imprescindibili della storia umana del pensiero chiusi in qualche cassetto?
    Come può essere così crudele da pretendere una cosa del genere?
    E’ d’uopo dunque che questi intellettuali, per non scomparire, si riuniscano tra di loro, con o senza regolo e compasso…
    La solitudine porta alla follia…
    Autolegittimarsi o perire. Così si crea la cultura.
    Il resto è vita vera. A volte bellezza.

  45. @massimo

    Dicesi iconoclasti,i distruttori di immagimi,icone.
    La trovata è sparare sempre sulla croce rossa….si rischia meno e si fa parte dei ragazzi del coro.

  46. Caro Andrea,

    i dibattiti sugli intellettuali sono sempre interessanti. Pero’ spesso non e’ chiaro cosa si chiede agli intellettuali e come vengono definiti.

    Poi c’e’ il discorso del rapporto tra intellettuali e stato, e tra intellettuali e universita’, che e’ quello che sollevi tu.

    Guarda io mi considero un intellettuale (forse incompiuto), nel senso che sono curioso, e mi piacerebbe avere avuto e avere piu’ tempo per leggere, per studiare, e per mettere ordine alle idee e alle cose che si leggono.
    Pero’ al tempo di decidere se fare o meno un dottorato, nel lontano 2000 in Italia, decisi di no. Troppo poca la paga per poter mantenere una esistenza fuori dalla pura sussitenza e troppo poco l’incentivo che mi veniva dato dal vedere quelli che il dottorato lo stavano facendo o l’avevano finito.

  47. @massimo

    La croce rossa è il traballante baraccone nazionale,annessi e connessi…magari i capitani coraggiosi,paladini dei diritti dei cefalopodi e di tutta la galassia,provino un po’ su quella verde….lì c’è trippa per tutti i gatti….ma,si sa…è un po’ più rischioso.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.