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50 aforismi #1

Morte/Umanità/Amore/Suicidio

di Luca Ricci

Per chi vuole sparire niente di peggio che vedere sparire un altro.

Dal fondo doloroso di un lutto si risale sempre. Anche se alcuni morendo.

Quando si parla della morte il livello di insensatezza è assoluto. L’ultimo venuto può spararne una più grossa di Maometto, Buddha o Cristo al primo colpo…

– I suoi orizzonti?
– Il coperchio di una bara non è un orizzonte.

Le mie tre fasi post lutto: prima i pianti, poi i lamenti, poi le frasi.

Il lutto è un’onta. Significa tornare a sperare in Dio.

Conservava la sua capacità di stupirsi per quando sarebbe morto.

Primo fatto piacevole una volta morti: il funerale a scrocco.

Tra metempsicosi, reincarnazione, immortalità dell’anima e paradiso e purgatorio e inferno ci hanno sciupato perfino la morte.

Si augurava una fine così definitiva che riguardo alla morte faticava ad andare oltre il concetto di palliativo.

– Come fa ad andare avanti?
– Sono decenni che penso di vivere nel secondo che precede il Giudizio Universale.

Il miglior augurio che si possa rivolgere a un neonato è di poter vedere meno esequie possibili prima che gli altri vedano la sua.

Non voleva essere soltanto un morto, ma un morto che dorme.

40 COMMENTS

  1. Vorrei distogliere il mio sguardo da questi aforismi, nominare la morte fa tanto paura, ma la mente coglie quello che cerca da fuggire.
    Il primo aforismo leviga di più la pietra in te. Questi aforismi puliscono la tua paura della morte, per fare emergere l’orizzonte solo della parola, per chi dopo la morte ha una bara per cielo- direi che per me claustrofoba, è l’aforismo più tremendo-

    Aforismi bellissimi, ma non ho il coraggio di indugiare davanti.

  2. Della morte si parla da vivi. Puoi disprezzarla ma non calunniarla. La morte andrebbe sfiorata, anche una sola volta nella vita, così, come una terapia. Allora si attenderebbe il giudizio universale a capo chino, come chi sa di essere già stato giudicato. Intanto io sorrido anche di queste stupide dita che premono: scrivi un commento. Grata.

  3. Io sono uno specialista della morte, come tutti coloro che, morendo per gradi, hanno dunque metabolizzato (termine improprio) il processo di quella rigenerazione sarcastica che alcune menti disturbate definiscono “evoluzione”.
    La morte imbroglia tutti con un ridicolo trucco, e appena si muore lo si capisce in ritardo, mentre ci si appresta a vivere un altro incubo.

  4. Ritratto di donna Franca Florio, Giovanni Boldini.
    La prima versione del dipinto era meno castigata rispetto a quello riprodotto nell’immagine: la spallina caduta sottolineava una scollatura più pronunciata, mentre la gonna sollevata scopriva le gambe sino al ginocchio: don Ignazio, il marito della nobildonna, impose al pittore di rivestire la consorte in modo più serioso.

  5. Bel commento Massimo, ma attento, proprio quando ci si dichiara specialisti altri ostacoli potrebbero ributtarci al livello del principiante, infatti rispunta dietro ad ogni piccolo malanno superato l’ombra della speranza. Soprattutto per il corpo, morire con semplicità è complicato. Concordo sull’idea di “evoluzione”, delirium della specie. Il prossimo incubo però non vorrei darlo per scontato, spero in un colpo di culo in extremis, ma forse per scaramazia è meglio non parlarne.

  6. Veramente ben riusciti, lontani sia dalle massime alla La Rochefocauld che dai paradossi ironici alla Flaiano. Cioran senz’altro più un tocco di Bufalino.

  7. Il lutto è un’onta. Significa tornare a sperare in Dio.

    Conservava la sua capacità di stupirsi per quando sarebbe morto.

    Primo fatto piacevole una volta morti: il funerale a scrocco.

    Tra metempsicosi, reincarnazione, immortalità dell’anima e paradiso e purgatorio e inferno ci hanno sciupato perfino la morte.

    Si augurava una fine così definitiva che riguardo alla morte faticava ad andare oltre il concetto di palliativo.

    io più li leggo più rido. non è che ci veda Cioran o Bufalino, mi fanno proprio ridere.

  8. “non sono io che evado la realtà, è lei che quando mi vede fugge”. Made in Caina.

  9. Caro Maurizio, il “Colpo di culo” è legge universale che intride l’universo tutto. Ovviamente è sempre una questione di punti di vista e la cosa, osservata dall’uomo, prende pieghe sostanzialmente diverse, perché l’umano essere non è paziente e chiama sfiga la fortuna. Concordo che il morire, tra tutti i modi per rigenerare un essere, non è quello più aggraziato, ma il deliquio ci aiuta assai, non distaccandosi troppo dal nostro modo d’intendere il Reale.

  10. È singolare questo bisogno tutto umano di chiamare la morte per nome, come se fosse un’entità. In realtà la morte è la vita che gira le spalle al passato per guardare il futuro e, più che chiamarla “morte”, sarebbe giusto darle della stronza…

  11. Quando la vita cerca di figurarsi la morte (per tirare lo scongiuro), stenta a trovare qualcosa che non assomigli almeno in parte a lei stessa… per ECCESSO di immaginazione.

  12. Quando si parla della morte, un certo grado d’insensatezza è d’obbligo. Un’ipotesi verificata ci farebbe sorridere fuori tempo.

  13. Io so esattamente cos’è la morte, non è necessaria l’intelligenza per vederlo, è sufficiente una logica iniziale e in seguito occorre un saltino che superi la logica. La logica è figlia della verità, ed essendone una conseguenza non può comprenderla nella sua interezza. Vita e morte, come tutte le opposizioni, sono inconciliabili su un piano di realtà osservabile da chiunque. Qui o c’è l’una oppure l’altra, e non possono che negarsi vicendevolmente. L’opposizione diviene conciliabile quando la si osserva su un piano di realtà superiore, dove le due realtà trovano equilibrio divenendo una complementarità. A questo livello vita e morte si specchiano l’una nell’altra e ognuna è considerabile come un capovolgimento attuantesi al di sopra della durata temporale, ciclicamente modulata, non potendo sussistere l’una senza l’altra. È questo lo stadio nel quale si prepara l’integrazione dell’apparente opposizione nel Principio che l’ha generata, attraverso la riflessione di sé nella molteplicità. Prima di questo riassorbimento uno dei due poli si relaziona all’altro in un nuovo rapporto di subordinazione che dipenderà del proprio grado di approssimazione alla centralità del Principio.
    So che a molti sembrerà la supercazzola, ma ho anticipato, e non accidentalmente, che non è l’intelligenza convenzionale a poter vedere ciò che ho appena esposto, né chiedo che si debba credere a quello che ho scritto. L’ho scritto solo per mostrare che c’è una dimensione superiore all’intelligenza individuale. Niente di ciò che ho esposto è farina del mio sacco né costituisce una mia invenzione. È dottrina metafisica sovra-individuale, e io l’ho solo ricordata.

  14. Lo scopo della morte è fare largo alla vita, d’accordo. Perché allora non si prende (subito) tutti gli ultratrentenni?

  15. Ma il punto è un altro: nella concisione aforistica la morte vive i giusti tempi per risplendere con tutta la sua eleganza.

  16. Massimo Vaj per me sei stato chiarissimo. Come lo sono stati Maurizio, Castaldi, Vergé e tutti gli altri… La morte non è terribile perché è la fine della vita, ma perché se ne può dire effettivamente di tutto. E’ un problema insomma che affligge non solo l’uomo ma anche la filosofia e la linguistica (e in un paio di aforismi Ricci lo dice bene).

  17. Che se ne possa dire di tutto non rende la morte superiore a qualsiasi altra realtà relativa, della quale si può altrettanto dire di tutto. Ma non è questa propensione a prendere l’umanità per il culo che valorizza o squalifica l’esistenza, semmai è il pensiero discorsivo che ignora le proprie radici e che si ritrova a culo nudo in mezzo a un incrocio dove s’incontrano quattro cartelli stradali indicanti altri quattro ospedali psichiatrici inadeguati al bisogno. La radice del pensiero consequenziale è costituita dall’Intuito spirituale – che non è l’istinto – e la chiave di volta sta nella capacità di individuare e comprendere i princìpi universali che legiferano l’esistenza. Questa è possibilità riservata a qualificazioni non decise da noi.

  18. La consapevolezza spirituale, che è conoscenza metafisica, non è sottomessa alla durata temporale. Da che esiste l’umanità questa possibilità di vedere la realtà attraverso le leggi universali è concessa a individui per decisione dell’Assoluto. Né le opere e neppure l’intelligenza geniale individuale sono parte di queste qualificazioni. Questi individui sanno interpretare la simbologia di vita e morte. Essi conoscono la legge di ripercussione che è chiamata paradiso e inferno. Non vedono con la mente, ma usano la mente per ordinare ciò che l’ispirazione spirituale mostra loro nella Certezza assoluta. L’Assoluto è nostro Padre, e quella Certezza è il legame che l’uomo ha come conseguenza ereditaria della stessa centralità interiore. Eppure nemmeno la Certezza assoluta può misurare adeguatamente la Realtà non relativa, priva di misura come di relazioni interne. Secondo un detto Sufi condiviso dai Veda, dalla Bibbia, dall’Avesta, dalla Thorà, dal Corano e dalle altre dottrine exoteriche monoteiste con carattere di rivelazione, ridotta e adattata alle collettività:
    La Certezza è come l’infinità interna al Mistero dell’Assoluto, la quale non può esaurirLo.

  19. straparlare equivale a non parlare, tutto/niente. l’aforistica, come genere, prende le mosse dalla filosofia ma sgambetta la teoretica, rifiutando qualsiasi pretesa di sistematicità. questo è.

  20. Bellissimo Massimo: “…per scioglierle il trucco”. Anche la vita però non è una sbarbina di primo pelo; vedova impenitente, sull’arido cuoio di codesta vecchia signora il trucco tiene rappreso a fondo. Gli insegnamenti un po’ libreschi che tu riferisci generosamente su NI, fuori dunque da un ambito iniziatico regolare, parranno una farneticazione a molti. Pazienza.

  21. La regolarità iniziatica non ammette che in eccezionali e sparuti casi alternative fuori da sé. La metafisica non è altro che regolarità dottrinale e iniziatica. Normalità, quindi, intendendo per normalità l’aderenza ai principi sui quali l’esistenza muove i suoi primi passi, ci corre in mezzo e trascina gli ultimi.
    Non è “filosofia” come malamente pensa che sia berto. Non può essere neppure sistematica, perché ogni sistema è caratterizzato da esclusioni di realtà incompatibili con quel sistema, mentre la dottrina metafisica è unica e totale, non escludendo altro che il contraddire i principi universali dai quali trae senso e realtà.

  22. Non sono così certo che tu intenda la differenza tra lo sparlare, musicalmente incentrato e intellettualmente sgangherato, di Bergonzoni, e la rigorosa logica che guida il mio esporre conoscenze non di mia invenzione. Né d’altri.

  23. Non ci può essere nulla di esaustivo, attorno e dentro la metafisica, per una ragione che non comprenderai: occupandosi la metafisica dei principi universali che ordinano, legiferando, la realtà, si deve dire che la metafisica riempie una sfera che è indefinita allo stesso modo della realtà universale, la quale ha limiti analoghi a quelli che rendono inavvicinabile ogni orizzonte. Ci sarebbe anche un altro motivo, riferito alla necessità di ridurre la propria boria per essere accettati dalla Verità, che mai si mostra a chi ritiene di essere maggiore di Lei…

  24. Tratto dal Tao Té Ching:

    Quando un uomo saggio sente dire dei princìpi del Tao si impegna a rispettare le conseguenze di quel conoscere

    Quando un uomo nobile ne sente parlare cerca di approfondirne la conoscenza

    Quando un uomo volgare li considera ne ride. Se non ne ridesse non sarebbero i princìpi del Tao

  25. @vaj: tu devi essere uno che per ridere aspetta che gli altri ridano. Mozart è volgare, in effetti, e non esaustivo (neppure per scherzo!). Un consiglio: frequenta qualche cretino ogni tanto. Ferie!

  26. @vaj chiuderei con un abbraccio fraterno, ci fraintederemo ancora al mio ritorno, a settembre. stai bene, pensami, io ti penserò.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Nel 2011 il romanzo noir I materiali del killer ha vinto il Premio Scerbanenco. Nel 2018 il romanzo storico Come sugli alberi le foglie ha vinto il Premio Bergamo. Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.