Lucio Urtubia, anarchico e falsario
Intervista di Danilo De Marco
“Qui c’è stato, non molti anni fa, perfino Henry Cartier-Bresson con una sua mostra dal titolo ‘Per un altro futuro’ afferma Lucio Urtubia indicando lo Spazio Culturale dedicato a Louise Michel, epica leader libertaria della Comune di Parigi, che lui stesso ha costruito – cazzuola alla mano – nella parte alta del popolare quartiere di Belleville.
“Durante una trasmissione televisiva – continua Lucio – ho sentito Henry Cartier-Bresson dichiarare a gran voce il suo sentirsi anarchico. L’ho cercato immediatamente. Sua moglie, Martine Frank, altra famosa fotografa, mi impediva sempre di parlare direttamente con lui. Cercava di proteggerlo, immagino. Ma poi un bel giorno ecco che risponde proprio lui in persona. In un attimo, quattro parole ben assestate e appuntamento fissato per vedere lo spazio. Alcuni mesi dopo inaugurammo l’esposizione. Insomma dal Louvre all’Espace Louise Michel: che ci vuole!”.
In questo edificio – Lucio abita al piano superiore con la moglie Anne che da anni collabora con Médecins du Monde – si svolgono incontri, dibattiti, esposizioni sempre naturalmente in sintonia con un’idea antisistema. Lucio Urtubia è un uomo umile ma dotato di una particolare arguzia schiettamente popolare e di rapido istinto. Il tutto condito da una franchezza diretta e disarmante, condizioni connaturate che l’hanno protetto anche quando la sua situazione sembrava disperata. “Ho sempre creduto che nella vita nulla fosse impossibile anche quando ho dovuto vivere nascosto e con un altro nome. Ignoriamo ancora del perché della nostra esistenza, non sappiamo perché siamo fatti in un certo modo, uno differente dall’altro, totalmente differenti. Unici. Una ricchezza inesplicabile questa, cui non diamo troppo valore – ben misere cose il denaro e il potere – e di cui perdiamo il senso, troppo attenti a voler avere perdendo l’essere… come ora io e te qui a bere una birra sotto un cielo azzurro. Assieme a pensare l’impossibile. Noi esistiamo, siamo la prova che l’impossibile non esiste. E questo non è semplicemente meraviglioso?”.
Lucio Urtubia nasce nel 1931 a Cascante, villaggio sperduto nella cattolicissima e carlista Navarra, “ho sempre avuto un po’ di rammarico per questa terra così poco rivoluzionaria”, da una famiglia povera e socialista. “Poveri e per di più socialisti allora era come essere marcati a fuoco come animali. Eravamo sei fratelli. Mangiavamo tutti assieme dallo stesso piatto. Una fortuna questa, essere nato così povero, perché non ho dovuto fare nessuno sforzo per perdere il rispetto verso tutte le istituzioni: per la proprietà, per la chiesa e per lo Stato”.
Rivendica, con un colorito immaginario assai fosforescente, il suo essere stato nel contempo muratore, clandestino, falsario, ladro: “I più grandi ladri che esistono sono gli istitui bancari, protetti per di più dalle leggi del sistema. Son los ladrones los mas grandes! Cosa potevamo fare per aiutare i prigionieri del franchismo e le loro famiglie: gli anarchici non hanno industrie né tantomeno deputati o ministri con portafogli… Rubare alle banche, che reputo un atto rivoluzionario, è stato il maggior piacere, o quasi, che ho avuto nella vita. L’ho fatto come potevo e come mi veniva e tutta la mia esistenza, a riguardarla ora, è qualcosa di inimmaginabile di cui io stesso a volte dubito”.
A 17 anni, attraversando i Pirenei, inizia la sua prima attività: il contrabbandiere. Occupazione che viene interrotta solo dall’obbligo di leva militare. Diretto e persuasivo, Lucio riesce a farsi dare un incarico presso i magazzini della caserma dove c’era ogni ben di dio: ”Ho capito immediatamente che era tutta merce da poter vendere facilmente al mercato nero.” Con la sua astuzia non ebbe certo difficoltà a rubacchiare e far uscire dalla caserma tanto materiale da mettere quasi in condizioni fallimentari l’intero presidio. “La mia più grande soddisfazione era ingannare i superiori. Quei militari, quella gentaglia che aveva partecipato al colpo di stato contro la Repubblica assassinando chissà quanta gente. Quando la Guardia Civil scoprì i furti e iniziò un’inchiesta sul materiale mancante io ero in permesso e, certo, non mi passò neppure un istante l’idea di rientrare nei ranghi”.
Nella notte del 24 agosto del 1954 il disertore Urtubia attraversava il fiume che segna la frontiera tra Spagna e Francia. Senza intenzioni di ritornare.
A Parigi inizia per Lucio la vita senza gloria degli emigrati. Capace e intelligente riesce a farsi assumere senza grandi difficoltà dopo pochi mesi e, per apprendere il francese, frequenta una scuola gratuita e autoditatta di giovani libertari. Partecipa alle conferenze di Breton, Camus, Lanza del Vasto, Daniel Guérin: incontra Georges Brassens e Léo Férre. Tutto nella vecchia storica sede libertaria al 24 di rue Sainte Marthe.
Diventa un fine muratore e installatore di azulejos, ma per la sua indole irrequieta e ribelle non è certo sufficiente. Fa assumere nel cantiere dei preti operai militanti, dimostrando un’attitudine innata da sindacalista solitario, tanto da incuriosire i compagni di lavoro, in maggioranza spagnoli, che gli chiedono quali siano le sue idee politiche. “Comunista! Mi sentivo comunista perché in Spagna incolpavano sempre i comunisti di tutto quello che accadeva. Tutti si misero a ridere. Tu non sei comunista. Sei un anarchico: mi dissero”.
La fiducia verso Lucio si forgiò in una sorta di cenacolo da carbonari dell’utopia, tra discorsi libertari, la sua attitudine sul cantiere, dove, oltre ad essere un ottimo lavoratore qualificato, non esitava a fare bottino di qualche cassa di materiale necessario alla causa.
“Basta tribunali, proprietà privata, religione, sfruttamento… l’uomo sarà libero e si autogestirà. Muratori, imbianchini, elettricisti… non abbiamo bisogno di uno stato. Era come se queste cose io le avessi già tutte dentro di me. Poi un giorno, essendo tra i rari libertari del gruppo ancora incensurati, mi chiedono di ospitare in casa un clandestino catalano. Un fuggitivo dal regime franchista. Mai mi sarei aspettato di trovarmi davanti Francisco Quico Sabaté, il nemico numero uno del franchismo, ricercato in tutta la Spagna. Quico era una leggenda… il Cartouche degli anarchici” ( “E venne il giorno della vendetta”, del 1964, con Gregory Peck, Anthony Quinn, Homar Sharif).
Quico Sabaté, già combattente in Spagna nel fronte di Aragon e successivamente nella “Columna de Durruti”, diventa un modello e un secondo padre per Lucio. Quando El Quico cade sotto i colpi della polizia franchista nel 1960 “Lucio si ritrova drogato. Fatto dall’odore della polvere da sparo che emanava Sabaté” scrive Bernard Thomas nella biografia “Lucio l’irréductible’ edizioni Flammarion”.
El Quico lascia in eredità a Lucio una mitraglietta Thompson e una pistola 11.43. Si improvvisa rapinatore di banche, “espropriazioni” in Spagna, Francia, Olanda, distribuendo puntualmente il denaro per la causa antifranchista – aiutare la resistenza, far uscire in libertà provvisoria dei compagni incarcerati, farli espatriare, sostenere le loro famiglie. “Entravamo nelle banche a viso scoperto: non c’erano telecamere, né porte blindate, né vigilantes. Ogni volta facevo pipì nei pantaloni per paura di essere ucciso o di ritrovarmi a dover sparare. Non è certo divertente mettere una mitraglietta sotto il naso di qualcuno. E come si fa a non sentirsi male in tali situazioni quando per di più non ci si sente criminali? Troppa violenza. Non faceva per me. Falsificare documenti era una buona alternativa.”
Talentuoso anche in questo mestiere, conosciuto grazie al preziosissimo aiuto datogli da un industriale antifranchista e anarchico, Pierre Dupien – “chi ha mai detto che gli industriali non possono essere anarchici” – di giorno muratore sempre puntuale e di notte tipografo, organizza un’equipe di falsari in un piccolo laboratorio rudimentale: passaporti, patenti, carte d’identità. Trova il modo di intestare delle buste paga a persone inesistenti, sorta di anime morte alla Gogol, con le quali bastava presentarsi agli sportelli della banca e incassare. “Falsificare alcuni di questi documenti era come duplicare dei biglietti per entrare allo stadio e permetteva a tutti quelli che erano clandestini di poter fare una vita quasi normale: camminare per strada, trovare lavoro, casa, sposarsi, perfino aprire un conto in banca”.
Grazie all’intervento personale di Rosa Simeon, ambasciatrice cubana a Parigi rimasta affascinata da questo muratore deciso e pieno di inventiva, incontra all’areoporto di Orly il Comandante Ernesto Che Guevara, ai tempi direttore della Banca Nazionale di Cuba e Ministro dell’Industria. “Gli dissi della mia passione per la rivoluzione cubana e specialmente per Camillo Cienfuegos – il suo assassinio fu una delle prime sciagurate operazioni del castrismo – e poi, con un campione alla mano, spiegai la mia idea di inondare il mondo di dollari falsi. Avevamo riprodotto la moneta verde con una perfezione unica. Ci voleva solo uno Stato audace e deciso che si incaricasse di stamparli in grande. E chi se non Cuba poteva fare questo come risposta all’embargo? Quale azione di guerra più potente che seppellire il grande capitale sotto una cascata di dollari falsi? Quando Fidel disse no al comunismo e no al capitalismo per una rivoluzione del colore delle palme… Sognavo la bandiera rossa e nera nella Sierra Maestra… A quei tempi avrei dato la mia vita per Cuba. Poi non se ne fece nulla e Fidel diventò un diavolo”.
Alcuni anni dopo, Lucio viene inquisito e imprigionato con sua moglie Anne, per implicazioni nel sequestro di Balthasar Suarez, direttore della Banca di Bilbao a Parigi “Mi accusarono di sequetro, estorsione, ma io non ne sapevo nulla. Quella fu un’azione mediatica per mettere in allerta l’opinione pubblica sulle terribili condizioni in cui si trovavano i prigionieri politici e farla finita con le esecuzioni capitali. I responsabili di quel sequestro – so per certo che mai mangiò una paella così buona come durante il suo sequestro – trattarono il banchiere con la più grande delle civiltà, visto che già la detenzione in se è un atto di una violenza inammissibile”. Dopo il sequestro Suarez non ci furono più esequzioni capitali in Spagna, e al momento del processo né Balthasar Suarez né il suo avvocato si presentarono in aula come parte lesa.
“I travellers-chèques U.S. della First National City Bank erano certamente più difficili da imitare ma ci permetteva di pensare in grande e con una clientela globale. Bastava acquistare dei veri travellers-chèques e duplicarli in migliaia di copie. Ci volle quasi una anno per mettere a punto l’operazione”. Migliaia di travellers-chèques falsi invadono il mercato mondiale. Una specie di ‘Word Revolution Business’ con presidente finanziario il muratore Lucio Urtubia. “Una rete di persone nei quattro angoli del mondo si metteva in azione più o meno nello stesso momento, visto che gli chèques da 100 dollari portavano lo stesso numero e quindi andavano cambiati in uno stretto giro di tempo. Ero io il capo: ho stampato gli assegni, li ho distribuiti e li ho incassati. E poi il denaro andava dove doveva andare. Nessuna delle persone a cui è stato consegnato il denaro si è arrichita. Nessuno. Al massimo ci comperavamo un paio di pantaloni quando non ne avevamo più di decenti o ci permettevamo un pranzo in una trattoria”. Una specie di Stato nello Stato. Moneta stampata e documenti di identità che venivano distribuiti e usati anche da molti movimenti armati: Tupamaros, Montoneros, Prima Linea, Brigate Rosse, Action Directe, ETA…
“Era una grande soddisfazione per me far pagare ad una delle più grandi banche americane le spese per la lotta contro le dittature dell’America Latina”. Il nome di Lucio appare anche nel rapimento del nazista Klaus Barbie in Bolivia, nella fuga di Eldridge Cleaver leader delle Black Panthers, nelle mediazioni di Javier Rupérez e del caso Albert Boadella…
Mentre la situazione per la City Bank diventa critica, la polizia francese segue una pista: un muratore emigrato spagnolo. “La polizia può sbagliare mille volte ma a te non è concesso il minimo errore”. Lucio Urtubia viene fermato con le mani nel sacco -una 24ore zeppa di assegni falsi – mentre sta facendo una transazione con veri dollari al caffé Le Deux Magos. Ma ahimé, questa volta, con un infiltrato della polizia.
Alla City Bank di New-York si tira un respiro di sollievo e grande voglia di rivincita. “Mi denunciarono chiedendo 5 anni di carcere più il rimborso della somma sottratta -si parlava allora di almeno 15 milioni di dollari- e danni relativi”. Gli avvocati di Lucio “…anche un muratore può avere le sue relazioni” il fior fiore del Foro francese dell’epoca tra cui Roland Dumas avvocato di Picasso, futuro ministro degli esteri e presidente del Consiglio Costituzionale, assieme a Thierry Fagart sostenuti da Louis Joinet, consigliere di Mitterand e da sempre impegnato a combattere le dittature, dichiarano ai legali della City Bank che “…non si trattava di una truffa comune, di una gang di piccoli malfattori, ma era qualcosa di politico”. Chiedono di andare a patti con Lucio Urtubia, ritirando naturalmente la denuncia e i diritti a qualsiasi rimborso. “Con il mio fermo pensavano di aver risolto il problema; invece lo smercio continuava alla grande in tutto il mondo”. Nella cittadella del dio dollaro a New York, il presidente della City Bank, Walter Wriston, va su tutte le furie al pensiero di dover sedersi ad un tavolo di trattativa con un muratore. Ma la situazione era catastrofica e la City Bank si trovava ai limiti della bancarotta.
“Proposi uno scambio sulla parola come si usa tra gentiluomini: le matrici in cambio di una valigetta bella colma di soldi buoni. Altrimenti io me ne restavo tranquillo in prigione, e loro continuavano a perdere milioni”. Accordo raggiunto, l’avvocato di Lucio consegna le matrici e ritira la valigetta, mentre Lucio brucia tutto il rimanente già stampato. Nel giro di qualche tempo gli assegni falsi scompaiono e Lucio viene reintegrato: “per la mia messa in libertà ricevetti perfino le felicitazioni cordiali della First National City Bank”.
Intanto gli anni passavano e i Paesi dell’America Latina avevano imboccato la via della democratizzazione come anche la stessa Spagna e il compito che Lucio si era dato in fase di esaurimento. Ma uno come Lucio non poteva certo restare con le mani in mano. Frequentando molti ex-prigionieri politici di varie nazionalità bisognosi di guadagnarsi da vivere, gli viene l’idea di metterli assieme e fondare una cooperativa edile. Detto fatto, ecco nato l’Atelier 71 in onore alla Comune di Parigi e, come prima commessa, una ristrutturazione con i fiocchi, nientidimeno che per Paco Rabanne.
“Saper lavorare duro e bene è un altra cosa. Essere rivoluzionari e intellettuali non bastava. Insomma fu un disastro. Ricordo che l’uruguaiano Gino, alla fine della prima settimana mi disse che aveva lavorato più in quei giorni che in tutta la sua vita. Dovetti sciogliere la cooperativa e mio malgrado diventare padrone per poter onorare l’impegno preso. Non sono, evidentemente, un partigiano del lavoro per il lavoro, ma per vivere e forgiare l’esistenza è certamente necessario. Il meno possibile e il meglio possibile”.
Lucio Urtubia, questo maestro dell’essenziale oggi ottantenne… “quando sono arrivato a Parigi non sapevo nulla, nemmeno lavarmi la faccia. E’ il mestiere di muratore che mi ha insegnato ad aggiungere qualcosa all’impresa delle nostre generazioni precedenti; a conoscere gli esseri umani, a saper usare i materiali….”, lavora tutti i giorni al suo tavolo, sotto gli sguardi inquisitori dei ritratti di Luise Michel e Jules Vallès.
Un righello, una penna stilografica e numerosi fogli scritti con una calligrafia che si intuisce ostinata, lenta e ordinatissima. Troppa la curiosità per non chiedere cosa stia scrivendo. Un sorriso, mentre una luce illumina i suoi occhi: “Al di là di quello che è un pensiero comune sui libertari, violenti e terroristi, anarchia vuol dire responsabilità; lavoro, creazione e azione. Certo anche nessun timore nel combattere per distruggere le regole ingiuste. Non sono nemmeno contro la ricchezza, ma contro la maniera in cui la si usa, e mi piange il cuore a scoprire che ancora non ci siamo. Possiamo contare solo su noi stessi per abbattere questo mondo insopportabile. Penso con ostinazione che l’autogestione sia l’unica strada per una migliore convivenza e responsabilità individuale e collettiva. Cosa sto scrivendo mi avevi chiesto: scrivo qualcosa che avrà probabilmente come titolo ‘Il possibile dell’impossibile’. Com’è stata la mia vita”. Facendo attenzione, come gli ricorda spesso con una punta di ironia la moglie Anne, a non diventare una leggenda.
Luois Joinet, che è uno dei massimi magistrati francesi, non senza gusto del paradosso, pensando a Lucio Urtubia afferma: “Lucio rappresenta più o meno quello che io avrei voluto diventare nella vita”.
[Il ritratto di Urtubia e le fotografie scattate nello “Spazio Culturale Louise Michel” sono di De Marco]
[Il 22 settembre, alle 18.00, l’associazione culturale Pabitele coordinerà un incontro conversazione con Lucio Urtubia in Sala Ajace a Udine, con interventi di Luciano Rapotez dell’ANPI e di Marco Puppini, storico dell’AICVAS. Sempre a Udine, alle 21.00, al Circolo Casaupa, in cia Val d’Aupa 2, sarà proiettata la versione integrale del film “Lucio” di A. Arregi e J.M. Goenaga, alla presenza del protagonista]
STRAORDINARIO
c.
sartori, questo è un post che non si commenta, perchè non si commentano le boccate di ossigeno, V.
ciao, volevo incontrare Lucio Urtubia ma non ce l’ho fatta a venire in tempo. Si trova ad Udine un paio di giorni?
Ho scritto due libri contro le banche, e vorrei incontrarmi con lui.
Per piacere mi contattate se è ancora in Udine venerdi?
grazie,
Antonio MIclavez
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