Intervista a Luigi Di Ruscio (un’integrazione)
[questo è uno spezzone aggiuntivo, non pubblicato, dell’intervista di Roberta Salardi a Luigi Di Ruscio (Cristi polverizzati), pubblicata sul numero 52 (aprile 2010) di Nuova Prosa (Greco&Greco), e ripresa qui da NI; gs]
di Roberta Salardi
1) Ho trovato in un’edizione rarissima un altro suo libro in prosa, L’allucinazione (Cattedrale, Ancona 2007). Anche questo libro come gli altri romanzi viene da lontano, da molti anni addietro?
Ho preso in mano L’allucinazione, pubblicato solo due anni fa, e di questo libro non ricordavo nulla. Ricordo solo che diedi il manoscritto all’editore precisamente a Valentina Conti, che poi mi fece sapere che il libro voleva pubblicarlo ed io avevo cambiato idea, il libro non volevo più pubblicarlo. La Valentina Conti (molto bella e molto corteggiata), insisteva ed io alla fine dissi pubblicate anche questo, va bene, nel frattempo continuavo a scrivere corte prose immaginando che non si potesse scrivere poesia senza che la cattedrale dell’ultimo secolo abbia una sua centralità. La cattedrale dell’ultimo secolo è la fabbrica metallurgica. Il sottoscritto doveva diventare un chierico della grande cattedrale. Come comunista e come poeta dovevo diventare un operaio, questa è stata la mia “prospettiva” e la mia scelta operaia ha del comico, una specie di Chaplin di Tempi moderni che sventola la bandiera rossa per sbaglio e così mi presento come L’ULTIMO BUON POETA ITALIANO metto anche questa maschera e rimarrà impresso nella mia memoria quel convegno di poesie neorealiste nei primi mesi del 1953. Eravamo tutti giovanissimi, sui venti anni, con le tasche piene delle carte delle nostre prime poesie e poi tutte quelle polemiche contro il neorealismo, quello sparare contro un niente e quell’immagine di ragazzi con le camicette pulite, le prime cravatte, con le loro madri ancora giovani trepide per questi figli che volevano fare i poeti, ragazzi con la speranza intatta per un mondo migliore e all’immagine di questi ragazzi rimarrò fedele per tutta la vita. Ho lavorato sulle infernali trafilatrici per anni 37 e tutto il mio tempo libero è stato sacrificato per scrivere. La mia poesia è stata per decine d’anni nella emarginazione totale. Anche ora la mia poesia vive in una situazione di semiclandestinità. La poesia mi ha dato il dono della diversità e mi ripetevo questa frase: Non occupatevi della poesia del sottoscritto. “Tutto il credito di cui possiate godere è inutile nei miei confronti, non spero nulla dal mondo, non temo nulla, non voglio nulla, non ho bisogno grazie a Dio, né della ricchezza né dell’autorità di nessuno. Quindi, padre, sfuggo ai vostri lacci. Non riuscirete a prendermi, da qualunque parte tentaste di farlo”. Citazione ricavata dalle Lettere provinciali di Pascal. Ci fu il periodo che Pascal, Rimbaud e Leopardi erano i miei autori quotidiani e proprio adesso sfogliando, L’allucinazione e leggendo a caso mi sono accorto che il libro è pervaso da una certa allegria, in quel periodo stavo bene, tutto filava bene, avevamo messo da parte una certa somma, riuscivamo a cenare tutte le sere, poi avvenne la catastrofe mentre mi pubblicavano Cristi polverizzati mi sono accadute una serie di disgrazie che mi hanno portato vicino alla morte e nella miseria. E’ bene tener conto che i miei romanzi Palmiro e Cristi polverizzati sono stati scritti più o meno come si scrivono romanzi. Invece Le mitologie di Mary e L’allucinazione si sono formati raccogliendo prose nei miei tanti documenti. La raccolta fu fatta velocemente, stranamente quel giorno che raccolsi le prose che avrebbero formato L’allucinazione dovevo essere molto allegro, anche il titolo L’allucinazione a me sembra un titolo buffo e mi fa sorridere ancora.
2) Nelle prime pagine si legge: “Ieri passeggiando pensavo a una possibile poesia per mia moglie, un elogio alla forza della sua debolezza, il superare le malattie più gravi con un’alzata di spalle, un girare nel labirinto delle piccole cose, nominare le crune degli aghi, un bottone staccato e perso, la telefonata che fa bruciare la frittata, ci perdiamo nel caos delle cose minuscole…” (p. 14). Mi sono piaciuti questi frammenti per una poesia in costruzione. Poi so che lei a sua moglie ha dedicato un intero volume, Le mitologie di Mary: vuole parlarcene (è un volume diverso dagli altri, mi pare, in cui si fa riferimento alla mitologia nordica)?
Io sino a poco tempo fa scrivevo tutti i giorni, scrivevo prosa come scrivevo poesie, in una raccolta di poesie non c’è la narrazione, ogni poesia è un mondo a se, stessa cosa con le mie prose, come sono nate Le mitologie di Mary? Un giorno ho immaginato che in mia moglie ci fossero dei punti fissi, qualcosa di mitologico nel profondo di sé. Con questa idea ho raccolta da tutte le mie prose tutti i documenti dove Mary era citata. Scrissi la prima cartella ed ho spedito all’editore LietoColle il manoscritto. Tempo addietro l’editore di LietoColle mi aveva cercato per alcune poesie che dovevano essere pubblicate in un libro calendario. Vivo con mia moglie da più di cinquant’anni, conoscere mia moglie mi ha aiutato molto a conoscere me stesso. Sposarci fu semplicemente una cosa burocratica, vivevamo già insieme e pensammo che fosse meglio formalizzare la nostra unione. Io e mia moglie ci amavamo molto, in Cristi polverizzati c’è un episodio amoroso che Andrea Cortellessa nella prefazione al volume dice che è la scrittura d’amore più bella di questi ultimi anni.
3) Sono umanissimi e tenerissimi i ritratti contenuti in Palmiro. Oltre a quelli molto amati di Ciocca e di Roscetta a me pare molto interessante quello di Nettonici, il personaggio della sezione del Pci che cerca di far quadrare sempre la teoria con i fatti e consulta continuamente tonnellate di carte. “Quando si sfasciano tutti gli schemi e la realtà sputa l’imprevedibile, Nettonici rafforzava le lenti degli occhiali e ricontrollava le tonnellate di pagine teoriche (…) Quando Nettonici aveva ritrovato il punto di congiunzione tra i fatti e le carte, franava in una gioia totale, toglieva gli occhiali e rimaneva nella nebbia. Gli occhi vedevano la nebbia, e tutto avvolto in una nebbia d’oro se c’era il sole, e gli oggetti erano come se avessero un’aureola. Si dilatavano con tutta l’aureola, e senza gli occhiali piombava in un mondo marino, in un mondo profondo, e vagava felice in quel mondo che senza gli occhiali diventava sempre più indistinto e confuso tanto che la gioia lo plasmava, insomma se era franato nella gioia Nettonici toglieva gli occhiali quasi a mirare fuori di sé la sua gioia. A volontà plasmava tutte le parvenze, perché tutto senza occhiali gli diventava parvenza.” (pp. 95-96). Non c’è dubbio, quei personaggi della sezione del Pci di Fermo degli anni cinquanta erano molto più ingenui e sinceri, idealisti e altruisti di quanto noi oggi possiamo anche solo immaginare. I nostri sono anni più cinici… Cosa pensa e cosa si pensa in Norvegia degli scandali della politica italiana di oggi?
Sono un cittadino italiano e sono una persona anziana e a rischio e non ho avuto nessuna difficoltà a vaccinarmi, il primo ministro con tutto il governo norvegese non sono stati vaccinati perché non sono persone anziane e non sono a rischio. Poi l’ età media del governo norvegese è di cinquant’anni e nel governo norvegese ci sono il cinquanta per cento di donne. Immagina il sottoscritto che vive in Norvegia però segue quello che avviene in Italia seguendo in internet il “Corriere della sera” insieme a “la Repubblica” e vede tre telegiornali al giorno. In un giornale norvegese c’era la foto del primo ministro con la moglie che andava a fare la spesa in un fruttivendolo turco. E’ da notare poi che nella aule scolastiche norvegesi non ci sono e non ci sono mai stati crocifissi e mia moglie ha sul collo un piccolo crocifisso vuoto perché mia moglie mi dice che Cristo è risuscitato e la croce è rimasta vuota per sempre.
4) “Come poeta sono nato nel momento in cui la cultura italiana era nella massima apertura verso il mondo, verso i momenti più avanzati della cultura moderna, basta scorrere le pagine del Politecnico di Vittorini, Fortini eccetera, la freschezza di quelle pagine e perfino una specie di allegria evidente perfino nell’assetto tipografico, una allegria che scaturiva dalla speranza che era quasi una certezza in un mondo migliore.” (L’allucinazione, p. 35). Ora invece pensa che ci sia una chiusura delle lettere italiane rispetto al mondo?
Non seguo quello che avviene nella poesia italiana degli ultimi cinquant’anni, un giovane poeta mi ha scritto e domandato se leggevo la Marini, ho risposto dicendo scherzando che non leggo le poesie della Marini perché sono di un altro mondo ed io non sono un astronauta. Poi anche la maniera di essere poeta, io negato ad ogni forma di esibizionismo, per poter scrivere la mia seconda raccolta sono emigrato, nel senso che avere contatti con gli artisti con i poeti era diventato insignificante, dovevo emigrare, trovare un lavoro per scrivere e riscrivere in pace la seconda raccolta. Notare le date, la prima raccolta pubblicata nel 1953, la seconda nel 1967, la terza raccolta nel 1978 e attorno ad ogni mia raccolta è come se ci fosse un mare di silenzio. La cultura del primo dopoguerra con i famosi film del neorealismo Ladri di biciclette e Roma città aperta fu il mio punto di partenza, poi fu come un camminare in un corridoio, con sempre nuove porte da aprire sino ad arrivare a L’Iddio ridente che è la mia ultima raccolta.
[NB: abbiamo lasciato nella risposta di Di Ruscio “Marini”, che sta ovviamente per “Merini”]
in foto, oltre a di ruscio, il grande massimo raffaeli.