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The Social Network: vita (asociale) del fondatore di FB

di Matteo Ciucci

Quasi una nemesi divina, una maledizione. Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, il sito che con i suoi 500 milioni di iscritti raggiunge un valore di 25 miliardi di dollari, padre dell’incarnazione del più vasto social network del mondo, perde per colpa della sua creatura l’unico amico che aveva. Zuckerberg è infatti un Nerd di Harvard incapace di stabilire relazioni sociali con gli altri, che genera l’esperimento di Facebook per vendetta contro una studentessa che lo ha rifiutato. E’ questo l’incipit del film The Social Network di David Fincher sulla vita socialmente arida del fondatore di Facebook, il cui nome, per ironia della sorte, in tedesco significa “montagna di zucchero”.

La neo-classista società americana degli anni 2010 è rappresentata dal regista all’interno delle università d’élite anglosassoni come un nucleo preesistente di un ordine sociale  già interiorizzato dagli studenti e pronto per essere replicato tale e quale nella vita adulta. Una società effimera, misogina, narcisistica e vanitosa, un circolo chiuso il cui massimo riconoscimento sociale ruota intorno all’appartenenza a un’aristocrazia i cui privilegi sono fondati sull’esclusività conferita loro dal possesso di enormi fortune.

Parecchie sequenze del film sono, per tutti gli utenti comuni di FB – i celebrati 500 milioni di friends – autentici schiaffi in faccia all’ingenuità di ciascuno. Il più grande Social Network altro non è che l’estremo atto di conformismo sociale[1] nato in seno all’aristocrazia della società americana, nel cuore delle università d’élite di Harvard, MIT, Yale, Stanford, Berkley, basato sul desiderio di appartenenza al mondo esclusivo di coloro che  possiedono una vita pubblica.

Soltanto in un secondo tempo, quando, diventato un collaudatissimo business in grado di produrre denaro al ritmo di 50$ ad utente[2] comincia ad espandersi al grande pubblico; esattamente come un sistema di moda, promettendo in modo seriale e massivo l’accesso a quel mondo esclusivo, FB riesce a perpetuarsi eternamente divenendo nei fatti uno strumento di omologazione, premessa di ogni controllo degli individui.

L’idea che molte delle persone più attive in FB siano nella vita reale tragicamente sole non è nuova. La rappresentazione che ne da’ il regista di The Social Network trova la sua conferma nelle motivazioni profonde del suo creatore, in una sorta di moderno peccato originale: mancanza di autostima, isolamento, frustazione. Grazie a FB, chiunque oggi può gridare in rete la propria solitudine, avendo accesso a un profilo pubblico visibile al mondo intero o acquistare l’illusione di trasformare la propria vita in una tragedia compassionevole o in un’appassionante telenovela.

E’ il meccanismo stesso dell’innovazione a qualunque costo, di certa ricerca scientifica, del giornalismo strillato, in una parola, della moda, termine che persino nel film viene individuato come essenza suprema di FB (“diverrà una moda, muterà continuamente, sarà eterno”). E’ la favola dell’agnello che grida “al lupo, al lupo” che ha intuito che, per continuare ad attirare l’attenzione, dovrà generare ogni volta un nuovo evento, mutare le proprie sembianze perchè tutto si ripeta identico a sé stesso.

I profili di FB, aggiornati continuamente, incarnano la generazione di simulacri anticipata da J. Baudrillard, i suoi simboli vuoti; così come i derivati della finanza speculativa, sono meri generatori di inflazione informativa, intellettuale e culturale, che ha il solo scopo di normalizzare i comportamenti delle nuove masse su nuovi standard pseudo-esclusivi (Facebook, blog, Iphone, Televisori 3D) che ridefiniscono, con le proprie mutazioni continue, i confini sempre più rigidi delle emergenti moderne classi sociali.


[1] L’autore di questo articolo ha regolarmente un suo blog, un profilo FB e frustrazioni in bella mostra.

[2] Questo il valore, assolutamente non esclusivo, di un profilo pubblico che si deduce facilmente dalla stima della società e dal numero dei suoi utenti.

48 COMMENTS

  1. L’argomento mi interessa molto, e praticamente condivido parola per parola quanto scritto da Matteo.
    Anche se mi aspettavo (chissà perchè) un pezzo un po’ più approfondito, con riferimenti a studi socio&psico-logici. Desiderio e curiosità.

  2. …è sempre colpa della “femmina” che si nega, con tutto quello che ne consegue
    :)
    poverelli, siam tutti poverelli in cerca d’amore
    baci
    la fu

  3. a quando un corposo trattato sull’educazione al “fallimento” ?
    moriremo “vincenti”?
    è il nostro triste destino?
    ai posteri l’ardua sentenza?
    razza di analfabeti sempre di ritorno :)
    non voletemene, anche questa mia “testimonianza” è da annoverarsi fra le umane miserie :)
    baci
    la fu

  4. Non ho visto il film, quindi ringrazio Matteo Ciucci della recensione. FB come strumento di omologazione e come strumento per creare profili personali sempre più invadenti da vendere a pubblicitari, assicuratori, avvocati e datori di lavoro.

    Su questo punto però non sono d’accordo:

    L’idea che molte delle persone più attive in FB siano nella vita reale tragicamente sole […] mancanza di autostima, isolamento, frustazione. Grazie a FB, chiunque oggi può gridare in rete la propria solitudine, avendo accesso a un profilo pubblico visibile al mondo intero o acquistare l’illusione di trasformare la propria vita in[…]

    Questo è il solito luogo comune sugli utenti della rete, prima erano quelli che scrivevano su usenet che erano soli e frustrati, poi quelli che usano le chat e sono sfigati, poi quelli che tengono un blog che sono narcisi senza amici, poi quelli che giocano a World of Warcraft che non hanno amici ma gli viene la scoliosi, e infine Facebook.

    Probabilmente è vero il contrario, molte persone attive in FB sono estremamente attive nella vita reale, questa rete sociale ha successo non solo per le spinte al conformismo degli utenti, ma per i servizi reali che offre a chi la usa.

  5. credo che FB, come gli altri social network, sia solo un mezzo, una pagina bianca che gli utenti possono scrivere a seconda delle proprie priorità, urgenze e/o frustrazioni e vanità.
    tante sono le vite immaginarie e virtuali, le solitudini che si nascondono dietro un monitor, ma è pur vero che i contatti si scelgono, spesso perchè ci si conosce realmente, o si è a lungo “navigato” negli stessi mari, e ci si è “riconosciuti”.

    c’è chi è bulimico e chi è selettivo, chi gioca con farmaville e chi non ci perde tempo perchè l’orto lo zappa davvero.

    tramite i social network si possono veicolare idee e informazioni, creare masse critiche che possono aggregarsi ed agire concretamente: di esempi di eventi e manifestazioni nate su FB ce ne sarebbero tanti da annoverare.
    in altri tempi sarebbe stato molto più lungo il percorso, e meno orizzontale.

    poi certo, si possono anche tenere contatti con amici (fisicamente reali o di penna) che vivono lontani.

    sta a noi usarlo senza farci usare.

  6. il film non l’ho visto, però, se posso parlare della mia recente esperienza in fb: sì, sono tra gli sfigati, ma non è colpa della macchina. su fb ci sto da pochissimi mesi, la mia solitudine è invece paleolitica. risale ad un tempo ancora anteriore all’acquisto del primo computer, perciò i luddisti mi fanno incavolare. se vivi in un deserto, dove “fare gruppo” significa quasi sempre, in tutte le età, adeguarsi a un modello insulso, superficiale, fatto quasi sempre di pura crapula e copula, sempre distante anni luce da quello che piace a me (che posso essere pure pesante, ma che può significare anche la più semplice delle richieste tipo: chi vuole venire con me a bere una birra, però anziché sul divanetto tigrato molestati dall’house o dalla disco, semplicemente sdraiati per terra, sull’erba?…ti guardano come se vennissi da marte) e non voglio dire che sono tutti così, però è come cercare un ago in un pagliaio, e fb sì ti aiuta a veder che esiste gente cui piacciono tante cose diverse dallo struscio e dal divanetto tigrato e che non sei un alieno se t’interessano altri discorsi, altre cose e che basta girare un po’ , prendere un treno, addirittura più economico un low cost e poi certo che i legami non si costruiscono così e infatti non hai nessuno da andare a trovare, ma almeno alzi il culo e capisci che non sta scritto da nessuna parte che devi adeguarti a ciò che non desideri e non sei solo perché sta sotto casa

  7. @Jan

    C’è un’immagine che meravigliosamente rappresenta la frustrazione dell’utente di FB: quella in cui Zuckerberg, vittima ormai della creatura che ha esso stesso creato, invia la propria richiesta di amicizia proprio alla ragazza che inizialmente lo aveva rifiutato.

    In silenzio di fronte allo schermo, Z. riaggiorna continuamente la sua pagina di FB in attesa di una risposta che non giungerà. Il creatore di FB, l’unico in grado di disporre di 500 milioni di potenziali contatti, desidera in realtà l’unica amicizia che la sua creatura non è in grado di restituirgli. Questa, piu o meno, la morale del regista Fincher.

    Che tuttavia mi trova personalmente d’accordo, non solo per la potenza narrativa con cui viene rappresentata sullo schermo, ma anche un po’ per esperienza personale, per ciò che io, dal mio microcosmo, osservo in FB. Quindi cerco un pò di argomentare qui di seguito la tua obiezione: é vero che esiste il luogo comune sugli utenti “sfigati” di qualsiasi nuova tecnologia: cellulari e bbs prima, FB e Iphone oggi, chissà cos’altro domani. Effettivamente, la riduzione di FB a unico strumento di espressione delle proprie frustrazioni è troppo limitante, va stretta.

    Ma è anche quella che meglio descrive il caso medio a cui appartengo io che, in quanto utente medio, credo di rappresentare il profilo tipico di utente: quello che posta una o due sciocchezze al giorno, irregolarmente, e usa FB principalmente per osservare le foto degli amici e sapere che cosa (non) succede agli amici persi di vista. Non è questo il caso di tutti, ma è certamente il più diffuso.

    Faccio un esempio: come utente medio di FB, mi è capitato di chiedere l’amicizia a un personaggio più noto di me – tra parentesi, un ex-ni – molto attivo nella sua vita pubblica/privata. Bene, da quel momento in poi, il mio profilo “pubblico” di FB è letteralmente esploso, polverizzato da ognuno degli aggiornamenti relativi alla vita del personaggio più noto di me o dai commenti dei suoi amici o fan.

    Insomma, messo alla prova del fuoco, l’incontro del mio “profilo pubblico” virtuale con quello di un personaggio pubblico autentico ha dimostrato tutti i suoi limiti, andando in frantumi. Un simbolo vuoto, quindi, controllato da FB stesso, a meno di non essere riportato al suo alveo naturale: quello del proprio microcosmo di amici. Così il grado di pubblicità dell’utente medio è principalmente rivolto ai membri del suo già esistente circolo di amicizie.

    E dunque, a meno che il nuovo canale FB non spinga a coltivare qualche interesse trascurato – come è accaduto a me, qui, anche se ho conosciuto un ex-ni in carne ed ossa per poi passare alla rete, o come può accadere collaborando a Wikipedia, o a qualcos’altro – come utente medio di FB si resta con il capitale di contatti sociali di cui si disponeva prima.

    Ecco quindi gli amici delle elementari rifarsi vivi dopo anni: sono il mio capitale di relazioni che, con il tempo, è però rimasto lo stesso, marchio della mia storia, del luogo da cui provengo o anche, in una certa misura, della mia classe sociale. Questo era il punto a cui volevo arrivare con la mia recensione che mi è sembrato veder emergere da parecchi testi (ora mi viene in mente solo J. Coe.; spero tra l’altro di sbagliare) e che penso sia la cifra della crisi economica in atto.

    Quanto alla visione sfigata dei precursori delle nuove tecnologie, poiché a me pare che il tema portante della letteratura recente ormai verta inconfondibilmente verso la solitudine (da quella della nostrana middle-class di “La solitudine dei numeri primi”, a quella glaciale delle “Particelle elementari”, per arrivare quella ipercompetitiva di “Infinite Jest” di DFW), mi pare quasi naturale, consonante, che questa stessa voce si possa ritrovare tale e quale, amplificata milioni di volte, nei commenti più o meno vuoti che compaiono su FB.

    Se la società industriale che la crisi sta spazzando via in questo momento ha generato come proprio elemento di stabilità il tempo libero, perchè non pensare che anche la civiltà della comunicazione non abbia elaborato in FB il proprio antidoto illusorio alla solitudine?

    Scusate la sbrodolata, sono nuovo ;-)

  8. @stalker, maria(v): scusate, non avevo letto i vostri commenti. Già, FB dipende da come lo si usa, e il post di maria(v) mi ha fatto molto riflettere.

    Io intendevo discutere il caso “medio” di uso di FB (che osservo essere il mio): quello in cui si è più passivi che attivi, e che rende FB molto simile a una telenovela, o meglio, a un enorme videogioco.

  9. Matteo, come sempre sono stata sbrigativa, la SOLITUDINE è il problema di oggi, come dici tu, ma è appunto anteriore ad fb, volevo solo precisare, e se è piuttosto ingenuo risolverla con un click, altrettanto trovare qui il capro espiatorio.

  10. mi trovo d’accordo con il punto che, anche se da punti diversi, introducono sia jan che maria, ovvero che è una forma di semplificazione forse eccessiva trasformare l’infrastruttura in una causa strutturale, ovvero trasformare una modalità di vivere la nostra vita parcellizzata, alienata etc. nella causa di quella condizione. anche perché facendo questo ragionamento si ipostatizza proprio l’elemento che si critica: si pensa davvero (o meglio: non si mette in questione) che il nostro profilo su fb sia qualcosa di equivalente ad una persona, eventualmente alla nostra persona, quando invece è essenzialmente una struttura di aggregazione sociale/informazionale. non ci si può sentire alienati perché i feed del personaggio xy invadono il proprio profilo; al limite si può dire che è il fatto che questo faccia problema nell’equilibrio generale delle nostre vite ad essere il sintomo della nostra alienazione.
    altro punto: la mia impressione è che in queste critiche diciamo “apocalittiche” del mondo mercificato etc. etc. ci dimentica spesso di una cosa, ovvero che se è vero che la merce ci irretisce nei suoi ordini, che il sistema della merce ci fa parlare la sua lingua, è anche vero che esiste sempre la possibilità di un abuso della merce, di commettere degli errori, delle infrazioni nel parlarne la lingua. cioè: come tutte le lingue anche la lingua della merce è una lingua abusabile. se fb è venduto come un medagliere delle relazioni che si possono vantare, un’esibizione del proprio capitale sociale; è anche vero che veicola contenuti, che instaura, rafforza relazioni, che permette la formulazione di comunità che altrimenti rimarrebbero sospese, perché i modi “tradizionali” di formularle sarebbe insuffcienti.

  11. @ maria (v)

    Aspetti che ti faccia io un biglietto low cost per Londra? Quando passi a trovarmi? Birretta, erba e questa volta forse perfino cinema. Un saluto.

  12. io non lo uso perché non ho nessuna voglia di perdere ancora più tempo di quello che perdo e di avere più relazioni di quelle che ho già con i mezzi tradizionali, non ho però nessuna obiezione e sono d’accordo con Jan, ma è vero «che veicola contenuti, che instaura, rafforza relazioni, che permette la formulazione di comunità che altrimenti rimarrebbero sospese, perché i modi “tradizionali” di formularle sarebbe insuffcienti.»?
    Ho dei dubbi. In che senso i modi “tradizionali” di formulare relazioni sarebbero meno efficaci? Nella mia esperienza anche le relazioni nate in rete attraverso i blog, se poi non si fondano su un rapporto più personale e privato sono destinate a inaridirsi. Anzi, molte relazioni nate in rete sono fondate su equivoci e fraintendimenti. Certo, se avessi un’azienda o comunque un progetto potrei usarlo come vetrina, ma di qualcosa che viene comunque prodotto nel reale.
    Vero che non sono un animale esageratamente socievole né particolarmente portato a far sapere molte cose di me o curioso dei fatti altrui, ma se lo fossi, come potrei pensare che fb può sanare la mia esigenza frustrata di socialità?
    Comunque ho letto che lo usa 1 italiano su 6.
    Mi piacerebbe sapere che cosa ci mette dentro questa decina di milioni di persone, ma non tanto da unirmi al gruppo.
    Aspetto lumi.

  13. Ciao Gherardo,

    stavo per replicare punto per punto al tuo post, ma nella sostanza in fondo in fondo lo condivido anch’io. Il tono apocalittico è un pò quello del film di Fincher: devo essere suscettibile.

    D’altronde l’uso di questo blog per discutere di qualche idea tra persone che non si conoscono, come anche l’invito di AMA a Maria(v) a muoversi e andarla a trovare sono appunto controesempi alla mia tesi. Senza aggiungere ciò che fai notare tu, ossia, che l’imperfezione del sistema merce garantisce comuqnue una quota fissa di abuso, e quindi anche di libertà – ma anche volatilità e inflazione…

    Come sempre, è soltanto una questione d’uso e non di strumento, dall’energia atomica fino a FB: esiste però certamente uno specifico di FB legato all’introduzione nel quotidiano di chiunque, dell’idea di disporre di un profilo pubblico che prima non c’era, ie il cui prezzo è risolto dal film di Fincher in chiave moralistica – per lo meno, così a me è sembrato.

    Per quel che riguarda la solitudine, che questa esistesse anche prima lo credo bene; come esistevano però anche prima l’amore, l’amicizia, la solidarietà, l’affetto e tutto il complesso di emozioni umane. Che però la solitudine sia diventata la chiave di lettura di una generazione, questo di nuovo, mi rende suscettibile.

    Alla fine comunque, concordo con il consiglio pratico dato da maria(v) e AMA – o anche da Gherardo, nella sua intervista su “La Poesia e lo spirito alla domanda perchè fai lo scrittore”: scegli liberamente, accetta il prezzo della tua scelta, e poi muoviti low o high cost.

    Ciao a tutti,
    Matteo

  14. Concordo con quanto dice Gherardo: fb “funziona” proprio laddove si riesce a costruire un network, a consolidare una rete di contatti che si possono muovere anche fuori dal web (ormai affianca ad esempio le funzioni dell’ufficio stampa di qualsiasi tipo di struttura). Inoltre veicola contenuti allo stesso modo di un blog con la funzione delle note o dei link. Ciò che lo distingue dalle forme precedenti quali i blog è semmai la mappatura delle identità attraverso lo strumento degli aggiornamenti, anche se in modo più spartano era già presente anche su myspace.

  15. Matteo Ciucci: Ecco quindi gli amici delle elementari rifarsi vivi dopo anni: sono il mio capitale di relazioni che, con il tempo, è però rimasto lo stesso, marchio della mia storia, del luogo da cui provengo o anche, in una certa misura, della mia classe sociale.

    Interessante considerazione. Continuo a pensare che il film nella scena di Zuckerberg sfigato che chiede l’amicizia alla ragazza senza ottenerla, faccia una scelta fortemente fuorviante e disinformativa. Il problema non è se le persone si trastullino senza costrutto sul social network, ma che Facebook è un servizio che aliena le informazioni inserite dagli iscritti, sottraendole al loro controllo ed usandole per creare profili personali da rivendere.
    Non a caso esistono progetti alternativi, giovani o di minor successo, che tentano di restituire alla persona il controllo sui propri dati: Diaspora, ancora in fase alfa, e Crabgrass, ormai una beta piuttosto matura.

  16. @matteo:
    rispetto alla formulazione di un profilo pubblico come specifico di fb sono d’accordo e, sotto più di un aspetto, mi sembra una specie di perferzionamento di molti altri strumenti on line (dal blog al myspace citato da simone). ed è in questo, però, che trovo l’aspetto positivo della cosa. la mia impressione è che il passaggio alla rete abbia segnato per la maggior parte un cambio di ruolo: da fruitore a produttore di contenuti. anche nel caso dei messaggi di status più insulsi mi sembra un passaggio essenziale. certo: da subito organizzato nell’economia del user-generated content ma non per questo meno significativo.
    al di là di tutto, cmq, mi premeva dire che questo post mi sembra molto efficace per rilanciare un tema toccato anche l’estate scorsa sul blog di alfabeta, ovvero quello della mediatizzazione di massa, per così dire, dato che, grazie al web prima e al web 2.0 poi, siamo entrati a milioni nel sistema dei media in termini diversi da quelli dello spettatore.

    @alcor:
    in parte ti risponde già simone. io potrei aggiungere che, essendo refrattario in buon grado alla socialità (ma anche proprio ad uscire di casa ;-), sistemi come facebook mi permettono di gestire una dimensione sociale molto più ampia di quella verso cui sarei portato, una dimensione potenziata che cmq mi riguarda. però mi preme soprattutto dire che le comunità che la rete permette di gestire sono soprattutto quelle comunità sottili, istantanee, discontinue, successive, più o meno dichiarate che si raccolgono attorno ad un post, ad una nota, un’immagine, ad un topic e che poi si dissolvono, lasciando alcuni sedimenti che si diffonderanno in altre comunità e così via. comunità che si formulano proprio grazie alla rete.
    sono d’accordo poi sul fatto che una ricaduta dal virtuale al reale è fondamentale: quello è il risultato pieno. e tuttavia mi viene anche in mente uno scambio di battute nella prima puntata di the big bang theory (non so se ti è mai capitato di guardarlo) in cui un personaggio rimprovera all’altro, che si vanta di avere 200 e rotti amici su myspace, di non averli mia incontrato ed il secondo replica “that’s the beauty of it!”.

    @jan: ti quoto.

  17. “that’s the beauty of it“ in effetti molto spesso anche per me rispetto ai blog:-)

    ma da quello che dite mi pare che il suo valore stia soprattutto nella resa pubblica e nell’amplificazione di un progetto, come strumento promozionale, insomma, come pubblicità, quello che ancora mi sfugge è perché e se possa creare comunità migliori e più efficaci del vecchio blog (e non parliamo neppure delle vecchie comunità, le mie preferite, face to face) e soprattutto mi intriga l’equivoco (secondo me) che possa creare relazioni atte secondo alcuni a medicare la solitudine e l’isolamento.
    A parte il fatto che la solitudine può esser bella, sono andata a vedere alcune bacheche e mi sembrano molto più immateriali di un commentario.
    Credo che dei dieci milioni di utenti solo una piccola fetta la usi come strumento per progetti. La maggior parte sembrerebbe usarla come surrogato di socialità, questo non mi sembra positivo.
    E’ vero che lo si può considerare solo dal punto di vita sociologico (mediatizzazione di massa) e restare neutrali, considerando il fenomeno come uno dei tanti fenomeni. Mettiamo anche che il passaggio da fruitore a produttore sia positivo in sé, io tendo a dire di sì per ragioni che potrei definire brutalmente e sinteticamente come “democratiche”, ma poi resta sempre aperto il problema, produttore di che?
    Ho affastellato, scusate, è che sto facendo tre cose assieme.
    Senza riscrivere tutto, sintetizzo: come strumento di socialità umana mi sembra illusorio se viene visto come farmaco, mentre mi sembra positivo se viene usato come veicolo di informazione di cose e attività realmente praticate e pensate.
    Come strumento di produzione tuttavia mi chiedo, e me lo sono sempre chiesto anche rispetto ai blog, come si aggregano (non oso dire selezionano) i prodotti.
    E’ anche vero che ognuno può vivere in eterno nella sua nicchia, ma insomma, non so, non è che alla fine tutto resta com’è, salvo spalmarsi semplicemente e magari anche plasticamente sui nuovi strumenti? Perché penso che ce ne saranno di ancora più nuovi in futuro, e mi sembra che tutti siano pronti a usarli, ma non sono certa che ci sia o almeno a me è sfuggita, una vera domanda sui risultati.

    [Si capisce?]

  18. Mi chiedo anche se la difficoltà di fare un’analisi critica (al di là del piagnisteo catastrofista) e propositiva di certi fenomeni non dipenda anche dalla differente velocità con cui un certo tipo di sapere e di creatività tecnico-scientifica (e anche di voracità capitalistica) opera e un altro tipo di sapere risponde e usa, un po’ al traino, mi verrebbe da dire.
    Cioè, parlando di prodotti, quello che un utilizzatore di fb produce, si incastona in una produzione di dimensioni molto maggiori. Produco dentro facebook, che però è stato prodotto da altri.
    Cioè, questo nerd, Mark Zuckerberg, è un dirigente d’azienda. http://it.wikipedia.org/wiki/Mark_Zuckerberg
    Noi usiamo la sua creatura, come, mi chiedo, passivamente, cercando di ricamare ai margini, tutto sommato accettandola e cercando di trarne vantaggio visto che intanto c’è? eccetera…
    Abbiamo una visione differente del mondo, sempre che uno Zuckerberg ce l’abbia chiara, o la condividiamo? O pensiamo che il nostro unico ruolo sia accettare quello che la realtà ci offre, spostando poi la critica sugli effetti, cioè scindendoci, in qualche modo, senza andare alla fonte?
    E’ interessante, due saperi che si ignorano da un lato, convivono e collaborano dall’altro.

  19. beata solitudo sola beatitudo come recitava credo un incisione di boccioni ;-)

    va beh, caspita, hai messo un bel po’ di carne al fuoco.
    la questione cmq non è tanto che le comunità on line sono migliori ma che sono diverse e che gli strumenti dell’on line ne permettono la formulazione. e poi non credo che la caratteristiche principale sia quella della promozione di un progetto (quella operativa, per così dire). è una delle tante. soprattutto credo si possa dire che è una forma di socialità potenziata: ubiqua, con tempi asincroni etc. e sicuramente con una dimensione pubblica diversa, mediatizzata appunto. d’altra parte, come diceva nicholas currie aka momus, in futuro tutti saranno famosi per quindici persone. e poi siamo così sicuri che la dimensione pubblica ai tempi dell’on line sia la stessa a cui siamo abituati a pensare? dove inizia il pubblico o il privato su uno schermo, in un computer connesso in rete?
    il paragone con i blog è più sfumato: sia fb che i blog sono in qualche modo due varianti dello stesso modello. certo il blog richiede un’approccio più attivo, più produttivo, disposto a scambi più articolati (ma anche qui ci sarebbe da fare dei distinguo: v. il caso del microblogging – twitter, tumblr etc.). diciamo orientato all’opera. fb invece è più centrato sull’autore, per così dire.
    sui contenuti condivido la tua lettura democratica ma aggiungo anche che non li puoi interrogare in termini di qualità: la rete accetta qualunque contenuto in quanto tale. piuttosto credo diventi discriminante la vitalità, la complessità e l’ampiezza della comunità a cui partecipi (e certo dei contenuti altrettanto vivi e complessi hanno un peso fondamentale nel generarla e mantenerla).
    sui due tempi della tecnologia e del sapere critico posso anche essere d’accordo. ma la mia impressione è che non sia necessariamente un dato strutturale e che sia dovuta più che altro ad una mancanza del sapere critico che, soprattutto in certe aree del sapere umanistico, patisce il pregiudizio verso il tecnico, lo scientifico, l’economico e il tecnologico.

  20. io sono già famosissima per tre persone, una delle quali è un ingegnere che ha studiato al MIT, perciò concordo sul pregiudizio che il sapere umanistico patisce verso il tecnico ecc. , però, curiosamente, chi possiede un sapere tecnico scientifico, almeno per la mia scarsa esperienza, applica la critica più facilmente al funzionamento del sociale piuttosto che ai propri strumenti specifici.
    Noto insomma la stessa divaricazione, più o meno, che c’è nei letterati, benché quella dei tecnici sia in gran parte afasica. (Cioè a parole li battiamo)
    Chi dovrebbe essere in grado di fare da ponte sarebbero gli intellettuali con una formazione trasversale, ma ci sono? la complessità è grande e le sedi di incontro poche e forse soltanto accademiche, sarebbe interessante crearle.
    Parlando di comunità, una comunità di incontro su questi temi mi piacerebbe vederla nascere.

  21. “chi possiede un sapere tecnico scientifico, almeno per la mia scarsa esperienza, applica la critica più facilmente al funzionamento del sociale piuttosto che ai propri strumenti specifici”

    questa in effetti è anche la mia impressione! mentre quella degli umanisti è spesso lo snobismo dei perdenti, quella degli scientifici è lo snobismo dei vincenti. quindi, sul tuo auspicio per una comunità che metta alla prova i due snobismi, non posso che concordare.

    rimane un punto, però: credo che nella nostra opposizione tra umanisti e tecnici manchino i mediatici, ovvero i saperi legati alla televisione, al marketing, alla rete e così via che dovrebbero venire da noi a darci la sveglia e a sentire un po’ quello che abbiamo da dire.

  22. Ciao a tutti,

    provo ad andare un po’ più a fondo.

    @Jan, Gerardo, Simone:

    “Continuo a pensare che il film nella scena di Zuckerberg sfigato che chiede l’amicizia alla ragazza senza ottenerla, faccia una scelta fortemente fuorviante e disinformativa. Il problema non è se le persone si trastullino senza costrutto sul social network, ma che Facebook è un servizio che aliena le informazioni inserite dagli iscritti, sottraendole al loro controllo ed usandole per creare profili personali da rivendere”:

    Concordo con te, ma a me pare che l’ordine con cui si verifica il fenomeno sia:

    A. Gli utenti si trastullano, pubblicando le proprie fotografie e osservando quelle di amici (tra l’altro curiosissimo che un sistema di comunicazione sia basato principalmente sull’immagine, che esprimerà più delle classiche 100 parole, ma certamente non permette il dialogo a meno di non inventarsi una grammatica in cui a fotografia si risponde con una fotografia, modalità elementare possibilissima in FB, ma tutta da verificare);

    B. Gli utenti inseriscono attivamente le proprie informazioni secondo le modalità che indica Gherardo, cioè come “produttori di contenuti”; qui il meccanismo dell’illusione è al suo massimo.

    C. L’interazione con il resto del sistema trasforma le informazioni introdotte in informazioni-merce per altri, che cominciano a consumarle identificandosi attraverso l’atto illusorio della loro produzione;

    D. Attraverso la produzione il rapporto produttore/consumatore si inverte, e gli utenti di FB, continuando a trastullarsi e producendo contenuti, in realtà spostano il baricentro della propria azione/dialogo verso la lettura, o il consumo, delle produzioni di testi di altri. La trappola è scattata.

    E. Grazie al meccanismo di cui sopra, FB, come altri sistemi (telefono, produzione industriale, tv) riceve dai propri utenti l’unica cosa che il denaro non è in grado di acquistare: il loro tempo (e infatti ogni buon meccanismo di resa pubblicitaria valorizza principalmente numero di ripetizioni di uno spot e il suo tempo di esposizione; e infatti in FB abbondano ora i videogiochi, che incasinano i profili di tutti ma che sono fondamentali a garantire un consumo stabile di testi prodotti)

    F. Risultato: io pubblico le mie foto, parlo con quelli con cui parlavo prima, ma lo faccio adesso sulla piattaforma FB; FB vende la mia vita a circa un’oretta o due al giorno a 50$ per utente, come faceva la tanto vituperata vecchia e cattiva maestra televisione.

    Si potrebbe dire che FB con le sue fotografie stia alla televisione come gli sms stanno alla conversazione telefonica. Queste sono le nuove modalità di consumo che FB o gli sms hanno portato sopra la soglia di sopravvivenza, “che altrimenti rimarrebbero sospese, perché i modi ‘tradizionali’ di formularle sarebbe insuffcienti”.

    So che Gerardo si riferiva alle comunicazioni verbali, ma a me pare invece che la vera essenza di FB stia molto di più nelle foto che non nelle comunicazioni verbali e che sia la modalità visiva – e passiva – di osservazione delle foto di altri ad essere la chiave della lettura del fenomeno FB.

    Esattamente come accadeva al sottoproletariato romano, che secondo PPP rappresentava la nuova incarnazione di quelli che in precedenza sarebbero stati i “nati morti”, che, se non ci fossero state le risorse del boom degli anni ’60, non avrebbero mai superato gli anni dell’infanzia.

    Chi si guarderebbe un film fotogramma dopo fotogramma? Nessuno. Ma una serie di fotografie, magari di amici, perchè no? Ecco il boom degli SMS e di FB: modalità di fruizione destrutturate, in linea perfetta con Derrida e con l’infrastruttura della rete a nodi e hop, in cui la comunicazione da A a B avviene senza l’esistenza a priori di un canale dedicato fra A e B, ma è costruita fra nodo e nodo, in modo progressivo – garantita dal “default” nelle tavole di routing dei server).

    Tornando al rapporto produttore di testi/consumatore, a me pare invece che il tempo che si trascorre leggendo testi, ovvero consumando FB, sia molto superiore rispetto a quello che si trascorre in rete producendo testi. Esattamente come accade quando si è in coda in automobile, in cui, per definizione, il tempo che passo fermo è molto superiore a quello che trascorro muovendomi, perchè la condizione di attesa è definita dalla situazione di coda, e la coda è il risultato della massimizzazione dei profitti della rete autostrade.

    Controprova tecnica: l’infrastruttura di rete è e resta tutt’oggi asimmetrica: la A di ADSL indica “asymmetric”, ovvero una configurazione in cui il download di dati si effettua a 6Mbit/s, mentre l’upload a 10 volte meno. E qui, se l’infrastruttura non si fa causa strutturale, questa codifica perlomeno un comportamento dell’utente.

    Il sistema non è fatto per produrre testi, ma, di nuovo, per consumarne. Gli utenti di FB sono molto più consumatori di quanto siano produttori. La rete è democratica, lo sono i suoi contenuti, lo sono – chiave della trappola – le sue singole sessioni di comunicazione, ma il mezzo nel suo complesso, i suoi canali di accesso, per come vengono ancora progettati, non lo sono.

    Buona domenica,
    Matteo

    • Matteo scrive: A. Gli utenti si trastullano, pubblicando le proprie fotografie e osservando quelle di amici (tra l’altro curiosissimo che un sistema di comunicazione sia basato principalmente sull’immagine, che esprimerà più delle classiche 100 parole, ma certamente non permette il dialogo a meno di non inventarsi una grammatica in cui a fotografia si risponde con una fotografia, modalità elementare possibilissima in FB, ma tutta da verificare);

      Non so, troppa carne al fuoco per me e troppa voglia di sistematizzare cose che sono culturalmente consolidate da tempo. Sulla comunicazione visiva, per esempio, prendi in considerazione i forum di 4chan [NSFW – contenuti inadatti in ufficio]

  23. cerco di tornarci domani ma secondo me stai facendo un po’ di confusione tra le azioni che certi ruoli prevedono e il tempo che le azioni richiedono. poi sottovaluti troppo la differenza tra spettatore e navigatore e consideri in modo davvero riduttivo le comunità on line appiattendole completamente sul consumo.
    e poi “qui il meccanismo dell’illusione è al suo massimo”, “La trappola è scattata”… meno male che l’apocalittismo te l’ha attaccato il film ;-)

  24. Non ho letto tutti i commenti ma riprendo quello che dice Funambula. Nel film viene ossessivamente ripetuto un modello della vulgata freudiona: la creazione come sublimazione delle frustrazioni della vita.

    Nel film le frustrazioni sono quelle dei maschi con le donne. Dopo essersi sfiancati ed essere diventati qualcuno con molti soldi e potere sempre li’ tornano, al desiderio di amore e di sesso (piu’ che atro di sesso). Forse gli uomini se le meritano queste semplificazione, ma da questo punto di vista il film mi sembra di una banalita’ spaventosa.

  25. fb è una delle cose più astruse e inservibili che conosca, non riesco davvero a parlarne seriamente, perché mi suggerisce subito immagini – sì – apocalittiche, ma di un’apocalissi alla Hollywood Party e alla Jacques Tati, una comicità pura, dove immancabilmente i parapetti crollano e le persone finiscono a bagno… ecco fb introduce immediatamente e allegramente al lato idiota di ognuno di noi… quelle pose che abbiamo fatto allo specchio, sopratutto tra infanzia e adolescenza, ora possono essere quotidianamente fatte per il gruppo degli happy few (i 250 – 600 – 1500 amici).

    ma se devo prenderla da un lato serio, la cosa che trovo più inquietante, e davvero spaventosa è il difficile controllo della sfera d’intimità; ok, sta scomparendo… qualsiasi cosa fosse, sta scomparendo, per tutti, o forse sta trasformandosi in qualcos altro; e forse siamo già in un’astuta metamorfosi dell’interno e del privato, che nasce già in funzione delle reti sociali nelle quali sarà spremuto e diffuso, usato come moneta di scambio.

  26. un tonificante :)

    “…pensi un po’ a rimbaud. il più grande poeta francese: all’età di venti, no, ventuno anni, ha smesso di scrivere. a ventun anni era semplicemente fuso. un genio decide di non essere più tale, diventa un povero diavolo di nessun interesse. sull’uomo incombe il destino di rimbaud. una mostruosa eruzione in un tempo limitato, un fenomeno senza pari, ma che dura poco. l’uomo oggi mi sembra paragonabile a uno scrittore che non ha nulla da dire, a un pittore che non ha nulla da dipingere, che non trova più interesse in niente. il suo spirito non è ancora esaurito, ma lui sta perdendo completamente le forze. è ancora produttore di realtà, può sì produrre strumenti, magari qualche altro capolavoro, ma spiritualmente è allo stremo. per esempio lo considero incapace di produrre una religione nuova, profonda. può ancora produrre, ma solo come epigono, come imitatore”

    lui “conosceva” molto bene gli uomini perchè era spietato con se stesso e l'”amore” non l’ha convertito, non si è fidato del tutto
    io, “convertita”, a volte vacillo, ma i suoi pensieri sono una potente cura contro la resa.
    orpo se è bello che qualcuno mi capisca :)
    molti baci
    la fu

  27. @laFu

    Quoto alla grande questo tuo ultimo commento e aggiungo…

    Che cosa volgare continuare a scrivere!

  28. @matteo:
    ecco, circa il tuo ultimo commento, come dicevo, mi sembra ci siano parecchie imprecisioni di lettura del fenomeno nella sua interezza e, probabilmente, come dice in parte anche jan, un tentativo di sistematizzazione forse troppo forzato. ti segnalo alcune cose qui e lì:

    – al punto B dici che l’illusione è al suo massimo, ma illusione di cosa? non mi sembra che sia un’illusione il fatto che si stanno condividendo dei contenuti (magari è un’illusione che lo si stia facendo con degli “amici” ma questo è davvero un altro paio di maniche)
    – al punto C dici “L’interazione con il resto del sistema trasforma le informazioni introdotte in informazioni-merce per altri”. anche qui andrebbe chiarito cosa intendi: se per informazioni intendi i contenuti condivisi con gli altri utenti allora ti sbagli, nel senso che quelle non sono affatto merci, non hanno un valore di scambio, sono gratuite (in effetti la merce in quel caso sei tu che sei su fb); se invece intendi i tuoi dati personali o le estrapolazioni che vengono fatte sul tuo comportamento on line, per dire, il discorso cambia ma non è uno specifico di fb e appunto conferma che on line, come per la televisione, la merce sei tu. anche se, si badi, il tuo ruolo di navigatore della rete è parecchio diverso da quello del tuo ruolo di spettatore della tv. la tv non prevede minimamente un tuo ruolo attivo che, introdotto invece, cambia davvero molto.
    – al punto D fai un’opposizione tra produzione e fruizione in termini che, almeno questa è la mia impressione, non colgono appunto il meccanismo che sta alla base di quella dialettica in fb, ovvero quello della condivisione che, di nuovo, non prevede una fruizione passiva e quindi una “trappola” che scatta.

    concludo velocemente sulla citazione da pasolini: messa così sembra quasi un male sia che i “nati morti” abbiano superato l’infanzia sia che le nuove modalità di consumo (ma, di nuovo, ridurre l’esplosione della rete ad un problema di modalità consumo è estremamente riduttivo) si siano affermate…
    e chiudo pure sulla frase “Il sistema non è fatto per produrre testi [leggo contenuti], ma, di nuovo, per consumarne” di cui, davvero, credo di poter dire che è profondamente sbagliata. l’economia della rete è basata in modo essenziale sulla produzione di contenuti da parte degli utenti; non stiamo parlando di una televisione potenziata qui.

    @andrea
    sì, questa cosa circa la barriera pubblico/privato, la dissoluzione de l’intérieur o meglio il suo ribaltamento, una specie di lettura della rete come anti-passages benjaminiani credo sia molto giusta.
    per altro mi ricordo ancora lo shock che provai nel 1999 quando, scaricando da napster, vidi apparire una chat di un altro utente che mi chiedeva informazioni sugli mp3 che stava condividendo…

  29. Io rientro tra gli sfigati, ma facebook non mi interessa per nulla. E’ puro “surfismo” relazionale, una regressione all’adolescenza più omologata e beota (basti pensare alla parola “fan” ed è detto tutto).

  30. @jacopo

    sì, concordo. A me il film non è dispiaciuto, se non altro perchè dice forse più di quello che vorrebbe (asiatiche/prostitute, cinesi/lavoratori a qualunque condizioni, etica del successo americana/”per soli 4 milioni di $ un tizio si suicida”, nuovo sogno americano, ecc. ecc).

    C’è anche, credo per la prima volta per il grande pubblico, l’aggiornamento del vecchio mito anni ’60 del milione di dollari che si riaggiorna in un miliardo di dollari. “Questo è cool”, spiega il papà di Napster, appena uscito dal carcere, al futuro papà di FB nel film.

    @Gherardo

    aspettavo la tua precisazione. Cerco di replicare punto per punto, a rischio di perdere di vista il tema della discussione:

    – dici: “al punto B dici che l’illusione è al suo massimo, ma illusione di cosa? non mi sembra che sia un’illusione il fatto che si stanno condividendo dei contenuti (magari è un’illusione che lo si stia facendo con degli “amici” ma questo è davvero un altro paio di maniche)”:

    Mi riferisco all’illusione di essere un produttore di contenuti. L’atto dello scrive o del fare l’upload, quello in cui sono “agente” su FB modificandolo in modo attivo.

    dici: “al punto C dici ‘L’interazione con il resto del sistema trasforma le informazioni introdotte in informazioni-merce per altri’. Anche qui andrebbe chiarito cosa intendi: se per informazioni intendi i contenuti condivisi con gli altri utenti allora ti sbagli, nel senso che quelle non sono affatto merci, non hanno un valore di scambio, sono gratuite (in effetti la merce in quel caso sei tu che sei su fb)”.

    No, infatti, intendo proprio che la merce sono io – o meglio, il mio tempo, che si mercifica attraverso l’atto della lettura dei testi di altri. Questo assume un valore al costo di mercato di 50$ per profilo stabile (dove per profilo stabile si intende un profilo che consumi una quota minima del suo tempo in FB). Forse sono stato impreciso, o mi sbaglio.

    Sulla differenza fra tv e internet concordo, anche se considero FB semplicemente un sistema più sofisticato. Sui dati personali, sarò superficiale ma yahoo gestisce già tutta la mia corrispondenza, privata e non… che altre alternative ho, a parte installare un server di posta a casa mia e copiare il Moretti di ‘Io sono autarchico’?

    Quanto all’analisi del mio profilo, questa è come dici certamente corresponsabile del suo valore, ma il presupposto alla sua traduzione in denaro è il tempo necessario per consumare la lettura dei testi di altri – perchè per scriverne di miei, paradossalmente, impiego una frazione di quello speso per leggere quelli di altri. Comunque hai ragione tu: non è direttamente merce: è parte del sistema di simboli che permette la successiva conversione del mio tempo in merce, ma in questo caso, il come è il punto, poichè il cosa, o il fine, è sempre il medesimo.

    Dici: “al punto D fai un’opposizione tra produzione e fruizione in termini che, almeno questa è la mia impressione, non colgono appunto il meccanismo che sta alla base di quella dialettica in fb, ovvero quello della condivisione che, di nuovo, non prevede una fruizione passiva e quindi una ‘trappola’ che scatta”.

    Qui sono di parere opposto, ma può essere che dipenda dall’uso del mio profilo FB, appunto passivo – che però credo sia l’utilizzo medio, e quindi, quello che ha sancito la popolarità del network. La tesi del mio 2o commento – posso sbagliare – è invece proprio che la condivisione sia il cavallo di troia con cui spingere gli utenti alla fruizione, trasformando produttori di contenuti in fruitori/consumatori di contenuti. Qui il gioco dell’asincronicità della comunicazione è cruciale, ma a mio parere lo è in modo passivo, perchè basato sull’osservazione di foto di altri in loro assenza – e quindi senza garanzia di dialogo, che appunto, se poi manca, produce frustazione – il classico: “ma non mi commenta nessuno”?

    Tornando al tema principale, anche a me inquieta, come nota Andrea qui sopra, “il difficile controllo della sfera d’intimità […] che sta scomparendo”, anche perchè questo elemento non è stato deciso consensualmente dagli utenti, ma è conseguenza della struttura di FB.

    Tornando al testo originario del post, l’obiettivo della mia minirecensione del film era quello di discutere se, e eventualmente in che modo, la società della comunicazione stesse cominciando a serrare le sue nuove classi sociali, cosa che mi è parso di leggere a più riprese in forma indiretta qui e là. Ma forse è soltanto una mia visione – apocalittica? (Ehi, anch’io so che la tv/FB non mangiano i bambini! Oppure no?)

    Ciao, scappo!

  31. dovrei di nuovo rispondere punto per punto ma preferisco ribadire che la produzione di contenuti non è un’illusione perché appunto è quello che stai facendo (lo stiamo facendo adesso scambiandoci dei commenti, per dire) e, usando la tua metafora, è proprio quello il cavallo di troia. il fatto che tu passi più tempo a fruire dei contenuti degli altri che a crearne di tuoi non rende quei contenuti meno “generati dall’utente”. ora, questa cosa è nuova ed è specifica della rete e cambia il sistema di rapporti rispetto ai media (senza essere, chiaramente, una palingenesi).

  32. Aggiungerei che sui contenuti c’è differenza e differenza: l’aggiornamento di uno status è altra cosa degli eventi a cui vengo invitato, o delle informazioni riguardo a dei gruppi, e ancora di più rispetto alle note in cui taggo degli “amici”. Se non interpreto male, mi sembra che il discorso di Matteo sia più indirizzato a considerare il contenuto in quanto aggiornamento degli status, e dunque la lettura come sorta di pedinamento degli affari degli altri… a instaurarsi qui sarebbe una sorta di dinamica da telenovela, ma senza attori professionisti…

  33. @simone: sì, parlo di un’utenza di basso profilo, che reputo il caso medio.
    In realtà, non volevo infilarmi in una discussione tecnica su FB, ma è vero che il diavolo è nei dettagli.

    @ gherardo: “il fatto che tu passi più tempo a fruire dei contenuti degli altri che a crearne di tuoi non rende quei contenuti meno ‘generati dall’utente'”: no, ma sbilancia il mio profilo di utilizzatore da produttore di contenuti a consumatore di contenuti. O mi sbaglio?

    Tornando però per un attimo alle origini del post, io avevo immaginato la recensione al film di FB sulla stessa linea che aveva molto ben tracciato A. Inglese sul fascismo estetico ispirata da Videocracy – senza però lo specifico politico italiano.

    La parte che mi interessava approfondire in questi commenti è quella, anche se ovviamente molti degli spunti che ho letto sono stati stimolanti e lo sforzo per chiarire alcuni dei punti esposti ha spinto anche me a mettere a fuoco o a rivedere alcune delle mie idee.

  34. OT
    @la funambola: “…è sempre colpa della “femmina” che si nega, con tutto quello che ne consegue. Poverelli, siam tutti poverelli in cerca d’amore”.
    FB, Londra e erba a parte, dici sul serio?

  35. premesso che ho un profilo fb e che poco mi occupo di vedere le fotine degli altri o di sapere come gli buttano le relezioni sentimentali o cosa hanno mangiato la sera prima….quando dite che “si mercifica attraverso l’atto della lettura dei testi di altri” piuttosto che produrre contenuti propri, mi state forse dicendo che perdo tempo a leggere un libro perchè nel frattempo non aggiorno i miei appunti e le mie divagazioni?

    mi sembra un po’ riduttiva questa semplificazione visto che si parla di milioni di persone, pagine, gruppi.

    su fb come in rete o come in strada, e nella vita REALE c’è tutto e il contrario di tutto.

    sarebbe come voler scrivere un saggio sui consumi alimentari americani solo per aver passato un’ora in transito all’areoporto di new york, e dopo aver visto passare un po’ di varia umanità, pensare di tirare le somme sugli usi e consumi di un continente e anche una statistica sul tasso di obesità, magari in relazione al livello di istruzione e di benessere sociale o enia di provenienza.

    maddai!

    non per voler difendere fb o i social network, ma così siamo proprio sull’approsimazione.

    e comunque, quando leggo lunghi commenti e approfondite analisi da parte di chi dice che mai si iscriverà a fb, provo quasi invidia di tanta sagace intuizione senza neanche doverci infilare un’unghia come si fa prima di fare il bagnetto ai bambini per sentire la temperatura dell’acqua….e io che sono torda e ci devo infilare tutto il gomoto???? :-)

  36. cara stalker, non è mica uno scrigno chiuso, facebook, si può lurkare come in qualsiasi vecchio e obsoleto blog
    per il bagnetto consiglio di farci mettere il gomito dalla zia e vedere se dice ahi

  37. Ciao Stalker,

    “quando dite che ‘si mercifica attraverso l’atto della lettura dei testi di altri’ piuttosto che produrre contenuti propri, mi state forse dicendo che perdo tempo a leggere un libro perchè nel frattempo non aggiorno i miei appunti e le mie divagazioni?”

    No dico il contrario, dico cioè che perdi tempo aggiornando il tuo profilo nell’illusione di avere una vita pubblica. Dice bene Gherardo quando sottolinea in modo più neutrale di me:

    “se fb è venduto come un medagliere delle relazioni che si possono vantare, un’esibizione del proprio capitale sociale; è anche vero che veicola contenuti, che instaura, rafforza relazioni, che permette la formulazione di comunità che altrimenti rimarrebbero sospese, perché i modi ‘tradizionali’ di formularle sarebbe insufficienti”.

    Io ho invece rimarcato l’atto di vendita, ovvero, usando sempre la frase sopra di Gherardo, ho spostato l’accento su: “se fb è venduto come un medagliere delle relazioni che si possono vantare”, calcando un pò la mano sulla natura voyeuristica e narcisistica del sistema.

    Nulla di nuovo, come sottolinenano sia La Fu che Jacopo Galimberti, a parte la modalità con cui questa è espressa e la dimensione del fenomeno . Ho poi introdotto l’ipotesi che FB assegni a ciascuno un “capitale sociale” di relazioni che permette la mercificazione del tempo di fruizione dei contenuti di FB, permettendo così l’equivalenza: 1 utente-stabile = 50 $, che apre la strada a una reintroduzione di classi “sociali” (ipotesi tutta da verificare), per me risultato della crisi economica in atto (altra ipotesi da verifivcare). A supporto di questa ipotesi ci sarebbe però una rilettura dell’elemento con cui si racconta la prima esperienza di FB, e cioè: “Pensa, mi ha contattato persino un compagno delle elementari che avevo completamente dimenticato”.

    A proposito della tua obiezione, poi, da lettore come te osservo che leggere un libro non è affatto un’attività sociale, ma estremamente individuale – a meno che non ci si senta in comunione con l’autore del testo, chiunque esso sia. La socialità comincia dopo.

    Dici: “e comunque, quando leggo lunghi commenti e approfondite analisi da parte di chi dice che mai si iscriverà a fb”

    Forse non hai letto la 1a nota a piè pagina? Io non solo ho un profilo FB, ma sono anche uno dei cosidetti “sfigati”, di quelli che usano FB in modo passivo, ovvero che FB gli fa venire la scoliosi e che lo usano per guardare in modo la vita degli altri…

    Ultimissima cosa: terrei a precisare che io avevo fatto la recensione di un film. L’aspetto che avrei voluto approfondire qui non era quello dell’analisi strutturale di FB (interessante), di quella psicoanalitica (interessante, ma è sempre la ‘Finestra sul cortile’), o dei suoi aspetti tecnici (meno interessante), ma quello della ridefinizione dell’idea di vita privata ed eventualmente, degli scopi sociali di quest’ultima.

    Ciao,
    Matteo

  38. Quoto una parte del post successivo di M. Rovelli, “La fantasmagoria dell’amore in rete”:

    “…si entra nella vita di uno sconosciuto, trascinati solo dalle parole, da un riconoscimento compiuto parola per parola, brano a brano. All’apice della mente (sic), pare di sentire una musica nelle parole dell’altro che fa riconoscere il suono prima che il senso, una musica che si accorda con la forma del vivere, che mostra il ritmo che ognuno ha nel camminare. Ci si legge e si sente la stessa metrica. E allora, accade, ci si sente e ci si desidera. Senza pensare, come invece si dovrebbe, che quel “si” non è reciproco, ma riflessivo. Che nella persona immaginata è proiettata la nostra fantasmagoria di desideri. E allora, sempreché – miracolo su miracolo – non avvenga l’Incarnazione, quei desideri, al contatto con il piano di realtà della quotidianità, implodono e si afflosciano, ripiegandosi sul vuoto che li costituisce. Oppure, ancora peggio, non hanno il coraggio di manifestarsi, mantenendo lo “scrittore” preda perenne delle proprie fantasmagorie”.

    Non saprei descrivere meglio quella che sopra definivo: l'”illusione di FB”.

  39. gentile alcor, converrà con me che una lurkatrice come lei si sarà spesso e volentieri aggirata di soppiatto tra i cortili dei vari condomini a sbirciare le mutande e i calzini stesi fuori dalla finestra ad asciugare o a controllare i sacchetti della monezza portati fuori la mattina dopo.
    saprà meglio di me che molte “case” sono aperte solo ad “amici” e/o contatti.
    a “casa mia” per esempio gli ospiti sono ben selezionati – quindi pochi contatti e attività che lei non potrebbe sbirciare – perché non ho voglia di perdere tempo a leggere una marea di cazzate, di darmi in pasto, e tanto meno di ricevere feed a seconda delle persona “importanti” che (non)conosco, e ancor meno di farmi sbirciare dal buco della serratura, perché i cecchini hanno più mira del libero pensiero.
    questo mi aiuta ad avere un ventaglio di letture interessanti che segnalano blog, contro- informazione, iniziative, musica…altamente selezionate.
    come dicevo nel mio primo intervento, sta a noi portare la barca dove vogliamo e non farci trascinare dalle maree….

    con questo, matteo, penso di aver risposto anche a te.
    aggiungo solo che stiamo parlando dell’ennesima produzione ammericana da 47 milioni di dollari che ovviamente strizza l’occhio al mercato, mica di un film indipendente girato da quattro sfigati da festival…..

  40. cara stalker, molte (agitate e sgradevoli) parole per nulla, intendevo solo dire che per capire cos’è facebook non occorre avere un profilo e aggiornarlo ogni giorno, basta fare un giro, o farci mettere il gomito dalla zia, a me come ho detto non interessa, ma non per questo metto alla gogna chi lo usa, immagino che gli interessi o gli serva o entrambe le opzioni.

  41. mia cara signora, io sono calmissima.
    stacco ora dal mio turno di notte e vado a vedere dove riposano i calzini.
    mi spiace se ha trovato le mie parole sgradevoli, per non farle pesare troppo le avevo anche dedicato una – speravo – piacevole canzonciella.
    domani forse non farò in tempo, le dispiace ritirarmi il bucato….
    la ringrazio.

  42. Rileggo il primo commento di jan, che sostiene che chi usa strumenti di rete sia in realtà molto attivo socialmente nella vita reale. Forse la verità e che FB e’ solo uno strumento amplificatore di socialità e di asocialità, senza distinzioni. Se fosse verosimile, le distanze fra comportamenti sociali diversi aumenterebbero, coerentemente con l’ipotesi del ritorno delle classi sociali, e il sistema sottostante della società ne risulterebbe solo distorto, ma dotato di tutte le sue componenti originarie.

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andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.