da “Materiali per un’identità”
di Mario Benedetti
Laceratio verticis
Capitolo Primo
I
So da chi iniziare e come. Ma fino a un certo punto. Apollinaire, Bataille, Michesltaedter. A proposito di che? A proposito dei corpi. Adopero questa formula, non so usare altre parole.
Riprendo una strofa della poesia Cortège, dalla raccolta Alcools di Guillaume Apollinaire. La mia traduzione è la seguente:
“Gente passava e vi cercavo il mio corpo.
Tutti quelli che sopraggiungevano e non erano me stesso
portavano a uno a uno (forse a due a due, coppia amante) i
pezzi (gli arti) di me stesso.
Mi costruivano a poco a poco come s’innalza una torre.
Popoli si accatastavano e io apparivo
formato da tutti i corpi e le cose umane.”
Mi fermo ai primi tre versi, prima di “On me bâti …” Oltre non so andare. Non riesco.
“Non siamo tutto, anzi, in questo mondo abbiamo solo due certezze: di non essere tutto e di morire.” Georges Bataille. Che cosa vuole dire non essere tutto, senza l’accettazione di non essere tutto, difficilissima perché le scappatoie – narcotici sono insidiose e subdole (sempre Bataille): lo stare in coppia – omo o etero -, o per contro l’ipodesiderio, e poi lo stare entro le convenzioni morali, ecc.?
Penso alla parola ‘morcelé’. Corpo in mezzo a corpi. In un vuoto irrespirabile. Angoscia e desiderio non orientato, incomunicabili. E senza il progetto dell’esperienza interiore discorsiva (scritta? formalizzata in che modo?), e senza le dépenses dell’erotismo (che trovo in Bataille in qualche modo ‘assolutizzato’, o comunque dipendente da un portato ‘Trascendentale’, nonostante la grandiosità del passaggio angoscia-erotismo-non–sapere-essere), dell’estasi, del riso, ecc. Rimango fino alla sua nozione di estremo del possibile come angoscia-lacerazione. Fino a qui, oltre non vado, cerco di starci, sono espansione ‘fenomenica’ e basta. Sono in questo ‘stadio’ o stato.
[…]
IV
Ti benderei. Così non sai chi sono. Vestita normalmente, come ti vesti. In piedi. Scarpe gommate, pantaloni comodi, maglia larga. Non devi pensare che sia io ma concentrarti su un uomo secondo il tuo modello e desiderarlo con le immagini che ti vengono. Mi metterei dietro di te. Tu davanti e io dietro, appena. Appena sentire il contatto dei tuoi glutei pronunciati, marmorei, sulla stoffa dei miei pantaloni.
Sei alta, hai un uomo dietro di te, vestito, accostato, le taglie dei corpi sono giuste. Non sai chi sia, ma non è pericoloso. Minuti e minuti così. Tu tieni le braccia lunghe distese, rilassate. A poco a poco lui preme il suo torace, ma non forte. Sente il tuo respiro. Così tu, contro il suo torace. Dalle sue braccia che scivolano accostate alle tue, le sue mani sono sulla stoffa sopra i tuoi ginocchi, più in alto. Niente. Poi sulla stoffa sopra la cintura ti sfiorano parti davanti. Ma non seni, ancora, né pube. Il viso non sarà toccato. Può continuare? E tu, puoi?
Ti ecciti un poco. A fatica. Non pensando. Il tuo respiro lo senti. Lui anche. Il suo no. La sua faccia è scostata, distante. Attraverso il tuo respiro lui diventa mani che ti scivolano davanti, strusciano la stoffa della tua maglia larga contro i seni, sulla pelle delle anche, altrove. Ne senti le dita, i palmi, nella stoffa. Ai pantaloni hai la cintura. Le tue dita s’infilano, tra le sue. Le togli. Ti slaccia la cintura. Scende una mano sotto l’elastico. Scendono le dita tra i peli nell’umido. Quattro dita, due, come in un palato più morbido. Uno, sulla cima del piacere.
Hai la pelle così bianca. Parliamo. Spogliati. Vuoi?
Che cosa ho immaginato, scritto? poiché sono uscito dall’estremo del possibile rispetto ai corpi, presenza-specchio che mi diffrange. Ha scritto Bataille di sola angoscia, angoscia, angoscia soffocante in buona parte della sua esperienza interiore.
Sono dovuto uscire, per parlarne. Quanto? Non lo so. Senza giustificazioni. Bataille fa ‘intuire’ una non-parola-silenzio in buona parte del libro.
Qui, in questo racconto, “il non essere tutto” e il “come se non ci fossi”! Ma non muto. O forse perché non muto. Nella parola è come se non ci fossi. C’è una qualche sovreccitazione però. Dépense? Ma mi manchi, mi manchi, mi manchi. Lo dico a me.
Che parola è questa, mia o di chi, allora?
[…]
Capitolo Secondo
I
Lo sai che ci siamo incontrati. Non fare finta. Non fare finte. E allora? Sei un corpo che si dà, si dice così. Lo dicono. Senza amore. Una vecchia storia? No. Corpo cinico, crudele. Ma vulcano in sommovimento interno, con amore. E’ tutto.
Chi parla?
Sono in diversi a ballare nella gabbia. Uno ricorda sé. Un altro, sé. In tre o quattro. Ho guardato in foto la Tangenziale Est che ti porta al mare. In costume, foto che mi volevi inviare e non lo farai. E’ tutto.
Frasi nella vita.
II
‘Sto’ con una donna distante nello spazio ma non nel tempo che mi ama. Io no. In questa mia vita esposta, in estensione, diffranta. E’ tutto.
Chi parla?
Nessuno è geloso. Ho il cellulare che suona spesso, se voglio. C’è un locale, a portata, di buona birra, Metal e ragazze. Ora deserto. E’ tutto.
Frasi nella vita.
III
Il deserto.
IV
Abbiamo giocato a calcetto. Un giorno inoltrato insieme. Due, tre. Hai 32 anni, hai 29 anni, hai un po’ di te che vive. E tu hai gli occhi azzurri. Affascinante. E’ arrivata con un giovane bruno che vorrebbe ritornare con la moglie. E’ tutto.
Chi parla?
“Du, du hast, du hast mich. Du, du hast, du hast mich”. Cantano alla radio che tengo accesa. Ballano il tango martedì e venerdì alle 9. Mangio lì, vieni? Bacio. E’ tutto.
Frasi nella vita
V
Sei arrivata per andartene. Non fare così. Resta. O non venire. Ma non è possibile, non è possibile! Lo sai. E ancora me lo chiedi? E’ tutto.
Chi parla?
Frasi nella vita.
VI
Addio versi di Cortège. Addio torre innalzata. Popoli. Ho le pastiglie per la notte. Guardo i comignoli mentre altri guardano altro. Vado a letto tra poco. E’ tutto.
[…]
Capitolo Sesto
[…]
V
Non so che cosa fosse una giacca da uomo per te, le gambe quando arrivavano dai tavoli, le bocche che diventavano a volte il sorriso che volevi.
– Non buttarti addosso così, io tengo sempre le mani quando entrano perché mi fa male, perché quei corpi non li ho scelti, capitano come gli alberi, i fari delle auto quando si fermano, a volte mi siedo senza parlare, vedo solo le poche luci forti, il quadrante, gli orologi -.
La nostra vita, un lungo paesaggio che rimane dopo di noi. I viali, alle cinque di mattina, gli uomini con le borse di plastica, la pioggia che non finiva. Ti dicevo: sarà un giorno bellissimo. Non parlavi, qualche metro più avanti, e io guardavo dove i passi erano i tuoi. Ti giravi, gli occhi come una cosa vera del mondo, di tutto il mondo.
“Via Piranesi sono gli alberi, i tre cartelloni in fondo dove sei nata. La sera nel parco, andiamo fino a piazzale Susa. Chissà se dopo questo mondo noi c’eravamo.”
Era una poesia che leggevi senza dire niente, e io pensavo a cosa fare domani, domani non devi piangere mai, domani andiamo a Stresa, mi devi parlare sempre di te. Sorridevi soltanto, gli occhi neri come una luce della notte che si perdeva fuori, fino a dove riuscivamo a guardare, fino a dove non eravamo più.
Milano 1991
[…]
Capitolo Settimo
I
Sto morendo. Non c’è sorpresa, pianto. E’ meno difficile oggi di ieri, socialmente e personalmente. Lo ripeto, socialmente e personalmente. Come è aproblematico
are. E l’idea della morte e del sesso non eccita i sensi ‘come’ alcuni, molti?, decenni fa. La morte di Edouard ha scatenato un putiferio nel lutto di Marie, nel racconto Il Morto di Bataille. Non ora, non qui.
II
“Ho vissuto momenti di intensa felicità; era dentro di lei, o accanto; era quando ero dentro di lei, o un po’ prima, o un po’ dopo”(1).
Niente di più, niente di meno.
III
Ho gli occhi arrossati. Mi spoglio. Quante volte. Sono nella tua camera. Se sorridessi saresti come lei. Bionda, la pelle uguale, abbronzata. La pelle uguale, il corpo non so. Ci si può passare sopra. Basta la pelle, gli occhi. Il viso non sorride ma è particolare. Bello. Come il suo. Di là tua sorella, in cucina. Adolescente, molto più piccola rispetto ai tuoi 24 anni. Lei ne aveva 31 quando l’ho conosciuta. Le si davano meno anni. Tutti. Davvero.
– Mi hai scopata come il mio ragazzo.
– Cioè?
Sono bravi anche gli altri. Diversamente. Di più. Anche con le parole. La loro presenza. Siamo stati in accordo. Tutto è andato bene.
– Ci vediamo, ti va?
– Sì, quando vuoi.
Non voglio piangere. Usciamo. So che sei una. Una e basta. Tra le tante. Lo sai anche tu. Un uomo capita. Anche lei lo sapeva. Sei svogliata, ma ti piace. Un po’ indifferente guardi allo specchio
dell’ascensore la mia età. Non ti sembra importante. Niente lo è.
Milano, oggi 27 giugno
Capitolo Ottavo
I
Riguardo al mio morire è stato per me un difendersi, un difendersi strenuamente. Non più. Ma non faccio fatica. Come dentro un’epidemia, vivo nel casuale. Ma non Medioevo né peste, non Seicento né peste, almeno non quello di scrittori e pittori, terrifico. Non so. L’istinto di sopravvivenza è molto mediato dalla società in cui io sono un io, dalle mie nuove abitudini con me stesso, dalle mie vittorie e dalle mie sconfitte.
II
La sconfitta più grande è il non essere tutto. Riunisce le altre.
La società e la cultura hanno sconnesso la gerarchia delle facoltà mentali.
La mia vittoria la forza, il tempo, non comuni. Attraverso la scrittura.
Mi sono portato verso il morire, costantemente, subendolo, interrogandolo. Ma c’è un passo. Da compiere in questi ultimi paragrafi.
III
La morte di Emma Bovary (Flaubert), di Anna Karenina (Tolstoj), di Nanà (Zola).
Il primo spasmo atroce allo stomaco dopo il veleno: “perdonami … tu non hai colpa”. Occorreva farlo. Che occhi translucidi, rivolti all’interno. E rivolti a tutto, a tutto. Quanto è durato l’ ‘occorreva farlo’?
La dissimmetria, sulla carrozza, a piedi, dell’ultimo stare di Anna. La dissimmetria di quel suo ultimo tragitto. Andare dove? essere dove (non faccio caso all’uso della parola essere)? La stazione dei treni, un binario. Quanto tempo è stato per lei? e cosa?
Nanà è morta naturalmente, ma pustole, viso che si sfa, il biondo intatto dei capelli. Mio immaginario. Sera che si farà notte. Attendo.
IV
Non voglio morfina, lenimenti. Sto. Devo. Rilke nella leucemia. Giorni. L’estremo, l’estremo del possibile nella vita. Nel corpo. Estremo cercato di vivere, vissuto. Bisogna interrogarlo. Ma è soltanto silenzio. Il come se non ci fossi. Il non essere tutto, per tutti. Ma disponiamoci. Così, a questo. E’ supplica.
V
Un colpo alla testa. Contano gli ultimi giorni, le ultime ore, i minuti. Gorizia. E’ un tempo lungo, sembra un’altra vita nella vita. Intensa, diffranta. Stordita, dalla lucidità.
Lo sguardo di Beppe Salvia sulla strada da una finestra a Roma, lo sguardo di Paul Celan sull’acqua della Senna a Parigi.
Che spazio è quello, quale tempo. I corpi che vedo, che sento passare, le cose, l’aria, vado avanti?
VI
Una telefonata. Quello che stai scrivendo sarà pubblico. Sì. Pagine stampate. Vedo un lungo foglio compresso nella bottiglia arenata su una spiaggia del Nord francese dove ragazzi e ragazze sono la reciproca preda.
Lì dentro, io. Guardo in dissolvenza ciò che ricordo. Un viso che mi guardava a Saragozza, estate, decenni fa. Sta lì, con me. Faccio un film della mia vita, lo so. Macchina in soggettiva, portatile, che trema. Vado avanti?
VII
Dalla nuvola si schiarisce una figura
(non c’è)
Da vicino io rido nella sua bocca
(non c’è)
Strade e visi uno dentro l’altro
(non ci sono)
Ed è tutta la mia vita
VIII
Il passo è qui. La distanza tra questo stare composto alla scrivania e l’essere avvolto dal contenuto degli ultimi paragrafi.
IX
Un passo è più oltre.
*
[da Materiali di un’identità, Transeuropa 2010]
*
(1) Michel Houellebecq, La possibilità di un’isola, Bompiani, Milano 2005, p.143.
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Chiedo scusa, ma i […] fanno parte effettivamente del testo, come credo, o indicano una omissione di tipo ‘editoriale’?
no, i puntini implicano dei tagli nel testo; questo presentato funge da testo antologico rispetto al libro
grazie di averlo postato
Ho pianto un bel po’ leggendo questo testo. Davvero intenso.
Grazie Andrea.
Bellissimo
Grazie mille per la pubblicazione di questa antologia, Andrea.
Qui la scheda del libro: http://www.transeuropaedizioni.it/?Page=libro.php&id_collana=22&id_volume=88&id_libro=93
Ps: Scusa la pignoleria andante, ma c’è una piccola imprecisione nel titolo, che è “Materiali di un’identità”.