PREFAZIONE AGLI AUTISMI
di Giacomo Sartori
I diciassette Autismi sono stati postati nell’arco di un anno su Nazione Indiana (all’inizio da Andrea Raos, e poi da me, perché nel frattempo ero stato accolto nel blog). Come spesso succede per i racconti, perché la volontà conta fino a un certo punto, tutto è nato con un primo testo che ha per così dire aperto la via, e poi alla spicciolata sono venuti anche gli altri, che avevano con quel primo scritto un legame di necessità ma anche di libertà, forse di sfida aperta, proprio come succede nelle nidiate. I lettori erano in genere abbastanza numerosi, anche se certo molto meno numerosi di quelli di altri contenuti più gettonati di Nazione Indiana. E questo nonostante fossero in molti casi piuttosto lunghi. Viene quindi sfatato il pregiudizio, spesso sbandierato come una verità assoluta, che sulla rete i tempi di permanenza sulla pagina siano necessariamente molto brevi. Ma questo importa fino a un certo punto.
A volte i commenti straripavano di rancorosa o anche solo frettolosa egolatria, come spesso succede nei blog, e in particolare quelli italiani, spesso invece erano molto posati e pertinenti, o addirittura molto acuti. Io leggevo attentamente tutti questi commenti positivi o negativi, perché davvero mi interessavano, e mi facevano riflettere. Viviamo in un’epoca di letture corrive (ho sempre trovato assurdi gli argomenti degli adepti della lettura veloce, o addirittura – orrore! – incompleta; per me la letteratura è per definizione il regno della lentezza), e forse i miei stessi interlocutori – nell’accezione di Natalia Ginzburg, le persone cioè delle quali per motivi i più diversi mi fido e che per prime giudicano i miei testi – sono lettori frettolosi. Per non parlare dei recensori della stampa (li si può capire, sono pagati a cottimo).
Poi a un certo punto, senza che io possa dire il perché, la vena si è esaurita, e il cantiere è stato dismesso, le attrezzature sono state trasferite altrove. Ma nella terra sono rimaste le cicatrici. Ne avevo già fatto a più riprese l’esperienza: ogni nuovo registro che esploro, e per me di questo si trattava con gli Autismi, viene integrato nella mia paletta, ed è quindi destinato a riemergere più tardi, nella sua veste originaria o ulteriormente meticciato. O comunque rimane dietro le quinte come un possibile intervenente, un amico già pronto a dare una mano.
Come faccio da anni con i miei testi, ho mandato poi o fatto avere tramite conoscenti (secondo un nefasto ma ineludibile costume italiano) gli Autismi a qualche casa editrice, e come al solito queste case editrici, nonostante abbia all’attivo, per usare questa brutta espressione contabile, qualche romanzo e qualche raccolta di racconti, anche tradotti all’estero, non mi hanno risposto. Il che suppongo voglia dire (ma ho ancora da capire bene come raziocinano gli editori, e forse comincia a essere un po’ tardi) che non solo i testi non erano stati giudicati degni di essere pubblicati, ma nemmeno di suscitare quel quantum di urbanità per cui per esempio nella sala di aspetto di un dentista ci si saluta, o si tiene la porta al paziente successivo, anche se non lo si conosce (per chi volesse approfondire l’argomento: Lettere a nessuno di Antonio Moresco).
Una persona di una grossa e prestigiosa casa editrice mi ha però risposto. Un’eccezione c’è sempre. Mi ha mandato la lettera che ho incollato in epigrafe.
Io sono molto e sinceramente riconoscente nei confronti di questa dipendente della prestigiosa casa editrice, perché dopo tanti anni di invii è appunto la sola interlocutrice (è una donna, e non l’ho mai incontrata) nel cosiddetto mondo editoriale che si prenda la briga di prendere in mano i miei testi, di pensarci sopra, e di mandarmi un breve commento (all’inizio si parlava anche di possibilità di pubblicazione, ora non più, come in una coppia nella quale l’eventualità di accasarsi sia ormai, dopo tante esitazioni, e vista forse l’opposizione di una parte della famiglia, definitivamente scemata). Non proprio semprissimo, però di solito sì. Come al solito io non ero per nulla d’accordo con le sue osservazioni, anzi dissento per così dire ferocemente, ma come sempre non ho ribattuto nulla, ha prevalso la riconoscenza. Del resto anche questa volta quelle poche frasi mi erano servite per chiarirmi le idee, che è forse quello che conta.
Leggendo questa stroncatura ho avuto la certezza, a controcorrente per dirla così con il suo più che esplicito contenuto, che la forma breve mi sia congeniale (cosa del resto che pensava anche il mio pure lui prestigioso primo editore, il quale mi ha implacabilmente lasciato proprio perché “i racconti ti vengono bene ma non sai scrivere i romanzi”). Quella prova di sfiducia mi dava la certezza che continuerò a scrivere racconti. Perché? Non lo saprei dire. Intuizione, diciamo.
Leggendo quella critica negativa ho però avuto anche certezze meno vaghe. Non posso adesso ricostruire la cruenta e caparbia autopsia di ogni singola frase del messaggio, il raffronto con le mie autoanalisi e le mie intenzioni esplicite e velleità, tenendo conto beninteso di quelle che mi sembrano essere le mie possibilità e abilità, e ovviamente i miei limiti, i molti limiti, che qualche volta per una piroetta inopinata diventano altre possibilità, altre abilità. Sarebbe un esercizio molto tortuoso e forse non interessante al di fuori di quella che è la mia fucina di scrittura, forse troppo intimo. Diciamo però che alla fine di questo lavorio ho avuto la certezza che i miei racconti avevano un’unità, che affrontavano di petto temi complessi e importanti, che avevano un giusto e non imbalsamato equilibrio tra i vari registri, zigzagando in modo non scontato tra epidermide e profondità, una profondità anche abissale. Il che corrispondeva esattamente alla mia idea di scrittura. E quindi rappresentavano forse un qualcosina di originale nel panorama della nostra narrativa, valeva forse la pena di pubblicarli. Forse però mi sbaglio, intendiamoci.
Nel frattempo s’era fatta sotto spontaneamente, non mi era mai successo, una casa editrice, che si diceva ben contenta di pubblicare gli Autismi. La cosa si è subito conclusa, e adesso i racconti escono per quel piccolo editore, che si chiama “Sottovoce”. Nome che mi sembra più che pertinente: è normale e giusto che i miei racconti, snobbati da chi ha molta voce, escano “sottovoce”. A questo punto ho ripreso in mano i testi, eliminandone uno, potandoli e rilavorandoli per quanto riguarda la lingua (dopo la decantazione le imperfezioni vengono in superficie: possono essere scremate). E per rendere il tutto più conviviale (pare che per lottare contro l’autismo una delle strategie sia questa), un pittore di nome LOME se ne è ispirato per una serie di olii, uno dei quali è finito, in riproduzione, nel libro. Proprio perché la nostra unione fosse più incestuosa, LOME ha preteso che fossi io a individuare le frasi sulle quali avrebbe lavorato. Ho cercato di fare del mio meglio, anche se naturalmente a questo punto i racconti non mi appartenevano più, e mi guardavano per certi versi con un po’ di risentimento (ma forse mi mettevo solo in testa).
Qui finisce la prefazione agli Autismi. La quale del resto non prefazionerà proprio nulla, perché non credo che i testi letterari, a parte forse qualche rarissima eccezione, abbiano bisogno di prefazioni. Ma resta però pur sempre la prefazione agli Autismi. La posto allora su Nazione Indiana, senza la quale questi testi non sarebbero venuti a quel piccolo mondo, per molti aspetti sempre più piccolo (come quei signori che invecchiando si accartocciano su se stessi, invece di irradiare bellezza morale, viepiù sordidi e meschini), ma questo sarebbe un altro discorso, che è l’Italia, e con cui ogni scrittura in italiano pena a non confrontarsi.
[Le immagini: LOME, “Autismi”, olio su carta, 50×70 cm]
“Autismi” è un libro in cui il dolore si fa quasi, a tratti, divertente.
È un libro bellissimo.
“Autismi” si basa davvero sulla vita di Sartori oppure sono solo finzioni?
Lo chiedo direttamente all’autore
Mi perdoni, Sartori, ma trovo questo pezzo totalmente “egolatrico” e davvero imbarazzante. Imbarazzante per lei, intendo.
Mi spiace molto per le sue vicissitudini personali, ma non vedo che attinenza abbiano con un blog culturale. E soprattutto non capisco la necessità di spiattellare ai lettori del blog una riflessione così tortuosa e inutile.
Bah.
@ irene
sì c’è una grossa componente autobiografica, soprattutto per quanto riguarda i “materiali”; ma poi la finalità resta ludica, allontandosi da quella “ricerca di verità” (o presunta tale) che si presuppone di solito nelle “autobiografie”; autofiction, insomma;”
@laserta
ogni testo di uno scrittore va inquadrato, credo che sia d’accordo, all’interno della sua “opera”; io ho pubblicato tre romanzi, e uno uscirà a gennaio, così come altri altri testi, che di egolatrico non hanno proprio niente, e che sono anzi dei modelli – riusciti o meno, e che piacciano o meno – di austerità e di “autocontrollo”;
qui invece volevo fare qualcosa di diverso, anche se in fondo i fini erano gli stessi: in realtà questi racconti lo vogliono essere, imbarazzanti; spingendo anzi il più in là possibile il limite del pudore e della “confessione intima”; però restando – rispetto a carrettate di narrativa “trasgressiva”, e comunque in un clima di sempre più dilagante egolatrismo – in una rotta molta classica, di crociera negli abissi della psiche, di ricerca di brandelli di verità; in altre parole non è affatto la preoccupazione di stupire o trasgredire che mi ha guidato;
ma anche qui, la cosa può essere riuscita o meno, e può piacere o no, per carità; come può piacere o meno questo scritto un po’ egolatrico, ma coscientemente e ironicamente, di uno scrittore che di solito non è affatto egolatrico; esistono i generi, no?
caro sartori, ho apprezzato molti suoi “autismi” postati nel blog, ma per quanto riguarda la sua “fissa” di capire “come raziocinano gli editori”, beh, devo dire che è incomparabilmente più difficile capire ciò che passa nella testa di un editore o dei suoi redattori che raziocinare i misteri della fede. Ogni editore è naturalmente alla perenne ricerca del best-seller, ma i criteri della sua ricerca sono più imperscrutabili (e in primis a lui stesso) dei buchi neri dell’universo. E, en attendant Godot, l’editore non capisce una mazza di quel che gli passa nel frattempo sotto il naso.
Ci mancherebbe, non mettevo in questione né le sue opere né le sue scelte di stile/genere. Il mio era un giudizio sul presente articolo, che ho trovato piuttosto contorto e in fin dei conti inutile: io non mi sconvolgerei tanto per le scelte degli editori. anche perché, come si evince dal suo testo, lei un editore l’ha infine trovato (per fortuna). E poi, io al suo posto non propinerei mai ai lettori le mie riflessioni sulle mie disavventure editoriali. Lo trovo piuttosto “onanistico” (idem per Moresco). Credo che una storia editoriale vada fatta a posteriori. Ovvero postuma.
come dire, gli Autismi sono intimamente legati a Nazione Indiana, perchè sono nati espressamente per NI (Andrea Raos mi aveva chiesto di scrivere qualcosa, e da lì è nata l’idea); se fosse stato per me lo avrei scritto anche sul libro, in bell’evidenza;
e quindi ci tenevo a chiudere la storia, raccontando la vicenda della pubblicazione);
nemmeno io amo più di tanto parlare delle mie vicende editoriali, non creda; ma credo che sia un gran male, perchè se ognuno ne parlasse – per esempio all’anglosassone – l’effetto non potrebbe essere che benefico; il silenzio non è pur sempre una forma, anche se dettato dal pudore, di connivenza?;
Credo nella forma breve. Li leggerò con molto interesse.
Ho letto e apprezzato molti degli autismi, in particolare la componente comico-grottesca di molti, a volte eccezionale – tutti i pezzi sull’editore, per esempio. La forma breve a tratti é davvero completa, compiuta, autosufficiente. Per quel che valgono, le faccio i miei complimenti.
Il limite degli autismi – ma non esisterebbero se non fossero così, appunto, autismi – sta proprio nella leggerezza della narrazione, spesso occasione di riflessione, episodio, o anticamera di rimpianto e sulla autoreferennzialità di alcuni brani. Alcuni generano le classiche curiosità sull’autore che ho trovato anche nei commenti precedenti: “ma sarà vero che il signor Sartori…? Sarà vero che con la moglie, a Parigi, in quel bar, etc. etc…”
Mi era capitato lo stesso anche leggendo un pò di G. Mozzi di “Sono l’ultimo a scendere”, dove la componente è molto più forte perché più geometrica, fredda e controllata – troppo educata – o il blog di Garufi, a volte molto più toccante per le sue vicende personali. Che dire? Alla fine, ho capito che fa parte del gioco: in ogni scrittura c’è una parte di desiderio di condivisione, di apertura della propria vita agli altri che vira sì verso l’ego e l’autocompiacimento, ma, quando usato correttamente, fa della scrittura uno dei mezzi più potenti d’espressione e di partecipazione umana.
Se fossi stato un editore – che non sono – avrei scelto proprio come Sottovoce: pubblicare. Buone scritture, e buona Parigi, che le invidio tantissimo.
Sottovoce nasce dall’idea che possa veramente esistere un editoria diversa. Dopo 10 anni di lotta continua abbiamo scelto di fregarcene delle loigche di mercato e di adottare un atteggiamento e una politica editoriale quasi di stampo militare: solo testi selezionatissimi, no assoluto alle logiche commerciali imperanti, no alle mafie editoriali di questi anni. Sarà un suicidio? Lo vedremo.
Intanto un testo come Autismi, ben rappresenta la nostra linea.
E nei prossimi mesi ne vedrete altri di testi del genere.
Uno scrittore non ci parla delle disavventure editoriali dei suoi testi per dirci: ecco l’eroe. La landolfiana bandella intonsa è una cosa molto bella,
ma poi, almeno qui, può lo scrittore raccontare cosa è successo mentre scriveva? A me interessa. Ad esempio mi interessa sapere che l’editor di una grande casa apprezzi di Sartori più i romanzi dei racconti. personalmente considero Anatomia un potentissimo romanzo e alcuni
Autismi pure, e sono contento che Sottovoce abbia deciso di farne un libro.
Scrive Sartori “Diciamo però che alla fine di questo lavorio ho avuto la certezza che i miei racconti avevano un’unità, che affrontavano di petto temi complessi e importanti, che avevano un giusto e non imbalsamato equilibrio tra i vari registri, zigzagando in modo non scontato tra epidermide e profondità, una profondità anche abissale.” ha ragione.
E il suo è davvero un bel libro – dirò perché a giorni su lapoesiaelospirito
Fino a qualche anno fa, il suo pezzo sarebbe andato a finire dentro il suo diario personale. Oggi finisce sul blog di letteratura più importante.
E’ un segno dei tempi. Certo però che mette il lettore di Nazione Indiana davanti a una situazione difficile: che le faccio, i complimenti? la compatisco? m’incazzo pure io?
Insomma, noi cosa c’entriamo con una prosa autoreferenziale? Siamo spettatori, ecco.
Ma, ci tengo a precisare, ciò non toglie nulla al valore della sua opera, che è un elemento indipendente dalle sue “pose” autorali
la prosa autoreferenziale (sic) come quella di Brodskij, Proust, Busi
mi scusi laserta, ma una prefazione parla del testo a cui si riferisce, no?; e naturalmente il suo unico interesse sta proprio lì; come dire, io mica l’ho imbrogliata, il titolo parlava chiaro: è lei che ha scelto di avventurarsi nella lettura; se non le garbava il tema, temo che avrebbe fatto meglio a non leggere (è come uno che entra in un negozio di giocattoli e dice al commesso che dei giocattoli non gliene importa nulla);
personalmente (ma forse capita la stessa cosa anche a lei) a me interessa quello che dicono gli autori quasi solo nella misura in cui sono attratto da quello che fanno (certo c’è anche qualche eccezione: per esempio posso leggere quello che spara fuori uno scrittorone di successo che a me non piace, e che non leggo: per ragioni per così dire di costume, di etologia o sociologia della letteratura);
però ecco, ammettendo che a 15 lettori di NI siano piaciuti questi benedetti racconti (non è un artificio retorico: 15 è un numero che mi va benissimo), forse 5 (idem) di loro sono interessati a sapere come sono finiti su NI, come ho reagito ai commenti sulla stessa NI, come hanno reagito le case editrici alle quali gli ho mandati, come ho reagito io alle reazioni o non reazioni delle case editrici, come ho trovato una casa editrice, come ho lavorato con un pittore a cui i testi erano piaciuti; le sembra solo autoreferenzialità questo?
e comunque non esageriamo, le rimane pur sempre la libertà di dire che trova brutta la prefazione a questi testi che non ha letto e non le interessano; e può argomentarlo; come dire, ammetterà che nella vita ci sono situazioni più difficili!
massì, lasciamo stare. non facciamone un problema. concordo con la sua ultima posizione
bella introduzione per un bel libro; l’egolatria non è affare di Sartori: in lui la sincerità (autobiografica) è sempre piegata, attraversata con ironia e consapevolezza, per cogliere qualcosa della verità umana; e tutte le vie possono essere buone, persino quelle che passano attraverso l’enigmatico specchio dei criteri editoriali di pubblicazione…
vi è poi un ingrediente che apprezzo in Sartori, e che davvero è raro anche negli scrittori migliori, un’insolenza autentica, e quindi mai esibita e urlata… un’insolenza così è segno di uno scrittore consapevole dei suoi talenti e della sua autonomia intellettuale
madonna mia, anche i complimenti dall’inglès!
(che poi, non dimentichiamo, insolente viene da in-solens, da solere = essere solito; quindi l’insolenza è in fondo, o dovrebbe essere, l’attributo principe dello scrittore: “colui che non dice le solite cose”)
la verità è la verità della scrittura
spesso più dura e spietata della vera veritas
altro non tocca troppo sondare
per inciso in tempi di vera egolatria e narcisismo, e dietrologie del bene e del male, trovo il mettere una stroncatura in chiaro, in testa ad un proprio scritto davvero ammirevole
Sartori, nome omen, dell’antica corporazione dei mastri d’ago e forbice, taglia sagome, punge punti con aghi nella stoffe delle sue trame/ordito ma poi tutto ricuce in una specie di quieto disincanto, di pacificazione dell’oggettività delle cose.
Questo anche come redattore all’interno di Nazione Indiana, che non è poco.
Auguri per il libro, ovviamente.
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[…] …i racconti escono per quel piccolo editore, che si chiama Sottovoce. Nome che mi sembra più che pertinente: è normale e giusto che i miei racconti, snobbati da chi ha molta voce, escano “sottovoce”… (Giacomo Sartori, qui) […]
Ho già scritto di questo libro di Renata Morresi. Non saprei aggiungere altro, ma mi mi è gradito ritrovarla anche su NI. Buone feste a voi.
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