Scrittori e Battisti. La censura non è mai una buona idea.
da «il Fatto Quotidiano», mercoledì 26 gennaio 2011
Ecco perché il boicottaggio ai danni degli autori che hanno firmato l’appello a favore del terrorista, indipendentemente dalle ragioni, è uno sbaglio.
di Evelina Santangelo
«Lo facciamo non per spirito di rivalsa, ma per le vittime di Battisti». Tutto comincia con una lettera stilata da un semplice cittadino del comune di Martellago, Roberto Bovo, della cui buonafede non intendo dubitare, e da un oscuro consigliere comunale del Pdl, tal Paride Costa.
La proposta, ricordiamolo: «un boicottaggio civile» nei confronti degli scrittori italiani che nel 2004 hanno firmato un appello per il terrorista Cesare Battisti. Modalità: la rimozione delle loro opere dalle biblioteche civiche e scolastiche presenti nel comprensorio provinciale veneziano. Proposta subito accolta dall’assessore alla cultura della provincia di Venezia con delega alle biblioteche, Raffaele Speranzon che ha stigmatizzato gli autori in questione come «persone sgradite», trovando seguaci solerti in figure come quella dell’assessore regionale all’istruzione Elena Donazzan che, parlando di «cattivi maestri» autori di «testi diseducativi», ha rivolto un non meglio identificato «indirizzo politico» ai bibliotecari e ai dirigenti scolastici perché facciano pulizia. «Un´iniziativa di gigantesca idiozia» l’ha definita qualche giorno fa Luciano Canfora. Un’iniziativa che intanto, al di là delle contromisure inverosimili prese nei confronti degli intellettuali in questione, ha dei precedenti significativi.
Nell’arroganza, ad esempio, con cui il ministro Gelmini qualche tempo fa rivendicava, sul filo del paradosso, il diritto di dettare scelte prettamente accademiche come l’attribuzione di una laurea. Allora ci ponemmo una domanda: se si accetta un paradosso, come una laurea in comunicazione a Bossi, cosa si potrà non accettare, dopo? Ritenevamo infatti che non ci fosse cosa peggiore che abituarsi a sistematici e apparentemente innocui abusi del genere. Così come ci sembrava un vero e proprio assalto alla diligenza il modo in cui il potere costituito stava occupando le istituzioni culturali, affidando ad esempio la sovrintendenza di un Ente come la Fondazione Arena di Verona a un perito agrario fedelissimo del sindaco Tosi, che giustappunto riteneva di farsi interprete dello sdegno dei suoi concittadini veronesi vietando a Morgan di esibirsi all’interno della rassegna Catautori doc. Il tutto condito da aggressioni verbali nei confronti del «culturame parassitario» e aggressioni materiali da parte di quel Tremonti che esterna poco ma colpisce in profondità.
Ecco, è in questo quadro che credo vada collocata una siffatta «iniziativa di gigantesca idiozia», che introduce a mio avviso alcuni fatti nuovi rispetto al passato: sia per la natura di chi ha avanzato la proposta sia per il modo stesso in cui è stata presentata. «Un boicottaggio civile» promosso da un binomio che vede insieme un semplice cittadino animato da buone intenzioni e un qualsiasi consigliere comunale sensibile ai bisogni della gente in merito a una questione spinosa, dolorosa, da cui il governo italiano è uscito «con le ossa rotte».
Negli ingredienti di questa vicenda ho l’impressione infatti si annidi qualcosa che ha a che vedere con il senso più profondo di quel che sta accadendo nella mentalità dei più, in cui da tempo si sta inculcando l’idea che chi rappresenta una parte politica che ha la maggioranza dei voti degli elettori perciò stesso sia rappresentante della volontà popolare tout-court in base a un mandato che, nell’opinione di una siffatta classe dirigente, dovrebbe investire automaticamente ogni aspetto della vita civile e culturale al punto che ogni gruppo o istituzione dovrebbe coordinarsi col regime al potere e sostenerlo o esserne l’espressione. Il caso della scuola di Adro non è accaduto invano, direi. Come non sono accadute invano le pressioni e la propaganda messe in atto per chiudere, con veri e propri abusi di potere, trasmissioni «sgradite».
Per questo, a mio avviso, qui non c’entrano specificatamente i libri di quegli scrittori, di cui i promotori dell’iniziativa sospetto non abbiano alcuna idea (se no, probabilmente avrebbero avanzato obiezioni almeno più «pertinenti»). Qui cova una visione che non contempla proprio la libertà di pensarla diversamente da chi si ritiene unico affidabile interprete e garante della volontà popolare contro chiunque in qualunque modo la possa minacciare materialmente o moralmente, che siano gli extracomunitari, un cantante pop o un gruppo di scrittori poco importa. Si è solo alzata la posta, direi, approfittando di un pretesto che può non sembrare tale, appunto, ai più che si identificano con quel semplice cittadino animato da buone intenzioni.
Così, quanto più saranno pretestuose, gigantesche nella loro idiozia ma radicate nelle visioni correnti dell’opinione pubblica (adeguatamente foraggiata) le ragioni di qualsivoglia censura o messa al bando di «persone non gradite» tanto più sarà evidente il potere e l’insindacabilità di chi se ne farà promotore. Quanto più saranno oscuri gli emuli che si sentiranno autorizzati a compiere tali censure tanto più sarà evidente che si tratta di un modus operandi che tende a farsi abito mentale, costume. E tutto ciò in un paese in cui il nome e il simbolo della maggiore formazione politica c’è il rischio che coincida con il paese intero («Italia»).
Sì, come ha detto qualcuno, non facciamo confronti spropositati con i roghi dei libri. Facciamoli a proposito di quel che sta accadendo in Italia nel discorso e nella vita pubblica così come nella mentalità dei più, non solo adesso in questa specifica circostanza, ma da così tanto tempo che molti ormai faticano a rendersene conto. Come chiamereste tutto ciò?
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Una precisazione sull’incipit di questo pezzo: quello perpetrato ai danni dei firmatari del famoso appello (come al solito la stampa generalista ha focalizzato l’attenzione sull’eroe disceso in politica, dimenticando il resto), non è affatto un’operazione di boicottaggio, ma di censura. Quando parliamo di pubblici funzionari e di biblioteche pubbliche che non accettano o rimuovono certi libri per ragioni politiche, parliamo di pubblica censura. Sarebbe invece boicottaggio, se qualcuno, anche un pubblico funzionario, invitasse pubblicamente i lettori a non leggere certi libri, la cui presenza nelle biblioteche da lui gestite resti comunque garantita per tutti.
Sono due cose molto diverse, la censura e il boicottaggio
Ho solo riportato l’espressione di cui si servono proprio per avviare una riflessione sulla «natura» di questa vicenda, «natura» in cui parole e circostanze (il semplice cittadino che chiede ascolto all’amministrazione «sensibile» alle sue richieste…) a mio avviso sono molto significative, più di quanto non sembri a prima vista.
E hai fatto bene, secondo me
Ecco, infatti, grazie mantello che ha scritto quanto stavo per scrivere io. Il boicottaggio non è certo quello che può fare un ente pubblico per decisione di un assessore. Non so neanche se censura sia la parola più appropriata ma certo un assessore che dispone la rimozione dei libri da una biblioteca sta facendo qualcosa di profondamente diverso dal boicottare.
Mi chiedo come mai qui su NI, un sito di letteratura, si ponga così poca attenzione al significato della parola boicottaggio, e alla sua storia, e si continui a scrivere post parlando di boicottaggio in modo del tutto improprio.
Non è né la prima né la seconda volta che intervengo per sottolineare questo fatto (per es. decidere di lasciare Mondadori e pubblicare per un editore diverso è stato qualificato come boicottaggio tempo fa qui su NI).
[…] Scrittori e Battisti. La censura non è mai una buona idea […]
La violazione dell’emerito assessore riguarda, ma non solo, due semplicissimi principi di diritto naturale ripresi dalla nostra Costituzione negli artt. 3 e 21, il principio di uguaglianza e quello di libertà di pensiero.
Un caposaldo del diritto d’informazione è il pluralismo, cioè il diritto del cittadino di conoscere idee e opinioni diverse, che includono anche quelle non gradite all’assessore.
Il fatto che Battisti sia tecnicamente latitante non sospende, salvo i limiti previsti dalla legge penale, i diritti che la Costituzione gli attribuisce.
Dal punto di vista penale è da valutare l’ipotesi prevista dall’art.323 c.p..
La scelta della parola “boicottaggio” da parte dei promotori di questo ostracismo (io lo chiamerei così) non è casuale. Cioè, non deriva, secondo me, semplicemente da sciatteria o da scarsa abilità nell’uso delle parole. Fa parte invece di quel processo di “manomissione” delle parole che ultimamente in molti (compresa NI – https://www.nazioneindiana.com/2011/01/13/la-dichiarazione-di-guerra-civile-di-berlusconi/) stanno mettendo in luce. Attenzione: sono sempre restio a sposare le dietrologie, quindi non è detto che dietro a questa manomissione vi sia necessariamente una volontà esplicita e dichiarata di distorcere il lessico per manipolare il consenso. La manomissione delle parole si insinua e sfrutta, invece, una proprietà della lingua che in sé, e in altri casi, può essere positiva, ossia la sua estrema plasticità semantica, il fatto che una parola non significhi sempre necessariamente la stessa cosa. Questo per dire che di questa manomissione possiamo essere tutti un po’ colpevoli, ed è per questo che è ancora più subdola. Quando, due o tre anni fa, alcuni intellettuali musulmani invitarono a boicottare la Fiera del libro di Torino (in questo caso, usando il verbo propriamente, perché boicottare significava ‘non andare’), il passo fu breve per parlare di “boicottaggio” dei libri e degli scrittori israeliani tout court.
“Boicottaggio” è una parola che mantiene una connotazione positiva. A differenza di “censura”, “messa all’indice”, “rogo” (anche metaforico), o che so altro. Chi definisce “boicottaggio” un’operazione censoria, come quella caldeggiata dagli amministratori veneti, per me, compie la medesima operazione di chi chiama “rom” gli zingari e “gay” i culattoni, continuando a considerarli zingari e culattoni.
Mi interrogo poi sul significato da attribuire a quell’aggettivo “civile” che accompagna la parola “boicottaggio”. Conscio o no che sia dell’operazione che compie, chi parla di “boicottaggio civile”, in questo contesto, costruisce una terminologia per convincere se stesso e gli altri che l’operazione in questione sia riconducibile ad una pratica riconoscibile e socialmente accettabile. In realtà, la pseudo-denominazione “boicottaggio civile”, che non corrisponde ad alcuna denominazione univoca di una pratica socialmente riconosciuta, sembra costruita ad arte per restare indeterminata, e quindi facilmente spendibile in un contesto di manomissione lessicale. “Civile” può stare infatti per “non violento”, mentre si tratta di un’operazione massimamente incivile e violenta. O “civile” può contrapporsi a “politico”, quindi che emerge dalla società civile, una contrapposizione in cui sguazza il potere attuale. “Civile” è da mettere accanto a “amore” e “Italia” tra le parole violente che dividono “noi” da “loro”.
@Montermini,
da che cosa lo deduce che “boicottaggio” come termine mantiene una “connotazione positiva”?
Sono di avviso totalmente opposto.
Gli stessi autori del presunto “boicottaggio civile” secondo me usano questa locuzione per indicare la volontà di isolare dalla società civile quegli scrittori amici, complici o quel che si vuole di un assassino.
Guardi che ovunque si parli di boicottaggio si storce il naso.
Sta addirittura passando l’equazione boicottare=discriminare, come fosse una lesione a dei diritti personale.
Lo dicono per esempio le comunità ebraiche da vario tempo a proposito del boicottaggio di Israele (campagna BDS boicottare, disinvestire, sanzionare) e di quello proposto verso certi prodotti israeliani venduti nel ghetto di Roma. E questa tattica sta avendo un grande successo su tutti i media, che denunciano questa presunta discriminazione, tant’è che il boicottaggio verso i prodotti venduti nel ghetto è stato accompagnato dal solito ricordo delle leggi fasciste ecc.
Ma al di là del caso ebraico-sionista, che ha sempre delle peculiarità personali, mi sembra che l’idea della discriminazione applicata alla pratica del boicottaggio si stia facendo strada ovunque.
E ripeto mi pare che, con la solita mancanza di senso civico e di spirito democratico, insomma con il solito autoritarismo e razzismo la stiano propagandando i servi di B. e i suoi alleati verso chiunque non si omologhi.
@lorenzo galbiati
dico che boicottaggio mantiene una connotazione positiva, rispetto – si badi bene – ad altri termini come “censura”, “messa all’indice”, “ostracismo”, perché oggi si è disposti a dire che si “boicotta”, ma non si è disposti a dire che si “censura”, “mette all’indice” o “ostracizza”. I “boicottatori civili” vogliono certo offendere i “boicottati” con la loro azione, ma dicendo che “boicottano” non offendono se stessi, come farebbero se chiamassero quello che fanno col suo nome, cioè “censurarli”. La mia era solo un’osservazione semantico-lessicale, e non dava alcun giudizio, ovviamente, sul fatto in sé. Per essere ancora più chiaro, per tutti – di destra o di sinistra, servi di SB o nemici di SB, è legittimo dirsi “boicottatori”, non lo è dirsi “censori” o “ostracisti”, anche se in realtà è quello che si fa.
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