La scuola, il dono, la vita e l’amore
di Nicola Fanizza
Nonostante la razionalità economica cerchi in tutti i modi di trasferire lo scambio simmetrico in tutti gli ambiti della vita sociale, i risultati di tale sforzo sono in parte negativi in quanto in alcune situazioni trova un’irriducibile resistenza. Tanto è vero che una parte considerevole della nostra morale e della nostra stessa vita staziona tuttora nell’atmosfera del dono, dell’obbligo e insieme della libertà. Non tutto per fortuna è ancora classificato in termini di acquisto e di vendita. Insomma non c’è solo una morale mercantile.
Ma non c’e da stare allegri! Proprio per disarticolare le forme di sociabilità legate al dono, il ministro della Pubblica istruzione Maria Stella Gelmini ha deciso di introdurre – anche se in modo sperimentale – la logica meritocratica nell’ambito della carriera degli insegnanti. Non è la prima volta che ciò accade. Ci aveva già provato in passato l’ex comunista Luigi Berlinguer con il consenso della Confindustria e la connivenza dei Sindacati confederali. Tuttavia in quell’occasione la mobilitazione spontanea degli insegnanti fece naufragare sul nascere quell’esiziale progetto che avrebbe trasformato i docenti in monete viventi.
Le motivazioni di tale rifiuto possono diventare intellegibili se si tiene presente il fatto che la società in cui viviamo tende a valorizzare il lavoro utile e produttivo (l’attività umana finalizzata alla produzione di valori di scambio) e a rigettare in modo feroce il lavoro inutile e improduttivo. Quest’ultimo viene rifiutato perché sfugge allo scambio simmetrico che è possibile solo fra ciò che è omogeneo e commensurabile. Da qui la stigmatizzazione dell’inanità che caratterizza sia gli stili di vita degli individui improduttivi (artisti, poeti, vagabondi, individui dai piedi nervosi, ecc) sia le forme di sociabilità che stazionano nell’atmosfera del dono (scambio asimmetrico).
A tale proposito va rilevato che Marcel Mauss, agli inizi del secolo scorso, mise il tema dello «scambio conflittuale» al centro del suo famoso Saggio sul dono. Qui l’antropologo francese, sulla scorta delle testimonianze inerenti alla pratica del potlach – un’istituzione socio-religiosa fondata sull’obbligo di donare, presente presso alcune etnie amerinde –, aveva contrapposto al paradigma utilitaristico dell’economia politica il modello di scambio rituale fondato sul dono.
In seguito, durante la Grande guerra, l’antropologo polacco Bronislaw Malinowski si recò nelle Isole Trobriand, dove realizzò il suo più celebre studio sul kula – un’istituzione socio-religiosa per molti versi simile al potlach – che fu pubblicato nel 1922 col titolo Gli argonauti del Pacifico occidentale.
Mauss e Malinowski individuano nel potlach e nel kula due casi concreti di economia arcaica che, a differenza dell’economia moderna, è fondata sullo scambio asimmetrico che non prevede ricompense immediate. Lo scambio rituale va in scena nel seguente modo: proprio perché chi dona costringe l’altro protagonista dello scambio a rispondere con un dono ancor più eclatante, viene a crearsi un’attesa dai tempi imprevedibili in quanto l’attore dello scambio che aspetta sa che prima o poi avrà il dono, ma non può prefigurarne la grandezza e lo splendore.
Va da sé che chi dona non è del tutto disinteressato giacché donare equivale a dimostrare la propria superiorità, a valere di più, essere più in alto, magister; viceversa, accettare senza ricambiare, o senza ricambiare in eccesso equivale a subordinarsi, a diventare cliente o servo, farsi più piccolo, cadere più in basso.
Il dono rimanda sempre e comunque a una sfida. Nella lingua latina il termine munus indicava il dono a cui non ci si poteva sottrarre e pertanto rimandava all’obbligo, alla mancanza e al debito. Timeo danaos et dona ferentes = Temo i Greci proprio perché portano i doni, diceva il poeta Virgilio. Inoltre, nella lingua inglese il termine gift indica il dono e, insieme, il veleno. E infine, nella nostra lingua l’aculeo velenoso del dono è iscritto persino nel suo anagramma che è il nodo!
Contrariamente a quanto si pensa, il termine «comunità» – che deriva da munus –, in origine, non indicava l’appartenenza, ossia ciò che è caratteristico di un gruppo di individui, ma al contrario, ciò che era non specifico, aperto alle influenze che arrivavano dall’esterno. D’altra parte, il termine «libertà» non rimandava alle istanze più personali e individualistiche, ma a ciò che legava un individuo agli altri, non a quello che lo fa rinchiudere in se stesso, in posizione di difesa.
Mentre nelle società incentrate sul dono c’è il riconoscimento del conflitto e pertanto vi sono i presupposti della democrazia, viceversa nelle società in cui signoreggia l’interesse si tende a disconoscere il conflitto e a desituarlo nella natura. Si tratta di società quasi completamente immunizzate in quanto gli individui non avvertono alcun obbligo nei confronti degli altri.
Il dono e lo scambio simmetrico sono comunque coestensivi. Non è mai esistita una comunità in cui fosse presente solo il dono e, allo stesso modo, oggi, non esiste nessuna società in cui sia presente solo lo scambio commerciale. In questo senso è opportuno rilevare che mentre nel mondo premoderno, lo scambio mercantile era pur sempre presente, anche se, essendo disseminato sui margini esterni del sistema dominante, ne rappresentava il rimosso, viceversa nelle nostre forme di sociabilità, che sono invece dominate dall’assiomatica dell’interesse, il dono svolge la medesima funzione che lo scambio utilitaristico svolgeva nelle comunità arcaiche: cioè, rappresenta l’eccesso che abita sull’esergo (confine) del nostro immaginario.
Le forme di sociabilità che attualmente continuano a situarsi nell’atmosfera del dono sono individuabili nel volontariato, nell’economia no profit, nello scambio asimmetrico che ha luogo nella rete e soprattutto nella Scuola.
A proposito di quest’ultima, va detto che è sotto attacco da alcuni decenni. La destra utilitarista e la sinistra utilitarista – ostili l’una all’altra – concordano nondimeno nel perseguire una scuola organica. Una scuola in cui tutto deve ruotare intorno all’efficienza: al lavoro omogeneo, quantificabile e commensurabile dei docenti, deve corrispondere una preparazione degli studenti omogenea, misurabile, utile e spendibile. Ma a questa scuola si oppongono: il fatto che l’attività docente sfugge alla commensurabilità dello scambio simmetrico e si colloca, invece, nell’atmosfera del dono; la vita, che non può essere oggetto di misura; e, infine, quella meravigliosa inanità che ancora signoreggia a tratti nelle nostre aule.
Per quel che riguarda l’efficienza, va rivelato che chi la persegue parte sempre da una valutazione quantitativa e da una motivazione tecnica (il rapporto fine-mezzo) senza tener nel debito conto la conservazione dei legami sociali, per di più vive in modo servile e non è mai contento perché vuole sempre di più. L’uomo ragionevole, invece, è quello che, approntando strumenti atti a conseguire l’efficacia, media tenendo presente sia le motivazioni tecniche sia le motivazioni etiche e trova la soddisfazione della giusta misura.
A sua volta l’attività dei docenti si situa nell’atmosfera del dono, poiché ciascun insegnante avverte – anche se in modo inconscio – l’esigenza di rispondere con un controdono almeno pari o ancor più eclatante al dono che gli era stato elargito, quando da studente si trovava dall’altra parte della cattedra.
Allo stesso modo dei genitori che hanno solo obblighi nei confronti dei loro figli in quanto non possono pretendere alcunché da questi ultimi, i docenti sono obbligati – sempre nei limiti e nell’ambito della loro funzione – a fare della propria attività un dono.
A differenza delle altre forme di sociabilità legate al dono – le quali rimandano comunque a un interesse! –, l’attività dei docenti tende, invece, a configurarsi a volte come dono puro. Di fatto il dono puro si dà solo quando è inconsapevole: ossia quando chi dona non si accorge di star donando.
L’attività docente non è in alcun modo riconducibile alla scambio simmetrico. Quel di più che ciascun insegnante dona sfugge alla commensurabilità e non può essere in alcun modo remunerato per un duplice motivo: non gli appartiene sia perché si configura come un controdono che ripiana il suo precedente debito sia perché è stato donato come un guanto di sfida ai suoi studenti.
Il riconoscimento del merito in termini mercantili si configura come un dono di frutti acerbi che contengono il germe dell’asservimento. L’introduzione del merito nell’ambito della carriera dei docenti porterà solo nocumento (danno) alle forme di sociabiltà presenti nella scuola, sortendo una dilatazione della distanza fra i docenti, un progressivo incanaglimento delle relazioni, situazioni di frustrazione e di umiliazione, invidia e rancore.
D’altra parte, la razionalità economica con la sua «disposizione geometrica» ha stimolato l’introduzione nella nostra scuola della strumentazione neopositivistica al fine di misurare ciò che per sua natura sfugge alla commensurabilità e alla quantificazione. Di fatto là dove signoreggia una legge scientifica, trionfa la monotonia, non si può raccontare una storia. Da questa scuola rischia di sparire la vita che è gioia e, insieme, sofferenza.
La scuola deve insegnare a gestire i sentimenti, poiché gli affetti sono importanti allo stesso modo dei concetti. La filosofia deve essere amore della scienza e, insieme, scienza dell’amore. Insomma, voglio una scuola in cui si respiri in un’atmosfera di meravigliosa inanità. Una scuola che insegni non cose utili ma inutili, quelle cose che sono a tal punto inutili da essere necessarie.
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La scuola
la poesia
l’albero
A che cosa serve l’albero, la pioggia, la terra? A mille cose utili.
Preferisco vedere l’albero, il cielo, la terra come cibo dell’umanità,
viaggiatori dei miei sogni, ricordi. Non vedo l’albero come albero
ma come parte del mio piacere di essere viva con l’emozione dentro.
L’albero è il mantello dei miei sogni.
A che cosa serve la scuola? E’ una domanda che faccio sovente alla mia mente. Le lettere sono utili in nostra società della competizione, della velocità, della performance? Penso la letteratura parte di nostra salvezza. Non ha un’utilità immediata, ma nel tempo si mescola all’esperienza, modella la nostra vista del mondo, colora il ricordo,
dà un respiro al sogno, affina la sensibilità e l’intelligenza.
Dà un senso plurale alla parola.
Oggi chi ignora il senso della parola è in pericolo.
La scuola ha un’ambizione magnifica: dare a tutti la possibilità di avere
un progetto di vita, di prendere fiducia, di gustare la bellezza,
di avere uno spazio, un tempo per delineare l’orizzonte.
Non è possibile vivere senza poesia, senza sogno in nostro mondo, senza rischiare di morire intimamente.
Quando la scuola diventa un’azienda, la società rinuncia alla libertà.
E’ una società con il cancro nel cuore.
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Sì però senza inventarsi le cose. In inglese gift ha il solo significato di dono. E’ in tedesco, invece, che Gift aveva anche il significato di dono, completamente soppiantato nella lingua moderna da quello di veleno.