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Note d’autore: Strade bianche

Marinai e navigatori by effeffe

Strade bianche, Enrico Remmert, Marsilio, 2010
secondo Pasquale Vitagliano

Ho letto da qualche parte che “si viaggia per vincere la paura di camminare”. Sarà per questo che Vittorio suona il violoncello. Devi tenerlo puntato sulla terra. Il musicista diventa una protesi dello strumento. E questo penetra nel suolo come un fiore. “Dio ci ha piantati in un posto e lì dobbiamo stare”, dice Don Geppe a Vittorio. “Siamo come fiori. Ed io, appena mi spostano, sto male”.
Strade bianche di Enrico Remmert è stato definito un road-movie dell’anima. Troppo facile. I tre riders, Vittorio, Francesca e Manu, non sono affatto facili, easy. Questo viaggio al meridione delle loro vite, loro non l’hanno scelto. Non lo ha scelto Vittorio, pugliese emigrato a Torino, che parte perché gli è stato offerto un posto da sostituto orchestrale al Petruzzelli; non lo ha scelto Francesca, che per paradosso decide di accompagnarlo per trovare il coraggio di lasciarlo; non lo ha scelto la sua migliore amica Manu, che fugge via come una ladra.

Partono a bordo de La Baronessa, la Punto presa in prestito dal padre di Manu e dalla sua autoscuola Pilone. Strade Bianche è molto più di un viaggio picaresco e intimista raccontato a tre voci. “Io non amo viaggiare (…). O forse sto male perché, più semplicemente, nella mia storia personale il trasferimento da Monopoli a Bari è stato un trauma, e quello da Bari a Torino uno shock”.
Questo libro è contro il viaggio. Così è in apparenza. L’unica meta possibile è il ritorno. E non si ritroverà più quello che si è lasciato. I luoghi non sono mai gli stessi. Noi non siamo più li stessi in quei luoghi. “Si torna sempre altrove”. L’unico viaggio possibile è dentro uno “stato mentale”, attraverso noi stessi. Nella visione di Vittorio, le agenzie di viaggio sono luoghi di smistamento emotivo. “E leggo in questa frenesia di viaggiare dei miei coetanei non curiosità per il mondo, ma un tentativo di esportare il proprio disagio: cambiare posto all’insoddisfazione mettendola in un altro scenario, chiedere tutto in una volta alla distanza quello che il tempo non potrebbe concedere se non poco a poco”. Gli spazi vuoti non esistono più. Il viaggio al tempo di internet ha eliminato lo spazio bianco, quello della fiaba e del mito. Le paure di Vittorio invece portano verso strade bianche e queste senza volerlo conducono al senso più autentico del mettersi in cammino: la scoperta.
Se le strade bianche delimitano lo spazio del mito, le notti bianche accolgono il tempo del sogno. Anche Vittorio è un sognatore. I tre minuti prima di andare in scena sono molto simili per un cavaliere alla notte prima dell’investitura, da trascorrere interamente vestito di bianco. “Mentre suono”, dice Vittorio, “accadono due cose. La prima è che dimentico ogni dolore (…) La seconda cosa che accade quando suono è che anche il mio cervello comincia a spaziare (…) Penso pensieri bianchi, inesprimibili”.
La Sonata delle persone buone che ispira lo splendido film Le vite degli altri non ha una melodia reale. Ma se l’avesse, sarebbe la colonna sonora del viaggio di Vittorio, Francesca e Manu. La vita è sempre bianca, anche se alla fine le ragazze preferiscono i ragionieri ai sognatori. La vita è sempre bianca malgrado l’incessante e nera pioggia di violenze e fallimenti che bagnano i nostri vissuti quotidiani. E’ il dolore che ci spinge a tornare felici. Questa sublime “banalità” rende unico il romanzo di Remmert. Un terzetto perfetto, due ragazze e un uomo in smoking. Risucchiato dentro il vortice di uno sposalizio alla pugliese, Vittorio si mette a suonare. E non suona se stesso. Suona loro tre, distende la colonna sonora finale del loro viaggio, ripercorrendone le tappe dal Duca senza una lira, al vecchio che li ruba tutto all’Osteria del Capitano Achab, dal parcheggio al Terremoto alla notte in spiaggia e alla battaglie a palle di neve. Vittorio fa musica ma il lettore percepisce altro, “il linguaggio con cui Dio ha creato il mondo”. Risuonano le parole che Schumann scrive alla madre nel 1833: “in fondo al mio cuore riposa un pensiero, di cui non vorrei esser privato ad alcun prezzo: la credenza che ci sono ancora delle buone persone – e un Dio”.
I turisti non pensano che al ritorno. Mentre i viaggiatori potrebbero anche non tornare affatto. Prima di trasferirsi definitivamente a Torino, Vittorio aveva scritto a Francesca un biglietto segreto. “Non leggeremo l’orologio, decideremo noi le ore, le rotaie finiranno ma noi non saliremo mai lì sopra, (…) ci metteremo il sale sulle ciglia per rimanere sempre marinai (…). Vittorio ha mantenuto la parola data, al termine di una notte bianca, vinta per sempre la paura di spostarsi dal terreno sul quale ancora il puntale del suo violoncello, di tutti i viaggiatori è diventato il migliore e di tutti il peggiore.

4 COMMENTS

  1. Strada bianca, una bellissima idea. I viaggi si vivono nel sogno. C’è sempre uno spazio dove si compie la forma di un orizzonte, linea da immaginare. Il non ritorno del viaggiatore, è forse il galoppo delle notte
    insonni, il tempo dell’orologio, del faro. Forse una città bellissima dove il tempo rimane. Faccio molti viaggi, quando dormo, molte città, molti mari.
    Una città mi ha dato il sentimento di raggiungere il mio sogno; Napoli, ma di strada infuocata.
    E’ un introduzione bellissima alla nota bianca della scrittura o della lettura,
    momenti di spazio.

  2. E si! Sono nel bel mezzo della preparazione di un trasloco. Sono in partenza in settembre nella regione di Marsiglia. Non conosco ancora precisamente
    la mia nuova scuola media. I trasferimenti nell’éducation nationale sono cose delicate. Mi rallegro di essere tra pocco vicina dell’Italia, paese del mio cuore, ma sono indaffarata.
    Non dimentico Nazione Indiana, sono solo in un momento intenso di lavoro alla scuola e alla casa ( per lo smistamento, la pulizia, le scatole…)
    Grazie Pasquale della gentilezza.
    Fa molto piacere!

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017