Saturazioni
di Simona Menicocci
col bastone anzi coi bastoni acuminati
incuneati a fondo cieco denudato
nelle parti esposte la piega faccia
intinta nella neve al fingere di avere
volto copre urla
atta a percosse e sassi
a sfrondare aste
e quindi poco grave
un-due-tre come da bambini da bravi
pali e pali da fare grandi glandi – ferini,
ferire l’altro, fermarsi sopra, feci.
*
http://www.repubblica.it/ambiente/2011/02/01/news/rapporto_cites-11915700/
i bei tempi del fermo posta
con zampe e code, pacchi a conchiudere
ad asfissiare. – è l’inflazione.
la testuggine non ne risente,
pare non faccia versi:
la quattro-zampe motrici è silenziata
ad arte ad arma a carapace che non può
più sottile appena l’urlo
dell’imballaggio a prova d’urto dice
fermo, ordini, sposti specie fatta cencio
da esibire, ma quale specchio?
anche rinvio della barba: lenta
cicatrizzazione, evitare
il contatto di sé, aspetta fermo
il versamento nel conto cifrato.
rare, si rischia, rinchiuse, ferme.
*
http://www.repubblica.it/ambiente/2011/02/01/news/cani_uccisi-11922847/
– non servivano più, troppo costosi.
la soluzione è finale è pur sempre una,
passa l’acqua sotto i ponti
– almeno il sangue non inquina.
l’alto valore nutritivo delle carcasse
è attestato, è l’unico contributo,
è il da dare a madre terra, madre nel fango
slitta il piede che se non tira non serve,
è l’agone, la forma agonia scelta
non data al subalterno
causa che fa causa: lo stress subìto:
“eseguivo solo gli ordini” – la vecchia battuta.
orrore a reiterare, ad aggiungere cifre,
a raggiungere il nessun luogo giusto
se siamo ancora
assenza fatta carne.
*
parentesi chiusa
– l’attracco è previsto per le ore:
sbagliate – la decisione è stata
difficile il batterio è a
virgola, è negativo
è lontano da qui il qui,
è allontanato se patogeno, se invasivo,
non tuo che non entra
come collera, come espelle profusa, era
erano lì.
cessazione del soffio
dal didentro, come sepolti
vivi.
è la rinuncia in atto,
mentre il corpo cessa è cassa di risonanza,
morte.
non c’è l’altra parola.
*
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2011/03/10/foto/lega_nord_polemica_sui_manifesti-13442087/1/
lega che non lega – cloro che frange:
trimolecolare di ossigeno resta uno
la bassa temperatura accelera il processo catalitico
buca buco, dovevano essere tre
fede-speranza-carità a targhe alterne, fasi
a smembrare strati, stratosfere, stranieri
spazio di vuoto di nuovo
stesso nastro a tornare giro
di ronda di ronda
che fa inverno e non vera,
mese ma hanno storia crudele
manganello nello stesso punto:
separare mare e cieli
eutrofizzazione delle acque, degli scoli
aumentano le alghe
che respirando spira il resto,
sotto il verde, non di foglia
(dipende dalla resilienza).
Nota
a piè pagina.
*
(controprove)
– se ci pensi
dovrebbe passarti l’appetito,
dovrebbe non affondare
tutto crepa di crescita,
senza mezzi termini ancora
tra poco, cosa vuoi che siano gli anni
come passa non passa la storia
sotto firma sbagliata, sotto riga,
rabbia ancora scontri, spari,
le mani, altro che ombelico, aruspice
che rimesta strato di pellicola, petrolio
l’ultima arroganza.
*
è la microteoria a dare lo slancio
come se fosse conosciuto l’atterraggio
fatto l’infarto.
il vespertilio pesca dalle dita lunghe
si pensava si nutrisse, si pensavano gli insetti
ma se scopri le lische, se scaglia a nuotare.
le trasmittenti sanno dov’è, sanno di sale
a pelo d’acqua con la cattura dei più piccoli
tutta la superficie.
– di recente
si è riusciti a immortalare il da farsi.
*
è un aspetto da studiare, è la minaccia
l’inquinamento acqueo, costruzione,
dighe a scomparsa, zone umide
da qualche parte già
una specie in pericolo:
la difettologia.
*
non dire collocarsi
il mancato farlo dopo tanto visto
altrui
il che non c’è, se sarà sarà non lì.
passo dopo il passo, lembo-ventre
fa male anche il fianco da non porgere
al pro nessuno, al dopo: la schiena, il letto – lo sfatto.
importa l’inclinazione. non puoi muovere solo gli angoli,
il vattelappesca storto – inclinato meglio.
la linea non può farlo il tuo percorso drittodritto
non sta in piedi: è questione di contrappesi.
le misure, cosa vuoi che dicano del perso?
*
spiegano come pregare
che non è
come credi
– non abbastanza crepato.
il nuovo la controparte
lo sgambettio delle dita
la cesoia
l’accorto liberarsi
hanno ceduto
anno dopo anno
i colon
nati coi rumori dentro
già il molo degli insetti.
*
sotto sotto c’è ancora è asciutta la data non è il caso a portarla no, non è il caso.
dare ancora un colpo, una copertura e richiudere la sequela. ritrarre tutte le mani.
è precluso e ciò che vige è in atto con le torsioni a prendere fuga,
che ricorrono, rauche nelle ripetizioni, che stipano, stanno strette,
dieci cento e mai affermative.
è ciò che è contrario e viceversa,
ciò al cui contatto è riversato.
sotto i punti, i dati da collegare, sopra tutto il passatempo,
no, non è l’inganno.
che è diverso, detto a carponi di nuovo rimettere la discussione,
qui che è rasa la foglia da riavvolgere, che è raschiare,
che radere il suolo dato è tanto.
le macerie anche sono ridotte
a macerie, a mai dire terreno dato.
lei è brava, molto.
solo una piccola precisazione:
non dire collocarsi
il mancato farlo dopo tanto visto
altrui
il che non c’è, se sarà sarà non lì.
passo dopo il passo, lembo-ventre
fa male anche il fianco da non porgere
al pro nessuno, al dopo: la schiena, il letto – lo sfatto.
importa l’inclinazione. non puoi muovere solo gli angoli,
il vattelappesca storto – inclinato meglio.
la linea non può farlo il tuo percorso drittodritto
non sta in piedi: è questione di contrappesi.
le misure, cosa vuoi che dicano del perso?
*
spiegano come pregare
che non è
come credi
– non abbastanza crepato.
il nuovo la controparte
lo sgambettio delle dita
la cesoia l’accorto liberarsi
hanno ceduto
anno dopo anno
i colon
nati coi rumori dentro
già il molo degli insetti.
l’ultimo verso della prima era finito nella successiva, che però nel mio commento ha perso la spaziatura.
P.S. grazie natàlia.
Che belle.
Conoscevo buona parte delle poesie qui presentate. Eppure, ogni volta che mi riavvicino a un testo di Simona, devo accorgermi di quanto esso si sia già “spostato” dal mio precedente tentativo di presa, divincolato, di quanto esso sia già disposto ad entrare in una nuova e impreveduta costellazione di senso.
C’è in questo, probabilmente, un mio limite di lettore; ma anche, tale è l’impressione, una delle qualità principali di questa poesia, la potenza del suo modo scabro, vitale, continuamente in anticipo su sé stesso, di costruire senso e al contempo interagirvi, di impattare la realtà sempre ulteriormente ri-spalancandola ad altro, trascinandola in una zona dove non sussistono precondizioni interpretative, e dove il pre-giudizio (ma spesso anche il giudizio), e in generale “ciò che vige”, è mostrato, senza derive oratorie, in tutta la sua violenza intrinseca.
In questo (e in molto altro) io vedo una grande lezione etica, e l’etica, in diverse declinazioni, è il perno attorno cui prolifera ogni testo qui presentato. Scrivo “prolifera” perché trovo sensato (non foss’altro che una mia “fantasia di avvicinamento”) rubare uno spunto dal Kafka di Deleuze-Guattari che mi pare indicare, seppure parzialmente, uno dei motivi della (mia, personale) ammirazione per la necessità di questa poesia, di questa “macchina d’espressione”: il suo essere conoscenza in atto, conoscenza nel momento della propria formazione; il suo comportarsi, insomma, in modo contrario rispetto a quanto farebbe una “letteratura maggiore” (e che qualche tempo fa alcuni manifesti “civili” proprio qui su NI ci hanno ricordato): “Una letteratura maggiore o consolidata segue un vettore che va dal contenuto all’espressione: una volta dato il contenuto, in una data forma, trovare, scoprire o vedere la forma d’espressione che ad esso si addice. Si enuncia proprio quello che si concepisce… M una letteratura minore o rivoluzionaria comincia coll’enunciare, e vede e concepisce solo dopo […] L’espressione deve spezzare le forme, segnare le rotture e le diramazioni nuove. Una volta spezzata una forma, ricostruire il contenuto, che sarà necessariamente in rottura con l’ordine delle cose. Trascinare, precedere la materia”.
“Le macerie anche sono ridotte
a macerie, a mai dire terreno dato”.
Che a me dice, e ricorda, dentro la pervasività della distruzione, e della sua negazione, quanto la negazione ulteriore, il clinamen, la sua possibilità sia un atto necessario, da ritentare sempre daccapo.
E di questo ringrazio.
f.
—));
e non è un caso che Giulio Marzaioli parli di “pro-tensione all’ascolto” a riguardo di Teti.
grazie Fabio.
notevole, una poesia pienamente consapevole e contemporanea. fredda però, fredda a mio parere per una scelta tutta formale, e questo freddo si avventa su tutto e a mio avviso lo depotenzia. manca un soffio di vita che non sia meditato, mi sembra.
è bello
legger ti es coprirti
di
sana fanta-cinico,
travolgente, arrogante
determinazione alfa-beta
di
isterica quasi noiosa precisione
te
(e per la prima volta credo)
è bello leggerti
ma lo “sgambettio delle dita”
è meraviglioso :)
scusa il clinamen
..ma il tuo libro?
poesie algide, ma nell’accezione positiva del termine.
parole glacide (insieme glaciali e acide) per raggelare e corrodere, ulteriormente, il gelo di cui si fanno portavoce.
i versi andrebbero impressi, a caratteri cubitali, sulle pareti (necessariamente bianche) di una galleria d’arte svuotata di ogni arredo, per far sì che la parola sia l’unica forza in campo e che dispieghi tensioni e spaziamenti.
certo, ci sono pieghe in cui insinuarsi, ma per entravi bisogna prima frequentare, a tutto tondo, i dispiegamenti. così ogni tentativo di innesto risulterebbe, per così dire, un incesto, perché praticare questi versi significherebbe fraternizzare con loro.
molto gradite
pochissimo tempo per un rapidissimo commento… molto belle, molto belle poesie, più che poesie, grazie a dio, uno scontro di energie controllato (in parte) dove –accidentalmente – si esprime anche l’io.
voglia di rileggerle, e poi rileggerle, con più attenzione, entrandoci, perché oltre le curve ad angolo dei significati che si elidono, ci deve essere uno spazio preciso e cavernoso
carlo cuppini
meno male che l’io (questo noto buzzurro) si esprime solo accidentalmente.
grazie, davvero, per i commenti e (il mio libro credo a maggio), aggiungerei:
“il compito morale determinante del giorno d’oggi consiste nello sviluppo della fantasia morale, cioè nel tentativo di vincere il dislivello, di adeguare la capacità e l’elasticità della nostra immaginazione e del nostro sentire alle dimensioni dei nostri prodotti e alla imprevedibile dismisura di ciò che possiamo perpetrare; nel portare allo stesso livello di noi produttori le nostre facoltà immaginative e sensitive. […] Tentare esercizi di estensione morale per trascendere la proportio humana apparentemente fissa. […] Non mi sembra possibile fornire indicazioni concrete sul come compiere questi tentativi e nemmeno determinarne il contenuto. Non sono comunicabili. Il momento estremo che forse ancora si presta ad essere parafrasato è la sosta della soglia, il momento che precede l’azione vera e propria, in cui si autosuggerisce ciò che finora non è stato immaginato e sentito. […] Si tratta dunque di un appello che lanciamo al di là della frattura creata dal dislivello, come se le facoltà rimaste dall’altra parte fossero persone; e sono esse, la fantasia e il sentimento, che devono udire o a cui vogliamo prima di tutto insegnare a udire. E questo è davvero tutto quel che se ne può dire a parole. Perché nulla si può più comunicare di ciò che avviene dopo questo momento liminare: del vero e proprio risveglio delle facoltà. […] E ciò che conta è soltanto lo sforzo effettivo.” G. Anders
Per altri versi…
Se una parola sussurrata a fior di labbra, con la faccia che riluce in un sorriso, può sovrastare il frastuono del traffico nell’ora di punta – ridicolizzarlo come Davide Golia – allora la poesia esiste. Ed esistiamo noi.
(http://militanzadelfiore.blogspot.com)
altri testi qui:
http://giovinastridikolibris.wordpress.com/2011/04/15/simona-menicocci-poesie-dalla-raccolta-inedita-incidenti-e-provvisori/