SCELTE DI LIBERTA’

di FRANCO BUFFONI
Nell’aprile del 1994 Sir Stephen Spender venne in Italia per l’ultima volta: sarebbe mancato l’anno successivo. Era stato invitato come ospite d’onore qui a Firenze per l’inaugurazione della nuova libreria Feltrinelli International di via Cavour. Avevo già intervistato Spender a Milano nel 1988, ma ci tenevo molto a porgli altre domande perché nel 1993 era scoppiato il Leavitt affair. E mi incuriosiva poter ascoltare le sue reazioni “a caldo”. Sir Stephen, che per altro avevo rivisto anche a Londra nel 1992, mi aveva sempre dimostrato molta simpatia, come risulta anche dalle foto che ci ritraggono insieme nelle diverse occasioni. Mi concesse così una seconda intervista il 18 aprile 1994 nella tenuta di San Sano presso Siena, dove è il laboratorio di scultura del figlio Matthew. (Le due interviste corredate delle foto oggi appaiono nel volume Mid Atlantic, che ho pubblicato presso Effigie Edizioni).
Riporto dunque qui un passo di quella intervista come risposta alle domande del nostro comitato scientifico: “Che cosa è cambiato con la diffusione di un movimento per i diritti civili degli omosessuali? In che modo questo cambiamento ha influito sulla pratica artistica?”.

Buffoni: L’ultima volta stavamo parlando di nazioni. . .

Spender: Più che di nazioni, parlerei di luoghi, di città. L’Italia, per esem¬pio. Come si fa a pensare contemporaneamente a Venezia, al Garda, alla Sicilia, a Roma… Firenze poi…

B. Sei anche tu per la preferenza inglese a Firenze, tedesca a Venezia e francese a Roma?

S. Per quanto mi riguarda, senz’altro. Firenze è una parte del mondo che non sembra appartenere a questo mondo. E questo credo dipenda dall’unità che qui particolarmente lega architettura e natura. La cattedrale di Santa Maria del Fiore e il panorama, i cipressi, gli usignoli, i fonemi articolati dai ragazzi. Ecco, se l’aspirazione a lasciare la propria terra è tipica di noi inglesi, Firenze mi pare che sia la città che più di ogni altra la possa soddisfare. Firenze e ciò che le sta attorno, naturalmente.

B. Dicevamo delle nazioni. E la Spagna…

S. Qui c’è la faccenda della guerra del ’36, di cui già parlammo l’al¬tra volta. E poi è spiegato tutto molto bene nella mia autobiografia…

B. Ecco, World Within World apparve nel 1951. Tra l’altro venne subito tradotta in italiano. Qui ritorna la questione del “troppo vecchio”. Scrivesti la tua autobiografia a quarant’anni, meno della metà degli anni che hai oggi.

S. Capisco il tuo punto. Tuttavia va detto che a quarant’anni, allora, dopo aver vissuto la guerra di Spagna e la guerra mondiale, essermi sposato due volte (Agnes Marie Pearn nel 1936; poi Natasha Litvin, ndr) e aver avuto due figli… Non voglio dire che mi sentissi alla fine, ma oltre la vetta senz’altro. Non si poteva che discendere quanto a esperienze, a intensità e drammaticità di eventi.

B. Si è parlato molto, negli ultimi tempi, della tua autobiografia. Ho letto la tua nuova prefazione a World within World…

S. Allora se l’hai letta non c’è bisogno che te la racconti.

B. Riflettiamoci insieme… Nella prefazione tu riassumi molto bene i termini della disputa con Leavitt. (David Leavitt, anch’egli abitante in Toscana – nel suo romanzo While Englands Sleeps del 1993 – sviluppa alcuni episodi a sfondo omosessuale dell’autobiografia di Spender, aggiungendovi molti dettagli espliciti. Dopo il ricorso di Spender in tribunaIe, l’editore di Leavitt fece ritirare il romanzo dalle librerie ndr).

S. Ma sì, ma sì. Poveretto. Lo capisco. È americano, è nato negli anni Sessanta. Lui pensa che io sia un ipocrita, che per reticenza non volessi o non potessi narrare esplicitamente certi episodi condannati dalla morale comune. Invece non è così. La questione è esclusivamente artistica. Lui, in nome del realismo, ha creduto di poter fare della pornografia a mie spese…

B. Ma, insomma. Quelle storie, quegli episodi, Leavitt se li è inventati o sono davvero accaduti?

S. Ha copiato interi brani dalla mia autobiografia in¬terpolando poi una realtà sua quando la porta si chiudeva o la luce si spegneva.

B. Una realtà solo sua?

S. Io ho sempre distinto tra realtà e arte. È anche bne che il lettore immagini, creda di aver capito, ma gli resti il dubbio. L’arte è fatta di chiaroscuri, di sottintesi, di complicità.

B. Come la vita.

S. Sì, certo. Mentre in quel romanzaccio la vita, la mia vita, veniva presa a pretesto per raccontare scene di bassa pornografia.

B. Che, invece, vissute, possono anche essere piacevolissime…

S. Ma con la porta chiusa e senza nessun fotografo attorno.

B. Dunque, per te, costituisce un impoverimento la libertà di cui noi oggi godiamo di poter narrare esplicitamente. . .

S. Si tratta semplicemente della morte della letteratura.

B. Invece, la maschera di cera di Max Beerbohm, Dorian Gray. . .

S. … Non ci sarebbero se ci fosse stata libertà assoluta di pornografia.

B. Si arrivò a mettere al bando Joyce, Lawrence. . .

S. Che erano ben lontani dall’essere pornografi. Ma figuriamoci se voglio schierarmi dalla parte della restaurazione della censura vittoriana. Proprio io…

B. Eppure tra Lawrence e Joyce…

S. La differenza è abissale. Joyce lo configuro, assieme alla Woolf, a Proust, a Eliot, come l’autore che maggiormente contribuisce a trasformare – nel primo Novecento – l’eroe o l’eroina di un’opera letteraria in uno spettatore passivo della rovina della civiltà. Lawrence no. D.H. Lawrence – che, tra l’altro, cominciai a leggere proprio a Oxford, nel periodo di maggiore frequentazione, e quindi di influenza su di me da parte di Auden – Lawrence, secondo me, ebbe anzitutto il grande merito di attaccare quella sensibilità passiva di cui dicevo. Lawrence non avrebbe mai cerebralizzato il mare come ha fatto Joyce chiamandolo “mare verde come il moccio”. E nemmeno avrebbe potuto, come Eliot, descrivere il cielo di sera come “un paziente narcotizzato sopra il tavolo operatorio”.

B. Il vitalismo lawrenciano contro la passività joyciana ed eliotiana, dunque?

S. Sì, certo. In sintesi si può proprio dire così. Anche per quanto attiene alla sfera personale degli impulsi, dei sentimenti. Libertà, libertà. (E Dio sa quanto Eliot fosse personalmente represso…) Ma nei dovuti modi, con il dovuto stile, soprattutto quando la si trasforma in letteratura!

B. Tua moglie è sempre stata tolle¬rante?

S. È sempre stata intelligente, rifiutando – d’accordo in toto con me – ogni eccesso e soprattutto ogni esibizionismo.

(…)

Questo il brano dell’intervista: la morale potrebbe essere “Don’t ask, don’t tell”. Ma la Londra frequentata da Stephen e Natasha forse avrebbe qualcosa da aggiungere, ricordando quell’improvviso svenimento di Natasha a un cocktail, allorché improvvidamente – vedendo all’altro lato della sala Stephen in amabile conversazione con uno splendido giovane – Natasha chiese ad un altro giovane che le era accanto: “Who is that young man?”. E quello con nonchalance, senza sapere chi fosse Natasha, rispose: “Oh, that’s Stephen’s last boy-friend!”.

(Come anticipato nel post “Omosessualità e letteratura” del 20 marzo scorso, nei giorni 17 e 18 marzo si tenne a Firenze il convegno “L’arte del desiderio. Omosessualità, letteratura, differenza”, organizzato dall’Istituto di Scienze Umane e dalla Provincia di Firenze, e presieduto da Nadia Fusini, Valeria Gennero e Gian Pietro Leonardi. In quella occasione presentai una relazione dal titolo “I diritti civili come scelta di vita e di scrittura” articolata in cinque parti: 1 L’aggettivazione tematica, 2 Genealogie, 3 Scelte di libertà, 4 Differenze allo specchio, 5 Eredità culturali.
La prima e la seconda parte sono apparse nelle scorse due domeniche. Presento oggi la terza parte. A seguire, nelle prossime due domeniche, le ultime due parti.)

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franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it