13 movimenti rapidi

di Federico Federici

premi qui, fai luce,
non la prima che fu
luce appena che fu detta
e giorno e tenebra la notte
e che finisca il buio
sul perimetro dei muri
e ti sia dato tempo un giorno

in parti marginali della stanza
distingui firmamenti e terre,
il sopra e il sotto i cieli,
separa dai soffitti i pavimenti,
un solo lembo unito
l’altro lato dello spazio

raduna sedimenti
e rimanenze scure,
le masse senza forma,
reminiscenza vuota
alla parola pronunciata

impasta rugginosi ammassi
e luccicanti scorie, i cumuli
frammisti a colla e smalti
in scorticanti attriti erosi
ai cardini nel legno

fa’ schermo ai sibili
nei giunti degli armadi,
a nugoli e formicolii
di polvere e policromie
ossidate, ai turbini
di pollini prolifici
nei buchi delle porte,
ai gusci farinosi, alla tritura
di elitre e di zampe
tra i plichi delle carte sbriciolate

dividi i grumi dai corpuscoli,
raccogli la poltiglia degli sciami
stratificati secchi dentro i bulbi
illuminati dagli addomi ad arco
dei vortici voltaici degli insetti

da ogni tenebra separa un nome
e a ogni nome da’ una cosa sola
al mondo, un segno, fa’ le parti,
i bordi e bene i pieni e i vuoti

poni l’astrazione delle stelle
nei sei pesi penduli dei bracci
ai lampadari e una fiamma
al centro li accalori

òccupati poi dei superiori vortici
dell’aria, degli inferiori giri
inabissati al peso del tempo

gli spifferi dai vetri frantumati
tempestano la terra, i firmamenti
accesi oscillano concentrici
per quattro, cinque volte
ancora prima di fermarsi,
come toccasse a loro il peso
dell’intera luce, come finisse
lì la gravità dell’Universo

lava via la pàtina, la resina
essiccata che resiste e leviga
le superfici asciutte e tira via
le impronte, i graffi, il peso
che ha lasciato il segno
a mondo fatto

ogni traccia di chi ha fatto il mondo,
o l’ombra del suo scomparire qui,
o il suo moltiplicarsi altrove,
metamorfosi di carne e d’ossa,
ci mortifica la polvere

e non c’è luce
di chi ha fatto il mondo
non lasciando traccia
altro che nel nome della luce,
sola ombra di sé,
poi che non rimane altro
nella luce che scompare
per non stare al mondo

8 COMMENTS

  1. lui è granderrimo, in tutto quello che fa, dalle storie berlinesi, alle lettere (che sono pagine meravigliose), alle traduzioni (Nika Turbina, ma non solo), alla poesia in senso stretto, alle elaborazioni fotografiche… insomma, un grande. (punto)

  2. Una stanza diventa l’universo, la lingua stessa è luce, dà vita a un groveglio di animali.

    Non è la luce reale, affiorando la superficie.

    E’ la luce del primo mondo, separazione del legno, del lastrico, del tetto, separazione della visibilità per tornare al mondo invisibile.

    Il fracasso
    del mondo materiale – a frammenti- fa sorgere la solitudine- la danza
    muta delle ombre. L’uomo è solo- dice la poesia- ma inventa il linguaggio,
    colma il silenzio dell’universo con la parola.

    Molto bello.

  3. Queste poesie devono moltissimo a Giuliano Mesa. Anche le parole sono parole di Giuliano Mesa: altrove patina nome luce ombra.

  4. ecco un “fiat” profondamente “buono”, stretto in necessità di stile e prosodia, e dal quale si potrebbe persino dedurre una certa sacertà delle cose della vita e della morte: sacertà vera, che non produrrebbe mai lo scempio clericale-binettiano più su leggibile in home page. è un testo molto bello, Federico, devo tornarci su con più calma.

    un caro saluto,

    f.t.

    ps.

    @elisa:
    Mesa ist der Dichter, come direbbe Pieri.
    la sua opera probabilmente la maggiore in Italia negli ultimi 30 anni, aggiungo io. sarebbe assai inquietante non dovergli nulla, nulla avere appreso dalla sua poesia!

    un saluto, ancora

  5. “luce”, “tenebra”, “nome” sono tre “luoghi” di Genesi, che ricorrono anche nei due testi che seguono questa sequenza, qui non riportati. L’identità cosa-nome, cosa-numero, nome-numero, in un rapporto “cabbalistico” con il linguaggio, fanno parte di un percorso che mi accompagna da anni, coinciso con l’incontro con una figura di mistico metropolitano che viveva (forse vive ancora) nella periferia est di Berlino. La matrice originaria dei tredici movimenti sta nelle prime pagine della Bibbia. All’inizio avevo pensato di ripercorrere fedelmente i passi della “creazione”, suddividendo il parallelismo stanza-universo in altrettante strofe-giorni. Il farsi della scrittura mi ha però portato a un’aderenza meno schematica alla matrice originale. In questo senso ritengo la lezione di Frye (iniziata in occasione di un lavoro su Russell) profondamente ispirata.
    Uno degli espedienti più affascinanti (per me) nella scrittura di Mesa riguarda la costruzione di significati attraverso la permutazione di pochissimi termini, spesso producendo un effetto quasi di raddoppiamento del verso su se stesso, in cui l’ombra aggiunge però dettagli alla figura originale. E’ un meccanismo che avvicina molto la scrittura alla pratica musicale e ritengo sia un espediente da provare, forzare, elaborare ulteriormente nel laboratorio della scrittura individuale, perché apre continuamente il verso “a se stesso”, senza renderlo mai definitivo. Con un paragone pittorico, parlerei di “divisionismo” o di qualcosa di simile. Ciò risulta particolarmente utile quando si deve cercare di rendere il profilo inafferrabile di qualcosa: in un testo sulla particella-luce mi ha permesso di evitare ogni inutile, pesante tecnicismo.
    Ringrazio tutti della lettura e mi scuso se, in questo commento, sono stato forse poco sintetico.
    Una buona serata
    F.

  6. bravo federicoi
    in ogni piccola parola si nasconde luce che acceca
    come tutte le cose scritte viste sentite fatte da te
    grazie
    c.

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Andrea Raos
andrea raos ha pubblicato discendere il fiume calmo, nel quinto quaderno italiano (milano, crocetti, 1996, a c. di franco buffoni), aspettami, dice. poesie 1992-2002 (roma, pieraldo, 2003), luna velata (marsiglia, cipM – les comptoirs de la nouvelle b.s., 2003), le api migratori (salerno, oèdipus – collana liquid, 2007), AAVV, prosa in prosa (firenze, le lettere, 2009), AAVV, la fisica delle cose. dieci riscritture da lucrezio (roma, giulio perrone editore, 2010), i cani dello chott el-jerid (milano, arcipelago, 2010) e le avventure dell'allegro leprotto e altre storie inospitali (osimo - an, arcipelago itaca, 2017). è presente nel volume àkusma. forme della poesia contemporanea (metauro, 2000). ha curato le antologie chijô no utagoe – il coro temporaneo (tokyo, shichôsha, 2001) e contemporary italian poetry (freeverse editions, 2013). con andrea inglese ha curato le antologie azioni poetiche. nouveaux poètes italiens, in «action poétique», (sett. 2004) e le macchine liriche. sei poeti francesi della contemporaneità, in «nuovi argomenti» (ott.-dic. 2005). sue poesie sono apparse in traduzione francese sulle riviste «le cahier du réfuge» (2002), «if» (2003), «action poétique» (2005), «exit» (2005) e "nioques" (2015); altre, in traduzioni inglese, in "the new review of literature" (vol. 5 no. 2 / spring 2008), "aufgabe" (no. 7, 2008), poetry international, free verse e la rubrica "in translation" della rivista "brooklyn rail". in volume ha tradotto joe ross, strati (con marco giovenale, la camera verde, 2007), ryoko sekiguchi, apparizione (la camera verde, 2009), giuliano mesa (con eric suchere, action poetique, 2010), stephen rodefer, dormendo con la luce accesa (nazione indiana / murene, 2010) e charles reznikoff, olocausto (benway series, 2014). in rivista ha tradotto, tra gli altri, yoshioka minoru, gherasim luca, liliane giraudon, valere novarina, danielle collobert, nanni balestrini, kathleen fraser, robert lax, peter gizzi, bob perelman, antoine volodine, franco fortini e murasaki shikibu.