Note per un diario parigino

da Chiunque cerca chiunque 1

Le 14 Juillet
Decimo capitolo 
di
Francesco Forlani

Quando il mio amico Andrea, originario di Berlino Est, si ubriaca, la prima cosa che ti dice è che i tedeschi sapranno pure creare opere monumentali, comporre musiche capolavoro, perfino giocare un calcio tale da vincere i mondiali e nondimeno commettere le peggio mostruosità della storia, tutto ciò con estrema naturalezza, però quando si tratta di festeggiare ne sono assolutamente incapaci. La goffaggine e la colpevolezza Luterana – ben altro dall’uterino cattolico senso di colpa- ostacoleranno ogni dimensione collettiva ma soprattutto individuale, tutte le possibilità di condivisione dell’allegria così messa a dura prova da una pesantezza tanto più atavica quanto necessaria. Ecco perché per Andrea i tedeschi avevano mancato la caduta del muro, di cui non rimaneva in mente nulla nell’immaginario collettivo che non facesse pensare a cape bionde, i famosi picchi del muro, intente a distruggere a colpi di martello la pazziella, il giocattolo che la Storia aveva piazzato nel mezzo della stanza sospesa tra oriente e occidente. E nella capa della gente rimanevano le parate militari naziste nelle città occupate, la marcitudine di una volontà di potenza che scaricava i suoi liquidi puteolenti tra le folle inebetite degli invasi. Di quella gloriosa fine del comunismo, del commiato dagli anni ottanta memorabile restava soltanto la suonata al violoncello di Rostropovič che con le sue note cavalcò i 155 km di muro riuscendone a domare la benché minima scheggia. Solo che il musicista era russo.

Andrea subito dopo mi fa: sai come si dice farfalla in francese, no?
Certo, rispondo io, papillon (e mi è calato lo sguardo sull’uccello)
Gli spagnoli, lo saprai senz’altro, la chiamano mariposa.
E fa volteggiare la mano muovendo le dita su ogni sillaba, ma-ri-po-sa. Voi, poi, in Italia dite farfalla. E la fa saltellare la parola sulle labbra un po’ illividite dal vino. – Adesso vuoi sentire da noi come si dice?
Gli faccio sì con la capa
Schmetterling!– e a quel punto fa cadere la mano come una falena dal corpo grosso che si sia appena bruciata le ali sulle fiamme di una torcia o di una lampadina.
– Capisci ora? Le vostre farfalle svolazzano beate nei campi, le nostre che hanno un nome da bombardiere vanno giù in picchiata.
Lei che è di Colonia mi dice di non badare a quello che dice Andrea e forse ha ragione. Certo era stato con lei che avevo provato l’infelice scoperta dei preservativi tedeschi neri, dei robi che trasformavano la carne della tua carne in sfollagente. E l’avevi perdonata di quello per la serata appena trascorsa e che lei ti aveva offerto per il tuo compleanno portandoti all’Operà Garnier in mezzo all’esplosione di passi di Pina Bausch in “un tram chiamato desiderio”. Cazzo, Pina Bausch! Immensa, gigantesca. Magra magra che ogni passo di danza è un giro di lama affilata che ti taglia con un colpo tutte e cinque le pareti della scena.
In quest’estate di pieni anni novanta nessuno della nostra quasi rivista, la Bête étrangère. ha un franco da permettersi una villeggiatura. Così ci inventiamo delle gite sul fiume minore, sulla Marne con partite a pallone memorabili, con Aurélien, persiano, in porta. Aurélien, il nostro artista libraio, reduce da una recente performance in una cassa da morto che l’avevamo portata su un carrello lungo il canal St. Martin ed era stato tutto un gratta e vinci tra quelli che incrociavamo sul cammino. Maurizio, baffone padovano della linea Deleuze- Guattari, Jerome e Rozane, della favela Chic, la folle Susana, argentina come Esteban e completamente fuori dai canoni accademici come invece il nostro, argentino di natura profondamente kantiana. José, lacaniana de gauche, Sabine, Elke, Andrea, e Chantal Nau, pittrice assai straordinaria.

Siamo poeti, grafici, manovali, performer, correttori di bozze di una rivista che però non ha visto ancora la luce se non quella bluette dei compact Mac su cui si sono impaginate le prime prove. Patrick stavolta ha lanciato l’idea di trasferirci tutti in campagna per il 14 luglio. Un’amica di Sabine ha una casa grande a Montreuil, capolinea della linea 9. Carichiamo la vecchia Peugeot di Patrick e Claudie come se stessimo andando in Normandie e si sbarca in venti da quelle parti con una volontà ferrea di sentirci in vacanza.
Sta cosa dei congés payés me l’ha detta Maurizio che l’aveva sentita da Gilles Deleuze. Cioè che il colpo più duro mai assestato alla classe borghese fu quando grazie ai congés payès che furono decisi nel Giugno del 36 quando il Front Populaire prese il potere in Francia. I Borghesi si videro sbarcare sulle loro spiagge in Bretagna o in Normandia migliaia di poveri cristi, così meravigliati di fronte alla visione del mare che il livore dello sguardo sinistro dei latifondisti del tempo libero nemmeno li sfiorò. Les bourgeois ne s’en sont toujours pas remis.aveva scritto Deleuze.

Nel tredicesimo Don Pasta ha perfino comprato dei fuochi dai cinesi che certo non reggerebbero il confronto con la Bomba di Maradona o ‘e criature dei quartieri però almeno si partecipa al grande incendio della Bastiglia. C’è tanto di quel vino da celebrare un milione di messe e la colonna sonora è rigorosamente Beat, Jacques Dutronc, Sylvie Vartan, Soul e Rock con una base fissa di Sympathy for the devil. Parigi è letteralmente invasa dai papa boys e per la nostra eresia ci siamo detti che comunque sarebbe andata in quel week-end Spinoza si sarebbe inculato Sant’Agostino.
Eppure, mentre di là Claudie e Jackie preparano da mangiare insieme al resto della banda, e noi in giardino all’ombra e al sole che però non va oltre il fuoco di sbarramento dei Ray-Ban, non so perché ma mi viene in mente il quattordici luglio dell’anno prima. Francia profonda, festa in una palestra comunale e corteo aperto da tamburini e pifferi cui seguiva un numero impressionante di malati di mente. Chi sulla sedia a rotelle. chi tenendosi al braccio di un accompagnatore, che saranno stati un centinaio e mi dicevo che quella loro rivoluzione aveva in sé qualcosa di miracoloso come se a scardinare volte ed archi della Bastiglia di ogni epoca e terra fosse stata una crociata surrealista e canzonatoria. O ancora quella dell’anno prima. Che si abitava con Massimo da poco e ci si era divisi per la grande soirée. Io a Joiinville a casa di Remie e lui da Kundera. Che c’era anche lei. Lei che un mese prima si era stati tutti in una foresta vicino St Germain. Lei che aveva le sue due creature e si era separata da poco. E che ammiccava scherzava allungando i piedi nudi sull’erba per darmi calci di nascosto all’ora del déjeuner. Aveva dei calzoncini attillati e un sorriso ingigantito dalle fossette e una voce gutturale e sensuale. Che mi dice dai andiamo a fare una passeggiata con gli altri. Che dopo manco dieci minuti ci perdiamo gli altri e in una radura da cui però arrivano le ombre di altri camminatori mi bacia la bacio, mi spoglia la spoglio. E mi fa ” buffo no?” Si era rasa completamente i peli del pube, così bianco che sembrava una bambola. Ora. sarà stato quello, ” c’est fou, on dirait une bambina! ” aveva aggiunto mostrandomi la fessa, forse il fatto che fossimo alla mercé di ogni sguardo, o più semplicemente perché era la prima volta ma l’erezione fu una vera Pompei e per il resto della serata, insieme al ricordo delle fronde degli alberi che mi sovrastavano, tra cui si insinuavano insolenti raggi di sole, il tutto mentre lei a cavalcioni su di me tentava di trarne un piacere degno di questa nome, avrei cercato di annegare nell’alcol quella che malgrado ogni scusante era stata una vera défaillance sentimentale. Ed ecco che a Joinville le Pont, a pochi metri dalla Marne in una allegra e festosa brigata c’è anche lei, sulle prime fredda e distante e poco dopo in grazia di concessione di una seconda chance. Me l’ha sussurrato in un orecchio durante un ballo. E già mi domina il suo profumo, il sudore, la lingua e il resto fino a che non mi chiama Remie per passarmi la telefonata di Massimo.
– Che c’è Massimo?
– Sono in un gran casino
– Dimmi
– Probabilmente da Kundera mi sono cadute le chiavi di casa e me ne sono accorto solo ora che è mezzanotte passata e qui è un infermo. Ho perfino pensato di prendere un taxi e raggiungervi però , beh lo sai com’è il 14 luglio, è folla, e follia e di taxi nemmeno l’ombra

Da una parte lei, dentista, e già dettaglio mica da poco, bella sensuale, che se fossi andato via ero certo che non l’avrei ami più rivista e dall’altra l’amico del cuore che non solo si trovava fuori casa ma in più nell’incapacità di gestire una situazione come quella.
– Ok arrivo, c’è una coppia che sta andando via e mi faccio dare un passaggio
Lei mi brucia al bacio che le do per salutarla e non potendo dilungarmi troppo nelle ragioni di una dipartita così improvvisa Remie ci rimane male.
Recupero Massimo poco dopo e si va a dormire abbastanza in fretta. Cerco di non farlo sentire in imbarazzo ma non mi riesce.
-Notte eh!
-Notte a te!

La cosa più bella. di quella serata mi capita qualche giorno dopo. C’è l’incontro dell’Atelier du Roman in Rue Monsieur le Prince e quando entro Milan Kundera è con Lakis. al bancone del bistrot dove ci si vede tutti. Quando mi avvicino per salutarli Kundera si sporge verso di me e mi dice – Lo sai no, che un’amicizia che sopravvive ad un Coitus Interruptus dura per l’eternità? Massimo gli aveva detto tutto ed è a lui seduto al bar che va il mio sguardo illuminato dalle parole del maestro. Mi pare di leggerglielo sulle labbra quello che sta per dire. Sicuramente so che cosa sta pensando. E lui cosa io. Legge Universale, è.

NOTE
  1. Chiunque cerca chiunque- Chacun cherche quiconque, è un romanzo che sto pubblicando, in corso di scrittura, su Facebook ps Sull’affaire vi invito a leggere la chronica che ne ha fatto Barbara Gozzi qui🡅

2 COMMENTS

  1. Bel pezzo Francesco!
    Ma Kundera dove sta? Abita davvero dalle parti della tour Montparnasse?
    Lo so che non si potrà dire… ma ci sarà una creperie, un bistrot, uno square
    dove ci può essere qualche probabilità di incontrarlo?…
    Marco

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017