Hurricane downgraded
di Helena Janeczek
Si trovano con un albero sul tetto e privi di elettricità per chissà quanto. Bernie ha i capelli bianco-cotone, Leah una pelle olivastra simile a quella di una tartaruga. Cammina con un bastone, quando sprofonda nella poltrona, non smette di parlare. “Era pieno di foglie qui dentro, insopportabile”.Ora il parquet specchiante rimanda alla fatica e al pericolo di liberarlo dall’intrusione degli eventi meteorologici straordinari. Hanno novant’anni, non occorre una bufera annunciata come uragano per rendere rischiosa la loro vita coniugale in quella casetta del New England. Basta scendere le scale, chinarsi per raccogliere una carta, prendere una provvista su una scansia alta. L’albero, per fortuna, ha sfondato solo la grondaia, il cielo sta volgendo verso un azzurro beffardo. Bernie vuole sapere se davvero l’uragano è stato declassato a tempesta tropicale, in tal caso sono coperti dall’assicurazione. Michael, l’unico a vivere in un condominio dove sono tornate almeno la luce e la radio, conferma il “downgrade” e poi guidando per le strade del Connecticut con i semafori fuori uso e i bordi pieni di rami, fa una battuta sulla tripla A che Irene ha perso lungo la costa orientale. Bisogna rientrare prima che a Bridgeport scatti il coprifuoco. Un tempo c’erano grandi fabbriche, ora la città è così povera da far temere che col buio scattino i saccheggi. Quando parlo con l’Italia, mi dicono che New York si è già ripresa. Come il vento tropicale, la notizia catastrofica si è sgonfiata, ai media mondiali interessa poco che fuori dalla Grande Mela l’inefficienza delle compagnie elettriche fa più danni della natura. Due giorni dopo, quando partiamo, Michael invita i suoi amici a venire da lui almeno per farsi una doccia o ricaricare i cellulari. “Tanto Leah non la schiodi dalla sua casa”.
pubblicato su L’Unità, il 7 settembre 2011.
Perché tutto questo mi sa di esordio del medioevo prossimo venturo?
Lo scenario che appaia la prima potenza militare (non più economica) del pianeta e gli stati del terzo mondo, quanto a incapacità di gestire le catastrofi, è decisamente inquietante.
C’era un tempo, remoto, in cui la civiltà occidentale andava fiera del suo individualismo, disprezzando, per esempio, la coesione sociale asiatica come espressione di un gregarismo vagamente barbarico, sicuramente dispotico.
Credo che i giochi stiano per rovesciarsi di segno, di fronte agli aspetti barbarici del nostro individualismo, della nostra struttura sociale lasca, più che democratica.
Gli scenari non erano molto diversi, per l’uragano che devastò New Orleans pochi anni fa, o per i grandi incendi che quell’idiota di Bush jr. avrebbe voluto circoscrivere abbattendo altre foreste. In prospettiva, bastano una decina di eventi di questo genere -e con l’accelerazione imposta all’equilibrio termodinamico dall’atmosfera, poco mancherà- per far piombare gli States in una situazione di tracollo post-bellico. Solo che stavolta la guerra si combatterebbe contro gli elementi, e sarebbe persa.
E’ proprio la sensazione che avevo anch’io. Se in qualche modo si riesce a cogliere da questo pezzo di una pagine, sono contenta.