Nota di uno scrittore pre-postumo

di
Francesco Forlani (In un tempo direi rapidissimo, con l’ultima copia prenotata da Marco Petrillo abbiamo raggiunto le 200 copie della tiratura Edition Limited. Qui in anteprima la cover di Chiunque cerca chiunque, opera di Marco de Luca che ha curato l’impaginazione. I correttori sono al lavoro, in molti hanno aderito alla campagna revisione che come ho già detto si avvarrà dell’imprimatur di Gigi Spina . Tra una settimana circa andremo in stampa e a metà novembre l’opera sarà.Grazie a tutti effeffe)
carissimi,
questa estate ho pubblicato a puntate su FB il mio nuovo romanzo
Chiunque cerca chiunque. Dopo le varie inculate prese per il Montale (secondo romanzo della mia trilogia degli alberghi) ho deciso che non manderò più un cazzo agli editori. Ho deciso che di Chiunque cerca chiunque saranno stampate duecento copie, numerate e dedicate (e basta). Non saranno mandate alla stampa né agli editori ma solo ai 200 lettori che ne avranno prenotata una copia. Molti di voi non sono su facebook ed ecco perché vi scrivo qui per raccogliere la vostra adesione.
Chiunque cerca chiunque andrà in stampa a novembre nella elegante edizione cartacea, una adelphiana rossa filo-refe, con pagina dedicata unica, della edition limited come dicevo di 200 copie. Il libro costerà 20 euro e sarà disponibile a metà novembre. Vivrà del respiro dei duecento lettori che giunsero fin qui. Merci mes camarades di scrivere a communistedandy@gmail.com in modo da potervi comunicare come fare e per avere i vostri indirizzi fisici.Il romanzo è scaricabile qui come pdf. [aggiornamento 7/9/2012: il pdf è stato rimosso dall’autore]
thanx à todos e todas
effeffe
ps
Segue l’ultimo capitolo scritto pochi giorni fa e la bellissima lettera che Valerio Evangelisti mi ha spedito concedendomi l’onore di farne la quarta di copertina.

Capitolo trentesimo
Una vecchia Remington

Poi non è che uno mette la parola fine. Mica è così. Tu le città te le porti dentro e fuori. solo che non le vedi e così fai sempre la faccia sorpresa quando la zingara sotto i portici di Place des Vosges ti apre la mano e la sovrasta con un dito. Che quella carte Michelin che è fatta di linee, impronte, fossette callose, tu ci hai impiegato una vita per farla mica niente. E infatti levando lo sguardo per farti la faccia feroce di chi sa tutto, la prima cosa che ti racconta è il passato. E dici cazzo se è vero, ma come l’avrà mai indovinato mo questa? Proprio come la femmina magrebina che manco avevamo varcato la soglia di casa della festa. da Giambattista e Marie, che mi aveva accompagnato Livia e fuori pioveva, e m’era piombata addosso sparando come un kalashnikov una serie di domande con una tale velocità che il fumo le usciva di bocca alla fine.
-Tu sei nato a sette mesi eh?

-Ti ha salvato uno spirito guida, lo sapevi?
-Tu ci sai fare, non ti mancano le occasioni di lavoro, solo che spendi tutto – a quel punto mi aveva preso la mano destra mentre in cuor mio mi dicevo cazzo questa sa tutto di me– e infatti la vedi?
– Cosa?- le avevo chiesto
-La mano, c’è un buco dentro- e mi aveva preso quell’altra per aggiungere- e pure in questa
– Vuoi dire che ho le stigmate? Che mi faranno Santo?

Livia che stava al mio fianco era sbottata in una risata e pure la femmina magrebina

– Hai le mani bucate, capisci? Quello che entra così come ti arriva se ne cade giù
– E dove va?- le avevo chiesto curioso di sapere cosa mi avrebbe mai risposto
– Per terra.

Così m’era venuta in mente quella volta che a passeggio con mio padre alla Rue Miollis, vicino all’Unesco dove aveva un incontro con quelli del coordinamento delle ONG, a un certo punto mi ero fermato che c’era una monetina per terra davanti a noi. Mio padre mi aveva chiesto cosa avessi e io gli avevo mostrato l’oggetto che aveva attirato la mia attenzione.
– Sei fortunato, raccoglila no?

Alla sua osservazione le mie gambe avevano ripreso a camminare e di fronte alla sua sorpresa nel non avermi visto raccogliere i venti centesimi gli avevo spiegato perché non m’ero chinato a prenderli.
– Papà, ma secondo te uno che si abbassa per raccogliere venti centesimi è fortunato o sta proprio inguaiato?

Al che si era fatto una risata come gli capitava ogni volta che abbordavamo i grandi sistemi.
Così avevo chiesto alla femmina magrebina quale fosse il rimedio a quel pasticcio del destino. d’accordo, avevo le mani bucate, però una soluzione si poteva trovare no?
– Devi chiudere i buchi
– Chiudere i buchi? E come si fa?
– Bastano due cerotti, grandi abbastanza e vedrai che ti rimarrà fra le mani quello che raccogli in giro.

 

 

                                                                      §

 

 

Scrivo queste pagine che è notte, e Parigi mi sta accanto, mi respira dentro che l’anima sembra una grata da cui sbuffa come un vulcano una qualche linea di metro che porta a spasso le anime dal sottosuolo al mondo.  Sono le pagine di un libro che forse vedrà la luce, anzi una luce l’ha vista negli occhi di chi in questi mesi ha letto ogni parola in controluce, parole appiccicate ad uno schermo. E così mi chiedo, mettendomi nei panni di un lettore, che poi sono i panni migliori, se tutto quello che ho raccontato è successo veramente. Cesare Pavese la chiamava  “The Real Thing”. 

Quando ho terminato di scrivere il capitolo ventinovesimo, il giorno ma sarebbe meglio dire la notte in cui questa lunga ballata accennava al refrain della fine, mi rendevo conto che era trascorso esattamente un anno dalla morte di Patrick Chevaleyre,  l’anima pura della Bête étrangère. Il suo cuore non aveva retto e il nostro, di tutti coloro che della rivista ne erano le gambe, le braccia, la mente, la pancia, aveva ricevuto una scossa come di un terremoto. Un cataclisma che da molto lontano ti avvisa che qualcosa lì, proprio dove l’anima aveva eretto il suo domicilio, s’era divelto, schiantato, distrutto. Che se avessimo messo le nostre mani una sull’altra, la zingara ci avrebbe raccontato come le nostre carte del destino si fossero mischiate, muovendo ognuno di noi verso altri luoghi, Rio, Londra, Torino, Salonicco, Dublino, Praga,Trento.

In plein Paris, allora, abitavo con Massimo Rizzante nel cuore della città, tanto per capirci, al 30 rue Beaubourg che uscendo di casa avevamo di fronte il Centre Pompidou, sulla sinistra Notre Dame e alla nostre spalle Les Etages, locale dove il gentile proprietario, Guy, diventato poi come un fratello veniva incontro alla nostra povertà facendoci “credito”.

Una sera, con una pioggia che sembrava miracolosamente non bagnarci tornavamo proprio dal suo locale. Poveri in canna, dicevo, e con un esame costante della vocazione. Se fossimo stati scrittori, ma dei veri scrittori, perfino la povertà ci sarebbe stata sopportabile. E se non lo fossimo stati? Se in quell’appello gridato a gran voce dal signor Litteratur i nostri nomi sull’elenco non c’erano, che senso avremmo trovato alla nostra inadeguatezza? Questo ci imbarazzava l’anima.

Fino a quando, proprio mentre la pioggia si apriva un varco nella suola delle scarpe e il freddo ci baciava sul collo, come apparsa dal nulla si presentò davanti ai nostri occhi la visione.

Le grandi esperienze della vita, si annunciano del resto sempre così. Alla vocazione, che è un prestare l’orecchio deve accompagnarsi una visione. Ai nostri piedi infangata lungo il bordo del marciapiedi c’era una Remington di primo novecento. Non una semplice  macchina da scrivere ma una  Remington, che fabbricava e  tutt’ora fabbrica,  fucili a canne mozze e macchine da scrivere. In entrambi i casi un martelletto inchioda qualcosa. Ora tutti sanno che lungo i marciapiedi a Parigi ci sono come dei tappeti arrotolati, di colore chiaro, sporchi ed imbevuti dell’acqua che incessantemente corre ai bordi delle strade. In realtà sono dei filtri per evitare che i detriti otturino i canali delle fognature. Così una vecchia Remington raccoglieva, bloccandoli i detriti che la strada a dispetto delle regole, produceva. Quello ci sembrò non solo il segno che aspettavamo ma anche una metafora di quella che per noi sarebbe dovuta essere ancor prima che una professione, una vocazione, e che più di ogni visibilità contava la visione.

La portammo a casa, la pulimmo e poi passammo tutta la notte a raccontarci delle storie. Una su tutte, che quasi inventammo, trovammo, immediatamente teneva sulla possibilità che la macchina fosse appartenuta a Hemingway. E che se avessimo con complicate ricerche di laboratorio analizzato il rotolino, la fascetta su cui i martelletti avevano un tempo battuto, probabilmente avremmo ritrovato l’ultimo testo manoscritto dell’autore che in quei giorni stavamo leggendo con più attenzione.
Nulla ci dice che era solo il delirio di due invocati scrittori, e che non vi fosse nessuna speranza per il miracolo. Perché dopo la vocazione, la visione, c’è il miracolo.
E i miracoli non succedono tanto per fare, un po’ come le riviste.
Hemingway ci avrebbe detto probabilmente di cambiare il finale della nostra Festa mobile. Invece di scrivere come lui : “Ma questa era la Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici” cambiare quell’ultima frase in “eravamo molto poveri e molto pirla”.
No, non è proprio così il finale. Noi eravamo sì poveri, e lo siamo ancora, ma fottutamente vivi, e anche questo, per fortuna vale ancora.

Così, prendendo alla lettera il consiglio della femmina magrebina, a distanza di quindici anni da quell’incontro potrò finalmente togliere questi cazzo di cerotti che ho sui palmi di mano e lasciare che quanto ho raccolto da allora possa volarsene via, cadendo.

La quatrième de couverture
di
Valerio Evangelisti

Caro Francesco,

scusa se ti rispondo in ritardo. Dovevo finire di scrivere un romanzo e affrontare le problematiche successive. Ho letto il tuo inno a Parigi (lo definirei così). Nessuno conosce quella città meglio di te, e la sa valorizzare con tanta grazia – anche nei tuoi interventi su Nazione Indiana.
Il mio giudizio è viziato da parzialità, perché la amo anch’io. Mi ha colpito il fatto che, nel percorrerla, abbiamo seguito itinerari completamente diversi, e in qualche modo complementari. Io dalla Rive Gauche verso sud, tu verso nord. Con appena un paio di mete comuni: Rue du Paradis (se guardi il film “Io vi troverò” vedrai che vi viene descritta come un covo di malviventi, cosa che non è affatto!) e la Défense, meta per me di gitarelle domenicali.
Ero l’uomo giusto per leggere il tuo romanzo, ma non lo potevi sapere. La lingua è perfetta – ça va sans dire – ma ciò è trascurabile, rispetto ad atmosfere, personaggi, situazioni. Ora però cerca qualcuno di meno coinvolto, se vuoi un giudizio spassionato. Io lo sono troppo, tanto che sto già guardando i costi dei biglietti aerei!
Un abbraccio forte, mon ami!
Valerio (anzi, Valério)

26 COMMENTS

  1. capitato sul post per caso alla ricerca di tuoi photoshoperò, immantinente intuisco nell’opera una delle tue migliori riuscite romanzesche, e mi arruolo fra i 200…

  2. Parto per Parigi giovedì, solo per 5 giorni (purtroppo)… Ma dirlo ora, al termine della lettura di Chiunque cerca chiunque, quasi mi commuove.

  3. per il Montale non ho parole, mi aspettavo grandi cose e mi aspettavo che avrebbero bussato loro, i signori editori (anche in considerazione del fatto che il “Pavese” aveva raccolto consensi grandissimi da pubblico e critica). Ma qualità e vendita, si sa, non coincidono più, e l’una non è requisito indispensabile all’altra, se non addirittura il contrario a quanto pare. Resta però il fatto che è un capolavoro quel libro e resta comunque incomprensibile il fatto che non ci sia stato nessun pesce di grosso/medio taglio, disposto a scommetterci sopra – da me si dice “pisci senza sangu”.
    Per “Chiunque cerca chiunque” approvo quindi questa tua consequenziale e coerente forma di lotta e rifiuto, che sarebbe da cogliere come esempio e continuare.
    La mia copia, già sai, è prenotata da tempo.
    a vele piene.
    n.

  4. Una domanda per Francesco: la tua decisione preclude definitivamente l’eventuale pubblicazione con un editore?

  5. Ivan oggi e siamo a 120 prenotati su 200 la mia felicità sarà nel vedere quelle straordinarie duecento copie. L’impaginazione è a cura di Marco de Luca il nostro grafico di Sud e le carte scelte, la rilegatura filo-refe, faranno di una scrittura in cui credo un libro in cui credo molto. Le mie opere sono in rete libere, gratuite. se un editore le vuole, scrive, paga e se ne va. Io, per quanto mi riguarda resto.
    effeffe

  6. sì poi ti vengo in sonno e ti do i numeri tarocchi a te, e quelli giusti a sorete. grazie stefano
    effeffe

  7. Condivido le impressioni di Valerio su questo romanzo. E io sono imparziale perchè Parigi la conosco pochissimo, anzi quasi per niente, però a maggior ragione l’ho conosciuta e assaporata proprio leggendo questo romanzo dove c’è tutto: ci sono i luoghi, ci sono le emozioni e soprattutto ci sono i protagonisti con le loro alterne vicende, c’è vita insomma.
    E vedi che i “tesserati” crescono…poi faremo un fan club!
    monica martinelli

  8. Vuoi vedere che sei costretto a ristampare? Ritienimi necessariamente tra i primi duecento!!!

  9. Complimenti per il linguaggio forbito. Oltre a “inculata” e “cazzo” suggerirei “coglione”, “figlio di puttana”, “l’anima de li mortacci tua” et similia.
    Mi sfugge il senso del sintagma “per farla mica niente”: che vorrà mai dire?

  10. Carissimo Grande Scrittore, mi onorerai di una copia? La tua descrizione di Parigi mi ha avvinto e ammaliato, il romanzo resta con la sua bella consistenza di carta, il video passa. Seguirà e-mail, ad maiora
    Mariateresa

  11. [Sappia il mondo che, come già per via feisbucchiera dissi,]

    Mi sembra il caso: non ho in biblioteca (ohibò) neanche un’opera forlaniana, e questa per sua vicenda editoriale singolare mi sembra la più atta a cominciare; una copia prenoto, grazie; ma ho paura di farmela mandar per posta, perché è pieno di ladri: potrei acquistarla dal vivo, da te vivo, al tuo prossimo passaggio per la Campania?…

    … magari in occasione d’una delle restanti puntate di «De natura mundi»! :) Il cui programma è qui tutto illustrato, omni sensu: http://1.bp.blogspot.com/-PY0ABL3qF-w/Tpcwd_vFkcI/AAAAAAAAATE/wCJjOSTaE2U/s1600/Locandina3.jpg

    [E Forlani rispose: «C’est d’accord».]

  12. Daniel, le sfugge? E lei la lasci sfuggire tanto non se ne avrà mica tanto, poi. effeffe

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017