Andrea Zanzotto 1921-2011
Andrea Zanzotto
(Pieve di Soligo, 10 ottobre 1921 – Conegliano, 18 ottobre 2011)
Esistere psichicamente
Da questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti e silenzi,
da questa bava di vicende
– soli che urtarono fili di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli –
da questo lungo attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto questo che non fu
primavera non luglio non autunno
ma solo egro spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed è tutto ciò ch’io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si vuole pomo che gonfia ed infradicia.
Chiarore acido che tessi
i bruciori d’inferno
degli atomi e il conato
torbido d’alghe e vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e amori.
[da Vocativo, 1957]
Ciao Andrea, a presto….
Scoperto, da ignorante, solo due anni fa, con Conglomerati, ne realizzai subito la sconcertante enormità.
Questa la sua poesia cui sono più affezionato, fortunosamente recuperata dai commenti di un video di youtube.
Stracaganasse
Sembra che scrampandoti e annaspando tu nasca
da quanto di più selvatico qui si arma
di scaglie
e il tuo sguardo di terra
non pesca né estrae
altro che guasti frustoli, pattume di tuberi, da terra-
e lo stesso tuo orticiattolo clandestino (rubato al bosco)
ha del deforme, come la tua
corporatura che sfregia le superne norme:
bisnènt, me parènt : volutamente sbagliando
l’arguzia arcadica ti avrebbe individuato
come Satiro che va per Ninfe e adorabilmente
di cipria ti avrebbe sepolto e così soffiato-sù alla vigna
stellare dove regna Ciprigna e l’atmosfera folla
di degusta-pollini e spossa midolla.
A questo mio bisavolo-me ed a me
prima che arrivi il guardiano
a strapparci di bocca la lurida cibaria
a impedirci il raspare e il rosicchiare
tra i piedi sporchi della Grande Terra
sia concesso ancora qualche scasso o scrostatura
(cionpo gobo zhòt zhabòt zhalèch
bisnènt-mi bisnènt me parènt);
ma arriverà una domenica gran sagra
di paese a rasobosco, martellata di campane
tempestata di castagne secche e ci sarà
qualcuno a imbrogliarci col gioco detto “Bèpo e la Jèia”
ma noi lo insaccheremo con le nostre trovate grifagne
e poi ci metteremo a tavola di fronte a una sfarinata, magra di vitamine, a un pasto di stracaganasse;
davanti ad un bicchiere di vin piccolo
guardandoci l’un l’altro come sacre immagini
attenderemo il sàtori
e allora il bosco tutto
con le unghie rotte e le gengive scotte
potremo insieme rovistare e rapinare
ma senza dargli rovina
nemmeno in una stilla, in una trina.
Nun sanno dicere ‘o pecché
‘A poesia è ‘a morte,
‘o poeta ‘n’ommo ‘e quatte sorde.
‘A poesia è ‘o mare ca sbatte,
‘a luna chiena ‘e Giacomo Leopardi.
‘A femmena ‘ncalora, doppo nove mise
sgrava ‘o criature, frutto ‘e ll’ammore.
Ciro ‘o barbiere,
annummenato ‘o poeta, pesce ‘e cannucce:
s’è fatto fottere
‘a chella janara ‘e Maculata.
Essa, ‘o zucculone, ‘o va ncurnianno
pe’ sotto e pe’ ‘ncoppo.
Isso, se ne fujuto ‘nzieme a quest’altra, detta Poesia:
vanno giranno ‘o munno sano.
Acchiappano ‘o viento, l’alta marea
‘o tremmuliccio d’e ragge d’o sole:
vanno dicenno ca campano
‘e Gloria Padre.
Ma chille ca ‘e ‘ncontrano,
quase sempe nun se ne accorgiono.
E, quanno succere, chi sa pecché,
chiagneno e, nun sanno dicere
‘o pecché d’a gioia mmiscata ‘e pecundria,
forse, pecchè
stammo sempe tra ‘a vita e ‘a morte,
quanno more ‘nu poeta.
E ‘a Poesia,
che ffà?
‘A poesia,
c’a lettera minuscola,
nun le ‘mporta:
tir’annanzo.
* * *
Non sanno dire il perché
La poesia è la morte,
il poeta un uomo da quattro soldi.
Il mare che frange,
la luna piena di Giacomo Leopardi,
Una donna in calore, dopo nove mesi,
partorisce il bambino, frutto dell’amore.
Ciro il barbiere, detto il poeta, scemo:
si è fatto fregare da quella strega di ‘Maculata.
Lei lo tiene sotto schiaffo e lo cornifica
di sopra e di sotto.
Ora, lui, insieme a quest’altra, detta Poesia,
girano il mondo intero.
Catturano il vento, deviano l’alta marea
e mangiano il tremilio dei raggi del sole.
Dicono in giro che vivono
di Gloria Padre.
Ma quelli che li incontrano,
quasi sempre n on se ne accorgono.
E quando succede, chi sa perché,
piangono e, non sanno dire
il perché della gioia mischiata alla malinconia;
forse, perchè
siamo sempre tra la vita e la morte
quando muore un poeta.
E la Poesia,
cosa fa?
La poesia,
con la lettera minuscola,
non gliene importa:
tira avanti.
Anche oggi, quando ho sentito parlare di Zanzotto, il primissimo pensiero non è andato al poeta ma al suo primo cugino, il fruttivendolo che avevo sotto casa da bimbetto e che se n’è già andato da qualche anno. Al posto della bottega ora c’è uno squallido anonimo bar che fatica sempre a decollare, e chissà che fine ha fatto quel bellissimo autocarro OM anni ’50 sul quale caricava le cassette. Amante delle immagini dozzinali come sono, non posso fare a meno di pensare il poeta e il fruttivendolo assieme da qualche parte a bere fragolino (sarà proibito anche nell’aldilà?)
Enorme, sì, sottoscrivo.
quando provo a “dire” una cosa e mi sembra di non avere la parola mi viene in mente zanzotto. Quando la sua poesia si fa irta come i paesaggi della sua terra allora sulla pagina appaiono dei graffiti, piccoli disegni. E’ l’invenzione di un linguaggio e la fiducia che ogni zona più misteriosa di sè può essere narrata. Grazie zanzotto per l’incessante ricerca di “sublime” che mi lasci
Un addio non si può dire, c’è un lunghissimo silenzio.
Maria Pia Quintavalla
mi sono ostinato, oltre i programmi ministeriali, ad insegnarlo sempre ai miei studenti. R:I:P
La sua lingua strana- magnifica- la sua lingua chiara uova- di prima nascita-
amo la poesia di Andrea Zanzotto per la sua asprezza, la sua bellezza si coglie non da prima vista- ma di lettura lenta- di scoperta
Solo una settimana fa festeggiavamo felici il 90° compleanno di Zanzotto, e ieri mattina è arrivata la notizia agghiacciante. Mi sono sentito piuttosto abbattuto e non mi è venuto da scrivere niente, tranne (nel mio blog) che la stessa mattina, «per sbadataggine, ho urtato stortamente con le dita della mano destra (la quale già qualche anno fa ebbe incrinato un osso) un orlo di marmo, e mi sono fatto molto male. Più tardi, saputo della morte del poeta, mi sono domandato se essa per caso, o meglio per sincronicità junghiana, non fosse avvenuta esattamente nell’ora di quell’urto: all’incirca le dieci del mattino»…
Vi linko questo testo che avevo scritto qualche giorno fa per commemorare la nascita di Zanzotto, così da condividere con voi l’esperienza di una breve visita al poeta nella mia giovinezza:
http://palasciano.blogspot.com/2011/10/per-la-solenne-commemorazione-della.html
Lo stesso testo, tolta la coda, è anche in Nazione Indiana (ma bisogna correggere le spaziature, vi prego; non so perché siano uscite così): https://www.nazioneindiana.com/2011/10/16/per-la-solenne-commemorazione-della-nascita-del-servus-musae-a-z
Mia diletta
Quel colore di cecità,
eri tu.
Quell’emozione a pelle,
eri tu.
Lo schianto dell’assenza,
eri tu.
Il perdurare della notte,
eri tu.
Quella canzone a cascata,
eri tu.
Il bacio a ciliegia,
eri tu.
Quel fiore sull’acqua,
eri tu.
Quell’arco di mare,
eri tu.
Quell’insieme unico,
eri tu.
Quell l’estate di sassi e spine,
eri tu.
Quei binari di nessuna partenza,
eri tu.
Scogli di rosario il tuo sorriso.
Eri tu.
Stringemi, dicesti.
Eri tu.
Guarnigione dei miei occhi,
palleggio del cuore scarnato.
Eri tu,
Mia diletta Poesia.
Vi trascrivo ciò che ho scritto per Andrea Zanzotto oggi:
Bar Mokafè – Lioni, 19 ottobre 2011, ore 12:39, scontrino fiscale 57-
Omaggio ad Andrea Zanzotto – Poesia improvvisata – 40 versi liberi –
C’é un accapo lieto…
1 C’è un accapo lieto
nella quiete
di un sonno bambino,
nel ritorno dei fiori…
5 C’è un dentro e un fuori
del mondo circoscritto
in ognuno di noi
dove l’attesa,il volere, il poi
sono il nodo contratto
del paesaggio che ci accoglie,
che ci annota i passi
e da dove nessuno
può sfuggire
per geo-storia e memoria…
15 Bisognerebbe avere
il coraggio di morire
nella beatitudine dei colori
delle nuvole,
esseri felici della sorte
di un passero
che esplora rami e foglie
con l’istinto di volare
sicuro della gioia
nella sua ignara giornata
25 appesa all’interrogativo
di altre vite
affamate di vita,
alla mercé del vento,
sovrastate dal cielo,
avvolte nel velo del tempo
che modella le stelle
e ci permette di essere voce,
meno mistero pensante
armonia e pace
35 fino all’incontro sereno
della morte,
fino allo stupore
della parola coniata,
sottesa all’innocente
40 parlata del cuore… =FINE=
= Memo Archivio Orig. – Redaz .9° Q, pag.15 =
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Con affetto, come sempre, Gaetano Calabrese
– poeta errante dell’Irpinia-
… Diletta?
Niente meno che … Mia Diletta Poesia.
Ma vuje ‘o sentite a chisto? Diletta … cose ‘e pazze.
He sempe magnate dint’e plattò d’e machine,
e mmò, pe’ recità ll’urdema scena, commete dice ‘a canzone
te ne jesce, parlanno ‘e stà Diletta Poesia. Ja, nun fa ridere ‘e mosche.
Tenive ‘e pezze nculo e ‘a famme all’uocchie,
e mmò, he mise ‘a lengua dint’o sapone.
Scrive poesie ‘o guaglione ‘e mmiezz’a via,
ausa parole di deliquio ‘o zimparo:
a che simmo a ridotto, ma ‘o ditto antico dice:
si nun si scarparo, nun rompere ‘o cazzo ‘e semmenzelle.
Ma i’ aggio ditto chello ca me sbatte ‘mpietto.
Ne vuò sapè n’ata? Cchiù Diletta Poesia vaje fujenno
e cchiù,
s’arrevota ll’anema, pecchè chi songo i’ nun conta niente.
(…)
Un circo è un circo anche una piccolissima biglia
e una bottiglia, o una bandiera che più leggera
quando issata in alto sulla cupola la sera
c’era un cielo di gelo un trin trin di giochi e carabattole
e il cuore i passi e i colori apparivano veri
nell’aria nuova di ogni sera
sotto un fiotto di fiotti lontano l’azzurro
il fumo o la linea dei monti, la notte
che al di là del campanile tra dolcezza
e bandiera tendeva la fune alla sera
se partiva il circo la mattina così presto
che l’alba furtiva e le nubi ed ero già desto
a veder svanire il circo, la cupola del cielo
e anche le stelle
(…)
v.s. gaudio
da: http://www.ilcobold.it/events/zanzeredica-zanzeretica