una questione di qualità

Immagine di Man Ray

Baricco,

o dell’autoaddio
di
Gigi Spina

 

 

 

 

 

 

 

 
Sull’ultimo Venerdì di Repubblica (28 ottobre), incontro ‘a cuore aperto’ con Alessandro Baricco e il suo ultimo romanzo (ultimo o nuovo?, ultimo come il CD di Fossati?). Accanto all’intervista si dispiega un articolo, in verità giustapposto, sull’ispirazione, scritto dal ben altrimenti interessante Guido Davico Bonico, nel quale non avrebbe sfigurato un cenno alle meravigliose pagine che Edgar Allan Poe scrisse per la sua lirica The Raven (Philosophy of composition).
Col cuore, Baricco ha un commercio particolare. Ricordo che quando avviò la sua impresa iliadica, ricevetti dagli organizzatori dell’evento una mail che recitava letteralmente così:
“Baricco ha avviato un intenso progetto di rielaborazione e rigenerazione che è andato al cuore del poema omerico, ne ha distillato l’anima arcaica, nella componente più problematicamente umana, traducendola in un linguaggio più vicino ai lettori e ascoltatori di oggi. Un viaggio nel viaggio degli Achei, che ha recuperato la dimensione della lettura ad alta voce, quella dimensione di oralità che era la cifra della poesia antica, per incantare – nel vero senso della parola – il pubblico. Speriamo di poter condividere con Lei e con i suoi allievi questo spettacolo coraggioso, dall’alto valore divulgativo e culturale”. Risposi così:

“Mi congratulo con Alessandro Baricco per la sua iniziativa e soprattutto con chi ha redatto la scheda di presentazione. Per chi pratica questi testi da tempo, continuando a leggerli e a farli leggere ad alta voce, sia in greco che nelle varie possibili traduzioni, sapere che c’è chi è andato ‘al cuore del poema omerico, ne ha distillato l’anima arcaica, nella componente più problematicamente umana’ ecc. ecc., non può che fare piacere. Certo, risolta così la questione omerica, sorgerà una questione baricchica (si dirà così?), ma questo riguarderà gli studiosi del futuro. Molti auguri, dunque, anche se non molto interesse. Anche perché, devo confessare, ho qualche resistenza a riconoscere come ‘coraggioso’ questo spettacolo, ma forse ragiono in base alla componente ‘meno’ problematicamente umana del sistema di valori presente nell’epica omerica. Mi sembrano coraggiosi, in realtà, i ragazzi di un collettivo teatrale che, senza sponsor e sostegno mediatico, reciteranno fra qualche giorno scene dell’Odissea (ancora omerica, a quanto capisco) da loro riadattate con grande entusiasmo, in un’aula universitaria, con un pubblico curioso e forse anche incantato. E gli esempi di questo tipo potrebbero essere molti. Per finire, sono grato al redattore del testo di non aver ceduto alla tentazione di chiamare ‘lifting’ o ‘restyling’ ‘l’intenso progetto di rielaborazione e rigenerazione’.

Come si sa, l’Iliade baricchica non è stata proprio un grande successo o un’impresa epocale, e non perché non ci fossero gli dèi o perché il daimon Eugenio Scalfari non riuscì a rilanciarla con un ‘memorabile’ fondo in prima pagina de la Repubblica, ma perché era forse viziata da un eccesso di autocelebrazione. Come si sa, ogni scrittore stravede per la propria creatura, usavano la metafora anche gli antichi poeti e scrittori, intertestualizzati (si potrebbe dire) dal più corposo: Ogni scarrafone è bello ‘a mamma sua. Ma si sa anche che le ricadute o il gradimento di un oggetto artistico (libro, quadro ecc.) seguono vie in parte condizionate e condizionabili, in parte più ‘naturali’. Lamentarsi che il proprio libro venga ignorato o che non sia stato recensito, come fece una volta Baricco, pur di farne parlare, è una brillante idea di mercato che rientra nel circuito delle vie condizionabili, ma alla lunga non paga (anche se le sceneggiature, siamo certi, vengono ben pagate).

Ora la nuova idea è quella di parlare in anteprima dell’ultimo romanzo, che ancora ha da uscire, descrivendone tutto, dai personaggi alle metafore d’autore, dalle meta-metafore (se si può dire anche questa), cioè le metafore sullo scrittore, come calzolaio delle parole ad esempio – e perché non come idraulico dei flussi di pensiero? -, alla trama, ai possibili effetti sul pubblico dei lettori: insomma, tutto quello che si dovrebbe fare dopo che un libro è uscito, è stato venduto, ha avuto successo o è stato ‘ignorato’, e quindi si chiede all’autore di commentare i suoi commentatori.
Leggete, perché forse sarà l’ultimo; fategli un’ultima carezza; addolcite il trapasso; ricordatelo così. Rassegniamoci a questa nuova propaganda pre-consolatoria, o consolatoria in anticipo – i retori greci l’avrebbero chiamata uno hysteron-proteron, dire dopo quello che viene prima e viceversa -, purché non si trasferisca anche alla politica: votatemi ora, perché sarà l’ultima.

Rassegniamoci, ma prendiamo anche le nostre precauzioni di lettori poco condizionabili: lasciamo che autori così attenti al proprio ego scribens si diano l’estremo saluto in perfetta solitudine, nel raccoglimento che il momento topico consiglia, senza folle vocianti di lettori osannanti. Del resto, la solitudine dei numeri primi ha fatto scuola. Che poi forse era la solit’Udine dei numeri primi, triste storia di liceali friulani alle prese con l’algebra.
Quanto a Omero e ai liceali del classico (e non solo), per fortuna lo si può continuare a leggere anche in una nuova traduzione, quella metrica di Daniele Ventre (Mesogea, Messina 2010): si può, anzi si deve leggere ad alta voce, può essere recitata in teatro, fa parlare ancora Omero alla nostra cultura, dalla lontana diversità della sua cultura.

8 COMMENTS

  1. Eppoi l’idea di potare Omero al gusto di palati non avvezzi agli arcaicismi l’aveva avuta anche il Melchiorre, il Cesarotti, che aveva voluto mettere a Ettore una redingote, un impermeabile, insomma ed era finito, anche allora, nel disinteresse.
    genseki

  2. sarebbe bello qualcuno tornasse a parlare dell’incapacità d’essere testimoni e “spie” del libro. l’ha fatto Gianni Celati in un’occasione recente, mi pare, si trova su youtube, citando Manganelli, “entrare in un libro talmente tanto da rimanerne ciechi”, e quindi non poterne riferire nulla, se non cambiando, ovviamente, le regole critiche, allungando lo sguardo in obliquo e non in linea retta; che mi sembra sia stata l’esperienza del Manganelli (ed è del Celati) critico letterario.
    Ora, se la qualità d’un libro è data dalla intestimoniabilità post-lettura (attenzione però a chi legge, agli occhi troppo emotivi: è qui che Baricco spopola! nei traffici col cuore, come dice l’articolista), che cosa dovrà essere un libro che si può testimoniare addirittura ante-lettura? C’è un irresistibile fetore da libreria Ikea… Figuriamoci poi sapere che il libro l’ha scritto lo scarsissimo Baricco… forse allora è giusto che qualcuno mi dia le istruzioni per leggerlo.

  3. Gli dèi? Fondamentali… l’Iliade mi affascinava soprattutto per la loro presenza! Questo tanto per dire.

  4. Non ho capito di che cosa parli questo articolo.

    Quello che capisco è che qui si dice:

    1. che è apparsa in un giornale una intervista a Baricco (linkata), ma nello stesso giornale c’è un altro articolo (non linkato: peccato!) assai più interessante (ma che però commette l’errore di non citare un peraltro citatissimo testo di Poe);

    2. che gli anonimi organizzatori di un evento legato al libro “Iliade” di Alessandro Baricco compilarono tempo fa una “mail” (o una “scheda di presentazione”) piuttosto ributtante (opinione mia), e Gigi Spina ritenne opportuno (a) farlo notare allora ai compilatori stessi, (b) renderci oggi edotti di tale corrispondenza;

    3. che “Iliade” di Baricco non è stata un grande successo (e tengo a ricordare che il successo di un’opera ha scarse relazioni con la bellezza dell’opera stessa);

    4. che qualcuno (chi? Baricco? il giornalista intervistatore?) ha avuta una “nuova idea”, la quale consisterebbe appunto nel far uscire in un giornale un’intervista nella quale Baricco parla del suo nuovo romanzo: dove non capisco come possa essere definita “nuova idea” quella che per i giornali italiani è una prassi comune da parecchi anni: esce l’opera nuova di Tizio, narratore o musicista o cinematografaro che sia, e per risparmarsi la fatica di leggerla o ascoltarla o guardarla gli si fa l’intervistina o intervistona;

    5. che Gigi Spina trova ridicolo il paragone (farina del sacco del giornalista) con un “lussuoso paio di scarpe fatte a mano” (e questo si può condividere).

    Nell’intervista linkata, peraltro, non trovo traccia di alcune cose che – secondo ciò che Gigi Spina scrive – nell’intervista ci sono: “…tutto quello che si dovrebbe fare dopo che un libro è uscito, è stato venduto, ha avuto successo o è stato ‘ignorato’, e quindi si chiede all’autore di commentare i suoi commentatori”. Perché in effetti, come capisco da altri frammenti che si trovano qua e là nel web (ad esempio qui), il link presente nell’articolo di Gigi Spina non rimanda all’intervista completa (“Intervista liberamente tratta da “Il venerdì di Repubblica”, del 28 ottobre 2011, di Antonio Gnoli”, dice un po’ ambiguamente la curatrice del blog). Ma allora magari valeva la pena di citarli, quei passaggi dell’intervista.

    Infine, Gigi Spina scrive: “Lamentarsi che il proprio libro venga ignorato o che non sia stato recensito, come fece una volta Baricco, pur di farne parlare, è una brillante idea di mercato” eccetera. L’informazione fornita da Gigi Spina è così inesatta da essere fuorviante. Nell’articolo “Cari critici leggetemi e dopo stroncate”, apparso in “La Repubblica” nel marzo del 2006, Baricco non si lamentava che un suo libro fosse stato ignorato: descriveva invece una pratica, secondo lui piuttosto diffusa, consistente nell’inserire in articoli che parlano d’altro brevi giudizi liquidatori tra prentesi, en passant. Una veloce ricostruzione della polemica che ne seguì è disponibile qui in Librosfera, qualche considerazione più approfondita si trova qui in Bollettino 900, a firma di Federico Pellizzi.

  5. Rispondo a Giulio Mozzi sulla questione link all’articolo intervista di Baricco .
    Scrive Mozzi:
    che è apparsa in un giornale una intervista a Baricco
    falso
    Gigi Spina scrive:
    Sull’ultimo Venerdì di Repubblica (28 ottobre),

    Come Giulio Mozzi sa bene non tutti gli articoli sono reperibili, gratuitamente, in rete e così è stato per me il caso dell’intervista in questione. Gigi Spina cita l’articolo, indicando data e testata, il che blinda l’esattezza della sua citazione.
    Su venerdì di repubblica on line, ovvero qui http://periodici.repubblica.it/venerdi/ si può leggere sia l’articolo intervista a Baricco sia quello citato di Davico Bonino.

    Da parte mia ho ritenuto comunque utile offrire al lettore di NI una sponda a quell’articolo linkando il post che, diligentemente, specificava essere una “ripubblicazione parziale dell’oggetto in questione.

    Quando Giulio Mozzi comincia un suo intervento scrivendo: Non ho capito di che cosa parli questo articolo” so per certo che questo è un problema suo, problema a cui non credo di poter offrire una soluzione,
    effeffe

  6. Ho capito che Giulio Mozzi (ragionando per punti o per numeri):
    1) quando legge ‘non avrebbe sfigurato un cenno’ capisce ‘commette l’errore’;
    2) parafrasa acutamente il punto 2, che quindi ha capito, come lui stesso ammette;
    3) non ci dirà mai che rapporto c’è fra bellezza e ‘impresa epocale’, perché conosce solo il rapporto che c’è fra bellezza e successo;
    4) è colpito più dal contenitore (intervista) che dai contenuti (risposte dell’intervista);
    5) anche in questo caso capisce e addirittura condivide.

    Fermandomi anche io al numero o punto 5, osservo che Giulio Mozzi non riesce a valutare cosa comporti, in percentuale, aver capito cinque punti rispetto alla totalità dell’articolo (la premessa è che non ha capito di cosa parli).
    Ancora, l’informazione inesatta – la memoria a volte tradisce – risulta addolcire una realtà a mio parere forse più imbarazzante, ma, si sa, sui gusti non c’è da discutere.
    E ora, citando (Totò Truffa ’62): Mo hai capito, mo?

  7. Grazie per il link, Francesco.

    Continuo peraltro a non capire di che cosa parli l’articolo di Gigi Spina. Se questo è un problema solo mio, ne sono lieto.

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017