Overbooking: Donatella Puliga
Donatella Puliga, L’ospitalità è un mito? Un cammino tra i racconti del mediterraneo e oltre, il melangolo, Genova 2010.
di Gigi Spina
«Sull’estremità nord-occidentale dell’isola di Syros, nelle Cicladi settentrionali –- mi raccontava un uomo di mare – una piccola chiesa bizantina mantiene da secoli una tradizione fuori dal tempo». Comincia così il prezioso volumetto di Donatella Puliga, vivace e originale studiosa del mondo antico nell’università di Siena, sul mito dell’ospitalità, ma per sostenere che l’ospitalità non è un mito. Comincia dal mare greco e da un rito di accoglienza, rito disinteressato, gratuito e per questo ancora più significativo. Il pope dell’isola greca fa suonare a festa le campane a ogni arrivo del ferry-boat dal Pireo. Alla fine del volumetto avremo incontrato molti racconti di ospitalità, che l’autrice affida alle voci degli autori antichi prima ancora che alle sue ricostruzioni, in giro per il Mediterraneo e per i secoli passati; ma l’idea di quella campana che, laicamente, festeggia un incontro di uomini e donne fra loro, nei confini di un luogo, rimarrà stampata nel nostro ricordo.
Alle origini dell’ospitalità, della xenía, nel tempo e nei luoghi in cui l’ospite è indicato con lo stesso termine dello straniero, le condizioni di accoglienza non prevedono luoghi e mestieri deputati (a pagamento): l’ospitalità è un valore, una pratica imprescindibile per stabilire un rapporto positivo con l’altro, dio o uomo che sia, «senza che nessun tentativo di ingorda assimilazione gli faccia violenza». Almeno un terzo del libro è dedicato a Iliade e Odissea: nei poemi epici, i racconti di xenía sono legati a viaggi, relazioni a volte pericolose, regole suscettibili di essere violate. Insomma, non tutti i personaggi del macrocosmo omerico sono buoni e ospitali, ma è della xenía e degli dèi che la proteggono, Zeus Xenios in primis, che si esalta la funzione. E anche per chi abbia una memoria solo ‘scolastica’ dei versi omerici sarà interessante rileggere episodi, e incontrare personaggi indimenticabili, sotto l’angolo visuale dell’ospitalità. Ma al di là di Omero e della sua geografia, il Mediterraneo ospita molteplici racconti di ospitalità, che Puliga, già autrice, per lo stesso editore, di Ospitare dio. Il mito di Filemone e Bauci tra Ovidio e noi, Genova 2009, dispone in un alternarsi di incroci umani e divini e, anche in questo caso, di tradimenti e di esemplarità ricompensate. Con un’attenzione particolare ai luoghi e al luogo dell’altro per eccellenza, l’isola, luogo di ospitalità non univoca, visto che, come suggerisce l’autrice, può offrire esilio e asilo. Ma il mondo antico, e il Mediterraneo con esso, non sono solo Grecia e Roma: l’ultima parte del volumetto è dedicata ad altri cammini dell’ospitalità, racconti di divinità egizie, di eroi dell’epica assiro-babilonese, di consuetudini ebraiche, fino al lontano inassimilabile della cultura mongola.
I racconti, si sa, producono conoscenza, e la conoscenza ama spesso circolare e conservarsi nelle forme brevi della sententia, del proverbio. Anche l’ospitalità conosce le forme brevi della saggezza popolare, con cui l’autrice congeda i suoi lettori: versi, proverbi, a tutto campo, di luoghi, epoche e autori i più vari. L’ultimo racconto è quello che lascia l’amaro in bocca – anche se il pope dell’isola di Syros è ancora nei nostri pensieri -: è il racconto dell’equivoco, del lapsus calami, il famoso punto per il quale Martin perse la cappa. Un segno di interpunzione disposto male, come si sa, trasformò una dichiarazione di accoglienza in una chiusura assoluta: invece di scrivere (tralascio il latino) La porta resti aperta. Non sia chiusa a nessun (uomo) onesto, scrisse: La porta non resti aperta a nessuno. Sia chiusa all’(uomo) onesto. La perfetta buona fede dell’abate Martino non ne fa certo un epigono degli ambigui oracoli greci che prevedevano spesso tutto e il contrario di tutto, per poter avere sempre ragione (come un dio prepotente), ma ci avverte, noi cittadini di oggi, che sull’ospitalità, sull’accoglienza, non si può sbagliare, neanche nella punteggiatura delle leggi.
Comments are closed.
Una segnalazione assai gradita.
Perché ha davvero del mitologico, ad ora, immaginarsi un mondo che si accresce grazie alla xenia e non tramite la xenofobia.
Sarebbe assai più confortante, poi, immaginare, accanto a questo libro di studi, un libro che racconti l’ospitalità che, ancora oggi, e quasi contro il mondo, da qualche parte ancora accade.
Un saluto!,
Antonio Coda
Un libro che dovrebbe far meditare. Xenia nel tempo che ci è padre, quando gli uomini non concepivano il valore della civiltà trasceso da quello umano, non era un’opzione, un segno di cortesia ma un precetto che distingueva la pace dal conflitto. Non si poteva imbrogliare. Offendere l’ospite (in senso attivo o passivo) equivaleva ad una dichiarazione di guerra tramandata per generazioni.I “symbola” scambiati dagli ospiti rappresentano l’immortalità dell’ospitalità, tramandata nelle storie familiari e tra generazioni come una staffetta. Nè spazio nè tempo ne usurano il valore.
La modernità inventa questo concetto di “civiltà” così ambiguo e limitato, piccolo e plastico da modellare sul verso d’ogni incrinatura che la via via storia assume . Un’idea di convivenza “leggera” (liquida?), con impegni contingenti e mutabili. Bauman, nel suo “L’arte della vita” mi pari ne sveli tutto l’inganno.