L’indivia degli scrittori – note sul nuovo supplemento letterario del Corriere
di
Francesco Forlani
Per conoscere un paese a fondo bisogna passare non giorni, mesi, ma anni nelle sue cucine, immergere la lingua nei suoi piatti, consumare le suole nei mercati rionali e condividere, con i quartieri, i generi elementari della vita, esposti come gioielli sulle bancarelle. Succede addirittura che si scoprano parole e sapori che non si conoscevano, ma solo per ammanco di cultura culinaria familiare, e così fu per me la scoperta del Poireau e dell’Endive. Ah l’indivia, Chicon, la chiamano in Belgio, e da una sua derivata vien fuori la scarola -ah la pizza di scarole!! – e la cicoria da caffé. Il caffé di cicoria è un surrogato del vero caffé, che magari può piacere, per carità, ma resta pur sempre un surrogato. Pare che lo abbia “prescritto” Napoleone per far resistere i francesi all’embargo subito tra il 1806 e il 1813. Per i nostri genitori era sinonimo di guerra, ovvero di mancanza di derrate alimentari. Diciamo che per i più il caffé di cicoria è una ciofeca. Ora, e qui arrivo al punto, se leggo un articolo- ciofeca di un noto scrittore perché generalmente leggo e passo? Perché, seppure tentato di dire, ehi “chicons” ma questa non è critica tutt’al più surrogato di critica, argomentando, mostrando, obbligandomi perfino ad assaporare quella brodazza, salvo poi regalarmi un abbonamento al caffè Mexico di Piazza Garibaldi, mi viene la wallera al pensiero, certezza che immediatamente dopo mi si risponderà che è tutta indivia, pardon invidia, la mia. Mo però, basta.
Per chi si fosse trovato fra le mani l’inserto del Corriere la Lettura avrà certamente letto due articoli che pur dandosi dignità, nell’impaginazione e presentazione, di certe imprescindibili confezioni dai nomi esotici e brillanti, Arpeggio, Livanto, Volluto, Indriya, Rosabaya, Dulsão, Fortissio Lungo, Vivalto (il tipo che si è inventato i nomi delle spaziali capsule della Nespresso è un genio!) dalle prime battute presentavano le note dolenti di una disfatta assoluta del palato.
Tralascio l’orribile articolo Abusi letterari sull’infanzia di Alessandro Piperno, articolo da proibire ai minori di 21 anni per il sequel di banalità ivi contenute e mi dedicherò a quello di Francesco Piccolo, se l’autore militante scrive invettive invece di buoni romanzi.
In sintesi,ovvero in mono dose, lo scrittore Francesco Piccolo raccomanda agli scrittori di non dedicare le proprie energie ad altro che ai propri romanzi ( ci parla dell’impegno politico, ma avrebbe potuto anche dire il disimpegno che pure richiede molte energie, per non parlare dello sport o del sesso, o delle public relations) perché il rischio è quello di non scrivere libri di qualità.
Bene. La tesi, debole, non aggiunge nulla a quanto già sappiamo e soprattutto non mi sembra mettere in discussione la sua tesi contraria secondo cui non è la quantità di tempo che si dedica a un’opera ma più sicuramente la qualità di quel tempo, come il compagno di scuderia Antonio Sparzani ha proprio da queste pagine, relativamente, in passato mostrato.
Il ragionamento dello scrittore Francesco Piccolo, fa acqua da tutte le parti, il che per un caffé, di cicoria o caffé che si dica, non è proprio il massimo. Tralascio il subdolo attacco a Scurati che apre l’articolo e mi soffermo sulla prima tesi dell’infinitamente piccolo, scrittore.
Leggiamo, infatti.
Ci sembra di essere bravi se scriviamo editoriali sarcastici contro i politici del momento, se firmiamo appelli in favore della Costituzione, se accorriamo al Teatro Valle occupato. Sia chiaro: nulla da dire su chi sente la necessità di andare in strada a protestare. Anche se tra coloro che poi devono ragionare sui giornali, mettere un po’ di distanza tra sé e i fatti, sarebbe più sensato. (…)il problema più serio è che, scendendo in piazza, formulando invettive sarcastiche, firmando innumerevoli appelli civili ed etici, noi scrittori veniamo considerati (e ci consideriamo), per questo, degli scrittori di maggior valore.
Di chi parla? A chi, mi sembra chiaro che si stia rivolgendo agli scrittori per esempio del TQ, impegnati da qualche mese in certe sacrosante lotte, da quella sull’editoria, ai tagli alle biblioteche, dal Teatro Valle occupato agli spazi pubblici. Quello che sinceramente faccio fatica a immaginare è un Lagioia o un Raimo, un Cortellessa o un Inglese, convinto che l’azione politica migliorerà la propria produzione letteraria o poetica. Apprendiamo altresì che gli scrittori siano coloro che devono “ragionare sui giornali”, in una visione della letteratura, da ragioneria delle parole che di certo farebbe rabbrividire molti romanzieri. Io, per esempio, Milan Kundera non l’ho mai visto ragionare su un giornale.
L’affondo però, nel significato Titanico di inabissamento è quando dice agli scrittori:
L’unico compito che hanno gli scrittori è quello di scrivere, o almeno cercare di scrivere, dei libri che prima loro stessi e poi gli altri giudichino — cercando di dirlo nel modo più elementare e ingenuo possibile — belli.
Ripeto, belli. Non necessari, imprescindibili, fondamentali, insomma narrazioni che abbiano un senso, la capacità di costruire mondi, di rivoluzionare linguaggi, di creare una propria “assoluta” verità. Che il Piccolo non abbia alcuna nozione dell’arte del romanzo, questo lo sapevo già, ma che non avesse in tutti questi anni nemmeno per un attimo immaginato che “la bellezza” in un’opera è l’effetto e non la causa di una costruzione di una storia, questo francamente non me lo aspettavo proprio.
Quando poi ho letto sul finale l’argomento chiave di questa argutissima e imprescindibile riflessione, mi sono detto ecco, a questo punto chiunque si renderà conto dell’attitudine truffaldina e un po’ furbetta del nostro. O no?
Valga un esempio per tutti, di uno scrittore che ho molto amato quando ero ragazzo: Antonio Tabucchi. Sono molti anni che non scrive libri significativi come i suoi primi, e sono proprio gli anni in cui la militanza civile ha preso il sopravvento.
La tesi secondo cui militanza civile e mediocrità letteraria vadano di pari passo viene qui enunciata. Poiché ho molto amato di Tabucchi, oltre ai primi libri anche uno degli ultimi, ovvero il tempo invecchia in fretta di due anni fa,sono andato su wikipedia e ho copiato la bibliografia del nostro riproducendola qui e mettendo in grassetto tutti i titoli scritti a partire dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi tra l’ottobre del ’93 e il gennaio del ’94 coincisa, secondo il Piccolo con l’ “engagement politique” del nostro.
Opere
Piazza d’Italia (prima edizione, Bompiani, 1975 – Feltrinelli, 1993)
Il piccolo naviglio (Mondadori, 1978)
Il gioco del rovescio e altri racconti (prima edizione, Il Saggiatore, 1981 – Feltrinelli, 1988)
Donna di Porto Pim (Sellerio, 1983)
Notturno indiano (Sellerio, 1984)
Piccoli equivoci senza importanza (Feltrinelli, 1985)
Il filo dell’orizzonte (Feltrinelli, 1986)
I volatili del Beato Angelico (Sellerio, 1987)
Pessoana mínima (Imprensa Nacional, Lisbona, 1987)
I dialoghi mancati (Feltrinelli, 1988)
Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa (Feltrinelli, 1990)
L’angelo nero (Feltrinelli, 1991)
Sogni di sogni (Sellerio, 1992)
Requiem (Feltrinelli, 1992)
Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa (Sellerio, 1994)
Sostiene Pereira. Una testimonianza (Feltrinelli, 1994)
Dove va il romanzo (Omicron, 1995)
Carlos Gumpert, Conversaciones con Antonio Tabucchi (Editorial Anagrama, Barcelona, 1995)
La testa perduta di Damasceno Monteiro (Feltrinelli, 1997)
Marconi, se ben mi ricordo (Edizioni Eri, 1997)
L’Automobile, la Nostalgie et l’Infini (Seuil, Parigi, 1998)
La gastrite di Platone (Sellerio, 1998)
Gli Zingari e il Rinascimento (Feltrinelli, 1999)
Ena poukamiso gemato likedes (Una camicia piena di macchie. Conversazioni di A.T. con Anteos Chrysostomidis, Agra, Atene, 1999)
Si sta facendo sempre più tardi. Romanzo in forma di lettere (Feltrinelli, 2001)
Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori (Feltrinelli, 2003)
Brescia piazza della Loggia 28 maggio 1974-2004 (D’Elia Gianni; Tabucchi Antonio; Zorio Gilberto, Associazione Ediz. L’Obliquo, 2004)
Tristano muore. Una vita (Feltrinelli, 2004)
Racconti (Feltrinelli, 2005)
L’oca al passo (Feltrinelli, 2006)
Il tempo invecchia in fretta (Feltrinelli, 2009)
Viaggi e altri viaggi (Feltrinelli, 2010)
Racconti con figure (Sellerio, 2011)
A ben vedere e restando al paradigma introdotto dal Piccolo, ci rendiamo conto di come la militanza letteraria di Tabucchi abbia generato capolavori come “Sostiene Pereira” o come leggiamo in wikipedia, Si sta facendo sempre più tardi, un romanzo epistolare. Diciassette lettere che celebrano il trionfo della parola, che come «messaggi nella bottiglia», non hanno destinatario, sono missive che l’autore ha indirizzato «a un fermo posta sconosciuto». Per questo libro gli viene attribuito nel 2002 il premio France Culture
Se restassimo dunque al paradigma del Piccolo, il che equivarrebbe a dire che il caffé di cicoria è molto più gustoso di un caffé servito dal professore, in Piazza Trieste e Trento, ci verrebbe da suggerire agli scrittori di mollare i corsi di scrittura creativa, annullare la propria iscrizione alla Holden o chi per essa e recarsi nel primo mercatino delle pulci a portata di mano per acquistare un Eskimo con cui lanciarsi nelle piazze edittatoriali d’Italia. Ma così non è, quel paradigma è un insulto alla intelligenza e alla sensibilità di chiunque, converrete no? Allora, tanto meglio andare al mercato, quello sì, per esempio Porta Palazzo a Torino e scegliere le più bianche indivie che vi capitino a tiro perché l’ingrediente vale. Ah l’indivia, l’indivia.
Per una storia dell’Indivia.
La légende veut que ce légume fut « inventé » vers 1830 dans la vallée Josaphat à Schaerbeek. On l’attribue parfois à un paysan qui aurait voulu dissimuler sa récolte dans une cave obscure, durant la période troublée au cours de laquelle la Belgique a conquis son indépendance. Ce fut en tous cas le jardinier en chef du jardin botanique de Bruxelles, Franciscus Bresiers, qui en systématisa le forçage en cultivant la racine de chicorée l’hiver, à l’abri de la lumière et du gel. Des feuilles blanches se développent alors, qui justifient son nom flamand de witloof (feuille blanche). Ce légume d’hiver connut un succès rapide en Belgique sous le nom de chicon (mot dérivé de cichorium), succès qui contamina les pays voisins surtout après la Seconde Guerre mondiale.
Post scriptum di uno scrittore pre-postumo
A proposito di invidia e letteratura. Un amico mi raccontò un aneddoto. A Piedimonte Matese c’era un tipo denominato barone. Non per i natali nobili ma per la dedizione al vino rosso, autrement dit, barolo che non si faceva mai mancare. Così un giorno, attraversando la piazza si sentì da un tavolo: Barò ssì daltonico! Al che lui rispose: ssì bello tu! Ecco questo aneddoto mi serve a spiegare una cosetta che un po’ mi sta sui coglioni. Quando sollecitato da scrittori come Franco Arminio a pubblicare cose sue su nazione Indiana o addirittura a scrivere di esse, rispondo che secondo me quelle cose non valgono e che preferisco occuparmi di altri autori, mi si risponde che non lo faccio perché sono invidioso. Io non invidio nessuno né annovero tra le mie ambizioni quella di essere invidiato. Al contrario di Arminio e di altri vivo con grande gioia l’altrui successo quando è meritato e se posso spero di contribuire a quello con il poco che ho a disposizione, così come ho fatto con le mie riviste e in luoghi come NI. Ecco.
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Su “La Lettura” o sull’ultimo “Alias” Daniele Giglioli sosteneva che “Arminio piace a tutti”, e ho visto che oggi Gilda Policastro in un’intervista su “le parole e le cose” ribadiva lo stesso concetto. Che abbiano un’idea del “tutti” un po’ parziale?
Sergione caro non solo hanno un’idea del tutti un po’ per pochi, ma soprattutto guai ad essere i pochi (veri) effeffe
ciao Forlani
e grazie
sempre
c.
pensava a quando io diceva, in tempi de gloria, che non me piaceva. però!
ciao effeffe, so’ cose e pazze
epperò c’è da riflettere su come l’invidia, così come *endovenata* dal merda, abbia fatto grandi danni, che me sa patiremo ancora per molto.
besos
Pur tra mille banalità, Piccolo cerca di mettere in evidenza una cosa: gli scrittori “impegnati” hanno stufato. Sono d’accordo.
Non per le loro lotte, parlo proprio a livello di narrativa: un conto è Saviano, la cui opera è del tutto permeata dalla realtà che lo circonda. Ma gli altri?
Vorrei menzionare il vecchio Bill Burroughs autore indefinibile e innovativo: molte delle sue opere sono di “fantascienza” eppure di cosa trattano? trattano dell’uomo e della realtà che lo circonda.
Ecco, con questo pretesto di “impegno”, gli scrittori italiani mi sembra abbiano smarrito la capacità di trascendere, riducendosi a meri scrittori d’inchiesta. Saluti
Stufato? Di indivia
,
Fate sciogliere 30 g di burro in una pirofila, rosolatevi lo scalogno tagliato a brunoise, infine cospargetelo con lo zucchero.
Insaporite l’indivia con sale e pepe, fatela rosolare brevemente nel burro, quindi bagnatela con il succo di limone e il vino bianco.
Fate ridurre il liquido per qualche minuto, quindi versate nella pirofila anche il brodo di pollo.
Cospargete la verdura con qualche fiocchetto di burro e chiudete il recipiente con un foglio di stagnola.
Fate cuocere la verdura nel forno a 180 gradi per circa 20 minuti.
Nel frattempo pelate il pomodoro e tagliatelo a dadini.
Quando l’indivia è cotta, toglietela dalla pirofila ed eliminate il torsolo.
Passate al setaccio il fondo di cottura, incorporatevi il resto del burro, freddo e a pezzetti, mescolatevi il pomodoro e il prezzemolo tritato e versate la salsina ottenuta sopra la verdura.
Si può sapere chi sono “gli altri” scrittori impegnati? Quali libri hanno prodotto dove “il loro impegno” è tema del tomo?
E se lo scrittore deve stare a casa a scrivere e di conseguenza l’operaio a operare e l’impiegato a impiegare, chi è che deve “impegnarsi”?
Oppure operaio, impiegato e scrittore sono cittadini e di conseguenza col diritto di combattere, per chi lo vuole, le loro battaglie di cittadinanza?
Francesco, questo pezzo è semplicemente fenomenale, ovvero come uno scrittore, anche non scrivendo della narrativa, possa mostrare una scrittura Sua ed estremamente godibile, non so se mi spiego, ma se non prendilo come un complimento.
Hasta la victoria
Ottavio
Ecco signor Forlani, con la sua risposta ha criticato il mio commento “trascendendo”, che era il concetto che intedevo esprimere. Così dovrebbe fare uno scrittore. Arisaluti
il compagno di scuderia ringrazia per la citazione, nella certezza che Planck e Einstein, passeggiando piacevolmente ormai da tempo nei campi Elisii, sorridano amabilmente di tutti i Piccolo di quaggiù, di cui non giunge loro che un’eco sfumata e lontana.
Poi dice che uno non compra il Corriere. A me Arminio piace ma non è questo il punto. Mi piace molto effeffe ma nemmeno questo è il punto. Il punto è che Piccolo ha scritto delle minchiobanalità mascherate da perle di saggezza. Concordo con Biondillo, l’impegno viene (o dovrebbe venir) prima, sta con l’uomo. Prima che questo sia scrittore, salumiere, operaio, impiegato. E me lo vedo Piccolo che scrive: Caro macellaio, lei da quando va a occupare i teatri, a manifestare in piazza, non riesce più a tagliare il filetto come si deve. Cose così.
bell’articolo. ciao
Il titolo più giusto del pezzo sarebbe stato “Nuove storie, vecchie polemiche”.
Cercando però di mettere da parte l’invidia, direi che il tema dell’esposizione mediatica dello scrittore (che non coincide per forza con il suo impegno) meriterebbe un bel dibattito…
a proposito di esposizione:
“l’indivia sviluppa una rosetta di foglie assai increspate le quali formano un cespo piuttosto lasso. La varietà belga, Endivia Belga, si presenta a forma di grosso sigaro color crema perché fatta crescere al buio; questa tecnica consente alle foglie di rimanere bianche e più dolci al palato. La pianta predilige terreni molto fertili, sciolti e ricchi di sostanza organica.
effeffe
@effeffe: non oso chiedere la natura della sostanza organica.
Insomma, opterei per l’indivia agrodolce, che è facile facile :-)
Tempo di preparazione: 50m
Difficoltà: Facile
Ingredienti: dosi per 4 persone
1kg di indivia
1 limone
1 arancia
1 cucchiaio di zucchero
1 bicchiere d’acqua
Burro
Sale
Pepe
Preparazione
1. Tagliate l’indivia in 4 parti.
2. Fatela insaporire in una pentola con il burro.
3. Aggiungete il succo di limone e di arancia, l’acqua, lo zucchero, un pizzico di sale e pepe e lasciate cuocere per 40 minuti.
fabrizio
indivinato!
detto questo va comunque ribadito che il mio omonimo nonché compaesano fa reggere tutto il suo impianto teorico su una cavolata, tanto per restare a Bruxelles. Chiaro, adesso?
effeffe
Simone, sulla questione zucchero (vd agrodolce)
Dans beaucoup de recettes, on conseille d’atténuer l’amertume de l’endive par un évidement conique à sa base et par l’adjonction de sucre. Ce conseil fait bondir les puristes qui assurent que c’est précisément cette amertume qui fait tout l’intérêt de l’endive. Quant au sucre, il ne peut en aucun cas corriger l’amertume ou l’acidité d’un mets puisque ses récepteurs gustatifs sont spécifiques (du moins il les masque en partie).
per i non francofoni si dice qui che l’aggiunta di zucchero fa zompare dalle sedie i puristi come gli analitici al circolo di Vienna quando qualcuno utilizzava la parola metafisica, perché è proprio quell’amarezza che fa dell’indivia qualcosa d’interessante.
effeffe
Mi arrendo, ho tentato il colpo gobbo (detto anche cardo, che in quanto ad amarezza è imbattibile, tiè).
chiunque accusi forlani d’essere invidioso mostra davvero poca dimistichezza col carattere umano
L’unico compito che hanno gli scrittori è quello di scrivere, o almeno cercare di scrivere, dei libri che prima loro stessi e poi gli altri giudichino — cercando di dirlo nel modo più elementare e ingenuo possibile — belli.
da lettrice e da professionista: piccolo ha una sacrosanta ragione.
Operazione di marketing geniale, quella di Baricco, che pure scrive bene e con profitto ma è scarsamente impegnato (e io preferisco di gran lunga Tabucchi!)…Dunque, Baricco si sveglia un bel mattino, si guarda allo specchio, si trova figo ma un po’ scarso quanto a soldi: sai che c’è, si dice, mi faccio fare una gran foto da mettere in copertina sul venerdì poi vado da Fazio a dire che mi sono scocciato di scrivere, che ho il blocco dello scrittore, ma sì scrivere è una gran seccatura e poi che mestiere è? L’intervista suscita molto scalpore nelle redazioni dei giornali, tutti intimoriti i giornalisti culturali dal successo del domenicale del Sole24 ore e dai siti letterari come questo…Fioccano le telefonate: dai Baricco quanto vuoi per scrivere per noi? Lui esita, si fa un po’ di conti, tergiversa, è di Repubblica sì ma lo vogliono in tanti, vabbè Ezio Mauro vince l’asta. Un bel contratto annuale per recensire i libri…quelli nuovi? Ma no, troppa fatica, piuttosto sapete che c’è? Ho traslocato da dieci anni da Torino a Roma e nella nuova casa ho acquistato altri libri: bene, recensirò quelli, da dove comincio? Dalla biografia di Agassi? Agassi chi? Il tennista dei tempi in cui ero giovane, quello che sposò la Brooks o come si chiamava…ah boh, tanto il contratto è fatto, è pure bello oneroso, e fatica zero, perché i libri li recensivo per mio conto man mano che li leggevo ah ah fregati tutti. E bravo ba—ricco! Ricco bah!
da lettrice e da professionista: piccolo ha una sacrosanta ragione.
concordo con paolab.
e credo che quel “belli” stesse proprio a significare imprescindibili, fondamentali ecc. sia ben chiaro: a me i libri di francesco piccolo non piacciono, quindi non sono qui a tifare per l’uno o per l’altro. ma ha dato voce a una cosa in cui credo fermamente: la letteratura deve essere bella, intendendo, con “bella”, imprescindibile, fondamentale ecc.
si può scendere in piazza (fisicamente e metaforicamente) ed essere bravi scrittori? certo. non so quanto sia lecito cercare una legittimazione letteraria in quel luogo, ma questo è un quesito mio e lo tengo un po’ a macerare senza lanciare anatemi.
infine: gentile signor forlani, io non la conosco, mi è capitato soltanto di leggerla qua e là nella rete e di ascoltarla a qualche presentazione, non so neanche cosa leghi lei e il signor arminio; so, però, che la chiusa del suo pezzo mi ha fatto rabbrividire. forse mi sono persa qualche passaggio? il signor arminio ha forse scritto o detto pubblicamente che lei è invidioso? se così fosse, abbasserei la testa, le chiederei scusa e mi taccerei; ma se così non fosse, le direi che trovo avvilente utilizzare questo luogo per un messaggio del genere. senza entrare nel merito, solo nel metodo.
Allora ho fatto bene a non comprare il Corsera domenica. Ero tentato, per curiosità, ma ho resistito: non m’andava di regalare le mie monete ai boiardi di regime (che con la trovata del supplemento domenicale hanno scoperto l’acqua calda).
http://www.sirigu.it/nietzsche/zarathustra/passareoltre.htmv
Ovvero: facile prendersela con un supplemento letterario del Corriere della sera. Il nome è garanzia di scarsa serietà, servilismo all’ideologia tecnocratica altresì detta “terzismo”, argomentare inconsistente.
Manco per incartare i carciofi serve, il Corriere.
Non a questa gente si dovrebbe rivolgere uno scrittore che ambisse davvero a ragionamenti sensati e fini sul proprio agire e sullo statuto del suo presunto ruolo nel mondo.
Il fatto è che a questo vuoto se ne tende a contrapporre un altro, e per quel che mi riguarda contesto l’impegno di certi scrittori e la qualità delle loro opere.
Per dirne uno, visto che è stato citato: Scurati, che va a fare il soprammobile intellettuale alla ridicola pagliacciata del pupazzo Renzi; scrittore di un libro patetico come “La letteratura dell’inesperienza”, libro basato su presupposti falsi e portato avanti con argomentazioni ridicole e mai esenti dal luogo comune giornalistico, soprattutto, votato a una palese quanto inefficace autogiustificazione di scelte proprie, cammuffata da esercizio critico.
Se contrapponiamo al “disimpegno intellettuale” del Corriere un impegno intellettuale “da Repubblica”, siamo nello stesso pozzo di banalità, inconsistenza argomentativa, incapacità di rappresentare quel ruolo di “intellettuale” che si vorrebbe riportare in auge fuori tempo massimo (e un bel giorno sarà il caso di tirare giù dal piedistallo i Pasolini e gli Sciascia, che di quel ruolo sono il modello).
Su, passiamo oltre.
Cercate di dare risposte a chi con argomentazioni ben più fondate ha attaccato una certa intellettualità di sinistra e il suo autocompiacimento nel crogiolarsi in presunte battaglie a difesa di qualcosa.
L’accusa di essere invidiosi è stata rivolta a molti detrattori di Saviano, per fare giusto un esempio, riguardante un altro autore citato, questa volta nei commenti.
Amen (aggiustiando alcune virgole)
Dico che il pezzo di Piccolo è “bello” perché è “semplice e ingenuo” (come dice lui, e come lui sa fare) ed elementare (dico io), perciò efficace. Quello che risponde lei , Effeffe (risponde? Perchè risponde?), non è né bello (senza stile, maleducato) né elementare (a quell’età si impara già ad essere democratici e non demagogici, meno che meno retorici, uff che noia) e l’unico effetto che produce (il suo commento, magari poi lei è una persona deliziosa e adorabile) è quello di provare la ricettina sull’indivia. Che poi magari non è altro che semplice INVIDIA
da lettrice e da professionista, nel suo piccolo lei ha terribilmente torto. Curiosità, cosa fa nella vita ? l’estetista?
effeffe
Stefano, la dimisticanza?
effeffe
gentile Rachele, pazienza!
effeffe
prima di andare a nanna vorrei che mi dicessero Paola m, Paola b e Rachele chiaro e tondo che i libri di Antonio Tabucchi dal ’94 in poi hanno smesso di essere belli, così come viene detto Francesco Piccolo. Perché qualora non lo pensassero, io mi chiedo se la questione della verità di una asserzione sia un aspetto del tutto secondario, in una riflessione quando questa riesce ad essere “semplice e ingenua” elementare perciò efficace ecc ecc
effeffe
Staordinario pezzo Francesco! e hai proprio ragione su tutto: cucina-nucleo della terra, caffè-cicoria-ciofeca articolo-ciofeca…bellezza-effetto. Non entro nel merito sul riferimento a Franco Arminio, ma so bene che chi ti conosce sa che se c’è una persona allergica all’invidia (non all’indivia) quella sei tu. Comunque non mi stupisce ciò che viene pubblicato sugli inserti del Corriere, ci ho trovato di peggio! Modestamente io di Francesco Piccolo non ho letto nulla perchè non mi hanno attirato i suoi libri e a questo punto credo non di aver perso granchè, invece ho letto i libri di Tabucchi e li trovo belli (dei più recenti in particolare “Il tempo invecchia in fretta”). Un consiglio, effeffe: passa ai crudités!!
monica
e data l’ora tarda dimenticavo la cosa più importante: grazie per la tua sincerità e la tua onestà intellettuale Francesco!
La superficialita del pezzo di Piperno è agghiacciante. L’avesso scritto io, mi sarei tremendamente vergognata a vederlo pubblicato.
Anche io mi sono domandata a quali scrittori si riferisse Piccolo, e perchè mai scrivere un pezzo così vuoto di serie argomentazioni e specifici rimandi, con che finalità. E poi mi sono chiesta che senso dia lui al suo essere scrittore o, ancor prima, persone di questo mondo. E poi, cosa significa “scrivere libri belli”? Sarò lenta, ma non ho proprio capito il perchè di tutto.
Nel caso di Franco Arminio non credo che sia invidia- ma sempre l’ecco della solitudine- quando la voce si perde nelle colline- nella sera di un paese
dove la lingua si è addormentata sotto la neve- credo che il poeta Franco Arminio abbia il desiderio di nominare la lingua del suo paese- di svegliare questa lingua dal sonno, dal gelo.
Ma la grande parte del tuo testo è straordinario, nel paragone del caffè,
della chicorée- l’invidia per me è una vodka cupa- dentro brucia- contro
un cuore ammalato- Non è propio bello- ma è cosi.
Buongiorno Effeffe, ieri sera sono andata a nanna prima di lei e così le rispondo adesso, sperando di leggere anche la risposta di Paola b alla quale ha dato dell’ estetista. Sta qui il punto (e senza togliere nulla alle estetiste): lei può anche dire cose condivisibili ma lo dice in un modo talmente avvelenato (se non è indivia sarà cicoria) che non stimola quei ragionamenti dei quali lei, intellettuale, dovrebbe tener conto. Sono d’accordo con Francesco (quell’altro) perchè di buona letteratura se ne parla tanto e se ne fa poca. Questione di stile, non conta solo ciò che si dice ma anche, e soprattutto, come lo si dice. Il suo tono, nel pezzo e nei commenti, è così malsano che non viene voglia di fermarsi a fare un’analisi ragionata. Eppure voglio dirle che, aldilà dei commenti e al netto dei sentimenti (di ostilità, sua) che mi muovono a risponderle, il compito di uno scrittore è di guardare alla realtà con attenzione, metodo, costanza e di restituirci lo sguardo attraverso proprio quei libri belli di cui parlava Piccolo. Libri belli e liberi. Liberi da appartenenze politiche e da padroni. Questione di credibilità, la credibilità rende chiaro da subito l’approccio tra scrittore e lettore. È quello che purtroppo le manca, Francesco, perchè è troppo arrabbiato a demolire più che a costruire.
Ps e per quel che riguarda Tabucchi: la democrazia non è uno stato di perfezione, è certo, ma l’analisi che ne ha fatto sui libri è di lunga migliore delle invettive sui quotidiani. Secondo me. Democraticamente, secondo me.
signor (? solo per educazione, ma ne dubito) effe effe,
perché un’estetista non potrebbe ragionare meglio del suo sproloquio? Mi sembra uscito da una trasmissione delle De Filippi, spero che almeno questo le dia lo stesso audience – lo stile già c’è
Io penso che, quando il “dibattito” culturale sui quotidiani è gestito da una casta (non diversa da quella politica) che promulga sommessi diktat — dolci nei modi ma diktat nella sostanza — su come dev’essere la società letteraria (ammesso che possa sopravvivere ancora per molto), diventa difficile esprimersi nel merito senza metterci un certo pathos. Se si possono esprimere gli “indignados” nelle loro forme, mi sembra che poter dire qualcosa su questo argomento a modo proprio sia il minimo sindacale.
con i doverosi distinguo quando penso al corriere mi tornano in mente,forse a sproposito,le parole di david buxton:
“il muzak è la riduzione della musica alla pura forma,nella quale la musica diviene espressione di se stessa.Noi lo conosciamo in quanto groviglio di suoni che ci circondano nei supermercati,in stazioni della metropolitana,gli aeroporti,gli uffici,le sale d’attesa.Il muzak propriamente detto apparve durante la prima guerra mondiale quando un certo generale squires ebbe la brillante idea di far trasmettere dei motivi musicali nelle trincee attraverso cavi telefonici al fine di calmanre i nervi dei soldati.L’idea fu ripresa dopo la guerra da un dirigente pubblicitario,william benton,che utilizzò le linee telefoniche per far penetrare la musica nei ristoranti.Il muzak si sviluppò in modo particolare durante la seconda guerra mondiale,allorchè se ne fece uso in tutte le fabbriche d’armi in inghilterra per stimolare la produzione”
e quelle del duo Castaldo -assante tese a implmentera il concetto:
“il muzak moderno è in realtà più ricco e più complesso,non è solo la msica che qualcuno sceglie per riempire alcuni ambienti lavorativi,di shopping o di svago,ma è piuttosto,attraverso la radio,la filodiffusione e,in anni recenti,la televisione,una sorta di costante colonna sonora che accompagna ogni momento della giornata”
http://bootlegisresistance.free.fr/bootwards2/24-ToToM-Police_Rolling_over_Stone_Britney.mp3
[…] articoli di opinione trovassero la critica che, non si può non dirlo, meritano; il primo è stato Francesco Forlani su Nazione Indiana. E non c’era neanche pericolo che, trattandosi di un inserto domenicale, “La Lettura” si […]
NI e le ricette…perchè in ogni scrittore c’è un cuore da casalinga che batte
un solo appunto
troppo burro per questa indivia
Francesca, maestro e margarina!
PaolaM
sullo stile e sull’ostilità potremmo parlarne quando vuole ma dubito che ci troveremmo d’accordo. lei non risponde alla mia domanda, diciamo tecnica, e io non ho voglia di convincerla. Mi manca il desiderio di farlo. Ma vedo che manca anche a lei quel desiderio, dunque, ne faremmo a meno.
effeffe
ps
due osservazioni però.
la prima è che se Francesco Piccolo avesse sostituito a Tabucchi il regista Nanni Moretti probabilmente mi sarei trovato d’accordo con lui.
La seconda, sullo stile che secondo lei deve fondarsi sul pentapartito della banalizzazione del reale, ovvero “bello” , “semplice , ingenuo” ,elementare, efficace le ricordo come tale diktat fu uno dei cavalli di battaglia del Cavaliere, che basava tutta la sua comunicazione politica su questa grammatica del nulla.
al di là della questione politica le ricordo che in letteratura si può pensarla assai diversamente da lei, e non necessariamente a torto. effeffe
PaolaM
rileggendo con attenzione il suo ultimo commento credo di aver individuato la risposta.Lei scrive:
la democrazia non è uno stato di perfezione, è certo, ma l’analisi che ne ha fatto sui libri è di lunga migliore delle invettive sui quotidiani.
Le ricordo che la tesi di Francesco Piccolo è che :
Sono molti anni che non scrive libri significativi come i suoi primi, e sono proprio gli anni in cui la militanza civile ha preso il sopravvento.
Dunque se ho ben capito lei non è d’accordo con questa tesi?
effeffe
caro Gian Paolo, signori si nasce, come lei ben sa, ma guai a sentirsi titolari delle anagrafi di tutto il mondo. Detto questo mi occorre precisare che la mia domanda alla commentatrice Paola lungi dall’essere una “presa in giro” della corporazione in questione aveva, secondo me, un evidente intento retorico.
La commentatrice Paola scrive alla fine del suo commento :
da lettrice e da professionista: piccolo ha una sacrosanta ragione.
al che ho risposto:
da lettrice e da professionista, nel suo piccolo lei ha terribilmente torto. Curiosità, cosa fa nella vita ? l’estetista?
Lettrice e professionista (del bello, metterei tra parentesi)
Qualcuno, Paola sarebbe la persona giusta, può spiegarmi il perché di quella precisazione? Si dice professionista, bene, ma di cosa. Immagino che voglia dire che lei è pagata come lettrice, ma potrebbe essere come lavoratrice della conoscenza, perfetto. Il che significa che, per esempio, se Moccia che è un professionista molto accreditato visto che i benefici della sua professionalità sono di gran lunga superiori ai miei e ai suoi (di paola) messi insieme, ci dicesse che scrivere libri che non siano “belli” , “semplici , ingenui” ,elementari, efficaci, è da idioti (insomma roba alla Dostò per intenderci) dovremmo rimanere muti (al cor muto) e mazziati.
effeffe
ps
ribadisco con questo commento la mia totale ammirazione per le estetiste (e gli estetisti) sicuramente in grado di cogliere il bello e il sublime più di tanti esteti in circolazione, anche qui tra queste pagine.
ottimo! opterei anche per incartare il pesce con l’inserto patinato nel quale si parlerà sicuramente di libri belli e quindi inutili!!
in questo mondo fatto di rumori,link,hype,tifosi,ogni gesto”eroico” può essere tradotto e tradubicile da una campagna stampa o di marketing.il molto dimeticabile manifesto dei tq o altro.ecco un vantaggio indiretto della propria militanza.e basta poi solo rilanciare un “gesto” per vedere talora effetti anche potenti sui media generalisti.esempio,debbie serracchiani,pupilla egregiamente prodotta e sostenuta qualche anno fa.
http://youtu.be/QNTOQYDrLLI
Senta Effeffe, posso anche capire che io sono una che i libri non li scrive (e lei?) e che con le parole non ci campa (semmai faccio campare) ma non credo di apprezzare certi escamotages dalla nostra conversazione. Primo punto. Nessuno, nè io nè tanto meno Piccolo ha detto che i libri, per essere belli, devono essere semplici e ingenui. Devo dirglielo io che “elementare e ingenuo” (aggettivi) si riferivano al “modo di dirlo” e non al libro? Converrà con me che le conviene ammettere di aver giocato sporco piuttosto di ammettere di aver frainteso l’italiano. Sorvolo sul suo accostamento a Mr B, forzato e demagogico da vecchia sinistra (forzato e demagogico si riferisce all’accostamento). Secondo punto. La democrazia non è uno stato di perfezione, l’ha detto il suo Tabucchi, mica io. L’ha detto sottolineando che la missione di ogni scrittore è di instillare i dubbi per la perfezione, perchè la percezione genera ideologie, dittatori di idee totalitaristiche. Quello che ho detto io è che questa sua missione gli veniva meglio sui libri piuttosto che sui fondi di giornale. Secondo me, ho aggiunto. Quindi vede, ammetto che sono una di quelleche associa Tabucchi all’antiberlusconismo (e alla sinistra all’opposizione, che è tutto un dire). Ha mai dato una possibilità a questa analisi? L’ha mai data veramente dico? Perchè sa
Ps. Mi conceda un terzo punto, più intimo. Mi dispiace un po’ per questa nostra conversazione perchè sì, insomma, mi sento contagiata dalla sua ostilità e non riesco a dirle altro come invece avrei voluto. Con il mio stile, intendo.
Ops…è partito il messaggio accidentalmente, dal telefono. Dicevo, perchè quando ha scritto quel “infinitamente piccolo, scrittore” lei è passato di diritto dalla parte dei cattivi, di quelli pieni di livore, e per questo tutto ciò che ha pensato (di scrivere) dopo, ha perso di credibilità. Perlomeno ai miei occhi (adesso mi dica almeno che dormirà lo stesso, le sto facendo un assist!).
PaolaM
le assicuro che trovo più cattivo, livoroso tentare di demolire metà vita letteraria di uno scrittore (questo fa Piccolo con Tabucchi e mi permetta, in modo tanto più subdolo quanto “leggero” e poco credibile) che non mostrare, come ho tentato di fare (riuscendoci? Solo in parte? magari un po’?) la superficialità di certi interventi. Una superficialità, converrà, quanto meno irricevibile sulle pagine di un supplemento, per altri versi abbastanza interessante come quello del Corriere. Le assicuro che concedo una percentuale molto bassa delle mie energie alla critica distruttiva e non le nascondo che a me per primo duole fare la parte di colui che indica la nudità del re. Lei come altri, probabilmente la maggioranza crede che invece quello sia vestito (parlo dell’articolo, evidentemente) allora io non so cosa aggiungere ma mi creda (e perfino questo lei che ci portiamo dietro come un’armatura in questo scambio mi procura disagio) sono sicuro che su un altro tono, ma magari anche in un altro contesto si potrebbe ragionare insieme, magari non sui giornali.
effeffe
Posso dirti un’ultima cosa? Mi è venuta adesso in mente una frase che mi ripete sempre un mio amico. Mi ricorda che non sempre i nostri sogni (in questo caso direi le intenzioni) sono migliori di noi. Tantomeno certi modi con cui li perseguiamo, dico io. Continuo a pensare che il tuo articolo sia vestito, soprattutto adesso che ti so in grado di essere nudo come in questo commento. Intanto abbiamo guadagnato il tu, e tolto le corazze ingombranti, il resto si vedrà, Francesco.
PaolaM
se puoi leggi il post sempre qui su NI, che segue questo, ma non per me, ti assicuro, ma per un’idea della letteratura che vola alto, deve volare alto perché nessun risentimento o mediocre visione possa alterarne il profumo, vanificarne la fatica, il senso.
effeffe
Secondo me, le polemiche tra correnti artistiche sono sensate se a (s)battersi sono gli artisti. Qui, senz’offesa per nessuno, di artistico vedo solo l’ombra della vecchia diatriba tra immaginifici e realifici, un simulacro agonizzante e cabarettaro di quando il magico cartoonesco Manganelli appiccava il palazzo realistico di Moravia giocando al drago verde sputafoco.
Poi, sinceramente, i realifìci pensano davvero che porre il problema sociale d’attualità al centro della rappresentazione, come tema dominante d’un’opera, voglia dire lottare (artisticamente) politicamente? Secondo me, è molto più politico, per tornare a bomba, Manganelli di Saviano, o lo stesso Giuseppe Montesano… nella loro lingua si trovano cariche esplose e cariche inesplose, idee e obliqui sensi, che possono deviare, risondare l’ordine ufficializzato, il “teatro di regia”, il Potere, perché sanno come espellerlo, anche se momentaneamente, per il tempo prima d’esserne ringhiottiti; anche il penultimo Celati, il taglientissimo narratore delle pianure, deturpa e sgorbia con intelligenza e freddezza alcuni domini dell’establishment, culturale e no.
Dove sono queste espulsioni in Scurati? In Saviano? Nei TQ?
Il livello di questa polemica è talmente basso per via dei suoi attori compassati che sembra quasi di orecchiare il deserto dell’ovest gracidare contro il deserto dell’est, e poi rimbalzi a gogò, fino allo spengimento dei ventilatori…
Se né da ovest né da est arriva arte, ma solo urlacci di ranocchi, dove sta il fronteggiamento? infatti il discorso scende, dalle cose scritte (poche e malscritte), alle persone che scrivano… e allora si può benissimo buttar dentro tutto, livore e livorno, invidia e malocchio…
Ps: ad Arminio l’ho spernacchiato un po’ in occasione di un suo pezzetto svogliato, non piace nemmeno a me come scrive (però io non sono incluso nelle liste della Policastro), né le sue posature da scrittore, però pure tu Forlani, se c’avevi il pepe in quelle zone potevi dirlo subito, magari direttamente all’indolente disarmato Arminio.
[…] Piccolo su la Lettura del Corriere. Io leggo sempre Nazione indiana e sentite un po’ Francesco Forlani. Su Tabucchi la penso supinamente come lui. Share this:TwitterFacebookLike this:LikeBe the first to […]
Dinamo caro
con passo leggero si può arrivare molto lontano. tu non conosci le virtù dell’Indivia ma ti assicuro che è roba potente quanto una peperonata
effeffe
@dinamo
“Arminio l’ho spernacchiato un po’ in occasione di un suo pezzetto svogliato, non piace nemmeno a me come scrive”
a scanso di equivoci: a me arminio piace molto. credo sia uno dei migliori in giro. replicando all’intervento di forlani che diceva di non aver apprezzato un suo pezzo volevo solo segnalare quanto l’espressione “piace a tutti” (e “mette d’accordo tutti” ecc) fosse falsa e tronfia. a proposito dell’articolo di piccolo, sul quale avevo glissato, preciso che in generale mi trova d’accordo, soprattutto se indirizzato a quegli autori che fanno vanto del proprio impegno. a scuola da piccoli eravamo tutti tipi intelligenti che non s’impegnano, in letteratura di solito succede il contrario.
@Sergio
Arminio ha delle pose nocive per sé stesso e soprattutto per la sua scrittura. Quello che ho letto di lui non mi ha colpito, tutto qui, anche se io ho potuto leggerlo solo nelle misere porzioni che un sito lettero-sociologico può emettere per non diventare indecente; magari in una metratura romanzesca, Arminio cuba.
D’accordo con te che sei d’accordo con Piccolo, l’impegno può fungere da brillantina sui capelli dei pennaiuoli. Ma oltre questo punto Piccolo non va, bisogna dire soprattutto così, sennò siamo davvero nella buca degli odi e delle invidie.
Piccolo non mette in dubbio le modalità dell’impegno artistico. Siamo sempre lì, Sergio, e non capisco sinceramente la laconicità di Forlani che non risponde. Discutiamo di questo, non degli uffici di collocamento artistico che è scontato siano luoghi di squallore ominide .
Per essere valido l’impegno deve essere artistico prima di tutto e mobile, oscillante, perché il linguaggio del potere è sempre in ridefinizione, è quello dei nostri scrittori che s’è bloccato a decenni fa. Il potere, con questi engagé, può sonnecchiare. Questo è il paradosso. Non basta, lo ripeto, mettere a bersaglio un problema, di solito marginale e sfocato, come tema per fare gli impegnati. Bisogna impegnarsi a disturbare, non bisogna impegnarsi per essere impegnati.
@ Sergio e Dinamo
a scanso di equivoci.
In passato ho apprezzato la ricerca di Arminio al punto di averlo pubblicato su nazione Indiana e su Sud. L’ho apprezzato fino a quando, più o meno un paio d’anni fa non ho constatato come la sua ricerca fosse rimasta al palo e l’opera irretita in una sorta di autoreferenzialità poetica vuota sia di energia che di visionarietà. In una cecità che gli impediva ormai di vedere perfino le cose più evidenti come ho potuto fargli notare in occasione di alcuni suoi reportage in campania in cui il tragico cedeva il posto, all’insaputa del viaggiatore, al comico. Un comico di provincia, per intenderci.
Per quel che riguarda l’articolo di Piccolo vedo che entrambi vi concentrate sulla straordinaria tesi del Piccolo secondo cui l’impegno politico, la postura del militante, pare adombri la creazione letteraria. Aprire un serio dibattito sulla cosa mi sembra sacrosanto ma se permettete con meno pressappochismo di quanto si evinca dall’articolo in questione. Detto questo, invito entrambi a dirmi se secondo voi, come scrive Francesco Piccolo il caso di Antonio Tabucchi sia esemplare, perché dalle vostre parole vi confesso di non averlo capito.
effeffe
Piperno e Piccolo hanno scritto pezzi davvero meschini. Si dovrebbe discutere, forse, di questa struttura particolare de La Lettura:
– prima parte, gente che regola dei conti in sospeso, vomitando giudizi livorosi e assai banali (da vergognarsi per davvero);
– seconda parte, product placement di libri in uscita; avete notato anche le 3 categorie di giudizio “a palle” stile – storia – copertina? agghiacciante.
comunque, devo constatare che pure il pezzo di Forlani gronda banalità e livore. Quindi va inserito nel genere dei conti da regolare.
p.s.: e purtroppo su Tabucchi, Piccolo ha ragione. Forse è l’unica cosa giusta che ha scritto.
laserta anch’io constato, se è per questo. Indivia?
effeffe
ognuno ha i suoi gusti.
a novembre 2010 sono uscite le cartoline dai morti (premio dedalus e traduzione in inglese e russo, tra l’altro)
è uscito a marzo 2011 oratorio bizantino e a maggio
il film di mestiere faccio il paesologo, con allegato un mio libretto di versi. a ottobre 2011 è uscito terracarne, con mondadori.
a forlani ho mando alcune cose diseguali, perché ho questo vezzo di provare cose appena scitte sui blog. in fondo è una prova di coraggio a mandare in giro dei semilavorati. e l’inclemenza fa parte del rischio.
la misura sono i libri.
Caro Arminio le cartoline dai morti è stato uno dei libri che ti ho cassato per ragioni che son stanco di ripetere ma che ho appena enunciato. Mi hai scritto che a te interessava avere il mio avviso, che per te la mia lettura era più importante d quella dii tanti tuoi adulatori. caro franco sappiamo entrambi che non è vero. Sappiamo entrambi che è meschino, piccino nascondersi dietro a un dito sperando che l’ombra non si faccia sgamare. Come ho già detto, sono felice quando lavori di indubbia qualità riescono a rompere il muro di gomma della nuova vecchia critica, delle cricche sodali e degli spiriti inquieti, Quando ho letto che il Dedalus della critica era stato assegnato a Massimo Rizzante mi sono detto che bello, a volte si vince. Non capisco come però anche adesso che sei un poeta laureato ti stiano così a cuore, almeno così mi hai scritto giudizi di gente come me. Gente che per esempio ritiene molto più originale e visionaria l’opera di Livio Borriello, tuo , anzi nostro comune e fraterno amico, così solo che mi viene da dire, visto che sei il migliore, da nord a sud, da est a ovest, magari sarebbe importante che si facesse qualcosa per quell’opera. No? effeffe
@Arminio
Sono gli autori che fanno importante un premio, non dimenticarlo mai.
Poi puoi solleticare anche tutta la comunita’ letteraria, bisognerebbe pero’ capire perche’…
I poeti come te poi devono prendersi il giudizio anche dei passanti come me, per non risultare quanto meno grotteschi. Tanta fortuna per il tuo nuovo libro.
@effeffe
“Per quel che riguarda l’articolo di Piccolo vedo che entrambi vi concentrate sulla straordinaria tesi del Piccolo secondo cui l’impegno politico, la postura del militante, pare adombri la creazione letteraria”
Francesco, io non ho parlato di adombramento.
Faccio un esempio cinematografico: Fassbinder. Mi pare che Fassbinder abbia lavorato alla grande sul linguaggio cinematografico perché era uno dei più grandi artisti viventi ed è colla sua poetica che ha partorito opere di impegno sociale, o di denuncia. Io dico che se manca una poetica “di margine” (sociale, culturale, intellettuale), non basta tirare il sasso e nascondere la mano, insomma, piazzare al centro del foglio un problema per essere impegnati; sia questo problema la mafia o lo Stato, o la lobby x di y. Si rischia l’antipolitica sciatta, o la demagogia accattona. O il banalissimo quanto doloroso cliché giustizialista.
Tabucchi io non l’ho mai letto, ma dubito come te che si sia eclissato per l’impegno contro il governo Berlusconi, tanto più che Berlusconi ha sempre incoraggiato gli scrittori antiberlusconiani della sua scuderia e no a far fuoco contro di lui, tanto tutto veniva risucchiato dalla propaganda berlusconiana e dal reticolo editoriale delle sue aziende.
Non so quindi se la sua arte sia calata col governo berlusconi, so che il suo impegno non ha sortito grandi effetti.
Ps: curioso che proprio adesso che qui a NI sta uscendo tutto il nero del bucato sulle classifiche di Pordenone legens, di Dedalus ecc, Arminio difende il suo lavoro presentando il patentino DOC del premio Dedalus. Mah.
indivia, sarebbe un movente plausibile se mai fossi stato scrittore. mi limito a leggere, compito che già riempirebbe una vita. trovo soltanto che menare fendenti in maniera gratuita (molto meschina la citazione di Arminio così, aggratise, a fine pezzo: fuori luogo e fuori tema) mostra un rancore, evidenzia conti in sospeso.
certo, è ben difficile scalfire un ego come quello di Forlani con delle semplici parole. impresa impossibile… m’importa che il concetto fosse chiaro: a un articolo meschino non risponde con altrettanta meschinità. un po’ di stile, no?
Io ormai inveisco soltanto, ma cosa ci sarebbe da capire? Devi essere altro con la tua scrittura rispetto al sistema che presumi di denunciare. Altrimenti sei un cronista. Cosa fra l’altro non facile…
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“Arminio difende il suo lavoro presentando il patentino DOC del premio Dedalus. Mah.”
:-)))
tre piccole cose
la misura sono i libri equivale a dire i commenti sono la misura di un post?
piccolo f dovrebbe solo guardare un pò più ad est, che so leggere tanto cosi per provare la mia europa
l’indivia sta da bene con pancetta e carciofi
c.
http://ilpontelunare.blogspot.com/2011/11/germania-in-autunno.html
bel pezzo Dinamo, davvero
tra l’altro utile visto che corro a procurarmi il film
comunque sia mi sembra che si enunci quanto ho affermato anch’io e aggiungo che spesso le opere più engagées sono quelle loro malgrado, come fu il caso, per esempio dell’Eternauta il cui autore era distante anni luce dal “militante tipo” argentino degli anni della dittatura ma che seppe con la sua opera smascherare meglio di chiunque altri la terribile violenza degli apparati di potere. Héctor Germán Oesterheld ( Buenos Aires, 23 luglio 1919 – 21 aprile 1977) https://www.nazioneindiana.com/2008/10/20/do-you-remember-hector-german-oesterheld/
Grazie,
mi fa piacere che lo guardi, non credo d’aver esagerato nel parlarne, anche se Fassbinder è uno dei miei registi preferiti.
Sull’ingaggiamento, credo che, se non fossi contrario agli slogan, mi piacerebbe dire “meno militi, più ignoti”.
Credo anche che per fare grande arte si debba limitare la limitante attualità (lo dice anche Carlo Cecchi in un’intervista su Repubblica); di conseguenza limitare le opere spiccatamente di tema politico, secco. Però ci sono questi esempi che sanno agglutinare bene le istanze.
ps: da appassionato di romanzi a fumetto, vedrò di reperire Oesterheld. ciao
forlani se me lo dicevi te lo davo io,il film
c.
allora ce lo vedremo da te quando scendo . effeffe
tirato in ballo nei commenti e da 3 telefonate di persone diverse, mi sono sentito in dovere di produrre qualche opinione … ma per la verità l’unuico opinione che mi viene è che le menti milgiori della mia generazione mi sembrano distrutte dalla mancanza di lettori… è questo mi sa tutto il problema di fondo della letteratura…e non so se è da imputare ai lettori, agli scrittori o alla natura umana..
torno adesso da pagani, dove c’era una ottantina di ragazzi con cui abbiamo trascorso una bella serata intorno a terracarne. ieri sera ero stato a calandrino. luoghi difficili, incontri importanti. il mio lavoro va avanti, nonostante che la mia malattia non mi dà tregua.
Ma state a far ancora ste polemiche?