Lettere a chiunque- Ivan Arillotta
Soffrire nei soliti posti
di Ivan Arillotta
Bisogna scrivere. Scrivere sempre. Provare a raccontare fino alla fine. Rendersi conto, in tutta onestà, di non essere riusciti a dire nulla. Bestemmiare e ricominciare da capo. Riuscire a dire esattamente niente. Rendersi conto, con la stessa onestà di prima e accresciuta tristezza, di non aver aggiunto altro che una buona parola, una parola blasfema. Ricominciare da capo, persino più stanchi, umiliati come bestie: uomini, mai. Rendersi conto di essere muti e capire che tutto questo silenzio non è un caso, e se anche fosse un caso si tratterebbe di un caso estremamente fortunato. L’unico caso. Prendere la penna e ricominciare da capo, muti e immobili. Alla fine, in qualche modo e in qualche posto, ci siamo.
Una bestemmia ci definisce, trovata per strada. Siamo una maledizione che parla di sé, e che parla da sola. Ma nessuno si dà da fare, nessuno parla e nessuno scrive. Ci abbiamo provato. Rendersi conto di averci provato con la forza di mille muti. Bisogna scrivere sempre, non c’è altro da fare. Muoversi, e bestemmiare di nuovo. Ci torna la voce, la mano si scuote; si parla, più basso, si bestemmia, più piano, si scrive, peggio. Si vive così. Ma il senso del mondo ci aspetta. Rendersi conto di avercela quasi fatta. E chi lo vuole il senso del mondo. Sputare, bestemmiare e scrivere entrambe le cose. Finalmente scriviamo qualcosa. Riuscire a dire meno di niente. Ricominciare da capo. Invecchiare di dieci anni ogni volta e sperare in un uomo decrepito. La fatica si sente, l’inchiostro si vede: forse ci siamo. Ricominciare da capo. Scrivere. Perdere i figli, i capelli, le mogli, la penna, le speranze. Solo il dolore resta, nessuno lo tocca. Rendersi conto di essere soli. Ricominciare da capo. Provare a scrivere la paura, così com’è. Nessun problema, nessuno leggerà. Scrivere in silenzio, bestemmiare sulla carta e soffrire nei soliti posti. Rendersi conto di non avere aggiunto altro che un morto, ucciso dai crampi e dal troppo pensare. Rendersi conto, in piena coscienza, di essere morti. Ricominciare da capo. Capire l’errore, bruciare i fogli, abbellire il cadavere, rendersi conto di essere soli, un po’ alla maniera di dio. Scrivere in silenzio, bestemmiare sui fogli bruciati e soffrire nei soliti posti.
Scritto tanto bene da non sembrare soltanto qualcosa di oggi. E’ un pezzo vero, imperituro.
“Solo il dolore resta, nessuno lo tocca.” Bellissimo
ciao Ivan.
”Scrivere in silenzio, bestemmiare sui fogli bruciati e soffrire nei soliti posti.” La reiterazione di una preghiera, anzi, di un’eresia. Necessaria.
BEN SCRITTO!!!
bellissimo. poteva continuare all’infinito, sempre più rarefatto, fino a diventare un mormorio.
L’ho letto ad alta voce. Non lo faccio spesso – e no, non perché fosse breve. Scrivere in silenzio, leggere con il respiro dentro. Grazie.
vi ringrazio, tutti
OT
@Gianni: ciao Gianni, cercavo la tua mail qualche settimana fa, l’ho persa
Uno specchio di verità, in cui ci trascini con l’intensità di queste tue parole, ed è tutto così vivo!…io mi ci sono trovata dentro, muta e immobile….
GIGANTESCO!
Mi viene a mente come diceva Fortini? ” una serie di negazioni che non voglio profanare per amnesia,…ma scrivi” (perdonate in mezzo il madornale bianco) Grazie Ivan, e buona scrittura –
Maria Pia Quintavalla
Questa è un’iniezione di coraggio, grazie
@mariapia
Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.
Fortini, da “Una volta per sempre”, 1963
già,forse scrivere è soltanto un modo di pregare del miscredente ipersensibile,”un essere incorporeo, trionfante, morto”(cfr W. W.)
http://charleslazarus.com/wp-content/uploads/2007/03/gardenias.mp3
“Siamo una maledizione che parla di sé, e che parla da sola. Rendersi conto di averci provato con la forza di mille muti. Bisogna scrivere sempre, non c’è altro da fare.”
Davvero bello. Il tuo testo mi piace, le verità che contiene mi fanno sentire meno solo.
L’unica cosa insopportabile è che nulla è insopportabile, quindi non ci resta che continuare scrivere.
E’ un monologo da recitare in penombra
Bisogna leggerlo più volte. Alla prima lettura è un pugno nello stomaco, come spesso. Poi…
“Prendere la penna e ricominciare da capo, muti e immobili. Alla fine, in qualche modo e in qualche posto, ci siamo.”
Grazie. Lo condivido su fb.
bellissimo
Amo quel: “La poesia non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.”
Un testo bellissimo.
Si scrive sulla battigia – il mondo circonda- con oggetti logori
scrivere e soffrire nei luoghi del mondo disfatto- scrivere senza casa
scrivere nel freddo, nella fame, scrivere di lontano- scrivere in una stanza- sotto la pioggia- scrivere in un treno- scrivere
oggi leggo
nella luce del testo di Ivan Arillotta- la sola speranza leggere sulla
linea dove si affrontano mondo disfatto- mondo da inventare.
Raro. Grazie ivan
Vedo l’effetto. Ma non la causa.
Un saluto!,
Antonio Coda