à Ma main: alcune note su Blaise Cendrars
di
Francesco Forlani 1
alla mia amica Gabriella
Portare in giro Patrioska è stato per me l’occasione di incontro con delle realtà artistiche presenti sul territorio assai straordinarie. Non so quanti conoscano il lavoro che svolgono i ragazzi del Teatro Civico 14 a Caserta, del Circolo Pavese di Bologna, Beppe Mecconi al Castello di Lerici o Diego Nuzzo al Penguin Café di Napoli e Pasquale e Nicoletta alla Locanda Atlantide di Roma. Scene indipendenti in cui, per una sera, protagonista fu la main coupée di Blaise Cendrars. Perché nello spettacolo uno dei tre atti era dedicato a un episodio raccontato da Blaise Cendrars in Bourlinguer e che narra l’amicizia del poeta con Amedeo Modigliani. Ieri, in un incontro con i ragazzi di un istituto professionale di Aosta, dove tra gli altri ho utilizzato alcuni materiali di Nazione Indiana a cura di Orsola Puecher, sono partito proprio da qui, da questo racconto.
Per chi non volesse rileggerselo, ma sarebbe un peccato, Blaise Cendrars racconta di una sbronza consumata lungo la Senna insieme all’amico italiano. Provocato dalle lavandaie di un bateau-lavoir che è giusto di fronte, Modì tenta di raggiungere la prescelta, “la più brutta”, per darle un bacio sulla bocca in cambio di una bottiglia. Il tentativo di camminare sulle acque evidentemente fallisce e il nostro, non sapendo nuotare, cola rovinosamente a picco rischiando di annegare. A salvarlo, ovvero a dargli una mano, è proprio Cendrars, che però nel momento cruciale realizza la propria condizione di ” manchot de la main droite “, mano perduta in guerra.
“Quando lo afferrai per i capelli, mi trovai impacciato non avendo che un solo braccio. Un vigoroso colpo di talloni mi fece risalire in superficie, e il padrone del lavatoio, che era saltato su una barchetta ci ripescò.” Scrive Cendrars.
Il momento secondo me più emozionante di questo racconto che peraltro ci informa del fatto che Modì odiasse essere chiamato per nome, Amedeo, è quando il poeta descrive l’amico ormai salvo e disteso al suo fianco.
“Modigliani nudo come una mano e bello come un San Sebastiano, vuotava la bottiglia che non aveva mollato e parlava già di come ritentare l’impresa.”
“Nudo come una mano” capite? (Intanto si associano in mente due distinte fotografie di Man Ray, di due mani che sembrano dialogare fra loro)
Leggendo e rileggendo due straordinarie Memoires di Blaise Cendrars, Bourlinguer (1948) e Le lotissement du ciel (1949), entrambi non tradotti, a mia conoscenza, in italiano, mi sono imbattuto in un “je ne sais quoi” che mi ha aperto, tutto ad un tratto un vero e proprio mondo fino ad allora su un secondo piano ma che a mio parere meritava di essere esplorato, riportato in superficie.
Del secondo colpiscono le note ad un ignoto lettore, (pour le lecteur inconnu) che ritroveremo anche in Bourlinguer, in cui si sente la profonda consapevolezza di uno scrittore pre-postumo, una consapevolezza quasi divertita che gli farà scrivere proprio dopo la pubblicazione di questo libro dal titolo a dir poco fantastico, “La lottizzazione del cielo”:
” Le lotissement du ciel est le livre qui a fait taire la critique. Pas un seul grand ténor n’a donné. Ce n’est pas un mince résultat.” (un libro che ha zittito la critica)
In Bourlinguer, quel che ha attirato la mia attenzione è stato invece il “segno” che Blaise Cendrars lascia in due casi, accanto alla dedica riportata in esergo di ogni capitolo. La formula riporta la dicitura : ma main amie au deporté de Lipari (Malaparte), avec ma main amie (Henry Miller).
Di quale mano parla? Della destra, coupée-coupable, ovvero della mano colpevole che in guerra serviva a premere il grilletto della mitragliatrice, a lanciare granate, spesso vittima proprio del fuoco amico, dell’esplosione dell’arma, della macchina, al momento dell’esplosione o di quell’altra che rendeva incerta la scrittura, della mano sinistra che suppliva la mancanza?
Grazie a una studiosa di Cendrars, Viviana Gregotti incontrata proprio ad Aosta ho potuto vedere la cartolina che la vedova del poeta le aveva regalato durante una sua visita a Lausanne, in cui è riprodotto il ritratto di Cendrars realizzato da un amico pittore. Il poeta è sdraiato sul letto, quasi seduto e sulla sua destra, appoggiato sulla coperta c’è un libro. Rispetto a molte fotografie in cui quasi non si vede il vuoto lasciato dal braccio amputato all’altezza del gomito a causa delle ferite di guerra, nel ritratto quel vuoto è quasi in primo piano, è tangibile. E quel vuoto è in grado di reggere un libro, sfogliarlo, afferrarlo, altrimenti non si capirebbe perché si trovasse proprio lì, ovvero nel posto più scomodo rispetto all’unico braccio, all’unica mano in grado di farne qualcosa. E il pensiero questa volta corre all’Hidalgo, a Cervantes, che aveva subito lo stesso destino.
Sono andato così a riprendermi un libro che per i miei quarantanni, Gabriella, della libreria francofona Voyelles di Torino, mi aveva regalato. Una bellissima edizione Buchet-Castel, delle fotografie di Doisneau consacrate a Cendrars. La prima cosa che salta agli occhi è una lettera che il poeta invia all’amico e che si conclude con il rituale saluto, ma main amie, Blaise Cendrars.
Riguardando le foto, che all’epoca in cui viviamo avrebbero certamente suscitato uno scandalo visto che nella maggior parte di esse, compresa quella in copertina, il nostro ha una sigaretta fra le labbra, mi sono imbattuto su un testo tratto da “la mano mozza” e che mi ha lasciato senza parole. In appena due pagine stabiliva un lien, una connessione a dir poco illuminante.
« Mais le cri le plus affreux que l’on puisse entendre et qui n’a pas besoin de s’armer d’une machine pour vous percer le cœur, c’est l’appel tout nu d’un petit enfant au berceau : « Maman ! Maman ! » que poussent les hommes blessés à mort (…) et ce petit cri instinctif qui sort du plus profond de la chair angoissée et que l’on guette pour voir s’il va encore une dernière fois se renouveler est si épouvantable à entendre que l’on tire des feux de salve sur cette voix pour la faire taire (…) par pitié…par rage…par désespoir…par impuissance…par dégoût…par amour, ô ma maman ! ».
Le urla più insostenibili, spaventose, terribili, ci dice Cendrars, erano quelle dei feriti a morte che gridavano “Mamma, mamma!” che paragona a quelle dei piccoli nelle culle. Grida a cui i soldati nelle trincee, scrive, tendevano l’orecchio per vedere se si fossero ripetute ancora, per un’ultima volta e così spaventose che si sparava su quelle voci per farle zittire.
Allora ô ma maman, ma main, mano mia, ci verrebbe da aggiungere.
Così potremmo parlare del secondo capitolo di Bourlinguer, intitolato Naples, in cui Cendrars si definisce napoletano d’occasione e dove si racconta come all’età di quattro anni avesse pianificato con la complicità di un mozzo di bordo, napoletano, Domenico, il proprio rapimento per fuggire a New York. E quasi ci crede fino a quando il marinaio non lo consegna, alla fine della traversata proprio a colei da cui voleva fuggire, sua madre. Ma questa è un’altra storia. Blaise Cendrars a New York ci ritornerà giovanissimo per scrivere uno dei suoi più straordinari poemi, Les Pâques à New York , di cui Orsola vi darà notizia su Nazione indiana.
- LA POSSIBILITÉ D’UN VOYAGE
Louis Ferdinand Céline e Blaise Cendrars
conversazione con Ernesto Ferrero e Francesco Forlani
In collaborazione con l’Associazione Terrainvague Culture du Monde en Français
venerdì 16 dicembre – ore 21.00
Biblioteca civica Centrale
via della Cittadella 5 – tel. 011 4429836🡅
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Lo condivido subito, effeffe, filologo pre-postumo aussi!
Cendrars, più unico che raro. Grazie per questo approfondimento.
ff andrebbe considerato anche extraletterariamente, perchè il fluire naturale della sua prosa, come gli astri nel loro moto, intercetta sempre qualche avvenimento che apparentemente non la riguarda, un po’ medianicamente… e qui purtroppo, come lui sa, un dolore di una comune amica… non sono coincidenze, ma corrispondenze, e consonanze…
libro ottimo. p.s. io sono in debito per chiunque cerca chiunque, lo so ff, provvederò
stuperfacente
c