Il concorsone definitivo

di Andrea Inglese

Sì, ero presente all’Hotel Ergife di Roma, nei giorni 2 e 5 dicembre. Ho partecipato anch’io alle prove di lingua, che dovrebbero valutare la mia competenza del francese, e in seguito a ciò l’accesso eventuale ad un’ambita graduatoria, che potrebbe darmi la possibilità, un giorno, di insegnare in un liceo all’estero, per nove anni, e con un stipendio doppio di quello usuale. Tutti questi condizionali non mi hanno impedito di inscrivermi al concorso indetto dal Ministero degli Affari Esteri e di accettare la mattanza economica del viaggio in aereo, con il volo di ritorno spostato all’ultimo momento, con esborso di sopratassa, quando ho saputo dei ritardi spettacolari, dei tumulti e delle prove annullate. Come me, d’altra parte, hanno fatto 36999 colleghi, venuti da tutta Italia, e alcuni con proporzionata spesa di trasporto, vitto e alloggio. Il calendario del concorso è stato infatti pensato per nuocere il più possibile alle tasche dei concorrenti non romani e per favorire, almeno nell’arco di un fine settimana, l’economia turistica della capitale. Invece di concentrare le varie prove relative a una stessa lingua in una sola giornata, sono state distribuite su più giorni, in modo da garantire ai concorrenti una permanenza prolungata in città.

Arrivato puntuale alla prova pomeridiana di venerdì, mi è stato subito fatto capire da alcuni veterani, resi esperti da un’intera e precedente giornata d’incazzature, che la situazione era ampiamente fuori controllo. L’agenzia a cui il Ministero aveva affidato le gestione del concorso era un ente privato, la Formez Italia, che molti sostenevano fosse “l’azienda della moglie di Brunetta”. Comunque sia, per aver organizzato le cose in modo così capillarmente inefficiente, doveva aver ricevuto senz’altro una gran quantità di denari. Mi hanno raccontato, poi, che la prova del primo giorno era stata annullata: alcuni insegnanti, in nome di un principio di equità improvvisamente scoperto, avrebbero deciso che i tempi dell’esame erano insufficienti, e che dovevano essere negoziati da un’assemblea costituente. Il presidente di commissione, però, dopo essersi contraddetto varie volte, aveva infine chiamato la polizia, per un democratico sgombero.

L’Ergife, pur essendo designato sulla carta come luogo del concorso, era in realtà inaccessibile. Tutto si è svolto in catacombali interrati raggiungibili da una rampa contigua al parcheggio dell’hotel. I concorrenti in attesa avevano improvvisato bivacchi alla Woodstock nello spiazzo davanti al parcheggio e in una sorta di giardinetto con panchine, che emanava un misterioso odore di carciofini rancidi sott’olio. Al sound dei Jefferson Airplane si erano sostituite litanie di frasi idiomatiche e declinazioni di congiuntivi. A poche centinaia di metri l’Aurelia trafficata, con i suoi distributori di benzina e i concessionari d’auto. Il bar più vicino era uno stanzone spoglio, con un unico cesso apocalittico. “In questi giorni, non sto vedendo che cose brutte”, mi ha detto un amico. L’argomento che ritornava più spesso nelle conversazioni riguardava il fantomatico librone dei quiz, che pareva fosse già stato fotografato il giorno prima, e anche trafugato, fotocopiato, diffuso in rete, e imparato a memoria da quasi tutti. Conteneva 4000 domande a risposta multipla in francese, inglese, tedesco e spagnolo.

Alla fine mi sono incatacombato anch’io, con gli altri similfrancofoni. Ci hanno distribuito i fogli, le matite copiative, le buste, e dopo un’ora finalmente la lista delle 40 domande che dovevamo scovare nel librone. Alle sette di mattina avevo studiato in aereo l’accordo dei participi passati, uno dei punti grammaticali più controversi e disperanti della lingua francese. Dieci ore dopo dovevo leggere istruzioni sul montaggio di un tritaverdure e rispondere in modo pertinente a domande imbecilli sul posizionamento delle lame e sulla quantità di carote da infilarci dentro. A completare il tutto, la constatazione stravolta di un gruppo di secchioni, che a conclusione della prova avevano scoperto che tre dei quesiti comportavano solo delle risposte sbagliate, insomma erano errati, falsi, irreali. Ho capito, quindi, quale chiave di lettura fosse più adatta per decifrare quel Concorsone definitivo. Non la commedia all’italiana, con la sua allegra e turpe faciloneria, ma una sommaria distopia alla Philip Dick: un residuo di Stato – ormai solo un paravento – ingrassava le casse di un’azienda privata, che in suo nome gestiva Concorsi neurolettici, per categorie di impiegati statali demotivati e sull’orlo dell’ammutinamento, affinché si creassero delle interminabili graduatorie-zombie, rinnovabili con la stessa periodicità stringente dei provvedimenti climatici (2014… 2020… 2037). Ci saremmo trovati tutti quanti felici, abilitati a centinaia ex-aequo, per insegnare all’estero in una probabile quarta età post-pensionistica.

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[Questo articolo è uscito il 15/12/2011 su “il manifesto”]

 

 

 

 

 

 

30 COMMENTS

  1. Anch’io avrei dovuto partecipare, ma ho rinunciato all’ultimo momento e – sebbene mi dispiaccia, perché aspettavo da tempo questo concorso – credo di aver fatto la cosa migliore. C’è un limite anche ai sogni.
    Tutta la mia solidarietà a Inglese e ai combattenti che hanno affrontato un giorno nero per la cultura, il lavoro, la scuola italiani. Uno dei tanti, troppi, per l’Italia intera.

  2. ciao andrea caro

    io avevo degli amici ex colleghi di barcellona lì a dare l’esame. ancora li devo sentire, lo farò presto.
    già la volta scorsa il concorsone grattaevinci era stato piuttosto improbo e surreale. questa volta si sono superati. ti faccio un in bocca al lupo grosso come una casa e ti mando i miei più cari auguri di natale.
    francesco

  3. buone pagane feste anche a te francesco,

    ma io vorrei davvero sapere chi ha rovesciato nottetempo una tanica di olio rancido di carciofini nel giardinetto adiacente all’Ergife. Se avete segnalazioni, in questo senso…

  4. Saranno state le suore crocifisse adoratrici dell’eucarestia che stanno lì a due passi…

  5. Caro Andrea,

    Che tristezza leggere come si svolge un concorso di lingua francese. Tu che hai tanta passione per la letteratura francese, la lingua, la poesia. Perché non creare un esame che sarebbe un concorso di scrittura con un argomento? Non credo nel valore del quizz. La lingua non si impara da memoria, ma con un vincolo stretto con gli scrittori, una sapienza della lingua al di là della regola.

    Per me, Andrea, l’hai vinto questo concorso.

  6. @véronique

    Il modo in cui si tenta di valutare la conoscenza di una lingua straniera è rappresentativo del modo in cui si tenta di insegnare una lingua straniera.
    Per motivi personali ho (ri) studiato l’inglese per 3 anni con un insegnante madrelingua è ho scoperto che la maggior parte delle nozioni su cui insisteva tanto la nostra professoressa delle superiori erano sbagliate, imprecise, lontanissime dalla lingua “viva”. Al liceo ci hanno insegnato un inglese che non esiste. Non dico che sia accaduto lo stesso in tutte le scuole superiori d’Italia, ma basta provare a far vedere un film in inglese ad una persona che a scuola aveva il massimo dei voti nello studio di questa lingua per scoprire il livello dell’insegnamento che riceviamo.

  7. Scusate per l’intervento fuori tema, ma il leggendo il (sacrosanto) commento di véronique non ho saputo trattenermi.

  8. Quando leggo il pezzo di Andrea e quello di Alessandro su Sparajuri mi vengono in mente le pallottole mandate a Monti (notizia di stamane) e il pacco esplosivo a Equitalia.

  9. Un momento, la conoscenza di una lingua non si accerta, in maniera oggettiva, né con quizzetti demenziali sul tritaverdure o l’allarme dell’ascensore, né con prove di scrittura. Esistono prove di accertamento linguistico adoperate a livello internazionale di cui evidentemente la Formez ignora l’esistenza; oppure semplicemente non possiede le competenze per prepararle. Le prove proposte, oltre che stupide e spesso basate su trucchetti da «Settimana enigmistica», erano ben al di sotto dei livelli richiesti nel bando ufficiale. Per di più nella maggior parte dei casi la lingua valutata non servirà a niente, perché per lavorare a Tashkent o a Erevan non è necessario saper usare un tritaverdure né scrivere come Proust.

  10. succede da decenni, stesso luogo, orari peggiori, numero superiore, ogni anno alla fine dell’anno perm l’esame di abilitazione alla professione forense (un’abilitazione a un lavoro, appunto, non un lavoro) ma, chissà perché, la mattanza dei liberi professionisti non intenerisce gli animi…

  11. Veramente il mio animo si intenerisce per qualunque mattanza. Se è per questo, da decenni l’Ergife è il principale mattatoio concorsuale d’Italia, nel quale vanno a finire categorie diversissime di aspiranti qualcosa.

  12. stanca di sevizie scolastiche sorrema ha fatto di recente il gran passo: concorso per presidi (preparato nei ritagli e senza corsi di preparazione fatti da ex colleghi meno preparati ma più in furbizia), domande tipo – il numero di abbandoni scolastici in Portogallo -… che dire?
    Ci siamo viste per una sera ed è stata una piacevole serata.

  13. Ho vissuto anch’io Ergife e Formez tre anni fa, per un altro concorso.
    Niente librone e meno bordello (in fondo c’erano solo 6.000 candidati), ma leggendo questo pezzo e quello di De Roma linkato nei commenti ho rivisto molte cose, soprattutto per quanto riguarda l’atmosfera. Quegli incredibili stanzoni, efficace sintesi tra l’hotel di Shining e Cube…
    Non ho trovato qui, e allora mi aveva invece colpito più di ogni altra cosa, l’ennesima conferma del grottesco incancellabile di qualunque tragedia italiana (perchè questa, comunque, È una tragedia): ossia il grande numero di candidati/e che, al concorso (ed era solo una preselezione) si erano presentati/e con la mamma… Adulti laureati con l’atteggiamento mentale di bambini di quinta elementare.

    Ingle’, raccontala tutta: le mamme c’erano o no?

  14. Jacopo,

    Come lo dici tu, la lingua si vive nel contatto carnale. Non ho mai imparato la lingua italiana, e quando sono venuta in Italia, mi sono trovata immersa in una bellezza enigmatica, un vertigine di parole strane, un frusciare luminoso. Avevo solo l’abitudine di vedere all’orrizonte una linea di parole scritte, ma immobili. Ormai dovevo vivere nell’istante della parola. Credo che imparare une lingua significa amare chi parla questa lingua, amare i luoghi, non credo nell’appredimento necessario, ma di predilezione.
    Al principio volevo capire l’enigma di una lingua portata da un uomo amato, come si la lingua fosse una cartografia del mio desiderio.

  15. Per evitare tutta tentativa di” imbroglio”, perché non fare scrivere un testo di poesia, di narrazione?

  16. Le mamme mostro generano mostri. I padri neppure esistono, invece: sono figli pure loro. Mostruosi.

  17. Perchè erano 40.000 candidati, Veronique. Chi li corregge, 40.000 compiti scritti? E in quanto tempo, e con quali costi?

  18. Mi ricorda qualcosa…
    e comunque sì, hai ragione Andrea: Philip Dick, o anche Pynchon, va letto in questa chiave il circo grottesco cui abbiamo abbiamo assistito…del resto i nomi sono molto pynchoniani: la Formez, l’Ergife..roba da complotto metafisico.
    Ciao, buone feste!
    Giovanni

  19. […] C’è da augurarsi che siano organizzati in modo diverso dagli ultimi concorsi. Ad esempio quello per dirigenti scolastici, di cui nei giorni 14 e 15 dicembre 2011 si sono svolte le prove scritte, mentre un altro concorso ha suscitato non meno scandalo per le modalità in cui è stata predisposta l’organizzazione dalla stessa Formez Italia, un ente privato che ha guadagnato l’esclusiva nel settore dei concorsi pubblici: il concorso indetto dal Ministero degli Affari Esteri per insegnare in scuole all’estero. […]

  20. Questo si chiama medioevo.
    Un valvassino usa il suo potere per risorese pubbliche per:
    rimpinzare la societa’ di turno che organizza la sceneggiata chiamata concorso, riservandosi (ovviamente) una quota di posti per gli amici glia amici degli amici parenti e affini.
    Una marea di sudditi rassagnata e impotente che aspira a ricevere per anove anni uno stipendio fisso
    Importa se ha passione per il lavoro che dovrà svolgere? importa se ha competenze ? importa se svolgera il suo lavoro con dedizione
    nO, non importa un fico secco a nessuno, non importa al valvassino e non importa ai sudditi.

    Quando si dice che questo paese è una palude io intendo che ne siamo tutti invischiati.
    Anche coloro (e lo dico senza ironia) che sentono e vorrebbero cambiarlo questo paese.
    E non voglio assolutamente giudicare o biasimare ci mancherebbe.

    Osservo semplicemente che questi diffusi (da sempre) e disperati (ormai) tentativi individuali di trovare soluzioni medievali per accedere al privilegiato mondo del salario garantito, di fatto rendono piu’ impaludata e districata la palude relegando nel mondo delle pie illusioni tanti bei discorsi incongruenti sul mondo nuovo e sulla rivoluzione.

    • scusate, forse c’è un po’ di confusione sul concorsone…nessun disperato tentativo per accedere al privilegiato mondo del salario garantito, visto che tutti i 40.000 partecipanti sono già insegnanti di ruolo (prerequisito per partecipare, o sbaglio?). il concorso certamente è stato organizzato male, forse rendere più stringenti i criteri per partecipare, evitando la fiumana di 40.000, sarebbe stato assai utile; e certamente i quiz saranno stati ridicoli. però, al di là di tutte queste evidenti manchevolezze, forse non farebbe male sottolineare che sono stati brutti giorni per la scuola italiana anche a causa di insegnanti di ruolo di 40, 50 anni che scopiazzavano dai loro vicini di banco in maniera plateale, che contestavano qualunque sciocchezza, comportandosi peggio dei loro peggiori studenti. o sbaglio?

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.