Per Roberto Roversi
di Franco Buffoni
Il 12 dicembre del 1969, terminata la lezione (ero al terzo anno di università a Milano) presi il tram per tornare a casa. In tram leggevo Dopo Campoformio di Roberto Roversi, uscito da Einaudi nel 1962 e preso in prestito alla biblioteca. Senza alcuna guida stavo colmando i vuoti, scovavo i libri come un rabdomante. Ad un tratto il tram si bloccò, si bloccarono tutti i tram di Milano e gli autobus e le macchine. Correvano solo le ambulanze. La gente dovette scendere e continuare a piedi, senza sapere perché. Si diceva di una fuga di gas, che fosse scoppiata una banca.
La nostra memoria personale è connessa alla memoria collettiva per i tramiti più vari. Per me quel giorno è il libro di Roversi. Un libro sul quale sarei tornato tante volte negli anni successivi. Quella “liberazione” tradita: Campoformio come metafora della Resistenza scempiata…
Undici anni più tardi, nell’agosto del 1980, ero appena diventato ricercatore e mi trovavo in Inghilterra con un gruppo di studenti: nel cosiddetto long weekend stavamo visitando il Galles, ci trovavamo in un villaggio sopra una scogliera con l’intenzione di salire al castello. Al mattino, nel bed&breakfast che ci accoglieva, ad un tratto vidi incupirsi lo sguardo del ragazzo che mi stava di fronte. Nei suoi occhi – come la sorella di Alice che negli occhi di Alice “vede” il sogno – vidi l’orrore. Si alzò di scatto. Il televisore muto gli rimandava dallo specchio sulla parete una cartina d’Italia, con una piccola stella rossa che si illuminava a intermittenza in mezzo all’Emilia-Romagna. Dopo qualche minuto ritornò: “Prof, se in Italia c’è il colpo di stato io resto in Inghilterra a fare l’esule”.
I treni partivano
i treni arrivavano
“al mare” dicevano i treni
“alla montagna” dicevano i treni.
I treni ridevano
cantavano
erano felici i treni.
(Mai più! Mai più! Mai più!)
Il cielo era con nuvole azzurre
all’improvviso
il cielo è diventato nero
il cielo è diventato fuoco
il treno non è più partito
il treno non è più arrivato
il treno si è fermato (è in ginocchio per terra).
(Mai più! Mai più! Mai più!)
A un tratto il cielo
il cielo
è diventato di fuoco
i bambini piangevano
le mamme gridavano
stesi per terra in silenzio
uomini donne bambine
mentre il sangue cadeva dal cielo.
(Mai più! Mai più! Mai più!)
Le nubi non erano più bianche
erano rosse di sangue
erano nere di fumo.
Poi il tempo è passato
i morti sono ancora con noi
con noi in partenza col treno
al mare in montagna.
(Mai più! Mai più! Mai più!)
Ascolto
ascolto
ascolto
Quello che vola lassù:
ci porta in vacanza
al mare o in montagna
fra le nuvole bianche
(Mai più! Mai più! Mai più!)
Ascoltate guardate
guardate la grande nave
passare
le onde
le onde calde del mare
nuotare
andiamo al mare.
(Mai più! Mai più! Mai più!)
Ascoltate
ascoltate
guardate
il treno
che arriva a Bologna
noi nella stazione aspettare
allegri per correre al mare.
(Mai più! Mai più! Mai più!)
Quando ascoltai questi versi – composti da Roversi per il trentunesimo anniversario della strage, e letti dal palco in piazza Medaglie d’oro a Bologna dall’undicenne Farhana e dal quattordicenne Marco, con ottantacinque ragazzi di Marzabotto che rispondevano gridando: “Mai più” – mi vennero subito in mente lo sguardo di quel mio studente in Galles e la sua frase. E mi chiesi: “Ma poi c’è stato, o non c’è stato, il colpo di stato in Italia?”
Certo, non c’è stato il colpo di stato con i carri armati, ma l’occupazione della Rai è avvenuta, quella del Quirinale è stata tentata, la volontà di sottomettere il giudiziario all’esecutivo è stata esplicitata, l’irrisione del legislativo è in atto… Con le proposte, i tentativi “ungheresi” di cambiamento della Costituzione, di trasformazione del XXV Aprile nella Festa della Libertà… per annacquarlo in una generica festa riecheggiante quel “Popolo delle Libertà” all’interno del quale sono confluiti i post fascisti…
Io sono nato nel 1948, ho l’età della Libreria Palmaverde. E della Costituzione Italiana… Ma quando anni fa un quotidiano mi chiese di scrivere dei versi sulla nostra Costituzione, mi sentii smarrito. Certo, l’idea mi attraeva, ma l’”ispirazione” era a zero. La nostra Costituzione, pensavo, non ci dà lo slancio di un “pursuit of happiness”, che da solo basta a sorreggere un bell’afflato poetico. La nostra Costituzione è pragmatica, rigorosa, responsabilizzante. Allora mi rifugiai in un vecchio Dizionario enciclopedico inglese d’epoca vittoriana, che qualche idea ogni tanto è ancora capace di darmela, e cercai la definizione di “costituzione”. Avevo compiuto un passo avanti, ma ancora la poesia non c’era. Poi pensai a qualcuno che sarebbe stato felice di leggerla, questa nostra Costituzione, e di vederla promulgata… La mia riflessione grata andò ad Amendola, a Matteotti… Poi, col pensiero a Gobetti, capii che ce l’avevo fatta. Perché Gobetti, che aveva lo stesso sguardo acceso di quel mio antico studente, nella sua breve vita e senza mezzi, prima che gli scherani fascisti venissero ad aspettarlo sulle scale per massacrarlo di botte, era riuscito ad essere anche editore… di poesia. Aveva pubblicato Ossi di seppia, Piero Gobetti.
Dedico dunque a Roberto Roversi, nel comune sentire civile, nella comune passione per la “decenza”, questi versi, ringraziandovi per avermi chiamato a partecipare a questo omaggio a lui e alla sua opera.
Alla Costituzione Italiana
Le costituzioni, recita il mio vecchio
Dictionary of Phrase and Fable,
Possono essere aristocratiche o dispotiche
Democratiche o miste.
Ecco, per te che non prometti
Di perseguire l’imperseguibile
– La felicità degli uomini –
Vorrei non pensare davvero a quel “mixed”
Che ricade sugli effetti salvando i presupposti:
Di te che prometti il perseguibile
Vorrei restasse il lampo negli occhi di Gobetti,
Già finito per altro in poesia.
NOTA
Roma, Salone Borromini, Biblioteca Vallicelliana, 26 gennaio 2012. Incontro su “Roberto Roversi: Poesia e passione civile”, organizzato da Federica Taddei e condotto da Massimo Raffaeli. Tra i partecipanti Antonio Bagnoli, Fabio Moliterni, Bianca Maria Frabotta, Davide Nota (il cui intervento verrà pubblicato su Nazione Indiana, mercoledì 15 febbraio).
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Grazie Franco della segnalazione e di questi ricordi. E poi la tua evocazione della “decenza” mi fa spontaneamente aggiungere un’altro filo, a quelli che tu hai raccolto qui: la “common decency” di Orwell.
Eh la decenza, questa sconosciuta…
Mi sono molto commosso nel leggere l’intervento di Franco Buffoni e mi dà forza constatare che quotidianamente NAZIONE INDIANA dà voce a valori in cui in molti ci riconosciamo: la lotta di liberazione antifascista e la Resistenza, la poesia, l’impegno civile,la Costituzione laica e repubblicana, la determinazione nel mantenere deste la coscienza e la memoria.
Nel mio piccolo voglio rendere omaggio anch’io al Maestro Roberto Roversi e segnalare il bellissimo volume edito da Sossella TRE POESIE E ALCUNE PROSE tre o quattro anni addietro.
Mi è piaciuto.
Una riflessione a latere: l’autore è del 1948. Appartiene, perciò, alla generazione, probabilmente, più fortunata della storia. Non è soltanto un luogo comune, è la constatazione delle opportunità, delle occasioni di pensiero fecondo e creativo di cui i decenni implicati sono stati fucina. Io, classe 1963, sono già un po’ meno miracolato, in questo senso. Ancora, però, ho potuto avere certe prospettive, tipo quella del “posto fisso”, tanto per intenderci. Ma chi sta peggio di tutti sono gli ultimi, cioè i miei alunni del liceo, la prima generazione che pare non avere futuro. Eppure, oggettivamente, il futuro sono loro e si troveranno, prima o poi, ad affrontare i nostri guasti. Non smetto di guardarli con una strana speranza.
Fare poesia e anche leggere poesia è indubitabilmente un modo di resistere…
Roversi, quando vuole, è delizioso. Leggero leggero, ma mai banale.
Pesante Roversi, non credo sia un autore decisivo per la poesia contemporanea